Imprenditori suicidi, non abbassiamo la guardia

di Davide PASSONI

Negli ultimi mesi, complice forse l’estate, sono stati meno i casi di imprenditori che si sono tolti la vita a causa della crisi. Anche se, durante la settimana appena trascorsa, specialmente nel Veneto la cronaca nera in questo senso è tornata a farsi leggere. Eppure la situazione economica non è migliorata, anzi, è andata peggiorando; fallimenti, aziende che chiudono, imprese in bilico ci sono ancora ma forse, ora che si legge sempre meno di gente che si appende a una trave per farla finita, la crisi fa meno notizia.

Noi di Infoiva, però, non molliamo la presa, non vogliamo che si abbassi la guardia su un fenomeno che, seppur scemato, temiamo possa riesplodere in tutta la sua amarezza dall’oggi al domani. Per questo abbiamo bussato alla porta di Adiconsum, che nell’aprile scorso, all’apice del fenomeno degli imprenditori suicidi, ha dato vita all’associazione “Speranza al lavoro” insieme a Filca-Cisl, con diversi obiettivi: creare una rete nel territorio che possa dare sostegno al mondo del lavoro e offrire sostegno psicologico e fiscale a imprenditori e famiglie duramente colpite dalla crisi. Ecco che cosa ci ha detto Pietro Giordano, Segretario Generale Adiconsum Cisl Nazionale e consigliere di “Speranza al lavoro“.

Ci sono meno imprenditori suicidi e l’attenzione dei media sul fenomeno cala. Ma i problemi rimangono aperti, vero?
I mass media classici cavalcano il caso quando scoppia, ma se poi l’interesse scema tendono a dimenticarsene. Speriamo che il fenomeno non si riaccenda in modo clamoroso, ma la situazione resta grave. Lo dico perché, dal momento che gestiamo anche un centro antiusura, abbiamo i dati reali di una crescita dell’indebitamento rispetto al fabbisogno di sostegno economico. E questo non solo tra i lavoratori dipendenti o i pensionati, ma anche tra gli artigiani e i commercianti, che si trovano in condizioni di estrema difficoltà.

Quindi le “grida di aiuto” delle imprese e delle famiglie vi arrivano ancora numerose?
A “Speranza al lavoro” continuano a pervenire decine di richieste di sostegno, sia economico – anche se non è questa la nostra mission – sia di tipo psicologico. Sono spesso famiglie nella più completa solitudine, che quando sono in difficoltà non possono più contare sul supporto di parenti e amici, che scompaiono all’orizzonte. La richiesta è quella di avere un punto di vista stabile a cui aggrapparsi. Sono famiglie e imprenditori con risorse economiche ormai scarse o nulle, che devono sostenere spese, magari schiacciate dal peso delle cartelle esattoriali. Per questo abbiamo a loro disposizione anche dei tributaristi gratuiti.

Come far sì che l’attenzione non cali?
Vorremmo realizzare un grande convegno e una serie di iniziative di sensibilizzazione in tutta Italia, nelle piazze, rispetto a un fenomeno che ora è sotto traccia, ma non è di certo sparito.

Da che zone proviene chi si rivolge a “Speranza al lavoro”?
Provengono per la maggior parte dal Centro-Nord, dove ci sono aree a maggiore produttività: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia… Le segnalazioni però stanno diventando man mano sempre più uniformi sul territorio nazionale, segno che la crisi è dura e moltissimi sono i default. La maggior parte delle piccole aziende coincide infatti con la famiglia, per cui il default non è solo dell’impresa ma di un intero sistema familiare: un fallimento non solo imprenditoriale ma anche personale. O meglio, lo si vive come un fallimento personale, ma a tutto c’è rimedio. Il messaggio che parte dagli operatori di “Speranza al lavoro” è che c’è sempre una possibilità di risalire, bisogna reagire. Che poi è quello che vuol sentirsi dire chi si rivolge a noi.

Spesso molte imprese falliscono perché lo Stato insolvente è il loro primo creditore? Come giudicate questi episodi?
Li giudichiamo molto male. Lo Stato è lontano dal cittadino e dalle imprese e un aspetto del dramma è proprio quello del ritardo nei pagamenti della PA, che mettono in difficoltà tante piccole imprese. Sulle quali poi, magari, interviene Equitalia e le manda in default per poche migliaia di euro, senza pensare che sta dando il colpo di grazia a una famiglia ormai moribonda. L’ennesima dimostrazione che lo Stato non è vicino alle imprese.

Che cosa serve per cambiare la rotta?
Uscire dalla spirale. Abbiamo avuto grande speranza nel governo Monti nella sua prima fase, ma con il passare dei mesi ci siamo resi conto che le caste che bloccano lo sviluppo del Paese sono troppo potenti. Tutti si dicono liberali, ma con gli altri, non con se stessi. Da noi vengono imprenditori che magari per 2000 euro di scoperto con lo Stato si vedono tagliato il fido e buttati letteralmente in mezzo alla strada. Ci dovrebbero essere delle normative che equiparano lo Stato al cittadino: tra i due attori non ci deve essere uno più forte e uno più debole, altrimenti si continuerà a viaggiare a due velocità, come nel caso degli interessi pagati dal cittadino rispetto a quelli da lui vantati nei confronti dello Stato.

Perché è così forte la tendenza a sovrapporre il fallimento professionale a quello personale?
Perché, soprattutto negli Anni ’80, è stato equiparato il successo personale a quello aziendale o professionale, una equazione che è diventata una maledizione per tante persone. Da quegli anni in poi il successo personale non è più coinciso con la ricchezza interiore o la vita familaire serena, ma si è sovrapposto a quello economico. Un tempo la famiglia era il porto sicuro che salvava le persone, ora spesso, come già detto, il default economico coincide con il default familiare: non è una parte della tua vita che finisce, ma tutta la vita, ecco perché la gente si uccide. Un dramma figlio di una cultura che porta a credere che l’opulenza economica sia sinonimo di felicità.

Un appello agli imprenditori in difficoltà.
Mai abbandonare la speranza, non aspettare mai l’ultimo momento per chiedere aiuto a qualcuno. Spesso situazioni tragiche sono tracollate perché sono arrivate a noi all’ultimo minuto, se prese prima sarebbero state sanate o si sarebbero evolute diversamente. Il fallimento di un’azienda non è mai un fallimento personale, la ricchezza dei rapporti è quella che sostiene l’uomo, lì bisogna puntare.