Non è tutto olio quello che luccica

 

43 etichette di olio a denominazione di origine riconosciuta dall’Unione Europea. 250 milioni di piante sul territorio nazionale capaci di garantire un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative all’anno ed un fatturato di 2 miliardi di euro. Regioni italiane che dell’olio fanno il loro pane quotidiano come Puglia (35%), Calabria (33%), Sicilia (8%), Campania (6%), Abruzzo (4%), Lazio (4 %), Toscana (3%) e Umbria (3%). Una produzione “al verde” che da sola potrebbe provvedere a tutto il Belpaese, eppure, l’olio costa meno, ne consumiamo di più, ma l’indotto del settore agricolo è in perdita.

Cosa non torna?

L’etichettta!

Quelle del supermercato sono poco trasparenti, illeggibili per quanto riguarda la provenienza delle loro olive, e questo nonostante l’obbligo di provenienza in etichetta stabilito il 1° luglio 2009 con Regolamento comunitario n.182 del 6 marzo 2009.

Cosa nascondono? E soprattutto, cosa sta succedendo al buon nome dell’olio d’oliva italiano? E’ stato truffato.

I più attenti casalinghi si saranno accorti delle varie diciture poco visibili sul retro delle verdi bottiglie: scritte come”miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari”  non equivalgono a prodotti nazionali. Anzi!

E quelle icone, quei nomi, quelle immagini tutti trulli e colline toscane? Una mascherata. Una frode.

L’Italia è il primo Paese nel mondo per quanto riguarda l’importatore mondiale di olio. Lo prendiamo dalla Spagna, 74% ; dalla Grecia, 15%; dalla Tunisia, 7%, e non perchè ci manchi. E dunque? Andiamo al “nocciòlo” del problema.

E’ notizia di questi giorni che un’operazione dei carabinieri dei Nas ha scoperto un traffico di circa 500.000 litri di olio extra vergine di oliva contraffatto. 

Le materie prime, provenienti da Spagna e Maghreb (proprio le aree da cui importiamo di più), venivano sofisticate con clorofilla e betacarotene per essere poi cedute ad oleifici compiacenti che le etichettavano come “vero Extravergine”.

Extrafalso! Ed extra dannoso, per la salute come per le tasche degli Italiani: nella maggior parte dei casi occulti e quindi portati alla luce, gli olii non italiani venivano mescolati a quelli nazionali, “etichettati” in un qualche modo “all’italiana” e quindi ributtati nel mercato internazionale con un’immagine di eccellenza da Belpaese assolutamente dannosa.

Solo nell’ultimo periodo, poi, l’Italia ha raggiunto il massimo storico in quanto ad importazione più o meno lecita di olio d’oliva straniero: mai fino ad oggi si era arrivati a 584mila tonnellate capaci di superare la produzione nazionale, in calo nel 2011 a 483mila tonnellate; del -6% nell’ultima raccolta.

Sempre secondo i dati forniti da Coldiretti, nel 2011 le importazioni di olio dall’estero sono aumentate del +3%, quasi triplicate negli ultimi 20 anni e questo ha sommerso la produzione nazionale.

Detto tutto questo, e sanciti tutti questi buoni motivi, per il buon nome (e le buone tavole) tutte made in Italy, non possiamo non rilanciare la lotta alle frodi e alle sofisticazioni sui cui, l’11 giugno scorso, Coldiretti si espressa durante il convegno “Qualità e trasparenza nell’olio di oliva: una grande opportunità per l’economia del Sud” nel Centro Congressi dell’Ente Fiere di Foggia, ovvero in quella Puglia, stivale d’Italia, ricca di ulivi storici che da tempo immemore fanno il PIL dell’olio italiano.

La legge salva olio Made in Italy è già stata sottoscritta da numerosi parlamentari ed ha come primi firmatari la senatrice Colomba Mongiello (PD) e il senatore Paolo Scarpa Buora (PdL), “a dimostrazione di un vasto consenso che ci si augura conduca ad un iter rapido”. E che fili “liscio come l’olio”.

 

Paola PERFETTI