La sicurezza sul lavoro è il tuo chiodo fisso? 81fad.com Point fa per te

La sicurezza sul lavoro è una cosa seria, anzi, serissima. Lo dimostrano le battaglie che ogni giorno si combattono per diminuire sempre di più le morti e gli infortuni sul lavoro, grazie all’opera di sensibilizzazione e prevenzione.

Una tematica, questa della sicurezza sul lavoro, che da qualche tempo affronta anche il mondo del franchising, con iniziative imprenditoriali legate propria alla prevenzione degli infortuni e alla sicurezza sul lavoro, sia in termini di procedure che di implementazioni fi sistemi di protezione.

Va in questo senso il franchising 81fad.com Point, che, come comunica l’azienda, “ha come obiettivo principale quello di creare figure professionali che, con un investimento minimo e adeguato alle reali opportunità del settore, dia la possibilità di entrare nel settore della ‘sicurezza sul lavoro’ in completa autonomia ed efficienza”.

Dettagli

Superficie media del punto vendita: non specificato

Bacino d’utenza: non specificato

Investimento iniziale: da 7900 a 14550 euro

Fatturato medio annuo: da 50mila a 75mila euro

Fee d’ingresso: nessuna

Royalties: nessuna

Durata del contratto: 3 anni

Per maggiori informazioni: 81fad.com Point

Rimborsi Iva, novità dalle Entrate

Novità nella disciplina dei rimborsi Iva. La recente Circolare 35/E/2015 che l’Agenzia delle Entrate ha emanato relativamente alle nuove regole dei rimborsi Iva specifica che, qualora vi sia una omissione o un errore nel visto di conformità, o qualora il contribuente intenda cambiare la modalità di utilizzo del credito Iva, si può presentare una dichiarazione integrativa entro il termine di trasmissione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo a quello in oggetto.

Relativamente ai rimborsi Iva ancora in corso, richiesti prima del 13 dicembre 2014 – data dell’entrata in vigore delle modifiche relative – e per i quali è scaduto il termine utile per la rettifica della dichiarazione, è possibile garantirne la conformità attraverso un’autonoma attestazione dell’interessato.

Oltre ai rimborsi Iva in corso, con questa procedura è possibile regolarizzare l’eventuale mancata apposizione del visto di conformità alla dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2013: i termini di rettifica di questa dichiarazione sono infatti scaduti il 30 settembre 2015.

Start-up innovative, scommessa di UniCredit

Il programma di accelerazione UniCredit Start Lab, promosso da UniCredit per favorire lo sviluppo delle start-up innovative italiane, ha erogato il suo quarto finanziamento in equity. Beneficiaria del finanziamento è WIB Machines, giovane start-up siciliana specializzata nello sviluppo di vending machine di nuova generazione.

La start-up WIB beneficerà di un finanziamento complessivo di 610mila euro per sviluppare ulteriormente il proprio business, finalizzato alla creazione di un nuovo canale di vendita automatico in grado di combinare i vantaggi dell’e-commerce con la comodità e sicurezza del negozio sotto casa.

WIB ha già realizzato delle installazioni pilota in partnership con Coop, fra cui una all’interno del Future Food District di Expo 2015 e l’interesse ricevuto dagli Stati Uniti, dove sono già state installate delle prime unità WIB, spingerà la start-up siciliana ad avviare una propria legal entity sull’area di New York entro l’anno.

Siamo felici di poter sostenere, con questo quarto investimento nell’equity, una delle quasi 100 start-up che hanno partecipato in questi primi 2 anni di attività al programma di accelerazione UniCredit Start Lab. Favorire l’innovazione e accompagnare giovani imprenditori che ne fanno un pilastro della propria attività vuole essere per noi un segno sempre più caratterizzante e distintivo”, è stato il commento di Gabriele Piccini, Country Chairman Italy di UniCredit.

La banca ricorda anche che, a partire dallo scorso 30 settembre, le start-up innovative si posso ufficialmente candidare per l’edizione 2016 di UniCredit Start Lab sul sito www.unicreditstartlab.eu, che annovera tra le principali novità la possibilità di accesso al programma per start-up operanti da meno di 5 anni (erano 3 anni sino alla scorsa edizione) e Pmi innovative.

