La crisi penalizza i prestatori d’opera

A soffrire particolarmente la crisi economica mondiale, come ha confermato lo studio Ep Industry White Paper condotto su circa 6.000 imprese interpellate in 25 Paesi d’Europa, sono soprattutto i prestatori d’opera che, a causa di perdite su crediti e ritardi di pagamento, hanno calcolato una perdita sul fatturato del 4,5%.

Giunto alla settima edizione, l’approfondimento dei dati del report European Payment Index condotto da Intrum Justitia per settori merceologici, evidenzierebbe una situazione nella quale le aziende europee avrebbero portato a perdita crediti per un valore totale di 312 miliardi di euro pari al 2,7% del fatturato.

I più colpiti sono, nel dettaglio, commercialisti, studi legali, architetti e consulenti, per i quali la società specializzata in servizi di Credit management prevede un ulteriore peggioramento per tutto il 2012.

Al contrario, a tenere è il settore delle utilities, ma anche e soprattutto edilizia, servizi immobiliari, educazione, trasporti e servizi alle imprese, che hanno registrato risultati migliori rispetto alla media europea.
Nonostante ciò, però, le stime per il prossimo anno sono tutt’altro che confortanti, dal momento che sono previste ulteriori perdite in altri settori.

Adepp, l’Associazione degli enti previdenziali privati, ha reso noti altri dati, che riguardano le categorie professionali italiane e il loro andamento tra il 2008 e il 2010. Purtroppo, la crisi si è fatta sentire parecchio, tanto da invertire la tendenza positiva degli anni precedenti, con una perdita del 3% del reddito nominale e del 6% del reddito reale. Messi peggio sarebbero notai e avvocati, che sarebbero in negativo dell’11%.

Adepp ha esteso tale ricerca al quinquennio 2005-2010 e anche in questo quadro appaiono i professionisti dell’area giuridica quelli più “sofferenti”, probabilmente anche a causa di alcune riforme apportate all’attività notarile. In questo caso, si parla di un reddito reale negativo al 20% e reddito nominale a -11%.

L’area tecnica, che comprende geometri, periti e biologi, e l’area economico sociale di giornalisti, commercialisti e ragionieri, presentano un andamento più lineare e meno sfavorevole, perdendo rispettivamente circa il 7% e il 5% del loro reddito medio reale (rispettivamente circa il 3% e il 5% del loro reddito medio nominale) nel periodo 2005-2010.

In perdita anche l’area sanitaria, formata da farmacisti, medici e odontoiatri, psicologi, infermieri e veterinari, che registra una importante diminuzione dei redditi reali medi nel periodo 2006-2010.
Tale perdita però, precisa ancora l’Adepp, è stata in gran parte compensata dal guadagno in termini di reddito medio reale registrato nel periodo 2005-2006 e pari a circa il 9%.
Grazie a questo fenomeno l’area sanitaria e’ quella che risulta aver perso meno in termini di reddito medio reale durante il periodo 2005-2010. Nel periodo 2006-2010 l’area sanitaria ha perso il 4,5% in termini di reddito medio nominale. Invece, il guadagno in termini di reddito medio nominale nel periodo 2005-2006 e’ stato dell’11%.

Vera Moretti

Stipendio in nero? Il lavoratore ci paga le tasse

I consulenti del lavoro intervengono in materia di lavoro nero e lo fanno con il parere n. 26 della loro Fondazione Studi. In base a questo parere, se la retribuzione è in nero, non è solo il datore a dover pagare le tasse ma anche il lavoratore. I consulenti del lavoro ricordano come, a una lettura superficiale della giurisprudenza della Cassazionesembrerebbe che il lavoratore resti del tutto estraneo alla tassazione della propria retribuzione, essendo compito esclusivo del datore di assoggettare a ritenuta il relativo importo“. “Tuttavia – sostengono i consulentila Corte di Cassazione in più occasioni ha stabilito che anche il lavoratore è correo, dovendo provvedere ad assoggettare a tassazione la retribuzione percepita pure in assenza di ritenuta da parte del datore, ovvero in caso di pagamenti in nero“. 

