Dura la vita delle donne al lavoro

Dura la vita delle donne al lavoro

La vita delle donne lavoratrici non è mai facile, nemmeno nell’anno di grazia 2015. Lo testimonia un’analisi dell’Istat, secondo la quale in Italia poco meno di 10 milioni di donne “nel corso della loro vita, a causa di impegni familiari, per una gravidanza o perché i propri familiari così volevano, hanno rinunciato a lavorare“.

Nel report dell’indagine sulle donne lavoratrici, realizzato sui dati relativi al 2011, si legge anche che queste donne “hanno dovuto interrompere il lavoro, o non hanno potuto accettare un incarico o non hanno potuto investire come avrebbero voluto nel lavoro“.

Se invece lo sguardo si appunta sui dati del 2013 con il rapporto “Come cambia la vita delle donne”, ciò che emerge è che “molte donne procurano alla famiglia le entrate economiche maggiori, così come sono aumentate le monogenitore o le donne che vivono sole, tutti nuclei in cui la donna rappresenta obbligatoriamente il capofamiglia. Si tratta di circa 8 milioni 200mila donne, oltre 1 milione in più rispetto al 2005 (quando erano 7 milioni 31 mila)“.

Inoltre, il rapporto rileva la difficile convivenza tra donne e lavoro anche e soprattutto negli anni della crisi. “Nonostante la maggiore tenuta dell’occupazione femminile negli anni della crisi – si legge nel report -, la quota di donne occupate in Italia rimane, comunque, di gran lunga inferiore a quella dell’Ue 28: nel 2014 il tasso di occupazione femminile si attesta al 46,8% contro il 59,5% della media Ue28, e la distanza dell’indicatore con l’Europa è aumentata arrivando a 12,7 punti percentuali (10,0 punti nel 2004)”.

La crisi ha infatti impattato pesantemente, in Italia, sull’occupazione delle donne, che era cresciuta costantemente dal 1995 fino ad arrestarsi bruscamente nel 2008. E, se da un lato le donne hanno resistito meglio sul fronte dell’occupazione, dall’altro è peggiorata la qualità del loro lavoro: negli anni si è infatti assistito a un aumento del part time involontario svolto dalle donne, della loro sovraistruzione rispetto all’impiego svolto e delle posizioni lavorative non qualificate.