Lombardia prima nell’export nei primi tre mesi dell’anno

La Camera di Commercio di Milano, a seguito di una ricerca condotta da Promos per l’internazionalizzazione partendo dai dati Istat del primo trimestre 2017, ha fatto sapere che l’export in Lombardia vale 300 milioni, a seguito dei 60 miliardi di scambi nei primi tre mesi del 2017.

Ciò significa che l’export è cresciuto del 9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e, a questo proposito, Carlo Edoardo Valli, presidente Promos, ha dichiarato con soddisfazione: “Gli imprenditori lombardi considerano l’internazionalizzazione una leva sempre più importante per la crescita e lo sviluppo della propria azienda. Nonostante il mutevole contesto internazionale abbia ridisegnato alcune tratte del commercio estero e modificato dinamiche consolidate, permangono tratti distintivi dell’imprenditoria lombarda, come la qualità del prodotto, che permettono alle nostre aziende di continuare ad essere protagoniste sia in quei mercati considerati tradizionali sia in quelli emergenti nei quali stanno rafforzando il proprio posizionamento”.

Con questi risultati, la Lombardia rappresenta il 28,6% del totale italiano, che, tradotto, ammonta a 211 miliardi nei soli primi tre mesi dell’anno, con un aumento dell’11.7%. Dati positivi sono stati registrati sia da import che da export, rispettivamente in tre mesi 31 miliardi (+10%) e 29 miliardi (+8,6%), che pesano il 30,6% e 26,7% del totale italiano.

Milano è la città che si dimostra ancora una volta cole la più attiva, con un interscambio di 26 miliardi in tre mesi, ovvero il 43% del totale lombardo e addirittura in crescita del 5,8%. Dopo Milano arrivano Brescia (+9,6%) e Bergamo (+5,8%), entrambe con 6 miliardi in tre mesi.
Il capoluogo lombardo è primo anche alla voce export, con 10 miliardi in tre mesi (+9%). Seconde Brescia (+8,7%) e Bergamo (+5,8%), con quasi 4 miliardi in tre mesi. Superano i due miliardi in tre mesi Monza e Brianza (+15,5%) e Varese (+1%).

Vera MORETTI

Donne imprenditrici sempre più numerose e innovative

Le donne hanno risorse infinite, non solo nella gestione della vita quotidiana, ma anche quando si tratta di lavoro, e se qualcuno aveva ancora qualche dubbio, ecco una serie di dati e cifre che confermano le ottime performance delle imprese femminili.

In tempi di crisi, soprattutto, le aziende in rosa hanno dimostrato di reggere i ritmi, a volte anche meglio rispetto a quelle condotte da uomini, e non è ancora tutto.
Nel focus di Censis – Confcooperative “Donne al lavoro, la scelta di fare impresa”, fra il 2014 e il 2016 l’incremento è stato dell’1,5%, il triplo rispetto alla crescita del sistema imprenditoriale che non è andato oltre lo 0,5%. Proprio in questo periodo, inoltre, hanno registrato una notevole impennata i settori considerati tipicamente maschili, appartenenti all’area dell’energia e delle costruzioni, dove la crescita è stata del 2,6%, a fronte di una diminuzione del comparto del 2,1%.

Nei settori fondamentali del Made in Italy, che sono moda, turismo e agroalimentare, le imprese femminili stanno aumentando costantemente dal 2014, con un tasso superiore a quanto si registra sul totale delle imprese in questi comparti: si colloca abbondantemente sopra all’1% la parte di imprese femminili impegnate nel turismo (+5,1%, ma raggiunge l’11,5% nelle attività di accoglienza), nei servizi per la ristorazione (+4,4%) e nell’industria alimentare (+4,0%).

L’incremento delle imprese rosa è maggiore nelle regioni centrali (+2,0%) e al Sud (+1,8%), mentre il Nord Ovest e il Nord Est presentano crescita più contenuta(1% circa). Le regioni a più alto tasso di crescita sono il Lazio e la Calabria (entrambe con un +3,1%), mentre, all’opposto, Piemonte, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Liguria e Marche segnalano una dinamica negativa.

