Segnalazione Centrale Rischi: cos’è e come funziona

Hai mai sentito parlare di segnalazione Centrale Rischi? Ecco cosa devi sapere su questa particolare procedura che può riguardare chiunque chieda un prestito/mutuo.

Cos’è la Centrale dei Rischi

La Centrale dei Rischi, anche conosciuta semplicemente come CR o CdR,  è una banca dati gestita dalla Banca d’Italia, in cui sono contenuti le informazioni inerenti il merito creditizio di coloro che hanno richiesto crediti e prestiti presso istituti finanziari e banche. L’obiettivo è fotografare la situazione debitoria delle famiglie  e delle imprese verso il sistema bancario e finanziario.  Sebbene sia vista con una certa diffidenza, in realtà non dovrebbe essere così, infatti questo database raccoglie i dati di chiunque chieda un prestito/mutuo, ciò ha una valenza positiva nella ricostruzione della storia creditizia di un soggetto, soprattutto quando è regolare nei pagamenti.

Fin da subito deve essere precisato che in Italia esistono altri archivi simili, ma non gestiti dalla Banca d’Italia, il più conosciuto è sicuramente il CRIF (Centrale Rischio Finanziario), in questo caso si tratta di una banca dati gestita da un soggetto privato a cui le banche possono o meno aderire, di fatto è ritenuto molto affidabile.

Funzione della segnalazione Centrale Rischi

Ritornando alla Centrale Rischi, deve essere sottolineato che ha due obiettivi. In particolare per coloro che hanno richiesto dei prestiti e dei finanziamenti e li hanno estinti in modo regolare  rappresenta una sorta di garanzia perché, se dovessero avere bisogno nuovamente di liquidità, ad esempio per investimenti, saranno ritenuti affidabili da banche e istituti di credito in generale.

Per le banche, la Centrale Rischi rappresenta un modo per valutare la solvibilità di coloro che richiedono un prestito e per determinare se concederlo e le condizioni a cui concederlo, ma anche per studiare soluzioni personalizzate. Ad esempio, un cliente può essere restio a dare informazioni su altri finanziamenti in corso, se  si recasse in banca e questa concedesse semplicemente il prestito senza valutare la capienza effettiva, potrebbe generarsi una posizione di sovraindebitamento, mentre il controllo della posizione di colui che ha chiesto il prestito può aiutare la banca a studiare soluzioni che il cliente può gestire al meglio, ad esempio con una rata piccola e un piano di ammortamento più lungo.

Gli intermediari possono chiedere informazioni esclusivamente sui loro clienti e su soggetti che si sono rivolti ad essi per chiedere un finanziamento, questo implica che non possono indagare su chiunque, ma solo su soggetti determinati.

Soggetti che agiscono nella Centrale dei Rischi

Presso la banca dati della Centrale Rischi sono inseriti:  finanziamenti come mutui, prestiti personali, aperture di credito e le garanzie.

L’inserimento di tali dati presso la Centrale Rischi avviene da parte di:

  •  banche;
  •  società finanziarie;
  • società di cartolarizzazione dei crediti;
  • organismi di investimento collettivo dei risparmi (OICR);
  •  Cassa Depositi e Prestiti.

La soglia di censimento e le segnalazioni a sofferenza

Affinché possa essere formalizzata la segnalazione è necessario che siano presenti delle condizioni. In questo caso si parla più propriamente di soglia di censimento, la stessa è stabilita in 30.000 euro di esposizione, soglia che però viene ridotta a 250 euro nel caso in cui il debitore risulti essere in sofferenza; si parla di “segnalazione a sofferenza”, per poterla effettuare in modo corretto occorre  una segnalazione preventiva al cliente. Per il mancato preavviso il cliente non può ottenere la cancellazione della segnalazione, se comunque oggettivamente valida, ma può ottenere un risarcimento per il mancato preavviso.

La segnalazione non viene più fatta nel momento in cui si estingue il debito oppure nel caso in cui l’ammontare dello stesso scende sotto la soglia di censimento. Le informazioni restano però registrate per tre anni decorrenti dal momento in cui cessano le condizioni per il censimento.

Precisazioni sulla segnalazione a sofferenza

Purtroppo i dubbi sorgono proprio sulla qualificazione di un debitore come “sofferente” perché non sono indicati dei criteri uniformi e proprio per questo vi è una certa discrezionalità da parte della banca creditrice. I criteri delineati dicono che non basta valutare un singolo rapporto contrattuale in sofferenza per determinare il verificarsi della soglia di segnalazione, ma occorre guardare la situazione complessiva del debitore.

Per la segnalazione con la soglia di 250 euro, non basta il ritardo nel pagamento di una singola rata, la Corte di Cassazione ha stabilito che un nominativo può essere iscritto presso la centrale rischi solo se si tratta di un’insolvenza conclamata, occorre inoltre un’indagine sulla natura delle difficoltà che affronta il debitore per capire se si tratta di una situazione meramente temporanea e quindi se il cliente può rientrare in breve tempo. La Corte di Cassazione ha inoltre stabilito che non si può procedere alla segnalazione alla Centrale Rischi nel caso di scopertura del conto corrente. La Corte ha ribadito che per la segnalazione alla centrale rischi occorra un’oggettiva situazione debitoria difficile da coprire.

