Aprire una srl: le caratteristiche, gli adempimenti e costi

Aprire una srl vuol dire dal vita ad una società dotata di personalità giuridica. Ecco tutte le caratteristiche, gli adempimenti e i costi da sostenere.

Aprire una srl: alcune caratteristiche

Le srl fanno parte delle società di capitali. Le srl sono dotate di personalità giuridica, ossia soggetti capaci di assumere in propri i diritti e le obbligazioni che nascono dall’esercizio dell’attività economica per le quale sono costituite. Le società a responsabilità limitata godono di autonomia patrimoniale perfetta.

Ciò vuol dire che il loro patrimonio è del tutto autonomo da quello dei soci. Nelle società a responsabilità limitata per le obbligazioni risponde soltanto la società con il suo patrimonio. Inoltre, le quote di partecipazione non possono essere rappresentate da azioni. Non potendo emettere azioni, queste società sono spesso costituite su base familiare o tra persone legate da rapporti di reciproca conoscenza. Sono destinate a iniziative di piccolo e medie dimensioni. Le quote sociali possono essere di diverso ammontare. Gli organi delle srl sono:

  • l’assemblea dei soci;
  • gli amministratori;
  • il collegio sindacale.

A norma dell’art 2475 del Codice Civile, la srl può essere costituita anche attraverso un atto unilaterale, cioè con unico socio, senza che ciò comporti per lui l’assunzione di una responsabilità illimitata.

Aprire una srl: quali sono i costi da sostenere?

Per aprire una srl ci sono dei costi da sostenere. I costi sono più che altro relativi alle imposte da versare e alla tenuta dei libri sociali. Tra questi circa 200 euro per l’imposta di registro per la registrazione dei documenti costitutivi. Va aggiunta anche l’imposta di bollo, circa 156 euro che si applica sui documenti registrati. Ed ancora il Diritto annuale della Camera di commercio, pari a 120 euro di tributi da versare.

Altri 90 euro, per i diritti di segreteria, per iscrivere l’attività nel registro delle imprese. Da non sottovalutare l’onorario del notaio. E’ infatti lui che redige l’atto costitutivo della società. Quest’ultimo è proprio un atto pubblico che deve essere redatto secondo le normative della legge. Infine, l’atto costitutivo è un documento che regola tutte le caratteristiche e le attività che regolano il funzionamento dell’impresa. Per questo motivo la sua importanza è estrema. Pertanto, va sempre stilato da un notaio, anche perché poi va reso pubblico.

Aprire una srl: quali sono i documenti che servono al notaio?

Per redigere un atto costitutivo di una società occorrono alcuni documenti. Tra questi: i documenti di identità di tutti i soci, la sede legale, l’oggetto sociale e la durata. Inoltre, servono il capitale sociale, l’apporto dei soci, la distinta di versamento del 25% delle quote in denaro, la redazione giurata di stima sul valore degli eventuali beni conferiti in natura. Non può mancare la definizione degli organi societari ed i poteri di amministrazione e rappresentanza. Dal punto di vista degli adempimenti, sarà il commercialista a provvedere alla Registrazione presso la camera di Commercio, l’apertura della partita IVA, la vidimazione dei libri contabili e l’iscrizione all’INPS.

Tutti gli altri adempimenti da fare

Oltre agli adempimenti previsti per la costituzione della società ve ne sono di altri. Tra questi l’apertura della PEC, cioè l’indirizzo di posta certificata da comunicare alla Camera di commercio. Mediamente il costo di questa operazione oscilla dalle 5 alle 15 euro a seconda del fornitore scelto. A dire il vero ce ne sono tanti, basta valutare. Tuttavia, un altro passo indispensabile è l’ apertura della partita IVA. Anche in questo caso è meglio affidarsi a professionisti del settore, per non rischiare di commettere errori.

Ed ancora la tassa di concessione governativa da pagare per la vidimazione dei libri contabili. Il costo è pari a 309,87 euro. A questo vanno aggiunte anche le marche da bollo da 16 a 64 euro. Infine, va presentata la SCIA, cioè la segnalazione certificata di inizio attività. L’importo varia in base al tipo di attività, alle certificazioni da allegare e al comune di riferimento. In genere, il costo è compreso tra €50 ed €1.000.

Quali sono i costi annuali dell’attività?

I costi annuali relativi alla gestione di un’attività riguardano il pagamento delle tasse. Ad esempio, oltre al rinnovo della tassa governativa, va pagata la tassa sul deposito del bilancio societario. Il costo dovrebbe aggirarsi intorno a 100 euro. Sotto il profilo della tassazione, la società è tenuta al pagamento dell’IRES (Imposta sul reddito della società con aliquota unica del 24%) e dell’IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive con aliquota variabile, in genere intorno al 5%).

Deve essere poi versata la quota annuale di contributi all’INPS come società iscritta che ammonta ad un minimo di €3.800 Ovviamente, non vanno dimenticati i costi di gestione delle retribuzioni dei dipendenti,  i costi di acquisto e gestione dai macchinari agli articoli di cancelleria. Quindi, anche in questo caso è da considerare il costo del commercialista che segue l’intera attività.

Quanto tempo ci vuole per aprire una srl?

I tempi per aprire una srl sono abbastanza brevi, anche perché molti adempimenti si possono fare online. Dal momento in cui si mettono le firme davanti al notaio, bastano pochi giorni per essere operativi. Tra vidimazione dei libri, ottenimento della partita IVA, ed iscrizione alla camera di commercio ci vogliono circa 15-20 giorni. Per tale motivo, è sempre consigliabile prendere appuntamento  con i vari enti con cui si interaggisce, per evitare di fare file estenuanti e relative perdite di tempo. Comunque sia, prima di fare impresa valutare bene e tutti i costi, e poi dotarsi di pazienza e tanta, ma proprio tanta voglia di creare qualcosa che possa fare lavoro anche a molte persone.

