Aziende e trasformazione digitale, ecco i trend del 2017

Nel 2017, la digital transformation continuerà a rappresentare, per le aziende internazionali e gli enti governativi, un obiettivo fondamentale da raggiungere. Facendo però attenzione ad alcuni aspetti, come sottolinea il colosso dell’IT Verizon, secondo il quale i clienti guarderanno le proprie attività di business da una prospettiva che considera elementi chiave agilità, velocità dei servizi e capacità di offrire una soddisfacente esperienza d’uso all’utente finale.

Sono soprattutto le aziende a dover pianificare la loro spesa IT in maniera efficace, individuando il modo migliore per integrare le nuove tecnologie. Secondo Verizon, emergeranno solo le aziende capaci di affrontare al meglio le sfide che la strada verso la digital transformation pone.

Per aiutare le aziende in questo processo, Verizon Enterprise Solutions ha individuato i 7 trend che guideranno la digital transformation nel mondo IT enterprise durante quest’anno:

  • Il Software Defined Networking (SDN) sta prendendo piede. Le aziende riconoscono sempre di più di offrire ciò di cui la gente ha bisogno, rapidamente e nelle modalità richieste.
  • User experience come priorità per un approccio vincente: quello che conta di più per l’utente finale sono i vantaggi offerti dalla tecnologia, e non i singoli passaggi lungo tutta la catena tecnologica.
  • Essere “compliant”: la compliance non è più considerata una best practice ma un adempimento di legge.
  • La sicurezza resta una sfida fondamentale, ma l’attenzione non sarà più rivolta solo alla difesa del proprio perimetro o di una determinata applicazione, quanto alla protezione degli asset fondamentali, contro violazioni provenienti dall’esterno e anche dall’interno delle organizzazioni.
  • Ridurre il tempo necessario per passare dalla progettazione alla produzione. Non è importante chi fa cosa, ma individuare le barriere che rallentano l’azienda nel rispondere al meglio ai cambiamenti e guidare l’innovazione.
  • IoT, da “Internet of Things” diventa acronimo di “Internet of Transformation”: il focus dell’IoT non sarà più sulle “cose” quanto sul potenziale di questo approccio per il processo di trasformazione.
  • Un approccio tempestivo e realistico comporterà il successo o l’insuccesso delle aziende: la spesa IT sarà definita in base all’importanza di applicazioni, dati e funzione utente in termini di business, nonché dal relativo ordine di priorità.

Sapranno le aziende, specialmente quelle italiane, captare questi trend in modo da sopravvivere nel mercato globale?

Costruzioni: nel 2017 si riparte?

Dopo 10 anni di buio quasi totale per il settore, il 2017 delle costruzioni potrebbe essere un anno di svolta, almeno stando alle previsioni fatte dall’Ance nel suo Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni.

Secondo l’associazione nazionale dei costruttori edili, quest’anno potrebbe esserci un +8% di investimenti nel settore delle costruzioni, contro una previsione fatta a luglio 2016 che parlava invece di un -1,2%.

Un’inversione di tendenza dovuta in larga parte, secondo l’Ance, alla legge di bilancio 2017, che contiene misure relative al rilancio degli investimenti nelle infrastrutture, oltre al rafforzamento degli incentivi fiscali, specialmente quelli legati agli interventi di messa in sicurezza sismica e di efficientamento energetico.

Del resto, per le opere pubbliche è stato stanziato per i 2017 il 23,4% in più rispetto all’anno precedente. Inoltre, secondo l’Ance, la corretta attuazione delle misure previste nella legge di bilancio consentirebbe di ottenere 1,7 miliardi di investimenti in più nel settore delle costruzioni nel 2017, con un +1,9% per le opere pubbliche, +1,4% nel recupero abitativo e +0,3% nel comparto non residenziale.

L’Ance ritiene che nell’anno in corso possa continuare la crescita del mercato della casa, che ha portato nei primi nove mesi del 2016 un +20,4% delle compravendite rispetto all’anno precedente. La stima per il totale delle compravendite nel 2016 sarà di 520mila unità, secondo l’Ance, 20mila in più rispetto a quanto previsto nel 2015. Per il 2017 sono previste 550mila transazioni.

In generale, il 2016 non è stato gran che per gli investimenti in costruzioni: +0,3% contro l’1% previsto un anno fa, soprattutto a causa di misure contenute nella legge di stabilità 2016 che non hanno prodotto i risultati attesi. Del resto, nei primi nove mesi del 2016 quello delle costruzioni è risultato l’unico comparto con segno negativo (-4,9%) e con una perdita, dal 2008, di 600mila posti di lavoro.

