Microimprenditore, l’identikit del profilo e i suoi fabbisogni formativi

Confimpreseitalia e la Link Campus University hanno condotto insieme uno studio sul profilo del microimprenditore e dei suoi fabbisogni formativi mettendo sotto la lente di ingrandimento il tema della microimpresa, prendendo a riferimento le imprese con meno di nove addetti (che rappresentano il 95% del tessuto produttivo italiano) e considerando oltre 1.000 microimprenditori associati a ConfimpreseItalia, operanti in tutta Italia appartenenti a tutte le categorie.

In primo luogo è stato profilato l’identikit del microimprenditore-tipo con la delineazione del suo fabbisogno formativo, l’aggiornamento e le aspettative da parte del sistema formativo, la propensione all’internazionalizzazione e all’innovazione nella microimpresa.

In secondo luogo, si è andata definendo la struttura della microimpresa, individuando da subito come segni identificativi la sua natura “monocellulare” e la figura assolutamente prevalente del titolare nel quale si identificato i pregi e i difetti di questo tipo di strutture.

Com’è il Microimprenditore, allora?

Secondo la nostra fonte*, il profilo emerso parla di un imprenditore dinamico, consapevole del proprio ruolo e dei rischi derivanti da un mercato del lavoro in rapida evoluzione, con una buona apertura verso l’estero e una buona propensione all’innovazione che guarda con occhi interessati al mondo della formazione, della ricerca e dell’università.

Inoltre:

il 50% dei microimprenditori possiede un diploma di scuola media superiore e un quarto possiede una laurea;
1/3 ha iniziato la propria esperienza lavorativa con l’apertura dell’impresa;
¼ ha oltre 20 anni di esperienza alle spalle.

In quanto all’attività formativa, poi:

il 42% dei microimprenditori non svolge attività formativa,
il 25% svolge dalle 6 alle 10 ore di formazione annue,
l’8% svolge più di 20 ore di formazione all’anno

Oltre la metà della microimprese (55%) sono familiari
il 58% dei microimprenditori proviene da famiglie di imprenditori

L’84% conosce almeno una lingua straniera: il 60% la conosce a livello intermedio e il 22% a livello avanzato.

Il 75% dei microimprenditori ha almeno un figlio di cui quasi un quarto (22%) partecipa all’attività dell’impresa.

Infine, un terzo delle microimprese è a maggioranza di donne.

Infine, è la soggettività dell’imprenditore ad essere il pregio principale della microimpresa: “la sua flessibilità ossia la capacità di adattamento alle condizioni economiche generali, settoriali e alle specificità dei singoli mercati. Ma alla stessa soggettività dell’imprenditore vanno ascritti gli ostacoli che la microimpresa incontra sulla strada dello sviluppo: la necessità di competenze gestionali (spesso si tratta di un soggetto proveniente dall’area tecnica che decide di mettersi in proprio), la difficoltà di reperire risorse umane, la scarsa disponibilità di risorse finanziarie (non ci sono riserve, i capitali sono individuali, la regola è l’autofinanziamento).”

In definitiva, a fare il bene dell’impresa sono il sapere professionale nella microimpresa, che poi determina la formazione degli addetti; l’organizzazione del lavoto, che a sua volta risulta profondamente mutato in relazione ai cambiamenti di natura economica, sociale, tecnologica e organizzativa; infine, l’analisi delle competenze, che si configura come un processo di individuazione, di acquisizioni cognitive ed esperienziali realizzate in momenti diversi e non facilmente riconducibili a percorsi lineari di formazione, ma sempre orientata entro i dettami del LifeLong Learning.

Fanno bene molteplicità delle attività che il microimprenditore è chiamato ad assolvere; la sua azione e la presa di decisioni da solo; la scelta del parcellizzare il lavoro; l’inutilità di porre in forma astratta quelle che sono definite “capacità di soluzione dei problemi” legate a situazioni, relazioni, ambiti specifici di riferimento; il fattore dell’aggregazione è molto importante perché evidenzia come il riposizionamento competitivo delle microimprese e quindi del tessuto economico italiano passa certamente sulla concentrazione delle aziende per trarne forza e capacità di misurarsi all’estero con maggiori possibilità di successo

Funzione anche la cultura dello stage/tirocinio, sempre più visto come momento formativo e come canale privilegiato per l’ingresso al mondo del lavoro: “da quello che emerge, l’universo delle microimprese, con semplici incentivi e agevolazioni normative, è capace di aggregarsi in filiera, di “fare sistema” per favorire l’accesso al mercato e accrescere così la competitività sia in Italia che all’estero”.

Paola Perfetti

Fonte: Confapi News