Fondi pensione chiusi o negoziali: cosa sono, come funzionano e chi può aderire

Per la previdenza complementare in Italia ci sono i fondi pensione chiusi o negoziali ai quali, in base ad accordi collettivi, possono aderire i lavoratori dipendenti del settore privato ed anche di quello pubblico.

In forza all’accordo collettivo, per esempio tra le associazioni imprenditoriali e quelle sindacali, specifiche categorie di lavoratori hanno la possibilità di aderire alla previdenza complementare con il conferimento di somme che sono provenienti dal trattamento di fine rapporto e volendo anche dai contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro.

Fondi pensione chiusi accessibili solo sulla base di accordi collettivi

Ogni categoria lavorativa, in base agli accordi stipulati, può aderire alla previdenza complementare tramite conferimenti in uno specifico fondo. Per esempio, per i lavoratori dell’industria chimica e farmaceutica, e dei settori affini, l’adesione alla previdenza complementare è possibile grazie al fondo pensione Fonchim, mentre un lavoratore del settore metalmeccanico ha il suo fondo per la previdenza complementare che è il fondo pensione Cometa.

Come viene calcolata la pensione da fondo negoziale e la convenienza fiscale

L’importo della pensione ottenibile, tramite i conferimenti in un fondo chiuso, sarà calcolato non solo in base all’ammontare dei contributi versati, ma anche in ragione dei rendimenti di gestione. In Italia, per legge, la previdenza complementare tramite l’accesso ai fondi negoziali è incentivata a livello fiscale. In quanto, con un tetto massimo di 5.164,57 euro annui, e comunque escludendo il trattamento di fine rapporto, le contribuzioni da busta paga godono della deducibilità fiscale piena dal reddito.

Le caratteristiche di un fondo pensione chiuso, dai gestori agli organi di controllo

Ogni fondo negoziale, come Cometa e Fonchim come sopra accennato, si presenta come un soggetto giuridico autonomo e indipendente rispetto agli altri fondi chiusi. Un fondo pensione negoziale ha infatti un responsabile, ha un’assemblea e, soprattutto, ha un organo di amministrazione e di controllo dove figurano i rappresentanti delle parti che hanno definito l’accordo collettivo.

Il fondo chiuso ha inoltre una banca depositaria, dove sono presenti le risorse confluite nel fondo negoziale, mentre la gestione, nel rispetto della politica d’investimento del fondo pensione chiuso, è affidato a soggetti privati e specializzati che sono detti gestori e che possono essere rappresentati da banche, da società di gestione del risparmio e da compagnie di assicurazione.

L’esempio di Cometa, il fondo pensione metalmeccanici

Per esempio, il Fondo Cometa per la previdenza complementare dei lavoratori del settore metalmeccanico è con adesione libera e volontaria. Il che significa che i lavoratori del comparto possono aderire come possono, invece, continuare a mantenere il proprio trattamento di fine rapporto in azienda. Il lavoratore che aderisce a Cometa avrà la propria posizione previdenziale personale e individuale dove andranno a confluire tutti i contributi versati a suo nome.

Chi vigila sui fondi pensione chiusi o negoziali?

In Italia un fondo pensione chiuso o negoziale deve essere iscritto ad apposito Albo, quello relativo proprio ai fondi pensione. L’attività di ogni fondo pensione chiuso è disciplinata da un apposito statuto, mentre a vigilare sull’operato è la COVIP, ovverosia la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione.

Quali prestazioni offrono i fondi pensione chiusi o negoziali

In base allo statuto, al momento della maturazione dei requisiti di pensione obbligatoria, il lavoratore potrà scegliere tra una rendita o tra la prestazione in capitale. Così come può essere previsto pure l’accesso alla RITA, sigla che sta per Rendita Integrativa Temporanea Anticipata. Prima del pensionamento, invece, chi aderisce ai fondi pensione, e comunque sempre nel rispetto dello statuto, può chiedere delle anticipazioni oppure il riscatto parziale o totale della propria posizione previdenziale individuale maturata.

Isee ordinario: la guida che contiene tutto ciò che c’è da sapere

L’Isee ordinario è un indicatore economico della situazione economica di una famiglia italiana. E’ un valore importante, anche perché su di esso, si basano anche tanti bonus per i contribuenti. Di seguito tutte le informazioni su cosa sia, come si calcola e come utilizzarlo.

Isee ordinario: cos’è?

Il modello ISEE non è altro che una fotografia della situazione economica, di un soggetto, in un determinato periodo. Il periodo di riferimento è l’anno solare. Per poterlo calcolare però, è necessario munirsi di alcuni documenti. Il primo è la sommatoria di tutti  i redditi percepiti nell’anno di riferimento. Vengono anche presi in considerazione, tutti gli elementi che hanno in qualche modo un impatto sul reddito familiare. E’ il caso degli immobili di proprietà, dei conti correnti ed mezzi di proprietà. Per il calcolo dell’ISEE 2021, saranno presi in considerazione i due anni precedenti e cioè 2019 e 2020.

Da chi viene richiesto?

La Dichiarazione ISEE viene presentata da chiunque vuole ottenere delle agevolazioni per un servizio o una prestazione economica. AD esempio, per richiedere il reddito di cittadinanza, assegni di maternità, tasse universitarie o similari. Quindi, chi non vuole questo tipo di agevolazioni, non è obbligato a richiedere l’ISEE. 