Note sulla Segnalazione alla Centrale Rischi

Devono però essere fatte alcune precisazioni, infatti si viene segnalati alla CR non solo se si è debitori principali, ma anche nel caso in cui si assuma il ruolo di garante in una fideiussione e l’importo della fideiussione supera il limite per il censimento.

Un’altra precisazione riguarda i soggetti che possono accedere alle informazioni presenti presso la CR, si tratta dei soggetti che possono eseguire le segnalazioni (visti in precedenza), le autorità di vigilanza del settore ad esempio CONSOB e IVASS, ma nell’esercizio delle proprie funzioni e, infine, l’autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti penali in cui tali informazioni possano avere rilevanza.

Ognuno può inoltre accedere ai propri dati personali attraverso il sito della Banca d’Italia e registrandosi con le proprie credenziali, un codice SPID, CNS o CIE (Carta Identità Elettronica), naturalmente si può avere accesso solo alle proprie informazioni personali. Nel caso si persone giuridiche può accedere alle informazioni il legale rappresentante.

E’ bene ribadire che la Centrale Rischi gestita dalla Banca d’Italia deve essere disgiunta dal CRIF, di cui si parlerà a breve.

 

Donazioni alle Onlus e detrazioni in dichiarazione dei redditi

Molti si chiedono cosa accade alla propria dichiarazione dei redditi, nel caso di avvenute donazioni economiche e se è possibile ottenere detrazioni. Con questa rapida guida andremo a vedere come comportarsi in merito a donazioni Onlus nella propria dichiarazione dei redditi.

Donazioni Onlus, cosa sono e come funzionano

Innanzitutto, iniziamo col dire cosa si intende per donazioni alle Onlus. Le erogazioni liberali, non sono altro che dei versamenti spontanei, effettuati in favore di Onlus, associazioni, istituzioni religiose. L’obiettivo dell’erogazione è quello di sostenere questi enti nella loro azione sociale.

Va aggiunto che per poter effettuare una donazione in denaro occorre essere nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e poter disporre quindi dei propri beni autonomamente. La legge vieta, di fatto, le donazioni a soggetti incapaci di intendere e di volere anche se effettuate per mezzo del proprio tutore legale.

Molti però si chiedono se sono erogazioni scaricabili dal proprio 730, nella dichiarazione dei redditi. Andiamo a scoprire come funziona il tutto.

Donazioni Onlus, sono detraibili?

La domanda più gettonata per coloro che effettuano donazioni ad Onlus trova presto risposta. Possiamo ben dire che tutti i contribuenti, i quali hanno effettuato erogazioni liberali in favore delle Onlus, possono beneficiare delle detrazioni d’imposta del 19%, 26%, 30% o 35% a seconda delle caratteristiche e della natura dell’ente destinatario della donazione. Andiamo a vedere di più come funziona la detrazione sul proprio 730.

Nella compilazione del 730, vanno specificate al rigo E36, le donazioni a favore di ONLUS, di organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale, per dedurre la spesa nel limite del 10% del reddito dichiarato.

Qualora il donatore fosse una persona fisica può scegliere tra due tipi di agevolazione fiscale: deduzione della donazione, senza limiti assoluti, che sia entro il 10% del reddito complessivo dichiarato; oppure detrazione del 30% della donazione fino ad un massimo di euro 30.000.

Occorre, inoltre, sapere che per poter essere detraibili, le donazioni devono essere versate a:

    • ONLUS;
    • organizzazioni internazionali di cui l’Italia è membro;
    • fondazioni, associazioni, comitati ed enti il cui atto costitutivo o statuto sia redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata o registrata e che tra le proprie finalità prevedano interventi umanitari in favore delle popolazioni colpite da calamità;
    • amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali;
    • enti non economici;
    • associazioni sindacali di categoria

Come scaricare dal 730 le donazioni Onlus

In ultimo, ma non ultimo, andiamo in breve a vedere come poter scaricare le donazioni effettuate ad una Onlus, sul proprio 730.

Poniamo ad esempio, qualora si avesse un reddito lordo di 40.000 euro e si dovrà scegliere se detrarre o dedurre 1.000 euro di donazioni a una ONLUS, va ricordato che con la detrazione recupererete al massimo 300 euro (scegliendo il codice 71 nei righi da E8 a E10), con la deduzione in questo caso recuperi 380 euro.

Un’ultima differenza da sottolineare è indicata tra deduzione e detrazione.

Onde evitare confusione su ciò che è detraibile e ciò che è deducibile, va chiarito che nello specifico delle agevolazioni fiscali per le donazioni alle Onlus si parlerà di detrazione e deduzione fiscale. I due termini sono spesso come detto confusi e, per quanto entrambi facciano riferimento a una riduzione delle imposte da pagare, riguardano aspetti differenti.