Una difficile ripresa, quella del settore delle costruzioni, minata dall’ancora difficile accesso al credito. Nei primi 9 mesi del 2016 i flussi di finanziamento delle banche hanno fatto segnare un -4,3% nel comparto abitativo e un -14,1% nel comparto non residenziale.

Per fortuna, gli investimenti hanno continuato a crescere nel campo della riqualificazione del patrimonio abitativo, con un +1,7% nel 2016, soprattutto grazie anche ai bonus fiscali, che hanno spinto gli investimenti in riqualificazione degli immobili al 37% del totale degli investimenti nel settore delle costruzioni.

Manager e Industria 4.0

Si fa presto a dire Industria 4.0… Peccato però che non ci siano le figure tecniche e manageriali in grado di implementare e guidare, almeno in Italia, l’ Industria 4.0. Una carenza sottolineata da Aldai-Federmanager, secondo la quale nel nostro Paese mancano ancora dei veri manager 4.0.

Una contraddizione, vista l’attenzione che il precedente premier aveva verso il tema dell’ Industria 4.0. Secondo Aldai-Federmanager, infatti, è importante assicurare ai manager gli strumenti utili a mantenere le loro competenze di base, come la concretezza esecutiva, il pensiero prospettico e la capacità di risolvere i problemi.

Lo conferma Bruno Villani, vicepresidente Aldai-Federmanager: “Per gestire la rivoluzione del digitale, c’è bisogno di una vera grande cabina di regia che sappia mettere insieme tutti gli attori e al cui tavolo siano presenti anche i manager”.

Peccato però che questo auspicio si scontri con una realtà che è del tutto diversa: “Nella cabina di regia del Piano nazionale Industria 4.0 – ricorda infatti Villanii manager che sono i veri portatori e attuatori del cambiamento non ci sono. L’obiettivo è mettere in sinergia le persone e le risorse disponibili, fare sistema, mettendo a disposizione del Paese tutte le diverse competenze disponibili partendo anche da ‘un’analisi’ 4.0 che individui, anche a livello internazionale, le best practice da diffondere”.

Si tratta di mosse da fare al più presto, poiché il manifatturiero italiano, in Europa, è secondo solo a quello della Germania, il Paese che ha “inventato” l’industria 4.0. Ricorda infatti Villani che “nell’Unione europea l’Italia continua a mantenere la seconda posizione per peso nel manifatturiero, con in testa la Germania: i dirigenti d’industria sono disponibili e si propongono per interagire con le istituzioni e con tutti gli attori interessati in ottica propositiva per promuovere e attuare processi di modernizzazione e di sviluppo del Paese”.

Un treno da non perdere, se è vero come è vero che l’ultimo World Economic Forum ha evidenziato come il cambiamento portato dall’ Industria 4.0 porterà il 65% dei bambini che oggi frequentano le scuole elementari a fare lavori che attualmente non esistono. E i manager hanno un ruolo fondamentale nella guida di questo treno.

Un 2017 in ripresa per le transazioni immobiliari

La ripresa è un miraggio ancora per molti settori economici ma, a quanto pare, non per quello immobiliare. Lo conferma un’analisi di Tecnocasa, secondo la quale il mercato immobiliare nel 2016 ha vissuto un anno positivo soprattutto per l’aumento delle compravendite.

I dati, resi pubblici dall’Agenzia delle Entrate, evidenziano che nei primi nove mesi del 2016 c’è stato un incremento medio delle transazioni immobiliari del 20,4%. Un trend trainato soprattutto dalla diminuzione dei prezzi e dai mutui più accessibili: dal 2007, le abitazioni hanno ceduto il 39,7% del loro valore.

La domanda dinamica e l’offerta che inizia a diminuire, soprattutto sugli immobili di qualità, potrà determinare un’ulteriore contrazione delle tempistiche di vendita e un minor margine di trattativa soprattutto su queste tipologie immobiliari.

Se l’immobile è da ristrutturare o presenta degli elementi negativi si compravenderà solo dopo ulteriori ribassi di prezzo. Sia il segmento della prima casa sia quello ad uso investimento e casa vacanza saranno vivaci.

Le compravendite per il 2017 sono attese ancora in aumento (tra +6% e +8% a livello nazionale) e questo trend interesserà tutte le realtà territoriali. Sul versante prezzi ci si aspetta una chiusura dell’anno con un calo tra 2% e 0% e un leggero aumento (tra 0% e 2%) per il 2017 ma solo per le grandi città, mentre per i capoluoghi di provincia e per l’hinterland delle grandi città occorrerà aspettare il 2018.