Isee ordinario: i documenti reddituali richiesti

Per il calcolo dell’ISEE 2021 occorrono diversi documenti. I primi sono di carattere personale: la copia della carta d identità e la tessera sanitaria del dichiarante e dei suoi familiari. Se ci sono contratti di locazione, va allegata anche la copia dell’ultimo versamento del canone di affitto pagato. Ed ancora, la presentazione di tutti i documenti reddituali degli ultimi due anni. In questa categoria entrano: il Modello 730 e CUD (nel caso di dipendenti), mentre il modello UNICO (nel caso di lavoratori  autonomi). Necessaria, per gli imprenditori agricoli, è anche la dichiarazione IRAP. Inoltre, qualsiasi certificazione che attesti il ricevimento di ulteriori  compensi, redditi prodotti all’estero, borse e/o assegni di studio, assegni di mantenimento del coniuge e dei figli.

Isee ordinario: i documenti immobiliari richiesti

Oltre ai documenti già indicati sono da indicare quelli in merito al patrimonio immobiliare, posseduto fino al 31 dicembre 2019. Rientrano in questa categoria anche le visure catastali, gli atti notarili di vendita, successione, donazioni, incluso il valore IVE degli immobili detenuti all’estero. Non dimenticare la certificazione delle quote di mutuo stipulati per l’acquisto o la ristrutturazione di immobili di proprietà.

Isee ordinario: i possedimenti bancari e mezzi di trasporto

Altra documentazioni necessaria è quella dei vari possedimenti bancari e postali. Infatti, occorre richiedere la giacenza media di tutti i conti, libretti, depositi, sia bancari che di Poste Italiane. Inoltre per i  lavoratori autonomi e le società occorre indicare il patrimonio netto che risulta dall’ultimo bilancio presentato ovvero la somma delle rimanenze finali e dei beni ammortizzabili al netto degli ammortamenti. Anche i mezzi di trasporto posseduti concorrono alla determinazione del valore ISEE. Per questo motivo, sono inserite anche le targhe o gli estremi di registrazione al PRA/ o al Rid di veicoli di cilindrata superiore a 500cc. Se si dovessero possedere navi, barche di riporto o moto occorre eseguire la stessa procedura.

Come si calcola l’Isee?

L’Isee prende in esame due fattori: l’indicatore della Situazione economica e la scala di equivalenza. Il primo indicatore è la somma dei redditi sulla base dell’indicatore della situazione patrimoniale immobiliare e mobiliare. Mentre per il secondo indicatore è uno strumento che permette di comparare i redditi del contribuenti con quelli delle famiglie con una struttura diversa tenendo conto anche di una scala di maggiorazioni. Di solito queste maggiorazioni sono così raggruppabili:

  • 0,35 per ogni ulteriore componente;
  • 0,2 se nel nucleo familiare ci sono tre figli;
  • 0,5 in caso di disabilità di un soggetto componente della famiglia;
  • 0,2 con nuclei familiari con figli minori;
  • 0,2 nel caso in cui all’interno della famiglia c’è un solo genitore disoccupato e figli minori.

A disposizione dei contribuenti vi è anche un simulatore del calcolo del valore ISEE. Non ha valore giuridico, ma sicuramente permette di fare una valutazione della situazione.

Modello Isee a cosa serve?

Una volta ottenuto il Modello Isee è possibile utilizzarlo per presentare la Dichiarazione Sostitutiva Unica. Quest’ultima può essere richiesta al Comune, all’INPS presso una sede, agli enti che erogano la prestazione sociale agevolata. Ma ancora si può presentare sul portale dell’INPS o semplicemente presso i Caf.  Di conseguenza, presso gli stessi enti possono ricevere la dichiarazione unica sostitutiva. Infine, è giusto ricordare che l’ISEE ha la sua validità entro il 31 dicembre dell’anno in cui viene richiesto. Pertanto, chiunque vuole aderire a tutti i bonus in cui sono previsti limiti reddituali non deve perdere tempo e provvedere a richiedere l’Isee. Del resto le agevolazioni ed i bonus sono sempre graditi!

 

Liberi professionisti senza partita IVA: chi sono e cosa fanno

Il libero professionista è un lavoratore autonomo che svolge un’attività economica a favore di uno o più clienti committenti che consiste nella prestazione di servizi forniti attraverso lavoro intellettuale. La professione viene esercitata da soggetti che hanno compiuto dei percorsi di istruzione superiore, spesso sono laureati, necessari per acquisire una buona competenza. Solitamente, i liberi professionisti sono iscritti ad albi professionali. Tuttavia, esistono alcuni casi in cui, per esercitare la professione non è obbligatorio iscriversi a un albo, allora è generalmente possibile iscriversi alla relativa associazione di categoria. 

In un precedente articolo, ci siamo soffermati sui liberi professionisti con partita Iva, ma poiché è possibile esercitare una professione anche senza aprire una partita Iva, vediamo quali sono i presupposti per farlo, qui di seguito. 

Liberi professionisti senza partita IVA: cosa fanno

Come anticipato poc’anzi, i liberi professionisti possono svolgere il loro lavoro, anche senza procedere all’apertura di partita Iva. Ciò accade, quando la prestazione di servizi avviene in modo occasionale, quindi saltuario. In questo caso, non potendo emettere fattura, si deve ricorrere all’emissione di una ricevuta per prestazione occasionale con ritenuta d’acconto pari al 20%, a cui aggiungere una marca da bollo da 2 euro, nel caso il compenso lordo dovesse superare i 77,47 euro.

