Gli ordini professionali investono in cultura e formazione

Tre degli ordini professionali più influenti investono con forza nella cultura delle professioni. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha sottoscritto due protocolli d’intesa con il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili e con la Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura per promuovere attività comuni rivolte allo sviluppo della cultura professionale e alla formazione continua, da perseguire attraverso corsi, seminari e pubblicazioni.

Il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Enzo Iacopino, ha firmato un protocollo con Gerardo Longobardi e Giorgio Sganga, presidenti rispettivamente del Consiglio e della Fondazione nazionali dei commercialisti, e uno con la Scuola Superiore dell’Avvocatura – Fondazione del Consiglio Nazionale Forense, rappresentata dal vice presidente Alarico Mariani Marini. Complessivamente i tre ordini professionali rappresentano oltre 450mila professionisti iscritti ai rispettivi Albi.

La deontologia e il rispetto delle regole sono condizioni fondamentali per una informazione al servizio dei cittadini”, ha affermato Enzo Iacopino, commentando l’iniziativa degli ordini professionali e annunciando “la creazione di un osservatorio di monitoraggio sulle violazioni dei codici etici della categoria”.

Le professioni intellettuali regolamentate devono recuperare il ruolo di presidio di garanzia per la collettività – ha invece sottolineato Alarico Mariani Marini -. Con i giornalisti condividiamo l’esigenza di riconoscere nella formazione uno strumento essenziale per lo sviluppo civile della società. Le nostre sono professioni che agiscono sul terreno dei diritti e delle libertà fondamentali e dunque devono recuperare la consapevolezza delle loro responsabilità culturali, etiche e deontologiche. Questi ultimi sono elementi che segnano la differenza delle professioni intellettuali regolamentate nella società di mercato“.

 

“Questo importante protocollo – ha chiuso l’altro rappresentante degli ordini professionali, Gerardo Longobardi, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti -, che avvia una proficua collaborazione tra professioni diverse, andrà ora riempito di contenuti e significati. La formazione è per le professioni intellettuali una grande opportunità di crescita e sviluppo culturale, oltre che un aspetto di socializzazione e condivisione di esperienze diverse. Investendo nella formazione, investiamo anche nella nostra Fondazione nazionale, fiore all’occhiello della categoria e suo braccio operativo. Ad essa il compito di concretizzare questo protocollo”.

Imprese toscane alluvionate, finanziamenti in arrivo

Buone notizie per le imprese toscane colpite dalle calamità naturali degli ultimi mesi. La Regione Toscana mette a loro disposizione un fondo da 5 milioni di euro, come disposto dalla delibera proposta dall’assessore regionale alle attività produttive credito e lavoro, Gianfranco Simoncini, che è stata approvata durante l’ultima giunta.

Di fatto si tratta di una nuova linea di microcredito destinata al finanziamento e all’erogazione di prestiti agevolati a tasso zero alle imprese toscane danneggiate da calamità naturali; l’importante è che siano situate nelle zone per la quali la Regione ha dichiarato, di volta in volta lo stato di emergenza.

La Giunta regionale toscana ha anche approvato gli indirizzi per l’attuazione della linea di microcredito che consentiranno agli uffici regionali di emanare a breve il bando. Nello specifico, si prevede che entro i sei mesi successivi al verificarsi dell’evento naturale, tutti i territori interessati da calamità che avranno ricevuto il riconoscimento da parte della Regione, potranno fare domanda di accesso al credito agevolato per le imprese toscane del territorio.

Potranno fare richiesta di credito agevolato le imprese toscane del manifatturiero, del turismo, del commercio, della cultura e del terziario, oltre ai titolari di partita Iva.

Le piccole imprese amano il Jobs Act

Che il Jobs Act non fosse poi così mal visto dalle imprese e dagli artigiani era abbastanza trasparente. Ora la conferma arriva anche da un’indagine ad hoc realizzata dalla Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa Artigiani e piccole imprese (Cna) su 1630 imprese associate, dalla quale emerge un sostanziale apprezzamento per il Jobs Act.

Il dato più rilevante emerso dal sondaggio è che per la maggior parte delle imprese intervistate, il Jobs Act porterà a una riduzione della segmentazione del mercato del lavoro, per incentivare le nuove assunzioni a tempo indeterminato, senza che crescano i costi per le piccole imprese con meno di 16 dipendenti.

Il sondaggio della Cna sul Jobs Act è stato condotto su diversi punti, cercando per ciascuno di capire quale è il sentiment delle Pmi per ciascuno di essi. Intanto il contratto a tutele crescenti. Per il 53% delle imprese intervistate si tratta di una semplificazione rispetto ai contratti oggi esistenti e per il 20% di loro genererà maggiore flessibilità nella gestione dei rapporti di lavoro.

