Cumulo detrazioni fiscali lavoro autonomo e dipendente

In sede di dichiarazioni dei redditi, le detrazioni fiscali che sono fruibili ed accessibili per i redditi da lavoro dipendente sono cumulabili con le detrazioni fiscali legate, invece, ad attività di lavoro autonomo? Questo è infatti il dubbio che spesso sorge quando un contribuente, pur avendo come reddito prevalente quello da lavoro dipendente, deve pure dichiarare dei compensi che, nello specifico, risultano essere derivanti da attività di lavoro autonomo che, comunque, non sono esercitate abitualmente.

Cumulo delle detrazioni tra lavoro autonomo e dipendente, ecco perché non è possibile

Pur tuttavia, la normativa fiscale vigente è molto chiara al riguardo. Ovverosia le detrazioni fiscali da lavoro dipendente non si possono cumulare, fruendo così di una doppia agevolazione ai fini IRPEF, con le detrazioni legate al lavoro autonomo.

Il Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), al comma 5 dell’articolo numero 13, infatti, stabilisce la non cumulabilità tra le due detrazioni. Il che significa che il contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, può usufruire di una sola detrazione fiscale. Ovverosia quella per il lavoro dipendente oppure quella per il lavoro autonomo.

Quali sono le detrazioni per lavoro autonomo e per quello dipendente

Senza alcuna possibilità di accesso al cumulo, come sopra spiegato, quali sono allora le detrazioni fiscali che i lavoratori autonomi e quelli dipendenti possono sfruttare per abbattere ogni anno le imposte da andare a pagare sui redditi?

Al riguardo proprio l’Agenzia delle Entrate, nella sezione ‘L’Agenzia informa‘ del proprio sito Internet, mette a disposizione dei contribuenti, gratuitamente, tutta una serie di guide fiscali che si possono visionare e scaricare in formato PDF.

E tra queste guide molte riguardano proprio le detrazioni fiscali a partire da quelle più comuni. Dalle agevolazioni fiscali sulle spese sanitarie al bonus mobili ed elettrodomestici, e passando per il Superbonus 110%, per il bonus facciate e per le agevolazioni fiscali sulle ristrutturazioni edilizie. Ma anche le agevolazioni fiscali per il risparmio energetico, e le agevolazioni fiscali che sono previste dall’attuale normativa fiscale quando si compra la casa.

Nel rispetto dei requisiti previsti, tanto i dipendenti quanto i lavoratori autonomi possono accedere alle detrazioni fiscali. Con la sostanziale differenza che sta nel fatto che il lavoratore dipendente sfrutta le detrazioni fiscali grazie al modello 730. Mentre il lavoratore autonomo sfrutterà le detrazioni fiscali inserendole e indicandole nel modello Redditi.

Differenze detrazioni e bonus tra il lavoro autonomo ed il lavoro dipendente

Nello stesso tempo, pur tuttavia, c’è anche da dire che non tutte le detrazioni fiscali che sono accessibili per i lavoratori autonomi lo sono pure per i lavoratori dipendenti e viceversa. Questo vale, per esempio, per l’ex bonus 80 euro che, innalzato fino ad un massimo di 100 euro mensili, spetta non a caso ai titolari di redditi da lavoro dipendente fino a 40.000 euro, e non agli autonomi.

Così come il lavoratore autonomo, a sua volta, può avvantaggiarsi dell’esonero dalla dichiarazione dei redditi, e IRPEF zero da pagare, quando nell’anno di imposta ha svolto delle prestazioni di lavoro autonomo occasionale per compensi complessivamente non superiori alla soglia dei 4.800 euro lordi.

Visura Camerale: cos’è e i diversi tipi

Chi vuole svolgere un’attività economica a livello di impresa individuale o societaria in Italia è tenuto ad iscriverla al Registro delle Imprese tenuto presso la Camera di Commercio della provincia dove risiede l’azienda. Se si vogliono conoscere tutti i dettagli informativi dell’impresa iscritta è necessario richiedere una visura camerale: di cosa si tratta nello specifico, quali sono i diversi tipi, chi può farne richiesta e quanto costa? In questo articolo, cerchiamo di rispondere in modo esaustivo a queste domande.