E’ bene precisare che, l’Agenzia delle Entrate pone il divieto di utilizzo della prestazione occasionale per coloro che sono iscritti agli albi o ruoli professionali, dove occorre aprire una partita Iva. 

La prestazione di lavoro occasionale

Negli ultimi anni, molti piccoli professionisti non iscritti ad albi, registri o elenchi professionali, sono ricorsi alle prestazioni occasionali, probabilmente per timore di aprire una partita Iva. Ma ci sono altre condizioni da rispettare, affinché si possa esercitare la libera professione in tal senso. Prima di tutto, la collaborazione con uno stesso committente non deve superare i trenta giorni nell’arco di un anno. In secondo luogo, il reddito conseguito in virtù della prestazione di servizi fornita a uno stesso cliente, non deve essere superiore ai 5.000 euro. Nel caso in cui, il totale dei compensi ottenuti nell’esercizio della libera professione supera i 5.000 euro nel corso dell’anno solare, sussiste l’obbligo di iscriversi alla Gestione Separata dell’INPS per versare i contributi relativi ai ricavi eccedenti. 

Si può esercitare la libera professione senza ricorrere alla partita Iva, anche nel caso di cessione dei diritti d’autore. E’ il caso di coloro che realizzano un’opera cedendone i diritti, come la redazione di testi, manufatti d’arte ma replicabili, articoli di giornale e similari. In questo caso, la ritenuta d’acconto è del 20%, ma cambia la base imponibile che, è del 60% per i minori di 35 anni e del 75% per i maggiori di 35 anni. Coloro che lavorano con la cessione di diritti editoriali, non devono iscriversi alla Gestione Separata dell’INPS né versare contributi, a prescindere dal tempo e dal reddito. 

Non tutti i liberi professionisti sono in possesso di partita Iva, infatti, alcuni di loro esercitano la propria professione in modo autonomo e occasionale in linea di massima, soggetta solo a ritenuta d’acconto.

La ricevuta per prestazione occasionale

Abbiamo detto che, in assenza di partita Iva, il libero professionista che svolge un lavoro autonomo di natura intellettuale, fermo restando il possesso di tutti i requisiti suddetti, è obbligato a emettere una ricevuta che lasci traccia delle prestazioni di servizi offerte a uno o più clienti. Nella ricevuta si devono inserire i dati del prestatore, i dati del committente, la descrizione della prestazione occasionale svolta senza partita Iva, il compenso lordo, l’eventuale ritenuta d’acconto, l’importo netto e, data, luogo e firma.

Il lavoratore autonomo occasionale è pagato per raggiungere il risultato chiesto dal cliente, ma non è vincolato da esso nella modalità di lavoro che, quindi, non è sottoposta a coordinamento o subordinazione, ma solo frutto di una libera scelta da parte del libero professionista. 

Srl semplificata: i costi, gli adempimenti e come funziona

Srl semplificata acronimo di società a responsabilità limitata semplificata rientra tra le società di capitali. E’ una particolare forma di Srl, che si differenzia da essa per alcuni elementi. Di seguito come funziona, i costi e gli adempimenti da seguire.

Srl semplificata: cos’è e come funziona?

La Srls è stata introdotta, nel nostro ordinamento, dall’art 3 del D.L. n.1/12 e successivamente convertito in Legge n.27/12. Lo scopo di questo tipo di società è quello di venite incontro alle esigenze degli imprenditori più giovani. Infatti, prevede una serie di agevolazioni, che possiamo così riassumere. I soci all’interno della Srls dovevano avere tutti un’età compresa tra i 18 e i 35 anni.

Ma fortunatamente questo limite è stato superato. Inoltra l’ammontare del capitale sociale può oscillare da 1 solo euro a 10 mila euro. Il capitale sottoscritto deve essere versato al momento della costituzione della società. La società a responsabilità limitata semplificata a tutti gli effetti è un soggetto giuridico, ma rispetto a quella ordinaria ha minori costi e un capitale minimo non imposto. Ma quali sono i costi da affrontare quando si apre una Srls?

Srl semplificata: i costi relativi alla costituzione

I costi iniziali da sostenere sono circa 200 euro, per il Diritto Annuale, 200 euro per l’imposta di registro, 309,87 euro per la tassa di concessione governativa per la vidimazione dei libri sociali. Inoltre, una manca da bollo da 16 euro (ogni 100 pagine dell’atto costitutivo) e circa 25 euro a libri per i diritti di vidimazione. Quando si costituisce una società a responsabilità limitata occorre andare dal Notaio. Quindi occorre valutare i costi in termini di parcella del professionista.

Questo perché deve essere redatto in forma di atto pubblico tipizzato. In questo caso, si applicano le regole degli atti tipici delle normali Srl. Per la redazione dell’atto costitutivo si consiglia di ben chiarire le dichiarazioni dei soci resa nell’atto costitutivo in merito agli adempimenti da seguire. Inoltre, l’indicazione della durata dell’esercizio sociale. Mentre nelle Srls questi costi notarili non sono dovuti.

Srl semplificata: cosa contiene un atto costitutivo?

