Atipici o precari? La sostanza non cambia

Atipici, precari, in bilico… chiamateli come volete ma la sostanza è sempre la stessa. Un esercito di persone che, professionalmente ha un presente tutto in salita e un futuro (se c’è) tutto da decifrare. Una categoria di persone il cui identikit è stato tracciato dalla Cgia di Mestre.

In due parole: stipendio medio di 836 euro netti al mese, 15% di laureati, 46% di diplomati, quasi tutti nella Pubblica amministrazione, oltre 1 su 3 al Sud (35,18% del totale). Si tratta di dipendenti a termine involontari; dipendenti part time involontari; collaboratori che hanno contemporaneamente 3 vincoli di subordinazione: monocommittenza, utilizzo dei mezzi dell’azienda e imposizione dell’orario di lavoro; liberi professionisti e lavoratori in proprio (i partitivisti, insomma) che hanno in contemporanea i 3 vincoli di subordinazione descritti nel punto precedente.

Si tratta di oltre 3 milioni e 300mila persone e la loro retribuzione mensile media di cui sopra esclude altre mensilità (tredicesima, quattordicesima, etc.) e voci accessorie come, ad esempio i premi di produttività, indennità per missioni, etc.

La PA la fa da padrona, tra scuola, sanità, nei servizi pubblici e sociali, direttamente nella Pubblica amministrazione (Stato, Regioni, Enti locali, etc.). Gli altri settori che registrano una forte presenza di questi lavoratori atipici sono il commercio (436.842), i servizi alle imprese (414.672) e gli alberghi e i ristoranti (337.379).

A livello territoriale, come detto, il Sud ne conta il numero maggiore. Se oltre 1.108.000 precari lavorano nel Mezzogiorno (pari al 35,18% del totale), le realtà più coinvolte, prendendo come riferimento l’incidenza percentuale di questi lavoratori sul totale degli occupati a livello regionale, sono la Calabria (21,2%), la Sardegna (20,4%), la Sicilia (19,9%) e la Puglia (19,8%).

Insomma, un vero e proprio esercito con caratteristiche ben definite. E un tratto comune che, di questi tempi, non è cosa da poco: per quanto precario, queste persone un lavoro ce l’hanno