Cos’è la visura camerale

La visura camerale è un documento informativo che contiene tutti i dettagli dell’impresa iscritta al Registro delle Imprese. Ci riferiamo agli aspetti anagrafici e legali, alla denominazione, alla forma giuridica, alla sede legale, al codice fiscale, alla tipologia dell’attività esercitata, agli elementi concernenti gli organi amministrativi e le cariche sociali.

Esistono diversi tipi di visura camerale. Ordinaria, quando contiene le informazioni legali aggiornate. Storica, quando riporta il percorso dell’impresa sin dalla nascita. La visura camerale può essere richiesta anche in lingua inglese e rappresenta la tipologia ordinaria, nessun costo aggiuntivo è previsto per questa versione. La visura in inglese può essere un valido aiuto alle aziende italiane che vogliano illustrare la propria attività ad Amministrazioni o Autorità statali estere, ma anche ad aziende straniere che vogliano informarsi su imprese italiane.

Inoltre, è possibile ottenere visure camerali specifiche, selezionando i singoli blocchi di interesse per avere accesso a tutti i dettagli degli stessi. I principali blocchi informativi sono i seguenti:

  • amministratori
  • titolari di altre cariche o qualifiche
  • trasferimenti d’azienda, fusioni, scissioni, subentri
  • sede e unità locali
  • scioglimento, procedure concorsuali e cancellazione
  • sindaci, membri organi di controllo
  • attività, albi ruoli e licenze
  • società o enti controllanti
  • pratiche in istruttoria
  • partecipazioni in altre società
  • soci e titolari di diritti su quote e azioni
  • informazioni da statuto, ultimo statuto depositato
  • informazioni patrimoniali.

La suddetta e cosiddetta visura blocco può essere acquistata tramite lo sportello telematico sviluppato da Infocamere e messo a disposizione dalle Camere di Commercio italiane: Telemaco. Possono accedervi tutti, dai semplici cittadini alle imprese, passando per privati e professionisti. E’ necessario registrarsi a Telemaco (a costo zero) attraverso il sito del registro imprese.

Visura ordinaria

La visura camerale ordinaria contiene i dati anagrafici, la fiscalità, le informazioni economiche e giuridiche dell’impresa in questione iscritta nel Registro delle Imprese. Riporta i dati aziendali relativi all’iscrizione, alla denominazione, recapiti, indirizzo sede, PEC, sede legale, codice fiscale e Partita IVA, forma giuridica, data di costituzione, oggetto e capitale sociale, la tipologia dell’attività svolta e degli addetti, certificati di qualità, attestazioni, cariche amministrative, di controllo e qualifiche, organi sociali, titolari e soci con relative quote, albi ruoli e licenze, sedi secondarie e unità locali.

Visura storica

A differenza dalla visura ordinaria, quella storica riporta tutte le modifiche in ordine cronologico avvenute dalla costituzione dell’impresa sino al momento in cui è stato chiesta la visura. Quindi, iscrizioni e depositi di atti nel Registro delle Imprese, statistiche relative al numero degli addetti assunti come dipendenti.

Quanto costa la misura camerale?

Come già anticipato, utilizzando Telematico si possono ottenere tutti i tipi di visure, senza, si ha accesso solo a quelle ordinarie e storiche. Il costo delle visure specifiche è variabile:

  • ordinaria imprese individuali e altre forme 3,00 €
  • ordinaria società di capitali 5,00 €
  • ordinaria società di persone 3,50 €
  • storia delle modifiche 2,00 €
  • storica imprese individuali e altre forme 4,00 €
  • storica società di capitali 6,00 €
  • storica società di persone 4,50 €
  • contratto di rete 2,00 €
  • artigiana 3,00 €

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A chi può servire la visura camerale

La visura camerale di un’impresa iscritta al Registro delle Imprese, può servire alle aziende che hanno bisogno di controllare quali sono i poteri e i vincoli delle società con cui devono intraprendere rapporti commerciali.

