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La mazzata sugli immobili produttivi

Il controsenso è tutto italiano e, come al solito, riguarda tasse e imprese. Parliamo di immobili produttivi che, come dice il nome, dovrebbero essere delle strutture utilizzate per produrre beni o servizi e, di conseguenza, reddito e ricchezza. In realtà sono diventati solo limoni da spremere.

Secondo uno studio dell’Osservatorio di Cna Nazionale sulla tassazione della piccola impresa, negli ultimi 36 mesi la tassazione locale sugli immobili produttivi è aumentata di 4 miliardi e 900 milioni: dai 4,7 del 2011 ai 9,6 del 2014. La mazzata si è chiusa col botto il 16 dicembre scorso, quando le imprese hanno dovuto pagare la famigerata Iuc.

Come ben sottolinea la Cna, questo fiume di denaro che origina dagli immobili produttivi è prima di tutto sottratto agli investimenti, vista l’improduttività degli enti nelle cui casse finisce. Inoltre, ciò che più scandalizza è il fatto che l’impennata sia stata particolarmente forte proprio negli anni di crisi più difficili per le imprese italiane.

L’indagine della Cna sugli immobili produttivi è stata condotta nei 110 comuni monitorati dall’Osservatorio Cna sulla tassazione della piccola impresa e sulle seguenti tipologie di immobili produttivi: laboratorio artigiano di 350 mq, classificato nella categoria catastale C3; negozio per la vendita di 175 mq, classificato nella categoria catastale C. Ossia le due tipologie prevalenti di immobili produttivi soggette alla tassazione locale. Senza contare il fatto che, spesso, ciò che fa lievitare la tassazione è il valore catastale degli immobili produttivi anche più elevato di quello di mercato.

Lo studio della Cna arriva poi alla conclusione che nel 2015 difficilmente le imprese e gli artigiani potranno far fronte a ulteriori aumenti della tassazione sugli immobili produttivi, anche a fronte della perdita della deducibilità totale della Tasi versata su capannoni, negozi e laboratori. Ecco perché la Cna chiede di invertire la tendenza riducendo la tassazione, rendendo magari interamente deducibile l’Imu dal reddito d’impresa (ora se ne può dedurre il 20%).

In questo senso vanno anche le imprese, che sperano nella deducibilità totale dell’Imu dal reddito d’impresa e dall’Irap, così da ridurre il carico della tassazione erariale e controbilanciare in questo modo quella comunale.

Del resto, se i beni strumentali all’attività produttiva come gli immobili produttivi stessi servono a produrre reddito d’impresa, l’Imu diventa un costo legato alla produzione del reddito e la non totale deducibilità della tassa comunale determina la tassazione di un reddito d’impresa che, di fatto, non viene mai realizzato. Una stortura e un contrasto con l’articolo 53 della Costituzione, che rende questa indeducibilità incostituzionale.

La Cna ha il merito di riportare all’attenzione di chi di dovere una stortura non tanto difficile da vedere. Ma si sa che, immobili produttivi o no, quando c’è da raccattare soldi la fiscalità, locale o centrale, della Costituzione non sa che farsene. A meno che, un giorno, trovi il modo di tassare anche quella…

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