Gioco e scommesse, l’andamento del settore

Anche in periodi di crisi, le imprese del gioco fanno registrare numeri interessanti. Secondo un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese al primo trimestre 2016, 2015 e 2014, in Italia risalgono a 9.384 le imprese del gioco, +2,6% anno su anno.

In particolare, +22,1% le altre attività connesse alla lotterie e alle scommesse e +18,7% la gestione di apparecchi di gioco che consentono vincite in denaro.

Per numero complessivo di attività, è prima la provincia di Napoli con 1.163 imprese del gioco (+9,6%). Seguono Roma con 734 (+5,8%) e Milano con 412 (-5,9%). Tra le prime dieci province nelle quali l’aumento è stato più sensibile ci sono Palermo (+26,8%), Salerno (+23,6%) e Catania (+18,2%).

La Camera di commercio di Milano focalizza poi la sua analisi sul territorio di competenza e scopre che continuano a calare le imprese del gioco in Lombardia: nel 2016 quelle specializzate, tra sedi ed unità locali, sono diminuite del 4,2% passando da 1.170 a 1.121 (-25% dal 2014).

In Lombardia vanno bene le attività di gestione di apparecchi a moneta o a gettone che consentono vincite in denaro, +11,5% (+39,2% in due anni), passate da 433 a 483 (sono il 43% del settore). Bene anche le altre attività connesse con le lotterie e le scommesse, che passano da 399 a 451 (+13% in un anno, +19,6% in due).

La Lombardia rappresenta un ottavo circa del totale italiano delle imprese del gioco (11,9%), ma un sesto se si considera solo la categoria di gestione di apparecchi. Milano è prima con 412 attività (-5,9%), Brescia seconda, e decima a livello nazionale, con 146 (-4,6%) e Bergamo terza con 120 (-2,4%). In crescita le imprese del gioco a Mantova, passate da 53 a 61, e a Pavia, passate da 48 a 55.

Lavoratori stranieri e crisi

La crisi colpisce tutti i lavoratori allo stesso modo? Non proprio. Secondo uno studio effettuato dall’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, tra il 2009 e il 2014 il tasso di occupazione dei lavoratori stranieri in Italia è sceso del 6%, a fronte di un -2% di quello relativo ai lavoratori italiani.

Con forti differenze a livello territoriale. Al Nord, sottolineano i consulenti del lavoro, il calo dei lavoratori stranieri è stato di 3 punti superiore alla media, poiché si è registrato un decremento “dal 68% di persone in attività del 2008 al 59% del 2014”.

Al Sud invece, rilevano i consulenti, i lavoratori stranieri hanno “un tasso di occupazione di almeno 10 punti superiore a quello dei nostri connazionali”, ma il dato è viziato dal fatto che la maggior parte di loro è impiegata in agricoltura ed edilizia, settori con moltissimo “nero” e sfruttamento.

Sempre secondo l’analisi dei consulenti del lavoro, sono in calo le opportunità di impiego per i lavoratori stranieri in Italia, come dimostra il -4% nel tasso di occupazione fatto registrare in un solo anno, tra il 2012 e il 2013.

Infine, lo studio rileva che nel 72,4% dei casi i lavoratori stranieri svolgono servizi domestici non qualificati, l’11,2% è impiegato nei servizi alla persona come professionista qualificato, l’8,1% nelle attività di ristorazione e il 7,2% nei servizi di pulizia degli uffici.

Auto cara? La condivido e la noleggio

In un periodo nel quale la maggioranza degli italiani deve stare attenta al portafogli, vanno tenuti sotto controllo anche i costi dell’ auto, specialmente se la si sceglie come mezzo per andare in vacanza.

Lo conferma BlaBlacar, piattaforma online utilizzata dagli automobilisti che hanno posti liberi sulla propria auto contattare persone che devono percorrere la stessa tratta e dividere così le spese di viaggio.

La condivisione dell’ auto sta infatti vivendo un’estate record. Se nell’ultimo weekend di giugno sono stati offerti 40mila posti in auto, nei weekend di luglio si è arrivati a 75mila passaggi.

Ancora più significativa la proiezione su agosto, mese non ancora terminato, per il quale si stimano oltre 250mila passaggi in auto. Gli aumenti rispetto al 2015 sono del 74% per la direttrice Milano-Riviera Romagnola, +85% per quella Bologna Trentino Alto Adige +58% per la direttrice da Roma-Bari.

Chi invece non sceglie di condividere la propria auto, si concentra sul noleggio auto a breve termine, specialmente se raggiunge la propria destinazione in aereo o in treno.