La ristorazione italiana torna a sorridere

Il settore della ristorazione è uno di quelli che trainano l’economia italiana e, in questo 2015, sta facendo registrare segnali incoraggianti. Di fatto, gli italiani tornano al ristorante, dicono basta alla crisi e fanno tendere al bello il barometro della ristorazione fuoricasa.

Una tendenza certificata con numeri chiari e con un trend positivo dall’ultimo Rapporto Ristorazione a cura della Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, presentato nei giorni scorsi all’Unione del Commercio di Milano. Consumi in crescita dello 0,8% nel 2015 e prospettive in miglioramento sul fronte dell’occupazione: l’universo della ristorazione italiana, fatto di bar, ristoranti, gelaterie e pasticcerie torna a sorridere.

Una tendenza che, per il settore della ristorazione, si traduce nell’interruzione della dinamica di contrazione iniziata nel 2008. Per il 2015, infatti, la previsione del Centro Studi Fipe è di un incremento dello 0,8% che porterà la spesa nominale a 76 miliardi di euro. Nel complesso, nel 2014 la spesa delle famiglie italiane per la ristorazione si è attestata su 74.664 milioni di euro in valore e 69.473 milioni in volume, con un incremento reale sul 2013 dello 0,7%.

Del resto, ricorda la Fipe, otto italiani su dieci frequentano più o meno abitualmente bar e ristoranti a pranzo, a cena o semplicemente per una pausa. Anche tra le imprese della ristorazione si coglie maggiore fiducia verso il futuro: nel terzo trimestre di quest’anno il sentiment è tornato ai livelli del 2007. Tuttavia, il saldo tra imprese che hanno avviato l’attività e imprese che l’hanno cessata rimane negativo, a conferma del fatto che la ripresa non riguarda l’intero settore.

Il Rapporto del Centro Studi Fipe non trascura di entrare nel merito dei comportamenti di consumo degli italiani nei confronti del settore della ristorazione. Il 77% dei maggiorenni consuma più o meno abitualmente cibo al di fuori delle mura domestiche, sia che si tratti di colazioni, pranzi, cene o più semplicemente di spuntini e aperitivi. In termini numerici si tratta di 39 milioni di persone, così segmentati:

  • heavy consumer: 13 milioni che consumano almeno 4-5 pasti fuori casa in una settimana;
  • average consumer: 9 milioni che consumano almeno 2-3 pasti fuori casa in una settimana;
  • low consumer: 17 milioni che consumano almeno 2-3 pasti in un mese.

Gli heavy consumer sono in prevalenza uomini (51,3%) di età compresa tra i 35 e i 44 anni (24,8%) e residenti al Nord Ovest (29,8%), in centri abitati tra i 5mila e i 40mila abitanti (30,5%). Appartengono a un nucleo familiare composto da 3 persone (32,3%). Gli average sono in prevalenza uomini (51,9%), residenti al Centro Italia (28,9%) in centri abitati tra i 5mila e i 40mila abitanti (35,9%). In prevalenza appartengono a un nucleo familiare composto da 4 persone (26,1%). I low consumer sono in prevalenza donne (51,6%), di età superiore ai 64 anni, residenti nelle regioni del Nord Italia, in centri abitati tra i 5mila e i 40mila abitanti (34,9%). In prevalenza appartengono ad un nucleo familiare composto da due persone (35,2%).

“Già nel corso dell’anno – commenta Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe – erano stati evidenziati segnali incoraggiantiDai dati positivi sul pranzo di Pasqua e Pasquetta fino alle ultime elaborazioni sui risultati della stagione estiva, tutti i numeri portavano a previsioni ottimistiche: l’ennesima conferma del valore di un settore, quello del fuoricasa, scelto da 39 milioni di italiani e che punta sempre di più all’innovazione, alla competenza, alla qualità delle proposte”.

Domani vedremo quali sono le dinamiche dei consumi fuoricasa da parte degli italiani e quanto incidono sul mercato della ristorazione italiana.