A questo punto, si può aggiungere che possono esserci anche delle società a responsabilità limitata semplificata e unipersonale. Viene da se che in questo caso la stipula sarà fatta con un atto unilaterale. L’atto costitutivo deve indicare:

  • cognome, nome, cittadinanza e domicilio di ogni socio;
  • comune e sede della società;
  • se ci sono sedi secondarie, queste vanno indicate;
  • denominazione sociale seguita dall’acronomo srls;
  • ammontare del capitale sociale;
  • l’oggetto sociale;
  • le quote di ogni socio;
  • le morative di funzionamento della società;
  • le persone a cui è affidata l’amministrazione
  • l’eventuale incaricato della revisione legale
  • luogo e data di sottoscrizione

L’atto costitutivo deve essere depositato entro 20 giorni presso l’Ufficio del Registro delle imprese della provincia in cui ha sede la società. Il deposito deve avvenire per via telematica, attraverso la Comunicazione unica.

Altri adempimenti da seguire

La società deve anche offrontare le spese relative all’apertura della partita IVA. Occorre ricordare che deve essere fatta anche l’iscrizione presso la Camera di commercio. In questa fase è anche prestare particolare attenzione al codice ATECO della propria  attività. La Srls è sottoposta inoltre agli stessi obblighi contabili di quella tradizionale. I libri contabili però possono essere tenuti sia su supporto cartaceo, oppure con modalità informatica. Si tratta di forme di registrazione su supporti di immagine.

Per quanto riguarda le tasse da pagare, si ricorda IRES (imposta sul reddito delle società) e l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive). Fondamentale è anche considerare la posizione contributiva in materia di INPS. I soci che svolgono la loro attività per la società devono avere tutti iscrizione regolare presso l’Istituto. Si consideri circa 3.700 euro annuali, divisi in 4 rate. I contributi minimi sono calcolati su un imponibile base di circa 15.000 euro applicando l’aliquota del 22,5%. Nel caso in cui a fine esercizio l’imponibile fiscale a carico del singolo socio superi tale importo, si dovrà pagare un’integrazione.

Vantaggi e svantaggi

Se da una parte avere un capitale basso può sembrare un vantaggio, non è detto che lo sia. Infatti, valore troppo  basso potrebbe non essere capace di coprire tutte le spese iniziali. Anche i creditori potrebbero essere poco invogliati a prendere commesse per una società il cui capitale è troppo basso.

Questo inevitabilmente si tradurre in poca fiducia e credibilità della società che sta per nascere. Diciamo, che potrebbe cominciare a lavora sotto una cattiva luce. Sono previsti anche costi di gestione amministrativa-fiscale e contabile da parte di professionisti che devono appunto essere pagati. Rimane sicuramente evidente che il maggiore tra i vantaggi è quello che i soci rischiano solo il capitale aziendale e non il loro, quindi una tutela non indifferente.

Fondi pensione: cosa sono, come funzionano e chi può aderire

I fondi pensione sono una possibilità sempre più valida per chi vuole crearsi una contribuzione integrativa, ma cosa sono e chi vi può aderire e soprattutto come funzionano? Andiamo a scoprirlo, in un tempo in cui la tanto ambita e desiderata pensione sembra essere diventata un piccolo enigma per tanti italiani.

Fondi pensione: di cosa si tratta

Con i fondi pensione parliamo di una tipologia di investimento che permette di garantire un reddito alla fine della propria attività lavorativa. Ma, da oggi il lavoratore può decidere se destinare anche solo una parte (e non tutto il cucuzzaro) del suo Tfr ad un fondo pensione grazie alle novità previste dal Ddl Concorrenza. Dunque, un vero e proprio investimento nel fondo pensione porta ad un implemento della previdenza complementare. E sempre più italiani, specie in questo periodo di magra che prosegue da mesi indimenticabili (causa Covid-19) stanno pensando di aderire ad una previdenza complementare, chiedendosi come funzionano i fondi pensione. E quindi, diamo risposta a tale amletico quesito.

Cos’è, dunque, un fondo pensione?

Il fondo pensione non è altro che una forma di previdenza complementare privata, istituita da banche, imprese di assicurazione, società di intermediazione mobiliare e società di gestione del risparmio. Essi sono destinati al pagamento delle prestazioni agli iscritti, costituiti sotto forma di patrimonio autonomo dalla società istitutrice.

E come funziona un fondo pensione?

Il fondo pensione prevede un individuale fondo pensionistico su cui fare confluire i propri versamenti di contribuzione. Le somme contributive versate dal “futuro pensionato” sono custodite presso un depositario autorizzato (quindi una banca o un’impresa di investimento) e poi investite nei mercati finanziari, allo scopo di ottenere rendimenti che nel corso del tempo possano fare accrescere il capitale messo da parte e quindi  permettere di conseguire prestazioni pensionistiche integrative rispetto alla previdenza obbligatoria. Ovviamente, maggiore sarà il periodo di versamento, maggiori saranno gli importi versati e le quote di investimento finanziario e superiore sarà la quota di cui beneficiare.

Ma chi può aderire ad un fondo pensione?

Coloro che possono aderire al desiderato fondo pensione sono i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, ma anche lavoratori autonomi, professionisti e lavoratori o soci di cooperative, ai quali non debbano essere previsti fondi aziendali e nemmeno di categoria o settore. Anche chi già possiede una pensione, ma vuole disporre di un secondo “salvadanaio” può aderire ad un fondo pensione. In pratica, non ci sono vincoli di alcun tipo e non vi è richiesto di rispondere a delle specifiche caratteristiche o di attenersi a dei parametri minimi di reddito. Insomma, un fondo pensione è per tutti, un po’ come un diamante che però è per sempre. A patto che abbiate un lavoro da cui poter attingere abbastanza contributi da versare, s’intende.