Ma le donne imprenditrici sanno essere anche innovative, se, dalle recenti iniziative proposte dal Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, su 2.184 nuove imprese finanziate nel 2016, il 43% (940) è costituito da imprese femminili.
Inoltre il 91% delle imprese finanziate e guidate da donne ha sede nel Mezzogiorno, avendo le diverse iniziative di finanziamento e agevolazione diretto la propria azione soprattutto nelle regioni meridionali.

In particolare, nel progetto Smart & Start, che finanzia le startup innovative, a giugno di quest’anno il numero delle imprese finanziate ha raggiunto la quota di 761, con 242 milioni di euro in investimenti attivati e 230 milioni di agevolazioni concesse.
Tra i settori innovativi, spicca quello delle web technologies, che copre il 45% delle imprese, mentre gli altri settori come bioscienze, smart cities ed energia si aggirano intorno al 10%.

Tra gli startupper, ancora oggi domina la presenza maschile, al 75,5%, con le donne al 24,5%, ma si tratta di un dato che sale al 31,4% nel segmento più giovane. Inoltre, tra gli under 36, si sale a 46,7%, superando gli uomini che si fermano a 36,4%.

Maurizio Gardini, presidente Confcooperative, ha commentato questi dati: “Le donne hanno avuto il talento di trasformare fattori di svantaggio, tra pregiudizi e retaggi culturali, in elementi di competitività, riuscendo ad anticipare i fattori di novità del mercato, tanto che la ripresa è trainata dalle imprese femminili. Nelle cooperative, fanno meglio. Perché 1 su 3 è a guida femminile, è donna il 58% degli occupati e la governance rosa si attesta al 26%. Le donne hanno trovato nelle cooperative le imprese che più si prestano a essere ascensore sociale ed economico perché sono le imprese che coniugano meglio di altre vita e lavoro. La conciliazione resta il prerequisito per accrescere la presenza delle donne nelle imprese e nel mondo del lavoro”.

Vera MORETTI

Nuova agevolazione prima casa per chi è colpito dal sisma

L’Agenzia delle Entrate ha fornito un chiarimento che si era reso necessario a seguito di una richiesta di un contribuente la cui casa era stata coinvolta dagli eventi sismici dell’agosto e dell’ottobre 2016.

Ciò che è emerso è che il proprietario di un immobile acquistato con le agevolazioni prima casa, dichiarato inagibile con provvedimento delle autorità competenti, può fruire nuovamente del beneficio per l’acquisto di una nuova abitazione.

In questo caso specifico, il contribuente aveva beneficiato delle agevolazioni prima casa ed aveva acquistato un immobile che dopo gli eventi sismici di agosto ed ottobre 2016 era stato dichiarato inagibile. A seguito di questa ordinanza, aveva fatto richiesta di poter acquistare un altro immobile ma sembre usufruendo del beneficio prima casa.

Il Fisco ha precisato che “l’agevolazione prima casa per un nuovo acquisto può essere riconosciuta al proprietario di un altro immobile acquistato già fruendo dello stesso beneficio, se quest’ultimo non risulta idoneo, sulla base di criteri oggettivi, a sopperire alle esigenze abitative del contribuente”.

Nel caso di un evento sismico, non prevedibile e quindi non evitabile, che ha comportato l’impossibilità per il contribuente di continuare ad utilizzare l’immobile, quindi, è possibile beneficiare nuovamente delle agevolazioni previste.

Fino a quando permarrà la dichiarazione di inagibilità dell’immobile il contribuente potrà beneficiare delle agevolazioni prima casa per l’acquisto di un nuovo immobile, anche se ha già fruito dello stesso beneficio per l’acquisto dell’abitazione dichiarata inagibile. Se successivamente al nuovo acquisto agevolato, viene revocata dagli organi competenti la dichiarazione di inagibilità, resta comunque acquisito il beneficio goduto dal contribuente per il nuovo immobile; al momento del nuovo acquisto, infatti, risultavano soddisfatte le condizioni previste dalla normativa in materia di prima casa per godere dell’agevolazione”.