Inoltre, secondo la Cassazione, nel caso specifico in oggetto “è errata la conclusione, in punto di diritto, che la contribuente fosse esonerata dall’obbligo fiscale essendovi una norma primaria che impone al datore l’obbligo di effettuare le ritenute e versarle“. La Corte ritiene dunque che “in caso di mancato pagamento della ritenuta d’acconto da parte del lavoratore, il soggetto obbligato al pagamento del tributo sia anche il lavoratore contribuente”.

Secondo la Suprema Corte, l’intervento del sostituto lascia inalterata la posizione del sostituito, che è deve dichiarare i redditi assoggettati a ritenuta, poiché concorrono a formare l’imponibile sulla quale, secondo il criterio di progressività, sarà calcolata l’imposta dovuta, detraendosi da essa la ritenuta subita come anticipazione del prelievo.

PEC: scadenza rinviata a fine anno

La scadenza del 29 novembre per la comunicazione dell’indirizzo di Posta Elettronica Certificata ha colto molte imprese impreparate, tanto che il Ministero dello Sviluppo Economico, nella circolare n. 224402 del 25 novembre scorso, ha invitato le Camere di Commercio a non applicare sanzioni a chi avrebbe provveduto alla comunicazione della PEC dopo tale data.

Il problema pare sia stata l’impossibilità, da parte dei gestori, di accontentare la grande quantità di richieste entro il termine previsto perciò, se si riuscirà a provvedere a tal proposito entro la fine dell’anno, non si andrà incontro a multe o sovratasse.

Quello, dunque, che inizialmente avrebbe dovuto essere un obbligo, ovvero il pagamento di una sanzione pecuniaria prevista dall’art. 2630 del codice civile per l’“omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi”, ora è stato annullato.
Tale sanzione amministrativa, dopo le recenti modifiche apportate dallo Statuto delle imprese (Legge n. 180/2011, art. 9, comma 5) che ne ha dimezzato l’importo, va da € 103 a € 1.032 o, in caso di regolarizzazione del mancato adempimento entro i 30 giorni successivi (29 dicembre), va da € 34 a € 344 (1/3 della sanzione ordinaria) ma non sarà applicata per evitare inutili contenziosi a carico dell’Amministrazione.

In sostituzione è stata emanata una nuova circolare indirizzata alle Camere di Commercio, la circolare n. 224402 del 25 novembre 2011, in cui si afferma l’ “opportunità” di non applicare le sanzioni previste alle imprese che non attiveranno un indirizzo PEC entro la scadenza del 29 novembre, almeno in questa prima fase di applicazione “e, comunque, ragionevolmente, almeno fino all’inizio del nuovo anno”.

Il Ministero suggerisce, quindi, alle Camere di Commercio di ritenere come “corretto adempimento” anche quello tardivo effettuato entro la data del 31 dicembre 2011.

La generalizzata e transitoria situazione di difficoltà, infatti, determina “l’impossibilità di individuare, in capo ai soggetti tenuti all’adempimento in parola, l’elemento soggettivo (dolo o colpa) che, ai sensi dell’art. 3 della legge 689/81, è presupposto necessario per l’assoggettamento alla sanzione amministrativa”.

Perciò, anche se non si tratta di una vera e propria proroga, le assomiglia molto.

Vera Moretti

GLI STIPENDI NON AUMENTANO, L’INFLAZIONE SI’

La consueta fotografia mensile dell’Istat sulle retribuzioni contrattuali dei lavoratori italiani fa registrare ancora un andamento interlocutorio: a ottobre 2011 la variazione delle retribuzioni è stata nulla rispetto al mese precedente e ha registrato un modesto incremento dell’1,7% rispetto a ottobre 2010. Nella media del periodo gennaio-ottobre 2011 l’indice è cresciuto dell’1,8% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente.

