La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro si esprime su diffida accertativa e tirocini formativi

La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro si esprime su diffida accertativa e tirocini formativi

L’istituto della diffida accertativa è contenuto nell’art. 12 del D.lgs. 23 aprile 2004, n. 124, attuativo della Legge delega 14 febbraio 2003, n. 30 (art. 8), volta alla “semplificazione della procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro correlata alla promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica”.

Con il D.lgs. n. 124/2004, il legislatore ha attribuito al personale ispettivo il potere di diffidare il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore, entro un termine prefissato, i “crediti patrimoniali” che risultino dovuti qualora nel corso dell’attività di vigilanza “emergano inosservanze della disciplina contrattuale” (art. 12, c. 1).

L’istituto in questione intende quindi ampliare gli strumenti deflattivi del contenzioso giudiziario e amministrativo, rendendo più celere il riconoscimento di diritti di carattere patrimoniale in favore del lavoratore.

Sebbene la norma utilizzi la locuzione “datore di lavoro”, la diffida accertativa è stata ritenuta applicabile anche ai rapporti di lavoro parasubordinato (co.co.co. e co.co.pro.) “almeno in tutte quelle ipotesi in cui l’erogazione dei compensi sia legata a presupposti oggettivi e predeterminati che non richiedano complessi approfondimenti in ordine alla verifica dell’effettivo raggiungimento o meno dei risultati dell’attività” (v. circolare Ministero del Lavoro n. 24/2004).

Il potere di diffidare il datore di lavoro spetta al personale ispettivo del Ministero del Lavoro, in servizio presso le Direzioni provinciali e regionali. Entro 30 giorni dalla notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro può tentare di definire in via amministrativa il contenzioso in atto, promuovendo un tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro; in caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia. Decorso inutilmente il termine di cui sopra o in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, attestato da apposito verbale, il provvedimento di diffida acquista valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo.

Avverso la diffida accertativa il datore di lavoro può proporre ricorso all’autorità giudiziaria, oppure tentare la via amministrativa (art. 12, c. 4, D.lgs. n. 124/2004), impugnando “la diffida accertativa, validata dal provvedimento autonomo del direttore della Direzione provinciale del lavoro, entro 30 giorni dalla notificazione, dinanzi al Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui all’art. 17, integrato dalle parti sociali, il quale deciderà il ricorso entro 90 giorni dalla presentazione” (Circolare Ministero del Lavoro n. 24/2004; conf. Circolare Ministeriale del Lavoro n. 10/2006).

Se in ordine al procedimento di cui all’art. 12, D.lgs. 124/2004 non sorgono particolari problemi interpretativi, altrettanto non può dirsi per la definizione di “crediti patrimoniali” assoggettabili a diffida. Rientrano certamente nel novero dei “crediti patrimoniali”, diffidabili ai sensi dell’art. 12, gli emolumenti retributivi di qualunque genere attestati dal prospetto di paga consegnato al lavoratore e non corrisposti (si fa riferimento a tutti quei crediti fondati su prova scritta, che legittimerebbero il lavoratore ad agire con ricorso per decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 633 c.p.c.).

Sulla materia è intervenuta di recente la circolare Ministero del Lavoro n. 1 dell’8 gennaio 2013, la quale – in risposta alle richieste di chiarimenti provenienti dal personale ispettivo e dai Comitati regionali per i rapporti di lavoro – ha compendiato le diverse tipologie di crediti indicando, per ognuna di esse, la assoggettabilità a diffida. In particolare, la circolare ha classificato i crediti retributivi nel seguente modo:

1) “crediti retributivi da omesso pagamento”: in relazione a detta specie di crediti è stata affermata la assoggettabilità a diffida;
2) “crediti di tipo indennitario, da maggiorazioni, TFR, etc.”: anche per tale tipologia di crediti, il cui accertamento non implica valutazioni discrezionali da parte del personale ispettivo, il Ministero ha ammesso l’assoggettabilità a diffida accertativa;
3) “retribuzioni di risultato, premi di produzione”: tale tipologia di crediti, legata a valutazioni discrezionali del datore di lavoro, non è stata ritenuta compatibile con la diffida, fatta eccezione per le ipotesi in cui il diritto al trattamento premiale risulti per tabulas (ad es., da una comunicazione del datore di lavoro, o dalla busta paga);
4) “crediti retributivi derivanti da un non corretto inquadramento della tipologia contrattuale”: per questi crediti, che sorgerebbero per effetto di una riqualificazione del rapporto di lavoro (ad es., da autonomo a subordinato), il Ministero ha escluso l’assoggettabilità a diffida accertativa, ritenuta incompatibile con la complessità dell’analisi necessaria per tale riqualificazione;
5) infine, per i “crediti legati al demansionamento ovvero alla mancata applicazione dei livelli minimi retributivi richiesti esplicitamente dal Legislatore in osservanza dell’art. 36 Cost.”, il Ministero ha giustificato l’assoggettabilità a diffida accertativa sulla scorta dell’art. 8 della Legge delega, il quale finalizza l’istituto alla “prevenzione e promozione dell’osservanza della disciplina degli obblighi del rapporto di lavoro, del trattamento economico e normativo minimo e dei limiti essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

In senso parzialmente difforme a quanto disposto dalla circolare n. 1/2013, si era espressa la circolare n. 24 del 19 settembre 2011, la quale aveva, però, ad oggetto la sola materia dei tirocini formativi di cui all’art. 11, D.L. n. 138/2011 (norma dichiarata incostituzionale con sentenza 11-19 dicembre 2012, n. 287).

In particolare, la circolare n. 24/2011 aveva esteso l’applicabilità della diffida accertativa all’ipotesi di illegittimità dei tirocini formativi che mascheravano ordinari rapporti di lavoro subordinato (mentre la circolare 1/2013, come visto, non consente la diffida in ipotesi di “non corretto inquadramento della tipologia contrattuale”). Tuttavia, il contrasto tra le due circolari deve ritenersi ormai superato nel senso della prevalenza della circolare n. 1/2013 sulla precedente circolare n. 24/2011, e ciò in ossequio al criterio cronologico (lex posterior derogat legi priori) che regola anche le fonti del diritto di secondo livello (né si Può ritenere la seconda fonte speciale rispetto alla prima, che tratta esclusivamente l’istituto della diffida accertativa).

Nel merito, si può osservare che la qualificazione di un rapporto di lavoro presuppone un’istruttoria approfondita (testimoniale e documentale) che non appare compatibile con l’accertamento tecnico dell’ispettore di cui all’art. 12, D.lgs. n. 124/2004. Pertanto, si comprendono le ragioni di opportunità sottese alla scelta del Ministero, il quale – pur affermando che l’istituto in esame non deve essere relegato in “una sorta di presa d’atto della situazione di fatto, ad una fotografia di quello che era già materialmente e in un certo senso documentalmente esistente” – ha però indicato chiaramente i limiti entro cui detto strumento può essere legittimamente utilizzato.