C’è poi il capitolo licenziamenti. Il 51% delle imprese intervistate sostiene di non avere mai dovuto licenziare i dipendenti, mentre per il 34,5% di loro la risoluzione dei rapporti di lavoro è avvenuta sempre in maniera consensuale.

Per quanto riguarda invece la decontribuzione per le assunzioni prevista dal Jobs Act, il 49,5% delle imprese sostiene che l’esonero dal versamento dei contributi significa contratti a tempo indeterminato più convenienti, anche se c’è molta incertezza su come la decontribuzione potrà incentivare un aumento dell’occupazione.

L’altra grossa novità del Jobs Act, ovvero il Tfr in busta paga, è fonte di preoccupazione solo per le imprese più grandi. Per il 23,5% delle imprese intervistate da Cna, non impatterà sugli equilibri finanziari aziendali, mentre Il restante 76,5% pensa che potrebbe essere fonte di problemi di liquidità gravi.

Insomma, qualche ombra ma bel complesso molte luci sulla visione che le imprese piccole e gli artigiani hanno sul Jobs Act.

Telecom Italia, dal Brasile ok alla scissione di Telco

Si va verso la definizione del rapporto tra Telecom Italia e la controllante Telco. L’autorità brasiliana delle telecomunicazioni, Anatel, ha infatti approvato la scissione di Telco, condizionata all’uscita della spagnola Telefonica dal capitale entro 18 mesi e al congelamento dei suoi diritti di voto per questo periodo.

Con lo scioglimento della holding, la società spagnola sarebbe diventata il primo azionista di Telecom Italia, che in Brasile controlla TIM Participacoes, concorrente di Vivo, controllata invece da Telefonica.

A fine giugno il cda di Telco aveva votato la scissione della scatola socia di Telecom Italia, un’operazione soggetta però all’approvazione di diverse autorità: Conselho Administrativo de Defesa Economica, Agencia Nacional de Telecomunicacoes, Comision Nacional de Defensa de la Competencia e, per quanto di competenza, Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni.

Dopo la scissione nasceranno quattro newco che si chiameranno Telco Te Spa, Telco AG, Telco IS e Telco MB, faranno capo rispettivamente a Telefonica, Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca ed erediteranno le partecipazioni in Telecom Italia, oltre che i debiti della finanziaria. A Telefonica andrà il 14,77% di Telecom Italia (valorizzato in bilancio 0,92 euro per azione per complessivi 1,83 miliardi) e faranno capo debiti per 1,636 miliardi e dunque un patrimonio netto pari a 193,75 milioni

A Generali andrà inoltre il 4,32% di Telecom Italia a fronte di 479,1 milioni di debiti pro quota per un patrimonio netto di 56,7 milioni, mentre a Intesa Sanpaolo e Mediobanca andrà l’1,64% del gruppo Tlc (valorizzato 203,6 milioni da ciascuna) con debiti per 182 milioni e un patrimonio netto di 21,54 milioni.

Il manager preferisce il coworking

In italiano si chiama spazio di lavoro condiviso, ma per comodità, come spesso accade, per definirlo si usa un termine inglese, coworking. Un fenomeno in crescita, specialmente nelle grandi città, che è stato oggetto di una ricerca globale di Regus sul coworking, condotta in oltre 100 Paesi su 22mila manager e imprenditori, che ha indicato quali sono i vantaggi ottenibili dalla flessibilità e dalla condivisione degli spazi di lavoro.

Secondo gli intervistati, l’ottimizzazione dei costi di gestione è il principale beneficio riscontrato da chi sceglie il coworking (89%), seguito da una importante riduzione delle spese di manutenzione e pulizia (86%). I benefici per le imprese che utilizzano spazi di lavoro condivisi non si limitano però a una semplice questione economica: il 72% degli intervistati ritiene infatti che gli spazi di coworking possano costituire l’ambiente ideale per sviluppare nuove idee e per facilitare lo scambio di conoscenze e favorire l’innovazione. Anche la crescita di un forte spirito imprenditoriale (73%) è tra i benefici che derivano da questo tipo di scelta.

Secondo Regus, anche in Italia si registra una crescita di interesse verso modalità di lavoro in coworking  o anche solo verso l’utilizzo di spazi di lavoro flessibili nei business center, dove gli aspetti social di condivisione e di interscambio di esperienze sono più limitati, ma presenti.