A commercialisti e notai, può tornare utile per la redazione degli atti che coinvolgono persone fisiche o soggetti giuridici. Ma anche al normale cittadino può servire accedere alle informazioni pubbliche sulle aziende e i suoi componenti.

Valore legale e validità della visura camerale

La visura camerale fornisce tutte le informazioni relative a un’impresa iscritto all’omonimo Registro. Tuttavia, a differenza del certificato camerale non è opponibile a terzi.

Quando non è necessario disporre del certificato camerale viene richiesta la visura camerale, oppure quando si deve dimostrare il codice ATECO attribuito al momento della dichiarazione di inizio attività, visto che è assente nel certificato. Ordinaria o storica che sia, la visura camerale non è un documento normato e non ha un limite di validità temporale. Nel caso siano apportate modifiche di qualsiasi tipo all’impresa, una visura effettuata precedentemente non sarà ovviamente aggiornata, quindi, si deve sempre far fede alla data di rilascio.

Consob: l’organo di controllo del mercato finanziario italiano

La Consob è la commissione nazionale per la Società e la Borsa. E’ l’ente che si occupa della tutela degli investitori, dell’efficacia e trasparenza sul mercato immobiliare italiano.

Consob: quali sono i suoi doveri?

La Consob ha molti obblighi e dovere da espletare che potremmo così riassumere:

  • vigilare sulle società di gestione dei mercati regolamentati. Ma anche vigilare sulla trasparenza e l’ordinato svolgimento delle negoziazioni. Stessi controlli sulla correttezza dei comportamenti dei soggetti che operano sul mercato finanziario;
  • controllare i dati e le notizie fornite al mercato dagli emittenti quotati e dai soggetti che fanno appello al pubblico risparmio con l’obiettivo di assicurare un’adeguata e trasparente informativa;
  • sanzionare tutti i comportamenti illeciti, come l’insider trading;
  • regolamentare la prestazione dei servizi e delle attività di investimento da parte degli intermediari. Ma anche gli obblighi informativi delle società quotate nei mercati regolamentati. Ed infine valutare le operazioni di appello al pubblico risparmio;
  • autorizzare i prospetti relativi alle offerte pubbliche di vendita e i documenti d’offerta concernenti offerte pubbliche di acquisto, l’esercizio dei mercati regolamentati. Nonché la validità delle iscrizioni agli Albi delle imprese di investimento;
  • Collaborare con le altre autorità nazionali e con gli organismi internazionali preposti all’organizzazione e al funzionamento dei mercati finanziari;
  • Comunicare con gli operatori e il pubblico degli investitori per un più efficace svolgimento dei suoi compiti e per lo sviluppo della cultura finanziaria dei risparmiatori.

La storia dell’organismo

La Consob è stata fondata con la legge 216/1974. La legislazione aveva l’obiettivo di unificare le funzioni legislative e le giurisdizionali che fino a quel momento erano state fatte dal Ministero del tesoro italiano. Ma nel corso del tempo le competenze e le responsabilità della Consob sono aumentate. Infatti nel 1983 stabilì che l’organismo avrebbe dovuto occuparsi anche di tutela del risparmio pubblico. Nel 1985 è stata riconosciuta a Consob la personalità giuridica e l’autonomia. Tuttavia nel 1991 è stato attribuito anche il potere di controllare le società di intermediazione mobiliare e tutti i comportamenti illeciti o che viziano le normale circolazione dei titoli.

Consob: la commissione che la compone

La Commissione di Consob è un organo collegiale composto da un Presidente e quattro commissari. Il loro incarica dura 7 anni e non è rinnovabile. Tuttavia sono tutti nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ad oggi i componenti in carica sono il presidente Paolo Savona e i commissari Anna GenoveseGiuseppe Maria BerrutiCarmine Di Noia e Paolo Ciocca. Le decisioni sono assunte a maggioranza dei presenti. Mentre per le delibere specifiche occorre la maggioranza qualificata, come richiesta per legge.