Secondo Aniasa, Associazione nazionale industria autonoleggio e servizi automobilistici, chi sceglie il noleggio auto a breve termine spende in media il 30-35% per il trasporto aereo, il 40% per il soggiorno e il resto per il trasporto locale e il noleggio auto.

Aniasa prevede per il 2016 una crescita del noleggio auto a breve termine rispetto alle 145mila unità del 2015 puntando a superare i 150mila veicoli. Del resto, una delle compagnie top di noleggio auto, Hertz, ha registrato un +4% di prenotazioni per luglio e agosto, specialmente al Sud Italia.

Paradisi fiscali? Ecco come determinarli

Negli scorsi mesi la pubblicazione dei cosiddetti “Panama papers” aveva fatto tornare alla ribalta il tema dei paradisi fiscali, o dei Paesi a regime fiscale agevolato. Negli scorsi giorni, le Entrate hanno pubblicato una circolare per aiutare a individuare meglio i paradisi fiscali.

Una volta c’erano le black list nelle quali erano inseriti i paradisi fiscali, mentre a partire dall’1 gennaio 2016 a indicare se un Paese gode di un regime fiscale agevolato basta sapere che il suo livello nominale di tassazione non deve essere inferiore al 50% di quello applicabile in Italia.

In questo senso, la circolare sottolinea che ora tra i Paesi dello Spazio Economico Europeo trasparenti, oltre all’Islanda e alla Norvegia, potrà essere inserito anche il Liechtenstein.

Infatti, in tema di paradisi fiscali, la Legge di stabilità 2016 ha escluso dalla nozione di paesi con regimi fiscali privilegiati, gli Stati membri dell’Ue o dello Spazio Economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni e non fanno muro.

Dal momento che un Paese non fa parte dei paradisi fiscali se il suo livello nominale di tassazione è inferiore al 50% dell’aliquota nominale italiana, il socio residente in Italia deve verificare in modo costante questa aliquota nel Paese di localizzazione della società controllata.

Le Entrate precisano che per individuare la tassazione nominale dal lato Italia, è necessario considerare l’aliquota Ires, vigente nel periodo d’imposta in cui si riscontra il requisito del controllo senza considerare eventuali addizionali, e l’aliquota ordinaria Irap. Allo stato attuale, la tassazione nominale italiana da prendere in considerazione è il 27,5% per l’Ires e 3,9% per l’Irap.

Dal lato estero, invece, è necessario rilevare le imposte sui redditi applicate nell’ordinamento fiscale locale, da individuare facendo riferimento, se esistente, alla Convenzione per evitare l’applicazione di doppie imposizioni vigente con lo Stato di volta in volta interessato.

Lavoratori autonomi e mercato del lavoro

I lavoratori autonomi sono la fortuna dell’Italia. Da una parte perché il fisco spreme loro ogni goccia di sangue, contribuendo in maniera determinante a riempire le voraci fauci dello Stato. Dall’altra perché contribuiscono a tenere a galla l’occupazione in anni di crisi.

Lo conferma il Censis, che rileva come i lavoratori autonomi abbiano sofferto in modo pesante la crisi, facendo in modo però di creare occupazione anche nei momenti più bui grazie alla loro forte spinta all’autoimprenditorialità.

Secondo il Censis sono principalmente giovani e donne, ma anche over 50, le classi di età e sociali maggiormente coinvolte, specialmente negli anni della crisi, nella creazione di nuove figure di lavoratori autonomi.

I dati Censis, relativi alla fine del 2015, indicano che in Italia ci sarebbero 914mila lavoratori autonomi d’età compresa tra i 20 e i 34 anni il numero più alto tra i nostri principali partner europei. Basti pensare che in Germania ce ne sono poco più della metà, 528mila.

Nonostante questo, però, stando ai dati in possesso di Confesercenti, i lavoratori autonomi hanno pagato, in proporzione, il prezzo più salato tra il 2007 e il 2014 sul totale dei posti di lavoro persi.

Un trend confermato dall’ultimo Osservatorio lavoratori autonomi dell’Inps, dal quale emerge che il numero degli artigiani è calato costantemente negli anni della crisi. Dopo una crescita ininterrotta, durata fino al 2007, agli albori della crisi, il loro numero è sceso ogni anno di circa l’1% dal 2008 al 2012 e di circa il 2% tra il 2012 e il 2015.