Altri vantaggi identificati dalla ricerca Regus sul coworking sono: la possibilità di accrescere il proprio network di relazioni con fornitori e partner commerciali (80%) e l’opportunità di entrare in contatto con nuovi potenziali clienti (79%).

Senza contare un’esigenza dettata dalla difficile situazione economica, ossia l’importanza di svolgere la propria attività utilizzando ambienti di lavoro flessibili e condivisi che consentono di modificare gli spazi uffici in tempi rapidi senza costi o penali per adeguarsi alle mutate esigenze lavorative (73% degli intervistati).

Secondo Mauro Mordini, country manager di Regus in Italia, “manager e professionisti hanno identificato chiaramente quali sono i vantaggi nell’utilizzare uffici e spazi di lavoro in modo flessibile al fine di rispondere rapidamente alle condizioni dei mercati. Inoltre la possibilità di lavorare in modalità di coworking in un ufficio condiviso, presso una sede pratica e comoda come un business center, consente di svolgere la propria attività in modo produttivo in un ambiente collaborativo e stimolante che favorisce l’innovazione e lo sviluppo di una cultura imprenditoriale.

Regali di Natale online, occhio alle truffe

Anche per questo Natale, come di consuetudine durante le Feste, gli acquisti aumentano notevolmente, sia online sia nei negozi tradizionali. E, soprattutto per chi acquista regali di Natale online, la frode è dietro l’angolo se non si sta attenti. Sfortunatamente, infatti, lo shopping online non finisce sempre bene per i clienti.

Da una recente indagine condotta da Kaspersky Lab – la più grande azienda privata del mondo che produce e commercializza soluzioni di sicurezza per gli endpoint – e B2B International è emerso che quasi la metà degli intervistati che hanno perso del denaro durante una transazione online fraudolenta non lo ha più recuperato o ne ha recuperato solo una parte. Per questa ragione Kaspersky Lab ci tiene a ricordare, a tutti gli utenti che si sono rivolti alla rete per i loro acquisti natalizi, la necessità di proteggere le proprie transazioni digitali, specialmente in un periodo in cui i furbi approfittano di chi acquista regali di Natale online.

Sebbene molte istituzioni finanziarie dichiarino la propria disponibilità a rimborsare il denaro perso a causa del cybercrimine, solo il 56% degli intervistati da Kaspersky Lab ha riferito di aver recuperato tutto il denaro perduto. Il 16% delle vittime ha ricevuto solo un rimborso parziale e il 28% non ha ottenuto alcunché. In alcuni Paesi, come la Russia, il 58% degli intervistati ha dichiarato di non aver mai potuto sperare nella possibilità di ricevere un rimborso e solo il 13% ha ricevuto una parte del denaro rubato.

La situazione, secondo Kaspersky Lab, è esacerbata dal fatto che non tutti gli utenti sono completamente consapevoli del pericolo delle frodi informatiche, nemmeno quando devono acquistare regali di Natale online: il 16% degli intervistati crede che il crimine online che coinvolge il furto di denaro non sia così comune e il 22% crede che non sarà mai preso di mira dei cyberattacchi. Tuttavia, le statistiche mostrano che circa il 43% degli utenti è stato vittima di qualche minaccia finanziaria online almeno una volta nell’ultimo anno.

Come ricorda Morten Lehn, Managing Director di Kaspersky Lab Italia, “le frodi online possono costare somme considerevoli di denaro: secondo la nostra indagine la somma media che i criminali informatici sono riusciti a rubare è stata di 180 euro ma nel 18% dei casi ha superato addirittura gli 800 euro”.

Natale 2014 con i tuoi

Se vogliamo è una non notizia, e come tale non meriterebbe la copertina. Ma, dopotutto, è Natale e quello che la gente ama sentirsi raccontare in un giorno di festa come questo è qualcosa di rassicurante, tradizionale, routinario. E dunque, a confermare tradizione e routine ci ha pensato la Camera di Commercio di Milano che, tramite un sondaggio realizzato attraverso Digicamere con metodo Cati su 801 cittadini di Milano, Roma e Napoli a fine novembre 2014 ha rilevato che gli italiani oggi festeggiano in gran parte il Natale 2014 tra le mura di casa.

Secondo il sondaggio della Camera di commercio di Milano, nel capoluogo lombardo il Natale 2014 viene trascorso soprattutto in compagnia di famiglia e amici, tra casa propria (47,2%) e quella di parenti e amici (uno su due), anche se non manca chi fa festa al ristorante: circa 1 su 100.