Vera MORETTI

Bollette troppo care per le pmi italiane

Tra le difficoltà che devono affrontare le imprese, c’è anche quella che riguarda l’energia elettrica, che costa parecchio ad artigiani e pmi, tanto da costringerli a pagare bollette rincarate del 29% rispetto ai loro colleghi appartenenti all’Unione Europea.

Il problema, più volte denunciato, rischia di diventare ancora più serio e fastidioso, perché nel terzo trimestre 2017 la bolletta è prevista in aumento di ben 383 euro rispetto al trimestre precedente e porta a 11.478 euro il costo medio annuo dell’energia per una piccola impresa.

Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato, considera questa situazione “un pesante fardello che compromette la competitività delle nostre aziende e ostacola gli sforzi per agganciare la ripresa”.

A rendere le bollette così pesanti sono gli oneri fiscali e parafiscali, che gonfiano l’importo finale addirittura del 39,7%.
Nei settori delle piccole imprese il prelievo fiscale sull’energia ammonta a 7.679 euro per azienda ed è pari a 1.125 euro per addetto. Anche in questo caso, si supera di gran lunga la media europea di 422 euro per addetto di Francia, Germania e Spagna.

Ma in Italia ci sono le bollette più alte rispetto all’Eurozona anche per le famiglie, tanto che, nella totalità, si pagano 15 miliardi in più rispetto agli altri cittadini europei.
Le tasse, oltre che essere maggiori, sono anche mal distribuite tra i diversi consumatori: sulle piccole imprese in bassa tensione che determinano il 27% dei consumi energetici pesa il 45% degli oneri generali di sistema, mentre per le grandi aziende energivore con il 14% dei consumi la quota degli oneri generali di sistema scende all’8%.

Ha commentato Merletti: “In pratica ai piccoli imprenditori si applica l’assurdo meccanismo: meno consumi, più paghi. Uno squilibrio incomprensibile che costringe i piccoli imprenditori a caricarsi i costi degli altri utenti. Per alleggerire le bollette elettriche dei piccoli imprenditori bisogna mettere mano a queste assurde disparità di trattamento. Non possiamo più tollerare un sistema tanto iniquo. Il meccanismo degli oneri generali di sistema va completamente ripensato e deve essere ripartito in modo più equo il peso degli oneri tra le diverse dimensioni d’azienda”.

Vera MORETTI

INT chiede la proroga dello spesometro

Riccardo Alemanno, presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi, ha inviato a Piercarlo Padoan, Ministro dell’Economia e delle Finanze, Enrico Morando, Vice Ministro dell’Economia, e a Ernesto Maria Ruffini, Direttore dell’Agenzia delle Entrate, una nota, breve ma esaustiva, nella quale ha richiesto la proroga dell’invio dello spesometro.
Ma non è tutto: se questa concessione verrà fatta, la speranza è che possa avvenire tempestivamente e non a ridosso della scadenza, che precedentemente era stata fissata per il 18 settembre.

Così, infatti, si legge nella nota: “Facendo seguito alla richiesta di altra categoria professionale e condividendone le motivazioni, richiedo, anche a nome dei tributaristi rappresentati, la proroga, quantomeno al 30 settembre, dell’invio dei dati delle fatture attive e passive in scadenza il prossimo 18 settembre. Inoltre auspico che, in attesa della rimodulazione e dello sfoltimento degli adempimenti e delle scadenze fiscali da attuarsi anche attraverso il confronto con le rappresentanze degli intermediari fiscali, la proroga venga concessa e comunicata tempestivamente e non a ridosso della scadenza, ciò al fine di evitare inutili tensioni negli studi professionali ed anche in segno di riconoscimento del valore, per la Pubblica Amministrazione, del lavoro degli intermediari fiscali”.

La comunicazione tempestiva dell’eventuale mantenimento dello spesometro servirà, in primo luogo, ad evitare strascichi e polemiche, che spesso in questi casi si creano, ma anche tensioni assolutamente evitabili, ma che soprattutto non giovano proprio a nessuno “né alla Pubblica Amministrazione, né tanto meno agli intermediari fiscali ed ai contribuenti. Inoltre si devono concretizzare la rimodulazione e lo sfoltimento degli adempimenti e delle scadenze fiscali, anche attraverso il confronto con le rappresentanze degli intermediari fiscali, se si vuole veramente semplificare il rapporto fisco-contribuente”, come ha precisato il presidente INT.