Il dato preoccupante è però quello secondo cui la forbice tra retribuzioni contrattuali e il livello d’inflazione continua a crescere. Secondo l’Istat si amplia la forbice tra l’aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,7%) e il livello d’inflazione (+3,4%), toccando una differenza pari all’1,7%. Il precedente record era all’1,3%. Si tratta del divario più alto almeno dal 1997.
 
Alla fine di ottobre, secondo l’Istat, risultano in vigore in Italia 47 contratti di lavoro, che regolano il trattamento economico di circa 8,7 milioni di dipendenti, cui corrisponde il 61,7% del monte retributivo complessivo. I contratti in attesa di rinnovo sono 31, di cui 16 della pubblica amministrazione, che interessano circa 4,3 milioni di dipendenti.
 
La quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è del 33,1% sul totale dell’economia e del 12,9% nel settore privato. Questi dipendenti attendono in media 22,4 mesi nel totale e di 23,4 mesi nell’insieme dei settori privati. A ottobre non è stato firmato alcun accordo in attesa di rinnovo.

A ottobre le retribuzioni orarie registrano un incremento tendenziale dell’1,9% per i dipendenti del settore privato e dello 0,6% per quelli della pubblica amministrazione. I settori che fanno registrare gli incrementi maggiori rispetto allo stesso mese dell’anno precedente sono militari-difesa (+3,7%), forze dell’ordine (+3,5%), gomma, plastica, lavorazioni minerali non metalliferi, attività dei vigili del fuoco (+3,1%).

Le imprese italiane resistono e crescono

Sono stati resi noti da Unioncamere i dati riguardanti apertura e chiusura di imprese nel terzo trimestre 2011.

La ricerca, che si basa sui dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio, parla di un saldo attivo pari a 19.833 unità che, alla fine di settembre, contava 6.134.117 imprese, cifra che riporta ai valori record del 2007.

Nel dettaglio, il trimestre estivo ha registrato 77.443 nuove iscrizioni, il 9,1% in meno di quelle del corrispondente periodo del 2010 (quando furono 85.220). A fronte di questo rallentamento, tra luglio e settembre le cessazioni sono invece aumentate, tanto da raggiungere un valore di 57.610 unità, il 3,6% in più del corrispondente trimestre dello scorso anno (55.593).
Questi valori, dunque, rispecchiano il panorama economico italiano e porta, come saldo trimestrale, il numero di 19.833 imprese, positivo ma inferiore di un terzo (-33,1%) rispetto al corrispondente saldo rilevato nel 2010.

Lo scarto tra aperture e chiusure si sta perciò restringendo e questo risultato non deve essere preso sottogamba, come ha ribadito anche Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, il quale ha anche riconosciuto come, a “tirare la carretta” sia soprattutto l’export e ciò dovrebbe far riflettere circa la necessità, prioritaria, di “rimettere a punto il sistema della promozione, valorizzando le competenze che ci sono già, come la rete della Camere di commercio italiane all’estero“.
Per quanto riguarda, invece, il mercato interno, Dardanello sostiene l’importanza di “restituire capacità di spesa alle famiglie e spingere sulle liberalizzazioni, aprendo i mercati alle forze più innovative, alle donne e ai giovani, il patrimonio più prezioso che abbiamo per costruire il nostro futuro“. Ma anche le piccole imprese artigiane devono poter contare su “continuità al processo di semplificazione delle attività d’impresa e non far mancare il credito necessario”.