Festa in famiglia anche a Roma e Napoli: nella capitale, il 98,7% degli intervistati è a casa propria o in quella di amici e parenti, mentre all’ombra del Vesuvio il Natale 2014 sta trascorrendo tra le mura domestiche per circa il 96% delle persone intervistate.

Il sondaggio della Camera di commercio di Milano ha voluto anche indagare qual è la tradizione alla quale gli italiani sono più legati e a cui non rinunciano nemmeno in questo Natale 2014. Anche in questo caso, poche sorprese dalle risposte degli intervistati sia a Milano, sia a Roma, sia a Napoli.

Il pranzo di Natale resta la tradizione cui è più legato quasi un milanese su due, seguita dalla messa di mezzanotte (9,2%) e dal cenone della Vigilia (8,8%). Romani e napoletani, invece, sono più legati al cenone del 24 (rispettivamente il 30,5% e il 25,3%) e se un romano su venti (5,3%) ama la preparazione dell’albero di Natale, il 4,8% dei napoletani della tradizione natalizia ama soprattutto la preparazione dei piatti tipici.

Sul fronte regali di Natale, il sondaggio rileva che un italiano su tre ricicla i doni in questo Natale 2014, con percentuali simili per milanesi, romani e napoletani. Inoltre, per più di un milanese su due è un Natale 2014 in tono minore tra regali più economici (32,5%) o ridotti nel numero (19,1%). Sono regali più economici anche a Roma (36,5%) e Napoli (35,1%) ma se i milanesi risparmiano soprattutto sui viaggi (11,3%) oltre un romano e un napoletano su cinque mette sulla tavola imbandita prodotti alimentari meno ricchi.

Insomma, il Natale 2014 è come quello del 2013, del 2012, del 2011 e indietro. Ma, del resto, è giusto così. E allora… buon Natale a tutti!

Il CoLAP contro la legge di stabilità

Anche il CoLAP si scaglia contro la legge di stabilità nella versione approvata al Senato. Nonostante le promesse e i molteplici appelli, dice il CoLAP, non ha bloccato l’aumento dei contributi alla gestione separata dell’Inps per le partite Iva esclusive; ha dato via agli aumenti decisi dall’allora governo Monti e ha enormemente peggiorato, per i soli professionisti, il regime dei minimi (che, lo ricordiamo, fino al 2014 prevede 30mila euro di soglia e 5% di imposta mista, mentre dal 2015 passerà a 15mila euro di soglia e 15% di imposta mista).

La legge di stabilità – dice Emiliana Alessandrucci, presidente del CoLAPalloca risorse prendendole dalle tasche dei nostri professionisti; siamo ancora i più vessati, i più discriminati, i più tassati. Questo atteggiamento verso le partite Iva avrà effetti negativi sui redditi dei nostri professionisti che sono già sulla soglia della povertà (18mila euro reddito lordo annuo!), incentiverà il sommerso e lo sfruttamento dei giovani e delle donne”.

Chiediamo – incalza Alessandrucciche venga immediatamente aperto un tavolo di proposte e confronto al fine di valorizzare il lavoro autonomo ed eliminare questi ingiustificati comportamenti discriminatori tra chi lavora in forma dipendente e chi si costruisce il lavoro giorno per giorno investendo, affrontando la crisi e spesso creando occupazione”.

Conclusione amara quella del presidente del CoLAP: “Il popolo delle partite Iva aveva creduto che il trend del Governo che ha fatto del nuovo e dell’innovazione una bandiera, avesse segnato un cambio di passo; arriva in ritardo la dichiarazione di Renzi di attenzione al lavoro autonomo, quando avevamo due  occasioni pratiche per supportare questo mondo. E’ difficile comprende perché mentre a parole il governo dichiara di voler puntare su giovani, sulle competenze e sulla qualificazione professionale, alla luce dei fatti finisce per penalizzare proprio uno dei comparti più giovani, innovativi e dinamici del mercato del lavoro italiano. Ci aspettiamo una convocazione a gennaio perché abbiamo intenzione di collaborare seriamente alla ristrutturazione e al potenziamento del nostro comparto, con un approccio propositivo e collaborativo lontano da rivendicazioni e ostruzionismo che mai hanno rappresentato il nostro modo di fare e pensare alla politica”.