Sul mercato del nuovo iniziano a ripartire progetti immobiliari finalizzati alla costruzione di immobili di qualità che garantiscano efficienza energetica e, alla luce degli ultimi eventi, che siano costruiti anche con criteri antisismici.

Sul versante delle locazioni ci si aspetta una sostanziale stabilità dei canoni, con leggeri ritocchi al rialzo in particolare nelle grandi città. Non si esclude che chi possiede i requisiti per accedere al mutuo possa abbandonare la locazione per scegliere l’acquisto, con conseguente riduzione della domanda.

L’andamento dell’economia e dell’occupazione, oltre al comportamento degli istituti di credito che rimarranno prudenti, contribuiranno a confermare o meno questo scenario di mercato. Scenario che vede nella consapevolezza “del reale valore dell’immobile” da parte degli acquirenti, dei venditori ma soprattutto da parte dei professionisti del settore real estate, un elemento importante per il corretto funzionamento del mercato.

Inglese in azienda, questo sconosciuto…

Se il linguaggio della tecnologia, e di riflesso la lingua italiana, si nutre sempre più di parole in inglese, lo stesso accade per i nuovi linguaggi aziendali con la cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale. A partire già dal suo nome: Industry 4.0.

Uno scenario nel quale, per poter essere efficienti e produttivi, tutti gli attori devono parlare la medesima lingua, appunto la lingua inglese. Ma questi attori sono pronti a farlo?

Per capirlo, è bene dare un’occhiata ai dati dell’EF EPI-c, l’unico indice, a livello mondiale, relativo alla competenza linguistica delle aziende. I dati sono stati presentati da EF Corporate Solutions, realtà internazionale nel settore della formazione linguistica aziendale, e hanno sancito il fatto che i dipendenti del settore manifatturiero, nel mondo, hanno una debole conoscenza della lingua inglese, che arriva a malapena al livello B1, con un punteggio medio di 51,41/100.

L’analisi intraziendale di questo settore mostra un’ampia differenza in termini di competenze linguistiche nelle varie posizioni lavorative. Nello specifico, Il punteggio medio per i lavoratori che ricoprono funzioni di logistica e stoccaggio è 38 (livello A2, una conoscenza scolastica dell’ inglese), mentre chi si occupa di ricerca scientifica totalizza il punteggio più alto del settore (56, livello intermedio B1).

In produzione, contabilità ed amministrazione la conoscenza della lingua inglese è elementare, mentre il personale dei reparti marketing e PR, HR, IT e la Direzione registrano livelli di competenza più elevati, in quanto più esposti al clima di internazionalizzazione propria del settore produttivo.

L’English Margin Report di EF, associato a questa ricerca, mostra come l’88% dei clienti sia disposto a pagare un extra a quelle aziende con una padronanza dell’ inglese migliore, mentre l’81% prenderebbe in considerazione la possibilità di scartare partner con una scarsa padronanza dell’ inglese.

Nel caso dell’Italia, il basso livello di competenza linguistica si riflette anche sulla percezione delle nostre imprese all’estero: per puntare all’internazionalità è infatti necessario investire prima nella formazione linguistica dei lavoratori.

Le nuove imprese del 2017

Siamo appena all’inizio del 2017, ma la voglia di creare imprese è già ben visibile in Italia. Lo conferma un’elaborazione della Camera di commercio di Milano sui dati del registro delle imprese, dalla quale emerge che sono 4.195 le imprese nate dal 1° al 5 gennaio in Italia. Ma chi sono questi nuovi imprenditori?

C’è l’imprenditrice milanese che fa design di moda e industriale, la società milanese che studia, progetta e monta parchi eolici, l’imprenditore cinese che confeziona biancheria da letto e da tavola o l‘ecuadoriano che ha aperto un ristorante-polleria.

C’è l’impresa di Roma che monta palchi, stand e strutture per manifestazioni, quella che fa scommesse sportive, l’affittacamere, il tagliaboschi.

C’è poi la fabbricazione di oggetti preziosi a Valenza e di meccaniche per fisarmoniche ad Ancona, la ventenne aretina che esegue ricami e l‘imprenditrice piemontese che si dedica all’allevamento d’api, quella di Belluno che produce gagliardetti e quella che a Bolzano alleva lama, il marmista per cimiteri o il senegalese che ha aperto a Brescia un’attività di tatuaggi, l’imprenditore che offre sedute di ginnastica individuale e il maestro di sci di Cuneo.