Vera MORETTI

Sisma: gli architetti denunciano la mancanza di prevenzione

Dopo l’anniversario del terremoto che l’anno scorso, il 24 agosto 2016, ha colpito le regioni del Centro Italia e quello più recente ad Ischia, il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha dichiarato che, per evitare grandi catastrofi, la mossa più importante, oltre alla gestione dell’emergenza, è sicuramente quella della prevenzione, che possa, attraverso la conoscenza, contrastare e ridurre i rischi.

Purtroppo, ad oggi in Italia manca questa cultura e a pagarne le spese sono i cittadini, che si ritrovano, da un momento all’altro, senza un tetto sopra la testa e a rischio della propria vita, o, alla peggio, a compiangere i propri cari.

Se, da una parte, gli architetti hanno espresso parere favorevole nei confronti del recente Sisma bonus promosso dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti per gli interventi antisismici, dall’altra denunciano il Governo per la mancanza di provvedimenti che possano concretamente contrastare abusivismo e cattiva qualità del costruito.

Dalla nota diramata dal Consiglio Nazionale si legge: “Per gli architetti italiani il tema della prevenzione costituisce da sempre un impegno prioritario per poter assicurare una migliore qualità degli interventi e per svolgere più efficacemente tutti quei servizi in grado di ridurre tutti i fattori di rischio per le nostre comunità. Oltre 600 architetti italiani si sono mobilitati, nel terremoto che un anno fa ha colpito l’Italia centrale, nella fase di ricognizione dei danni diventando soggetti protagonisti degli interventi della Ricostruzione. Non va taciuto, tuttavia, che essi rappresentano l’anello debole di una catena di procedure e responsabilità che ne mortificano spesso l’impegno. Anche nel tragico momento che vede un altro terremoto, quello di Ischia, seminare lutti e distruzioni, il Consiglio Nazionale conferma il suo massimo impegno nell’assicurare il supporto istituzionale nel sostenere trasparenza, de-burocratizzazione, snellimento ed omogeneità delle procedure”.

Vera MORETTI

Made in Italy da record, protagoniste le pmi

Se il Made in Italy ha registrato, e sta registrando tuttora buoni risultati, è anche grazie alle pmi, che hanno dimostrato di saper dire la loro.
Ciò è diventato possibile poiché il Made in Italy, con i suoi prodotti di eccellenza, mantiene una leadership indiscussa in ben 30 settori, dove l’Italia è stata primo esportatore nell’Unione Europea nel 2016 con un valore di 79,3 miliardi di euro, pari al 19,0% delle esportazioni totali ed in crescita dello 0,3% in un anno.
Nei trenta comparti di eccellenza il Belpaese ha una quota del 25,6% dell’export dell’intera Unione europea. In questi settori le pmi con meno di 50 addetti contano 431.275 addetti, il 61,0% dell’occupazione dei settori esaminati, come è stato reso noto da Confartigianato.

Considerando i sette principali comparti di eccellenza del Made in Italy, sono ben sei quelli appartenenti al settore Moda: il primo è quello delle Calzature con 9.173 milioni di euro, con una quota sul totale UE del 24,0%, seguito da Confezione di altro abbigliamento esterno con 8.273 milioni e una quota del 18,7%, Articoli da viaggio, borse e simili, pelletteria e selleria con 6.276 milioni e una quota del 30,5%, Gioielleria e oreficeria con 5.928 milioni e una quota del 25,1%. L’unico settore non appartenente al comparto è Tubi, condotti, profilati cavi e relativi accessori in acciaio non colato con 5.236 milioni e una quota del 25,0%, dopodiché ecco altri due settori della Moda: Tessitura con 4.314 milioni e una quota del 30,3% e Confezione di altri articoli di abbigliamento ed accessori con 4.113 milioni e una quota del 25,2%.