Coldiretti: bene l’odg Anzaldi sulla tutela dell’ agroalimentare italiano

Forse qualcosa si muove sul fronte della tutela dell’ agroalimentare italiano da contraffazioni e tarocchi assortiti. Nei giorni scorsi, Michele Anzaldi, componente della Commissione Agricoltura della Camera, ha presentato un ordine del giorno con il quale ha chiesto la revisione della norma sulle etichette con l’attivazione presso il ministero delle Politiche Agricole, entro 30 giorni, di un tavolo istituzionale di confronto con le parti interessate. Un ordine del giorno che va anche a tutela dell’ agroalimentare italiano e che ha ricevuto parere favorevole dal governo.

A questo ordine del giorno plaude Coldiretti, che sottolinea come una verifica della possibilità di modificare il regolamento comunitario sull’etichettatura dei prodotti alimentari, con l’obiettivo di tutelare la trasparenza e la qualità dell’ agroalimentare italiano nell’interesse dei consumatori e del Made in Italy, è non solo opportuna, ma indispensabile.

Con il nuovo regolamento comunitario entrato in vigore lo scorso 13 dicembre – ricorda Coldirettiviene abolito l’obbligo di indicare nei prodotti lo stabilimento di produzione. In questo modo, anche se i prodotti italiani continueranno ad avere la dicitura Made in Italy, perché le nostre aziende lo ritengono giustamente un valore aggiunto, i produttori stranieri non avranno l’obbligo di indicare nulla, con il rischio di trarre in inganno i consumatori”.

Di qui l’esigenza di rivedere le disposizione della contraddittoria normativa comunitaria che mantiene anonima oltre la metà della spesa obbligando ad indicare la provenienza nelle etichette – precisa Coldiretti – per la carne bovina, ma non per i prosciutti, per l’ortofrutta fresca ma non per i succhi di frutta, per le uova ma non per i formaggi, per il miele ma non per il latte”.

Secondo Coldiretti, anche se un passo importante è stato fatto per la tutela dell’ agroalimentare italiano, non si è posto fine agli inganni del finto made in Italy sugli scaffali che riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta, oltre un terzo della pasta ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all’insaputa dei consumatori e la metà delle mozzarelle che sono fatte con latte straniero o addirittura semilavorati industriali (cagliate) provenienti dall’estero.

Un danno per l’ agroalimentare italiano al quale l’ordine del giorno di Anzaldi prova a mettere una pezza.

Partite Iva, Renzi, sveglia!

 

Ormai è evidente che il premier Matteo Renzi si è accorto di averla fatta fuori dal vaso, come si suol dire. Le partite Iva sono le grandi dimenticate della legge di stabilità da poco approvata. E. oltre che dimenticate dal governo, sono spremute dal Fisco e dall’Inps e si devono pure beccare la fregatura del nuovo e svantaggiosissimo regime dei minimi.

Ecco perché Renzi, subissato dalle critiche del popolo delle partite Iva sui mezzi che lui stesso ama tanto, Facebook e Twitter, ha fatto capire che qualcosa va sistemato: “Nei prossimi mesi un provvedimento ad hoc sul mondo dei giovani professionisti – ha detto durante una intervista radiofonica -. Un intervento correttivo sulle partite Iva è sacrosanto e me ne assumo la responsabilità. […] La legge di stabilità ha dei limiti e di questo ne sono consapevole io per primo. Però non è tutta da buttare, per i commercianti e gli artigiani c’è molto. […] Sulle partite Iva c’è un effetto che fa molto arrabbiare nella suddivisione di questi soldi in più. Artigiani e commercianti sono un po’ aiutati mentre per i giovani avvocati e giovani architetti aumenta il peso previdenziale”.

E meno male che Renzi è uno che ha grosso modo la stessa età della maggior parte dei professionisti traditi da lui e dal suo governo. E meno male che dovrebbe parlare il loro stesso linguaggio. E meno male che, sulle partite Iva, si è accorto di averla fatta grossa. Da qui a rimediare ce ne passa, ma staremo a vedere.

È ovvio che quando si redige una legge di stabilità è impossibile accontentare tutti, come spesso accade nella vita. Peccato però che gli scontenti siano sempre gli stessi, con l’aggravante che questi scontenti sono quelli che si fanno il mazzo dalla mattina alla sera per vedersi massacrati di tasse e di burocrazia; quelli che non hanno tutele previdenziali né sindacali e per i quali malattia o perdita di lavoro sono sinonimo di fine dei giochi, game over; quelli che tirano la carretta, sono tritati dal fisco e, beffa delle beffe, additati come evasori e nemici della civile convivenza sociale. Che tutto questo sia sinonimo di partite Iva è chiaro; che nessun governo faccia nulla di concreto per cambiare le cose è grave. Matteo, #staisereno ma datti una mossa: le partite Iva hanno memoria lunga, fiato corto e palle piene.