Facendo un quadro generale, si può dire che nel terzo trimestre 2011 il sistema delle imprese si conferma in leggera espansione, pur con un ritmo di crescita ridotto rispetto alle rilevazioni precedenti (+0,32% contro lo 0,49% del corrispondente trimestre del 2010) e ciò trova conferma confrontando i primi tre trimestri, che presentano una situazione analoga. Ciò che appare evidente è il rallentamento della vitalità del sistema rispetto al 2010 poiché tra gennaio e settembre di quest’anno i registri camerali hanno rilevato 309.323 iscrizioni (nel 2010 erano state 315.620) a fronte di 260.169 cessazioni (254.953 l’anno precedente), per un saldo complessivo di 49.154 imprese in più (contro 60.667). Analizzando la situazione in percentuale, il saldo dei primi nove mesi di quest’anno è ridotto del 19% rispetto a quello del 2010, frutto del calo 2% delle iscrizioni e dell’aumento di uguale entità delle cessazioni.

In termini assoluti, il risultato dell’ultimo trimestre riporta il livello dello stock al dato di settembre del 2007, a testimoniare la sostanziale tenuta del sistema delle imprese in risposta alle perduranti tensioni.

Il primo fattore di stabilità della base imprenditoriale è da ricercare nella crescita delle imprese costituite in forma di società di capitale che determinano il 22,5% dello stock complessivo di tutte le imprese registrate. Negli ultimi tre mesi il loro saldo è stato pari a 9.478 unità (il 47,8% di tutta la crescita del trimestre), ma se si estende l’analisi ai primi nove mesi dell’anno, il loro contributo appare ancora più evidente: tra gennaio e settembre le società di capitale in più sono state infatti 34.738, pari al 70,7% di tutto il saldo dei nove mesi.

Il secondo elemento di tenuta risiede nel contributo, sempre elevato, che le ditte individuali assicurano al flusso delle nuove iscrizioni. Un fenomeno che dipende sempre più dall’apporto delle imprese aperte da cittadini immigrati: nell’ultimo trimestre il loro contributo al saldo del periodo è stato di 5.108 imprese, pari al 26% dell’incremento totale e al 71% di quello delle sole ditte individuali.
Se si considerano i primi nove mesi dell’anno, questi stessi valori passano al 30% (il peso sul saldo complessivo) e addirittura a oltre il doppio di tutto l’aumento delle imprese individuali (14.775 su 6.567): come dire che, senza le imprese di immigrati, nei primi nove mesi del 2011 questo aggregato sarebbe diminuito di oltre 8mila unità.

Per quanto riguarda i vari settori, nel trimestre tutte le tipologie di attività evidenziano saldi positivi, con il Commercio (+5.425 imprese), le Attività dei servizi di alloggio e ristorazione (+4.299) e le Costruzioni (+3.345) in testa.
Nell’arco più ampio dei nove mesi, tuttavia, in aggiunta all’agricoltura il bilancio anagrafico evidenzia una riduzione della base imprenditoriale anche per le Attività manifatturiere (-1.712 imprese).

Per quanto riguarda il territorio, molto bene è andato il Centro Italia (+0,4%) trainato dal buon risultato del Lazio, la regione dove la crescita relativa è stata più elevata (+0,5%).
In termini assoluti, il maggiore contributo al saldo è venuto dal Mezzogiorno, dove sono state rilevate 6.074 imprese in più (lo 0,3%) rispetto alla fine di giugno. Tra le regioni, dopo il Lazio, in termini relativi hanno fatto bene Campania e Trentino Alto-Adige (entrambe a +0,46%), Liguria e Calabria (+0,39%). In termini assoluti, il miglior risultato spetta invece alla Lombardia (3.276 le imprese in più nel trimestre), seguita dal Lazio (+3.012) Campania (+2.521) e Toscana (+1.549).

Parzialmente diverso è il quadro nell’arco dei primi nove mesi dell’anno. Se il Centro si conferma sempre molto dinamico, (+1,1%), il saldo più consistente in termini assoluti lo fa registrare la circoscrizione del Nord-Ovest, con 14.570 imprese in più.
Nella classifica delle regioni in termini assoluti, la Toscana (+4.647 imprese) sopravanza la Campania (+4.444) al terzo posto dopo Lombardia e Lazio, rispettivamente a +11.067 e +8.691.

Vera Moretti