Le società con cui collabora l’organismo

Nell’esercizio delle sue funzioni la Consob collabora con diversi organi. Tra questi rientrano: il Ministero dell’economia e della Finanza, la Banca d’Italia. Ma il suo rapporto collaborativo si estende anche all’Organismo per la tutela dell’Albo dei prodotti finanziari e le associazioni di categoria. Non mancano le operazioni tenute in sinergia con la Guardia di Finanza e le Autorità giudiziarie. A livello mondiale la Consob è membro della IOSCO (International Organization of Securities Commissions). Si tratta dell’associazioni di organizzazioni che regolano i mercati mondiali dei titoli e dei futures. Inoltre la Consob partecipa all’ESMA (European Securities and Markets Authority). E’ un’autorità indipendente dall’UE che contribuisce a salvaguardare la stabilità del sistema finanziario dell’Unione europea. Questo permette di garantire la trasparenza, l’efficienze e la salvaguardia dell’ordinamento finanziario dei mercati. E’ anche una sorta di protezione degli investitori. Pertanto potremmo benissimo affermare che il mercato dei titoli è posto sotto il rigido controllo della Consob che vigila sulle regolari transazioni.

Diritti del lavoratore in nero: denuncia e risarcimento

Abbiamo visto in precedenza quando si verifica il lavoro in nero e le sanzioni che sono applicate al datore di lavoro e in alcuni casi al lavoratore che attuano tale pratica, è possibile leggere l’approfondimento QUI, ora vedremo come si può denunciare il lavoro in nero e quali sono i diritti del lavoratore in nero.

Il lavoro nero

Il lavoro nero è un illecito  ed è considerato di particolare gravità perché toglie diritti e tutele al lavoratore, infatti non vengono versati contributi e oneri previdenziali, il lavoratore non ha diritto a percepire la tredicesima mensilità e le ferie retribuite, inoltre spesso il salario è molto più basso rispetto a quelli che sono i salari correnti. La legge riconosce al lavoratore in nero la qualità di dipendente e quindi a lui devono applicarsi tutte le normative previste per un lavoratore regolare. Questo implica che non può essere licenziato oralmente, che il licenziamento può avvenire solo per giusta causa o giustificato motivo e che, nel caso in cui sussistano i presupposti, ha diritto anche al reintegro sul posto di lavoro. C’è però una differenza sui tempi di prescrizione, che vedremo a breve, infatti nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, l’impugnazione deve essere fatta entro 60 giorni.

La procedura per la denuncia del lavoro nero

Per denunciare il lavoro in nero sono previste diverse  procedure. La denuncia può essere presentata all’Ispettorato del Lavoro oppure alla Guardia di Finanza, in alternativa è possibile rivolgersi ad un’associazione sindacalista che può aiutare a compiere i vari passi in modo adeguato.

Per presentare la denuncia all’Ispettorato del lavoro è necessario fornire dati e prove del lavoro stesso. Il lavoratore deve indicare i dati relativi alla ditta/datore di lavoro, quindi la ragione sociale, l’indirizzo, le mansioni svolte, gli orari di lavoro, inoltre deve fornire delle prove documentali che possano far ritenere all’Ispettorato che effettivamente si è di fronte a lavoro nero. Quando i rapporti con l’azienda sono durati molti anni è facile dimostrare il proprio lavoro alle dipendenze della stessa, soprattutto se si tratta di lavori in cui si è molto a contatto con terze persone, ad esempio i clienti, nei rapporti di breve durata ci possono essere delle difficoltà.

A questo punto sono attivati i servizi di controllo presso le autorità sanitarie, l’INAIL e l’INPS e quindi inizia una fase di accertamento. La denuncia  presso l’Ispettorato del lavoro ha come obiettivo la conciliazione bonaria tra le parti (datore di lavoro/lavoratore) che solitamente arrivano ad un accordo ( in materia di lavoro il tentativo di conciliazione è obbligatorio). Nel caso in cui non dovesse esservi accordo tra le parti sarà il Giudice del Lavoro a dover dirimere la controversia. Spesso questa procedura non è molto apprezzata dai lavoratori, in tal caso l’alternativa è la denuncia alla Guardia di Finanza, questa può essere anche resa in forma anonima.