Tipologie di fondo pensione

Detto ciò, occorre sapere che vi sono diverse tipologie di fondo pensione, differenti per il tipo di gestione e destinazione dei fondi, ma come scegliere quello migliore è curiosità di tutti. Valutare, dunque due parametri da tenere bene d’occhio:

  • costi: nel tempo possono erodere il risparmio previdenziale ed è per questo che è importante scegliere un fondo pensione poco oneroso
  • rendimenti: avere un’idea della storia statistica per prevederne il rendimento futuro

Dunque, con questo breve quadro in molti, vi sarete fatta una esaustiva idea su come dare atto ad un fondo pensione. Ora non vi resta che scegliere quello giusto e attendere di passare tra qualche anno a miglior vita, inteso come una vita migliore in cui godervi il meritato riposo e i sudati risparmi, grazie al vostro fondo pensione.

Pensione artigiani e commercianti: aliquote, importi e requisiti

In un mondo che prigioniero è di una depressione economica e sociale, molti sono i dubbi sul futuro, in particolar modo anche sul futuro pensionistico dei lavoratori artigiani e commercianti. Il nostro canto libero, dunque volge a queste categorie, mostrando una piccola e rapida guida su aliquote, importi e requisiti per il loro pensionamento. Scopriamone di più, assieme.

Pensione artigiani e commercianti, un quadro di base

Per commercianti ed artigiani il fondo pensione deriva dalle gestioni speciali INPS per i lavoratori autonomi, a cui naturalmente vanno iscritte le due categorie suddette. L’imprenditore artigiano è identificato dalla legge come colui che svolge un’attività di produzione di beni o di prestazione di servizi, escluse le attività agricole e commerciali, di intermediazione nella circolazione di beni o ausiliarie di queste ultime, ad esclusione di casi in cui essi siano solo strumentali ed accessorie all’esercizio dell’impresa. L’identificazione del commerciante è invece rivolta a coloro i quali siano titolari di un’impresa che opera nel settore del commercio, terziario e turismo. Ricordiamo che nel caso dei commercianti i requisiti pensionistici sono fissati al possesso di 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, invece per le donne il requisito è di aver maturato 41 anni e 10 mesi di contributi.

Come calcolare le aliquote?

L’imponibile di base su cui calcolare i contributi è dato dalla totalità dei redditi di impresa (anche quelli prodotti da attività diverse da quelle che hanno dato titolo all’iscrizione alla gestione) dichiarati previa Irpef, prodotti nell’anno medesimo a cui fa riferimento la contribuzione, rispettando quindi il minimale contributivo ed il massimale contributivo (previsti dalla legge n. 233/1990). Come base imponibile, al fine del pagamento della contribuzione alle varie scadenze, occorrerà fare riferimento al reddito d’impresa che si dovrà dichiarare al Fisco in merito all’anno 2021 (nel rispetto del minimale sul reddito). Dunque, i versamenti effettuati suddetto anno, costituiranno un acconto, il cui saldo (sulla base del reddito definitivo 2021) dovrà poi essere effettuato nella successiva primavera dell’anno 2022, entro i termini di pagamento delle imposte sui redditi riferiti alle persone fisiche.

Il minale di reddito in questo anno è 15,953 euro, per cui il minimo contributo sarà di 3.836,16 euro per i titolari artigiani e per i collaboratori di età superiore ai 21 anni, mentre per i commercianti si tratterà di un minimo contributo di 3.850,52 euro sempre ove titolari di attività commerciale di età superiore ai 21 anni.

Commercianti e artigiani: massimale imponibile e contribuzione

Qualora ci trovassimo in presenza di un reddito d’impresa superiore al limite di retribuzione annua pensionabile, la quota di reddito eccedente tale limite, per il 2021 pari a 47.379 euro, verrà presa in considerazione al fine del versamento dei contributi previdenziali, fino a concorrenza di un importo paritario ai due terzi dello stesso limite. Per quanto riguarda la contribuzione per artigiani e commercianti dovremo far fede a due specifiche:

  • al calcolo sulla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF
  • al rapporto ai redditi d’impresa prodotti nello stesso anno a cui fa riferimento il contributo

Si ricorda, inoltre che i contributi dovranno necessariamente essere versati mediante i modelli di pagamento unificato F24, entro e non oltre le scadenze sottolineate nella Circolare 17, ovvero le seguenti:

  • 17 maggio 2021, 20 agosto 2021, 16 novembre 2021 e 16 febbraio 2022, per quanto riguarda il versamento delle quattro rate dei contributi dovuti sul minimale di reddito;
  • entro i termini previsti per il pagamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche, per quanto riguarda i contributi dovuti sulla quota di reddito eccedente il minimale, a titolo di saldo 2020, primo acconto 2021 e secondo acconto 2021.

 

Previdenza complementare: come e perché aderire alla pensione integrativa

Ormai, in un paese che caracolla e che annaspa su più piani lavorativi, la pensione è diventata l’unico appiglio sicuro per chi vi è già approdato e quasi una chimera per chi, invece, ancora la vede da lontano. E c’è in tutto ciò chi si interroga su quali garanzie economiche possa dargli una previdenza complementare, quando sarà il sacro fatidico momento pensionistico. Dunque, andiamo a scoprire cosa attende a chi vorrà aderire alla pensione integrativa.

Come aderire e se conviene aderire alla previdenza complementare

Molti si chiedono se sarà adeguata ad un buon tenore di vita la propria pensione, dopo il calcolo contributivo. Ecco che quindi scatta il dubbio se aderire o meno ad una pensione integrativa. Bisogna sapere (e ricordare per coloro che già sanno) che le pensioni vengono pagate attraverso i contributi dei lavoratori attivi, i quali avranno di conseguenza, la pensione pagata dal versamento dei contributi dei nuovi lavoratori che entreranno nel mondo del lavoro.