In sostanza, ogni giorno nel Paese ci sono state 839 iscrizioni al registro imprese, circa 50 a Roma a Milano.

Le nuove imprese guidate da una titolare donna sono circa il 35%, più di una su tre, a Milano 39, in Lombardia 140, in Italia 890. Gli stranieri sono il 19% in Italia, ma salgono al 26% in Lombardia e al 32% a Milano (rispettivamente 481, 108 e 35 imprenditori). I giovani sono uno su cinque (20 titolari a Milano, 83 in Lombardia e 562 in Italia).

In Italia prima è Roma con 249 imprese neoiscritte (5,9% sul totale italiano), seguita da Milano (240, 5,7%), Napoli (175, 4,2%), Torino (140, 3,3%). Poi ci sono Brescia, Cuneo e Bergamo con oltre 100 nuove imprese.

Tra i maggiori centri economici, a Bari sono nate 96 imprese, a Caserta 93, a Padova 87, a Bolzano 85, a Verona 74, a Firenze 72, ad Ancona 66, a Bologna 60, a Venezia 55, a Genova 29, a Palermo 16.

Economia e Italia nel 2017, le previsioni della Cgia

Che 2017 aspetta l’economia italiana? Ha provato a prevederlo l’Ufficio studi della Cgia, secondo il quale quello appena iniziato sarà un anno tra luci e ombre.

Senza contare eventuali manovre correttive, la pressione fiscale dovrebbe calare dello 0,3%, attestandosi al 42,3%, mentre il Pil dovrebbe aumentare di circa l’1%. Sul fronte dell’occupazione si attendono circa 112mila occupati in più e 84mila disoccupati in meno.

I livelli pre-crisi restano ancora lontani. La Cgia ricorda come, stando ai dati di contabilità nazionale pubblicati dall’Istat il 23 settembre scorso e relativi al Pil e alle previsioni di Prometeia sugli scenari delle economie locali relativi a ottobre 2016, dovremmo recuperare l’8,7% di Pil perso tra il 2007 e il 2013 solo nel 2024.

L’Ufficio studi della Cgia segnala che nel 2016 l’economia italiana è scesa ai livelli del 2000, ovvero di 16 anni fa. I consumi delle famiglie, invece, che a causa della crisi sono crollati del 7,6%, saranno recuperati entro il 2021. Peggio va al 28% circa di investimenti bruciati in questi anni, che saranno recuperati non prima del 2032.

Preoccupante anche la situazione relativa al mercato del lavoro. La Cgia ricorda infatti che, se tra il 2007 e il 2013 il tasso di disoccupazione è quasi raddoppiato, passando dal 6,1 al 12,1%, le previsioni delle dinamiche occupazionali dell’Istat e di Prometeia stimano che il livello dei senza lavoro, attualmente all’11,5% circa, dovrebbe ritornare al 6% solo nel 2032, mentre i livelli di occupazione pre-crisi saranno raggiunti entro un paio d’anni (2018-2019).

Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo, “sebbene le tasse siano destinate a scendere grazie, in particolar modo, alla riduzione dell’Ires che interesserà solo le società di capitali e l’occupazione è destinata ad aumentare in virtù della fiducia ritrovata tra i piccoli imprenditori, la ripresa economica del nostro Paese rimane ancora molto debole e ben al di sotto della media Ue. Se nel 2017, come riportano le ultime previsioni economiche elaborate dalla Commissione europea, il nostro Pil dovrebbe attestarsi attorno all’1%, in Ue, invece, è destinato a toccare l’1,6%. Tra tutti i 28 Paesi dell’Unione, solo la Finlandia registrerà quest’anno una crescita più contenuta della nostra”.

Occupazione, le micro imprese ci credono

Eppur qualcosa si muove, sul fronte dell’ occupazione. Almeno per quello che riguarda le piccole e micro imprese italiane. L’ultimo dato relativo al mese di novembre 2016 evidenzia che in queste realtà l’ occupazione è cresciuta dello 0,7% rispetto a ottobre, del 3,2% rispetto a novembre 2015 e dello 6,7% rispetto a dicembre 2014.

Questi dati sull’ occupazione sono corroborati dalle analisi dell’Osservatorio Cna che, osservando i numeri relativi a un campione di oltre 20mila aziende, rilevano come la crescita avvenuta da gennaio e novembre è il risultato della sensibile diminuzione delle cessazioni (-8,6%), che supera di molto il calo delle assunzioni, fermo al -4,5%.