I diritti del lavoratore in nero

Ciò che molti non sanno è che chi ha prestato lavoro in nero ha dei diritti. Una volta accertati i fatti e la loro entità può essere calcolato l’ammontare del risarcimento che comprende:

  • il diritto alla retribuzione mensile calcolata applicando il CCNL per il settore e le mansioni svolte ( in questo caso è corretto parlare di differenze di retribuzione, quindi viene calcolato quanto avrebbe dovuto effettivamente versare il datore di lavoro e viene sottratto ciò che è stato pagato, ciò che residua costituisce il risarcimento);
  • il pagamento delle ore di straordinario eventualmente svolte e non retribuite ( non è molto facile provarle);
  • pagamento del Trattamento di Fine Rapporto (TFR);
  • ferie non godute;
  • tredicesima mensilità per tutti gli anni in cui effettivamente il lavoratore ha prestato la propria opera;
  • quattordicesima se prevista dal contratto applicabile in base a settore e mansioni effettivamente svolte.

Diritti del lavoratore in nero: note finali

Deve essere ricordato che se il datore di lavoro ha pagato il lavoratore in nero in contanti, cosa del tutto normale, avrà anche un’ulteriore sanzione in quanto ha utilizzato strumenti non tracciabili.

Un’altra cosa da ricordare è che il lavoro in nero non si può denunciare sempre, infatti, sono previsti termini di prescrizione, di conseguenza il lavoratore può denunciare il lavoro in nero entro 5 anni dall’ultimo giorno lavorato. Si ritiene che durante il rapporto di lavoro, il lavoratore possa essere in una condizione subalterna tale da avere paura di denunciare l’accaduto infatti il potere contrattuale del datore di lavoro è sicuramente maggiore e il lavoratore si trova in una situazione di soggezione, spesso dovuta anche a condizioni economiche precarie e alla difficoltà di collocarsi nel mondo del lavoro.

Partita Iva, come si calcola il reddito netto nel regime forfettario?

1Il regime forfettario delle partite Iva è un regime fiscale agevolato, applicato alle persone fisiche esercenti delle attività di impresa, arti o professioni. Introdotto dalla legge di Stabilità 2015, il regime forfettario è stato modificato negli anni successivi per rivedere le semplificazioni ai fini Iva e contabili. Tuttavia, la novità più importante è la determinazione forfettaria del reddito sul quale calcolare un’unica imposta in sostituzione di quelle previste nel regime ordinario. Con la legge di Bilancio 2020, infatti, si è arrivati a una disciplina che ha introdotto nuovi requisiti di accesso e cause di esclusione, oltre a un sistema premiale per chi utilizza la fatturazione elettronica.

Regime forfettario, i requisiti di accesso secondo le regole 2020

Possono accedere al regime forfettario le partite Iva che nel precedente anno abbiano conseguito:

  • sia un volume di ricavi o percepito compensi che non superino i 65.000 euro (nel caso in cui si esercitino più attività ricadenti in differenti codici Ateco è necessario considerare la somma dei ricavi e dei compensi delle diverse attività);
  • che un volume di spese non eccedenti l’importo di 20.000 euro lordi. Nelle spese vanno ricomprese quelle del lavoro accessorio, dipendente o collaborativo anche a progetto, gli utili da partecipazione agli associati che apportino il solo lavoro e le somme erogate per prestazioni rese dall’imprenditore o dai suoi famigliari.

Partita Iva, reddito e tassazione dei forfettari

Le partite Iva che rientrino nel regime forfettario determinano il reddito imponibile applicando, al totale dei compensi percepiti o dei ricavi conseguiti, il coefficiente di redditività previsto per la propria attività. Nel dettaglio, i coefficienti di redditività previsti sono i seguenti:

  • industrie alimentari e delle bevande, 40%;
  • commercio all’ingrosso e al dettaglio, commercio ambulante di prodotti alimentari e bevande, 40%;
  • commercio ambulante di altri prodotti, 54%;
  • costruzioni e attività immobiliari, 86%;
  • intermediari del commercio, 62%;
  • attività di servizi di alloggio e di ristorazione, 40%;
  • attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari e assicurativi, 78%;
  • altre attività economiche, 67%.