Una rilevante crescita dell’export riguarda quindici settori, con nove di questi che hanno aumentato le proprie performance con cifre superiori rispetto agli altri Paesi Ue: Fabbricazione di generatori di vapore con il 15,2%, in controtendenza rispetto al calo del 6,6% dell’Ue a 28, Fusione di acciaio con l’11,8%, in controtendenza rispetto al calo del 2,1% dell’Ue a 28, Fabbricazione di macchine per la metallurgia con l’8,3%, in controtendenza rispetto al calo del 9,3% dell’Ue a 28, Fabbricazione di piastrelle in ceramica con il 6,9%, meglio del +5,5% dell’Ue a 28, Fabbricazione di altri articoli di maglieria con il 6,2%, meglio del +5,0% dell’Ue a 28, Produzione di condimenti e spezie con il 4,8%, meglio del +1,0% dell’Ue a 28, Produzione di altre bevande fermentate non distillate con il 4,6%, in controtendenza rispetto al calo del 5,8% dell’Ue a 28, Fabbricazione di macchine per l’industria alimentare, di bevande e di tabacco con l’1,6%, meglio del +0,4% dell’Ue a 28 e Tessitura con lo 0,2%, in controtendenza rispetto al calo dell’1,1% dell’Ue a 28.

Vera MORETTI

Sisma 2016: le imprese ancora non si sono riprese

Esattamente un anno fa il Centro Italia, nelle regioni di Marche, Lazio, Abruzzo e Umbria, è stato colpito da un grave sisma che ha causato vittime e danni ancora molto tangibili.
I piccoli Comuni interessati dal terremoto sono 140, e, a distanza di un anno, i piccoli imprenditori che operano nella zona non sono riusciti a tornare alla normalità, con tutti i disagi che ciò comporta.

Facendo un po’ di numeri, Confartigianato segnala che nel terremoto sono state coinvolte 15.841 imprese artigiane con 38.991 addetti, che rappresentano il 25% del totale delle aziende operanti nei territori del Cratere. Il 37,6% delle imprese artigiane nei territori interessati dagli eventi sismici opera nel settore delle costruzioni, il 24,8% nei servizi alle persone, il 24,4% nel manifatturiero e l’11,3% nei servizi alle imprese.

A pagarne le spese più care sono sicuramente le imprese che si trovano nelle zone di Marche e Umbria, regioni che negli ultimi quattro trimestri presentano la peggiore tendenza dell’occupazione, con cali rispettivamente dello 0,7% e dell’1,5%, a fronte di un +1,4% della media nazionale.

Nonostante il supporto ricevuto dal Governo, le criticità permangono, rendendo difficile, se non in alcuni casi impossibile, la ricostruzione e la conseguente ripresa delle attività economiche, e spesso il colpevole principale è la burocrazia, che, al contrario, dovrebbe supportare chi cerca con sacrificio di rialzare la testa: troppe norme e troppo complesse, eccessiva frammentazione delle competenze tra gli Enti e le istituzioni coinvolti nella ricostruzione, eccesso di rigidità nella gestione degli appalti.

Per questo motivo, Confartigianato Marche ha sollecitato alla Regione il coinvolgimento di imprese locali specializzate per affiancare il Genio Civile nell’opera di rimozione e smaltimento delle macerie. Da parte sua, Confartigianato Macerata ha già costituito una rete di 300 imprese di edilizia e impianti pronte a lavorare per la ricostruzione.

Vera MORETTI

Etichetta d’origine obbligatoria per riso e grano

Soddisfazione da parte di Andrea Renna, direttore di Coldiretti di Grosseto, in riferimento alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dei due decreti interministeriali per l’introduzione dell’obbligo di indicazione sull’etichetta dell’origine del riso e del grano per la pasta.

Questo provvedimento, infatti, tutelerà ulteriormente il Made in Italy, troppo spesso messo a rischio da contraffazioni e raggiri, e che arriva ad accontentare i consumatori, sempre più consapevoli ed esigenti quando si tratta di alimentazione e di provenienza delle materie prime.