Dato fortunatamente positivo, la diminuzione dei lavoratori autonomi inattivi, il cui dato è diminuito per la prima volta dal 2006 nel 2015, attestandosi al -0,4% sul 2014.

Meglio tardi che mai…

Via libera al bonus bebè per i nati nel 2014 in famiglie a basso reddito. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto con cui si dà attuazione (con due anni di ritardo…), alla disposizione della Legge di Stabilità 2014. Sono 275 euro una tantum per i bimbi nati o adottati nel 2014 in famiglie a basso reddito.

Fisco, da oggi si ricomincia a pagare

Le ferie sono finite per tutti, anche e soprattutto per il fisco e i contribuenti. È infatti terminata la “proroga di Ferragosto”, che il fisco ha posto in vigore dal 2012, in base alla quale gli adempimenti e i versamenti fiscali da effettuare utilizzando il modello F24 in scadenza dall’1 al 20 agosto possono essere eseguiti entro il 20 dello stesso mese, senza subire maggiorazioni.

Dal momento che in questo 2016 il 20 agosto era di sabato, la scadenza per il fisco è slittata a oggi, lunedì 22 agosto.

Entro la giornata di oggi devono essere infatti effettuati al fisco tutti gli adempimenti e i versamenti che, cadendo nel periodo di sospensione feriale, sono slittati fino al 22.

L’elenco dei versamenti dovuti al fisco è piuttosto lungo: versamenti unitari delle imposte, versamenti delle imposte derivanti da Unico 2016, ritenute, contributi dovuti all’Inps e altre somme a favore del fisco centrale, delle Regioni e degli enti previdenziali, versamento dell’Iva mensile e dell’Iva trimestrale, emissione e registrazione delle fatture differite.

È bene dunque che i contribuenti, chiudendo l’ombrellone, aprano il portafogli, perché il fisco è vorace e 20 giorni senza mangiare soldi sono per lui un periodo di digiuno fin troppo lungo. E, come si sa, il fisco non ama aspettare…

Entrate su, ma come vengono spesi i soldi dallo Stato?

C’è un’azienda che, in quanto a entrate, non conosce crisi. È lo Stato, che continua a macinare incassi, salvo poi spendere le proprie risorse in maniera scellerata.

Lo conferma il ministero dell’Economia, che ha reso noto come le entrate tributarie e contributive nel primo semestre del siano cresciute di quasi 5 miliardi (4.980 milioni, +1,6%) rispetto all’analogo periodo del 2015.

Si tratta di un combinato disposto tra crescita delle entrate tributarie (+2.624 milioni, +1,2%) e delle entrate contributive in termini di cassa (+2.356 milioni, +2,3%).

Nello specifico, nei primi sei mesi del 2016, le entrate tributarie erariali accertate in base al criterio della competenza giuridica sono state pari a 203.477 milioni, con un incremento di +8.374 milioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, +4,3%.

Le imposte dirette sono state pari a 111.708 milioni (+4.894 milioni, +4,6%) e quelle indirette a 91.769 milioni (+3.480 milioni, +3,9%). La variazione di gettito riscontrata sulle imposte dirette è da imputare all’andamento dell’Irpef, cresciuta di 4.229 milioni di euro (+5,1%) rispetto al 2015.

Tra le imposte indirette, le entrate Iva sono state pari a 53.707 milioni (+4.202 milioni, +8,5%). L’andamento dell’imposta sul valore aggiunto ha registrato una variazione positiva nella componente degli scambi interni di 4.919 milioni (+11,4%), di cui 5.175 milioni di crescita derivano dai versamenti da split payment.

Le entrate tributarie del bilancio dello Stato incassate nei primi sei mesi del 2016 sono state di 197.414 milioni, +10.284 milioni rispetto allo stesso periodo del 2015 (+5,5%). In aumento le imposte dirette, che ammontano a 109.914 milioni (+6.186 milioni, +6%). In crescita le imposte indirette, pari a 87.500 milioni (+4.098 milioni, +4,9%).

Tanti bei soldoni, quindi, nelle tasche dello Stato. E la qualità dei servizi che ritornano ai cittadini?

Imprese balneari, settore in crescita

Le acque italiane alimentano il settore estivo delle imprese balneari: nel 2016 in Italia si contano 7.466 attività che gestiscono gli stabilimenti sulle spiagge dei nostri mari, sulle rive dei laghi e sulle sponde dei fiumi o noleggiano pedalò e canoe, oltre al classico ombrellone-sdraio.