Regime forfettario, come si determina il reddito imponibile

Dal reddito che si è determinato forfettariamente applicando il coefficiente di redditività al totale dei ricavi, si deducono i contributi previdenziali obbligatori, inclusi quelli corrisposti per conto dei collaboratori dell’impresa famigliare. Al reddito imponibile ottenuto si applica l’imposta fissa del 15% che va a sostituire quelle ordinariamente previste, ovvero le imposte sui redditi, le addizionali regionali e comunali e l’Irap.

Calcolo del reddito imponibile nel regime forfettario partite Iva: un esempio

Per sapere quante tasse dovrà pagare una partita Iva del regime forfettario, il primo passo da fare è quello di determinare il reddito imponibile, sul quale si applicherà il 15% dell’imposta unica. A tal fine è necessario conoscere il codice Ateco della propria partita Iva, al quale corrisponde un coefficiente di redditività, ovvero una percentuale che si dovrà andare a moltiplicare al totale dei compensi ottenuti nell’anno di riferimento.

Partita Iva, calcolo imposta da pagare con regime forfettario

Pertanto, se il codice Ateco della partita Iva è del 78% e il guadagno lordo annuo derivante dall’attività è pari a 30.000 euro, il reddito imponibile è pari al prodotto tra 30.000 e 78%. Il risultato, 23.400 euro, costituisce il reddito imponibile. A quest’ultimo dovranno essere sottratti i contributi versati: ipotizzando che siano pari a 8.000 euro, occorrerà sottrarre 23.400 – 8.000 = 15.400 euro. Le tasse che si dovranno pagare per un guadagno annuo di 30.000 euro di una partita Iva a regime forfettario saranno pari a 2.310 euro, valore dato dal rapporto tra 15.400 euro e il 15%.

I ricavi nel reddito imponibile dei forfettari

Il totale dei ricavi e dei compensi devono  far riferimento al principio di cassa e non a quello di competenza. Ciò vuol dire che devono essere considerati solo i ricavi effettivamente incassati nell’arco dell’anno oggetto di imposta. Pertanto, chi richiede un pagamento alla fine dell’anno ma lo incassi sul conto corrente solo all’inizio dell’anno dopo, dovrà conteggiarlo tra i ricavi dell’anno successivo.

Impossibilità di scaricare le spese deducibili nel regime forfettario

L’applicazione del coefficiente di redditività, derivante da percentuali introdotte nel 2015 in occasione del nuovo regime forfettario, non consente di considerare deducibili le spese che normalmente “si scaricano”. Pertanto, la scelta del regime forfettario ha molta convenienza nel caso in cui non si spendano cifre molto alte per la gestione dell’attività stessa. In caso contrario potrebbe essere più conveniente optare per il regime di partita Iva semplificato o per quello ordinario.

Imposta ridotta al 5% per chi avvia una nuova attività

L’imposta ridotta al 5% nei primi cinque anni di attività è riservata a coloro che avviano una nuova attività in presenza dei seguenti requisiti:

  • è necessario che il contribuente non abbia esercitato, nei 3 anni precedenti, attività professionale o d’impresa o artistica, anche in forma famigliare o associata;
  • l’attività avviata non deve costituire, in alcun modo, una mera prosecuzione di un’attività precedentemente. Quest’ultima si intende svolta da lavoratore dipendente o autonomo, ad esclusione della pratica obbligatoria necessaria per intraprendere arti o professioni;
  • nel caso in cui venga proseguita un’attività svolta precedentemente da un altro soggetto è necessario il ricalcolo dell’ammontare dei compensi. Infatti, i ricavi realizzati nel periodo di imposta precedente a quello in cui viene riconosciuto il beneficio dell’imposta ridotta non dovranno essere superiori al limite che consente l’accesso al regime forfettario.