Negli ultimi vent’anni (o poco più) il sistema pensionistico è andato gradualmente ad inaridirsi. Il progressivo allungamento delle aspettative di vita, il calo delle nascite, l’allungamento del periodo di pagamento dei trattamenti pensionistici, il rallentamento della crescita economica e le immancabili crisi finanziarie sono tra le ragioni alla base della necessità di passare dal metodo di calcolo retributivo, attraverso il quale la prestazione pensionistica viene calcolata, in base alla media delle ultime annualità moltiplicata per un coefficiente di “proporzionamento” variabile tra il 2% e lo 0,9% annuo, al meno remunerativo metodo di calcolo contributivo.

Un sistema che premia carriere lunghe e durature, con una logica per cui più si versano e più a lungo lo si fa, i contributi, andranno ad impolpare una pensione più consistente.

I nuovi fondi pensione e la pensione integrativa

Il legislatore ha ben pensato, in questa situazione che ha portato ad una riduzione delle prestazioni della pensione pubblica, di accompagnare provvedimenti più rigidi con delle disposizioni per incentivare la soluzione di pensione integrativa. Ponendosi, dunque, l’obiettivo in teoria di incentivare i lavoratori ad optare per l’adesione alla previdenza complementare e quindi tenere, quando si sarà raggiunta la fase di quiescenza, un buon tenore di vita, simile a quello che tenevano in periodo di attività lavorativa, attraverso una rendita pensionistica integrativa. 

Come si costruisce la pensione integrativa

La tanto ambita e aspirata pensione integrativa la si costruisce, dunque, attuando una sorta di “pensione di scorta”, catalogabile in tre categorie di fondi di pensione:

  • Fondi aperti a cui possono aderire tutti i lavoratori, sia essi dipendenti, sia essi autonomi o liberi professionisti (in modo individuale o in modo collettivo) e anche coloro che non hanno un lavoro, come percettori di redditi diversi o persone a carico; 
  • Fondi negoziali o Fondi contrattuali che vengono istituiti dai contratti di lavoro, ai quali possono aderire i lavoratori dipendenti privati e quelli pubblici della specifica categoria, comparto o base territoriale ed, eventualmente, i loro familiari;
  • PIP (Piani Individuali Pensionistici), ovvero quei piani pensionistici gestiti per via di contratti di assicurazione sulla vita; solo ad adesione individuale, sono essi acquistabili da chiunque.

In pratica, indipendentemente dalla forma di ciascuno di essi, ognuno di questi fondi avrà funzione di “salvadanaio” in cui l’iscritto versa i contributi. Un capitale che, però non rimarrà immobile in attesa dell’età pensionabile, ma potrà essere reinvestito in mercati finanziari. Alla fine, però la posizione conclusiva del sottoscrivente dipenderà quindi da una serie di fattori: 

  • da durata del periodo di versamento
  • dal complessivo importo versato
  • dai costi avuti durante alla partecipazione del versamento
  • dal rendimento (al netto di tassazione) ottenuto con l’investimento sui mercati di quanto versato

Dunque, questo è quanto c’era da sapere sulle aspettative e le modalità di pensionamento integrativo. Ora, potete pure serenamente tornare al lavoro e, magari decidere di attuare da subito la previdenza complementare.

Liberi professionisti con partita IVA: chi sono e come si suddividono

Il libero professionista è una persona che svolge un lavoro autonomo, prevalentemente con partita Iva, di natura spesso intellettuale. Il presupposto è di avere una preparazione di alto livello inerente la tipologia di professione scelta. In molti casi, si tratta di soggetti che hanno conseguito una laurea e/o un percorso di specializzazione lungo mirato ad ottenere la competenza necessaria per esercitare.

I liberi professionisti sono iscritti a un albo, elenco o registro riconosciuto, ottenuto in seguito al superamento di un esame di Stato, ma esistono anche liberi professionisti per i quali non è prevista la suddetta iscrizione. Infatti, ci sono professioni in Italia classificate come non regolamentate, ma rappresentate dalle relative associazioni.

Non tutti i liberi professionisti sono in possesso di partita Iva, infatti, alcuni di loro esercitano la propria professione in modo autonomo e occasionale in linea di massima, soggetta solo a ritenuta d’acconto.

Tutela previdenziale dei liberi professionisti

I liberi professionisti sono tutelati a livello previdenziale in modo differente, a seconda che siano iscritti a una Cassa Nazionale di Previdenza Obbligatoria o meno. Nel primo caso, entrate (contributi) e uscite (prestazioni) sono gestite dalla Casse previdenziali di categoria, nel secondo caso, invece, è prevista l’iscrizione alla Gestione Separata INPS, dove il contributo è ad esclusivo carico del libero professionista e con la possibilità di addebitare al committente il 4% dei compensi lordi. Le libere professioniste iscritte alle Casse e agli Enti di Previdenza relativi, possono fruire di una particolare disciplina di tutela di maternità.

Liberi professionisti con partita Iva: tipologie di lavoro

Sono tanti i liberi professionisti che esercitano il proprio lavoro con Partita Iva. Tra gli iscritti all’albo: agronomi, agrotecnici, architetti, ingegneri, attuari, avvocati, biologi, chimici, consulenti del lavoro, commercialisti, farmacisti, forestali, geologi, geometri, giornalisti, infermieri professionali, medici, notai, periti agrari, periti industriali, psicologi, ragionieri, periti commerciali, veterinari. Tra i non iscritti a un albo: artigiani, coltivatori diretti, commercianti, freelance.