Secondo un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati registro imprese al I trimestre 2016 e 2015 relativi alle sedi di imprese balneari attive, tra le province più attrezzate in quanto a imprese balneari, Rimini guadagna il primo posto (435 imprese, 5,8% italiano), seguita da Napoli che conta 426 attività e dalla costa savonese con 418. Nascono nuove imprese balneari in Basilicata (+19,6%) e in Calabria (+11,3%), dove il settore cresce sensibilmente rispetto al 2015, contando 67 imprese lucane e 442 calabresi.

Emilia Romagna (13,7%), Toscana (12,7%) e Campania (11,3%) sono il trio che traina il settore con rispettivamente 1.022 imprese balneari, 951 e 841. Tra le prime dieci aree per numero di imprese, crescono soprattutto Cosenza (221 imprese attive, +16,3%), Salerno (291, +4,7%) e Roma (363 imprese, +1,7%), ma fa bene anche Messina (164), in crescita del 11,6%. La Lombardia cresce del 2% con Milano (54 sedi impresa) e i laghi che bagnano i territori di Brescia (41), Como (19) e Varese (10).

Oltre alle imprese balneari, un altro settore in grande spolvero per l’impresa italiana su cui ha puntato l’occhio la Camera di commercio di Milano è quello nautico. Le barche made in Italy fanno registrare un +21,2% di export nel primo bimestre 2016. Nel 2015 il business nautico è stato di oltre 1,7 miliardi e di quasi 146 milioni di euro tra gennaio e febbraio 2016.

I continenti che attivano il circolo dell’export delle imbarcazioni italiane sono America, che assorbe quasi la metà dell’export, Europa (33,8%) e Asia (12,6%). Malta (8,5%), Francia (8,1%) e Regno Unito (6,1%) sono i primi partner europei. Il 20% delle nostre barche si americanizza, esportato negli Stati Uniti, mentre il 10,9% solca i mari delle Isole Vergini o delle Cayman. Anche Hong Kong e Panama sono tra le prime 10 destinazioni.

Insomma, vanno bene le imprese balneari, ma raggiungerle con una barca italiana ha tutto un altro sapore.

Si scrive workaholism, si legge pericolo

In italiano si chiama dipendenza da lavoro ma, come spesso accade, per designarlo si usa un termine inglese, workaholism e workaholic chi ne è affetto. Si tratta di una vera malattia, le cui cause e i cui sintomi sono stati ben illustrati da una ricerca condotta da tre studiosi, Cristian Balducci, professore associato di Psicologia del lavoro dell’Alma Mater di Bologna, con il ricercatore Lorenzo Avanzi, e Franco Fraccaroli, professore ordinario di Psicologia del lavoro all’Università di Trento

Una ricerca importante, pubblicata sul Journal of Management, che mostra quali sono gli effetti negativi sul corpo e sulla mente causati dall’incapacità di staccare dal lavoro. Principalmente malessere affettivo, irritabilità, ansia, depressione, alta pressione sanguigna.

Una nota dell’Alma Mater spiega che il workaholism, nelle conclusioni cui sono giunti gli studiosi, “è una forma negativa di forte investimento nel lavoro in cui la persona non solo lavora eccessivamente, spesso ben oltre quanto richiesto dall’organizzazione, ma sviluppa una vera e propria ossessione per l’attività lavorativa, non riuscendo a staccare e provando un disagio significativo quando si allontana da essa”.

Lo studio è stato condotto in primis su un campione di 311 persone, costituito prevalentemente da liberi professionisti, dirigenti e imprenditori, al quale è stato mostrato come i soggetti più colpiti da workaholism siano più soggetti a rabbia, pessimismo o scoraggiamento.

Invece, da un altro gruppo costituito da 235 lavoratori dipendenti è emerso che una più forte tendenza al workaholism impatta negativamente sulla salute mentale anche a un anno di distanza, con il rischio che le conseguenze della dipendenza da lavoro assumano una rilevanza clinica.

Ma di chi è la colpa, se di colpa ce n’è, per questa situazione? In una certa misura i datori di lavoro hanno delle responsabilità nello sviluppo di tendenze al workaholism nei loro dipendenti. Come ricordano gli autori della ricerca, “richieste di lavoro cronicamente elevate spingono all’investimento aggiuntivo sul lavoro, rafforzando nella persona il legame mentale con esso e la difficoltà a staccare. Le organizzazioni lavorative dovrebbero essere attente a non alimentare questo fenomeno nei propri lavoratori, cercando di prevenirlo per evitare un degradamento significativo delle condizioni di benessere delle risorse umane e della loro vitalità”.