Si fa presto a dire smart working …

Si fa un gran parlare di smart working, ma in realtà non sono in molti a sapere che cosa esattamente implica né sono numerose le aziende che lo applicano. Ciò che è certo è che le modalità lavorative basate sullo smart working si stanno diffondendo sempre di più, sia in Italia sia nel mondo.

Una tendenza confermata dai dati raccolti da Regus – fornitore mondiale di spazi di lavoro flessibili – attraverso il suo panel internazionale di imprese clienti (44mila interviste in 105 Paesi), che evidenzia come oltre la metà dei manager intervistati (54% media globale) intenda accrescere il lavoro agile in azienda. Un trend confermato in Italia con il 46% dei rispondenti, oltre che in tutti i principali Paesi europei e negli Stati Uniti.

Tra i principali fattori che guidano il cambiamento delle aziende verso lo smart working, il 56% dei rispondenti in Italia (contro il 44% della media globale) ritiene che questi modelli organizzativi basati su agilità e flessibilità siano determinanti per reagire tempestivamente ai repentini mutamenti degli scenari di mercato.

Anche un corretto bilanciamento tra lavoro e vita privata (il cosiddetto work-life balance) è ritenuto necessario dal 58% degli imprenditori e manager italiani intervistati (contro una media globale del 61%) e la soluzione può venire dall’utilizzo di modalità di lavoro agile grazie alla possibilità di lavorare più vicino a casa, un’esigenza segnalata dal 45% degli intervistati in Italia (la media globale è del 48%).

Ma non è tutto qui. Secondo l’indagine Regus, altre necessità che potrebbero essere soddisfatte con lo smart working sono:

  • La riduzione dei costi di viaggio casa/lavoro per il 35% degli intervistati (media globale 32%);
  • La riduzione dei costi legati all’abitare in città, secondo il 12% (16% media globale), con la possibilità di lavorare anche fuori ufficio, da casa o vicino a casa;
  • La maggiore capacità di attrarre i migliori talenti (28% Italia e 29% media globale);
  • La riduzione degli spazi uffici con l’ottimizzazione dei costi e una maggiore flessibilità logistica e organizzativa (24% Italia e 17% media globale).

Siamo un Paese di startup

Italia, Paese di santi, poeti, navigatori e startupper. Secondo i dati contenuti nel report strutturale sulle startup innovative redatto da Infocamere e relativo al terzo trimestre 2015, nel nostro Paese sono nate quasi 500 nuove startup negli ultimi due mesi.

Nel dettaglio, al 30 settembre 2015 erano 4.704 le startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese, +11,8% rispetto alla fine di giugno (456 aziende in più), con 18.677 soci.

Per quanto riguarda i settori merceologici nei quali sono attive le startup innovative italiane il 72,3% di loro opera nel campo dei servizi alle imprese, il 18,8% nell’industria, il 4,2% delle startup nel commercio.

Dai dati emerge anche come startup faccia rima con giovani. Sono infatti 1.122 le startup under 35, il 23,9% del totale. Le società in cui almeno un giovane è presente nella compagine societaria sono quasi 2mila (1.890), il 40,2% del totale.

Purtroppo, però, la dimensione femminile delle startup italiane è ancora troppo debole: sono solo 611, pari al 13% del totale. Le società in cui almeno una donna è presente nella compagine societaria sono invece poco più di 2mila (2.099), il 44,6% del totale.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica delle startup innovative italiane, la Lombardia è la regione che ne incuba il numero maggiore: 1.018, pari al 21,6% del totale. A seguire Emilia-Romagna con 541 (11,5%), Lazio 455 (9,7%), Veneto 360 (7,6%) e Piemonte 326 (6,9%), mentre il Trentino-Alto Adige è la regione con la più elevata incidenza di startup in rapporto alle società di capitali: 91 startup ogni 10mila società di capitali.

Se poi si considera che lo scorso anno il valore della produzione media, calcolato sulle 2.663 startup innovative che hanno reso noti i loro bilanci, è stato di 131mila euro, si capisce come in Italia vi sia terreno fertile per innovare, fare business e produrre ricchezza.