Come già detto poc’anzi, la maggior parte dei liberi professionisti è in possesso di una partita Iva. Coloro che ricorrono ad essa, quasi sempre svolgono la propria professione in modo continuativo o hanno ricevuto richiesta di aprirla dall’azienda con cui collabora, in quanto vuole instaurare un rapporto di lavoro a lungo termine. I liberi professionisti che lavorano in modo occasionale non sono obbligati ad aprire una partita Iva.

Come aprire partita Iva

Ai liberi professionisti che vogliono aprire partita Iva è consigliato affidarsi a un commercialista che presenterà richiesta all’Agenzia delle Entrate, quest’ultima attribuirà al soggetto richiedente un codice di 11 cifre per identificarlo nel corso del suo lavoro autonomo.

Aprire una partita Iva non costa quasi nulla al libero professionista, poiché non è necessario iscriversi alla Camera di Commercio. I dati richiesti sono quelli fiscali rilevanti, la residenza attuale, la sede dell’attività, il codice ATECO che identifica l’attività da cui viene stabilito il tipo di tassazione, infine, il regime fiscale che si vuole adottare. I tempi d’apertura sono di circa 24 ore. Per mantenere aperta la partita Iva si devono sostenere i costi legati alla contabilità tenuta dal commercialista, compreso il Modello Unico. Inoltre, ci sono da tenere in considerazione i contributi previdenziali per esercitare la professione.

 

Freelance: come scegliere il giusto codice ATECO

Il Freelance è una sorta di dipendente indipendente, ovvero un libero professionista che opera per più aziende, società o organizzazioni, senza averne un rapporto strettamente legato di dipendenza. Restando del tutto autonomo, autogestito per disponibilità e orari, ma nel momento in cui l’attività di Freelance diventa duratura e reiterata, toccherà aprire una partita IVA. E, quindi scegliere un codice ATECO per poterlo fare. Scopriamo come scegliere quello giusto.

Freelance, come scegliere il codice ATECO per la partita IVA

Dunque, non avendo una sezione specifica per il generico ruolo di Freelance, sarà necessario scegliere un codice ATECO inerente alla attività più identificativa di ciò che svolgi. Alcune di esse potrai sceglierle tra le seguenti:

  • Grafico
  • Giornalista
  • Designer
  • Consulente informatico
  • Sviluppatore di software

Questi erano solo alcuni esempi delle possibili attività selezionabili per poter scegliere il vostro tanto ambito codice ATECO come freelance e poter quindi aprire una propria partita IVA. Ad ognuno di essi corrisponderà un codice apposito. Ovvero quel codice che permetterà alla Agenzia delle Entrate (o alla camera di commercio) di identificarvi ed inquadrarvi nella rispettiva categoria statistica, fiscale e contabile.

Come applicare il regime fiscale

Dopo aver scelto il tuo codice ATECO per freelance, dovrai stabilire anche quale regime fiscale applicare. Il cosiddetto Regime Forfettario, applicabile rispettando i requisiti appositi e col quale avrai fornito il reddito imponibile. Pagando così, da tale reddito, imposta e contributi previdenziali.

Dunque, da freelance con il Regime Forfettario, sarai soggetto al versamento dei contributi previdenziali. I contributi previdenziali andranno inevitabilmente a mutare in base all’attività che come freelance svolgi e dal Codice ATECO che avrai applicato.

In base alla attività selezionata ed al codice scelto, potrai infatti essere classificato come:

  • Artigiano o commerciante
  • Professionista

Nel primo caso verserai i contributi alla Gestione Artigiani e Commercianti INPS, per un reddito compreso tra 0 e 15.953 euro verserete contributi fissi di circa 3.840 euro, nel caso di un reddito, invece, superiore ai 15.953 euro oltre ai contributi fissi, saranno versati per il 24%.

Mentre nel caso in cui sia classificato come Professionista andrai a versare gli appositi contributi alla Gestione Separata Inps nella misura del 25,72% del proprio reddito e nella cassa professionale..

L’ imposta sostitutiva del codice ATECO per Freelance

Ovviamente, la faccenda non è finita qui. Una volta ottenuto il vostro bel codice ATECO, per la vostra simpatica partita IVA, adottando dunque il regime forfettario, sarete soggetti ad una imposta sostitutiva, corrispondente al 15% del vostro reddito.

Tuttavia, potrete sperare di ridurre alla soglia del 5% tale imposta, per i primi 5 anni di attività. Difatti potrete applicare l’imposta sostitutiva al 5% nel caso rispettaste i requisiti. Dopodiché, al termine dei suddetti primi 5 anni nei quali avrete abbassato l’imposta al 5%, dovrete applicare l’imposta basica al 15%. Per ottenere tale ribasso, per 5 anni dovrai, però rispettare i seguenti requisiti:

  • Nei 3 anni che precedono l’apertura della tua Partita Iva non hai svolto attività di impresa, né in forma individuale, né associata o familiare;
  • L’attività che svolgi in Partita Iva non deve essere una mera prosecuzione di una che già svolgevi, sia come dipendente che in forma associata;
  • Nel caso in cui abbia rilevato l’attività da un altro soggetto, devi assicurarti che questo abbia rispettato il limite dei 65.000 euro di ricavi.

Dunque, questo era quanto necessario conoscere, nel caso la vostra attività di Freelance necessiti di costituire partita IVA. Un modo per essere indipendenti da aziende, società ed organizzazioni e diventare magicamente “dipendenti” dall’ Agenzia delle Entrate.