Considerando che, a partire dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è prevista una fase di 180 giorni che permetta alle aziende di adeguarsi al nuovo sistema, e di smaltire le etichette e le confezioni già prodotte, si stima che dal 16 febbraio per il riso e dal 17 febbraio per la pasta sarà possibile avere le confezioni nuove e non più fuorvianti.

Renna, a questo proposito, ha commentato: “Un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero senza indicazione in etichetta, come pure un pacco di riso su quattro. L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionale e con esse il lavoro e l’economia del vero Made in Italy nel sottolineare che in un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti”.

Dopo questa ulteriore battaglia vinta, Coldiretti non si ferma e mira alla regolarizzazione di altri prodotti, partendo da quelli simbolo del nostro Made in Italy, come i succhi di frutta e il concentrato di pomodoro, le cui importazioni dalla Cina sono aumentate del 43% nel 2016 ed hanno raggiunto circa 100 milioni di chili, pari a circa il 20% della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente.

L’Italia, dunque, deve assolutamente avere una marcia in più, per tutelare i propri prodotti e confermare la sua posizione di leader europeo per quanto riguarda la trasparenza e la qualità, nonostante l’Unione Europea abbia finora adottato politiche quantomeno contraddittorie, se si pensa che esiste l’obbligo di indicare l’etichetta per la carne fresca ma non per quella trasformata in salumi, per il miele ma non per il riso, per il pesce ma non per il grano, per farne solo alcuni esempi.
Ma noi dobbiamo fare la differenza.

Vera MORETTI

Da settembre attiva l’APE Volontaria

E’ stato confermato dal Governo il decreto sull’APE volontaria per fine agosto, con retroattività dall’1 maggio scorso e una clausola di allungamento nel caso in cui nel 2019 venissero modificati i requisiti anagrafici per il pensionamento a causa dei probabili scatti di adeguamento alla speranza di vita; previste anche clausole di conciliazione e mediazione per semplificare l’accesso alla certificazione INPS relativa alla domanda.

Chi ha già maturato un congruo assegno pensionistico ma non ha i requisiti per ritirarsi dal lavoro, e magari ha già fatto domanda per essere ammessi all’APE Sociale, potrà comunque chiedere anche l’APE Volontaria, così da ottenere un prestito pensionistico parziale, che vada a colmare il gap di assegno eccedente il tetto massimo di 1500 euro garantiti dall’indennità ponte a carico dello Stato.
Ad esempio, nel caso di un lavoratore che ha maturato, nel momento della richiesta di APE, un assegno previdenziale di 20mila euro, non potrà superare i 1500 euro al mese di APE Sociale ma per la parte eccedente (300 euro) potrà chiedere l’APE Volontaria, che poi restituirà con rate ventennali.

L’APE Volontaria si rivolge a più persone, rispetto a quella Sociale, ma il meccanismo è diverso. Non si tratta di un’indennità pagata dallo Stato ma di un prestito bancario garantito dalla pensione maturanda, poi restituito in rate ventennali quando si arriva a percepire la pensione vera e propria. Il trattamento è dunque finanziato dal sistema privato (banche) e coperto da una polizza assicurativa, tuttavia è erogato dall’INPS, che accoglie anche le domande dei contribuenti.

Il lavoratore stesso sceglie quale percentuale di anticipo chiedere, percentuali che potranno arrivare al 90% della pensione netta chiedendo un anticipo fino a un anno, all’85% se l’indennità viene percepita per un periodo da uno a due anni, all’80% dai due ai tre anni, il 75% per periodo oltre i tre anni.

Per quanto concerne il prestito, si ipotizza un Taeg del 3,2% comprensivo della copertura assicurativa per il rischio premorienza, assistita dalla garanzia dello Stato. Il tasso sarà fisso ma modificabile periodicamente in base all’andamento dei tassi ufficiali.

Altra differenza fondamentale con l’APE Sociale è che quella di mercato non richiede di smettere di lavorare: è quindi possibile percepire il trattamento senza dare subito le dimissioni. Nel momento in cui si presenta la domanda, però, si presenta contestualmente anche quella per andare in pensione a fine prestito, istanza che diventa così irrevocabile.

Vera MORETTI