In ogni caso, l’ occupazione nelle piccole e micro imprese è figlia soprattutto della crescita dei contratti a tempo determinato (+9,6%) e di apprendistato (+23,1%), dal momento che quelli a tempo indeterminato sono crollati di quasi il 40% (-39,7%).

Nonostante questo, secondo l’Istat il trend di crescita dell’ occupazione dovrebbe comunque proseguire. L’occupazione, misurata in unità standard di lavoro, dovrebbe crescere di circa il 2% tra il 2017 e il 2019 (+2,5% nel settore privato). Numeri confermati anche dal Centro Studi di Confindustria, che prevede una crescita dell’occupazione nel 2017-2019.

Italia schiava della pessima Pa

La palla al piede dell’Italia? Sicuramente la burocrazia, ma anche la Pubblica amministrazione non scherza: secondo la denuncia dell’Ufficio studi della Cgia, la sua inefficienza costa oltre 30 miliardi di euro all’anno di mancata crescita.

La nota della Cgia si basa su uno studio realizzato dal Fondo Monetario Internazionale dal quale emerge che se la nostra Pa avesse in tutta Italia la stessa qualità nella scuola, nei trasporti, nella sanità, nella giustizia, etc. che ha nei migliori territori del Paese, il Pil nazionale aumenterebbe di 2 punti, oltre 30 miliardi di euro all’anno.

Il forte divario esistente tra il Nord e Sud del Paese sulla qualità/quantità dei servizi erogati dalla nostra Pa, emerge anche dall’analisi dell’Ufficio studi della CGIA su dati relativi a un’indagine condotta dall’Ue sulla qualità della Pa a livello territoriale.

Rispetto ai 206 territori rilevati dallo studio, ben 7 regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178esimo posto, la Basilicata al 182esimo, la Sicilia al 185esimo, la Puglia al 188esimo, il Molise al 191esimo, la Calabria al 193esimo e la Campania al 202esimo posto. Solo Ege (Turchia), Yugozapaden (Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano un dato peggiore della Pa campana.

Tra le realtà meno virtuose troviamo anche il Lazio, che si piazza al 184esimo posto della graduatoria generale. Tra le migliori 30 regioni europee, invece, non c’è nessuna amministrazione pubblica del nostro Paese.

La prima, la Provincia autonoma di Trento, si colloca al 36esimo posto della classifica generale della Pa. La Provincia autonoma di Bolzano al 39esimo, la Valle d’Aosta al 72esimo e il Friuli Venezia Giulia al 98esimo. Appena al di sotto della media Ue troviamo al 129esimo posto il Veneto, al 132esimo l’Emilia Romagna e di seguito tutte le altre.

Questa classifica, segnala l’Ufficio studi della Cgia, è tarata su un indice di qualità che è il risultato di un mix di quesiti posti ai cittadini che riguardano la qualità dei servizi pubblici ricevuti, l’imparzialità con la quale vengono assegnati e la corruzione.

Il risultato finale è un indicatore di qualità della Pa che varia dal +2,781 ottenuto dalla regione finlandese Åland (primo posto in Ue) al -2,658 della turca Bati Anadolu (maglia nera al 206esimo posto). Il dato medio Ue è pari a zero.

Nella classifica generale la Pa italiana si colloca al 17esimo posto su 23 Paesi analizzati. Solo Grecia, Croazia, Turchia e alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico presentano un indice di qualità della Pa inferiore al nostro. A guidare la classifica, invece, sono le Pa dei Paesi del nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, etc.).

Dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo: “Dagli inizi degli Anni ’90 ad oggi sono state ben 18 le riforme che hanno interessato la nostra Pa. Sebbene le aspettative fossero molte, in tutti questi anni i risultati ottenuti sono stati deludenti. In molti settori la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese è diminuita e nonostante l’avvento del web ci permetta di scaricare molti documenti dal computer di casa, le code agli sportelli, ad esempio, sono aumentate. L’Istat denuncia che, rispetto al 2015, dopo 20 minuti di attesa presso gli uffici comunali dell’anagrafe, oggi la fila si è idealmente allungata di 11 persone e agli sportelli delle Asl addirittura di 18”.

Dalla Cgia, comunque, precisano che sebbene i dati medi non siano particolarmente brillanti, la nostra Pa presenta delle punte di eccellenza in molti settori che non hanno eguali nel resto d’Europa, come la sanità al Nord, le forze dell’ordine e molti centri di ricerca e istituti universitari”.