Infatti, la deduzione permette di ridurre la base imponibile del proprio reddito complessivo sul quale poi si calcolano le tasse da pagare. Con la detrazione, invece, si sottraggono determinati importi dall’Irpef lorda, diminuendo l’imposta da pagare. Volendo riassumere e semplificare: le detrazioni si applicano sulle imposte da pagare, mentre le deduzioni sul calcolo del reddito imponibile su cui calcolare l’ammontare delle tasse.

Questo è quanto di necessariamente e improrogabilmente vi fosse da sapere se avete donato o volete donare ad una Onlus, per poi poter compilare il vostro 730 e ottenere detrazioni adeguate.

Smoke test: come validare una nuova idea di business

Smoke test è una metologia per valutare una nuova idea di business sul mercato. Alcuni spunti per farne uno ed aiutare così le giovani start-up.

Smoke test: cos’è e quando si usa

Quando un’azienda decide di immettere sul mercato un nuovo prodotto, oppure una start up vuole verificare un’idea nuova utilizza lo smoke test. Oltre a redigere un business plan completo si deve validare l’idea sul mercato. Lo smoke test è una simulazione usata dai programmatori informatici al fine di valutare l’efficacia delle funzioni di base di un software, ad esempio. E l’informatica è l’ambito in cui è nato questo concetto. Eric Ries, autore del Bestseller Lean Startup, ha coniato il termine “Smoke test”, che tradotto vuol dire “test del fumo” ed è stato scelto perché permette di comprendere l’appetibilità di un prodotto in un mercato. Pertanto valutare quanto un prodotto sia desiderato, appetibile dai consumatori, è una buona opportunità per una start up che può evitare di spendere capitali, se l’idea non dovesse funzionare.

Come realizzarne uno in poco tempo?

Lasciamo la teoria per passare al campo della realizzazione. Per avere uno Smoke Test valido occorre partire dalla definizione degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Una volta che sono ben definiti, occorre fare tutte le piccole azioni per rendere realistico il progetto. Anche seguire i seguenti punti, potrebbe essere una guida valida:

  • avere un prototipo o anche una semplice presentazione;
  • specificare la metrica misurabile in base alla quale valutare la riuscita dello smoke test;
  • chiarire il più possibile il problema che il prodotto o il servizio intende risolvere.

Infine utilizzando degli strumenti di digital marketing sarà possibile generare traffico profilato verso la landing page. E così poter raccoglire i dati che sevono per completare l’idea. Ma soprattutto riuscire ad avere successo.

Smoke test: quali sono i suoi vantaggi?

Oltre al vantaggi appena indicato, lo smoke test però offre una vasta gamma di vantaggi, tra cui:

  • traction dimostrata con la quale si può valutare il grado di appetibilità per gli investitori;
  • possibilità di organizzare la produzione partendo dalle richieste di un determinato prodotto;
  • possibilità di apprendimento ed ottimizzazione lanciando più smoke test contemporaneamente;
  • fidelizzare il consumatore già da subito.

Ma attenzione una volta lanciato lo smoke test devono subito essere valutati gli effetti che si hanno sul mercato online. In particolare è opportuno porre l’accento su due punti:

  • valutare i risultati ottenuti da Google Analytics
  • studiare il comportamento dei potenziali clienti, in termini di numero di persone che intendono o che mostrano una particolare attenzione all’acquisto. Hoiar può essere molto utile a questo scopo.

L’utilizzo degli early adopter

Il termine early adopter (“utente precoce”, a volte indicato come trendsetter) indica un utilizzatore di nuovi prodotti, di nuovi servizi o di nuove tecnologie subito prima della loro diffusione di massa. Questi utenti sono molto importanti, perché testano proprio il prodotto o il servizio. Si tratta di ricompense, versione gratuite di prova e altri sistemi per favorire il passaparola possono aumentare la diffusione di un nuovo prodotto e in questo il modello di business. Gli “utenti precoci” possono anche dare i loro commenti sulla loro esperienza, in cambio si possono avere delle ricompense che a volte possono fare la differenza.

Altri piccoli consigli sul marchio dell’azienda

Un altro consiglio importante è quello di definire un’identità univoca del marchio della start-up. Questo permette, da una parte, di rendere riconoscibile sempre e comunque il marchio. Dall’altra parte permette di differenziarsi dalla concorrenza. E si se che spesso questo può tradursi in un aumento di fatturato per l’impresa che ha avuto la nuova idea imprenditoriale. Inoltre occorre una vera e propria strategia di identità, che l’impresa deve sempre e comunque rispettare. Per questo motivo è opportuno mettere tutto in un manuale che racchiude tutte le informazioni in merito. Anche creare un sito in cui raccontare la propria storia, la mission o la vision aziendale è un particolare molto gradito ai clienti. Permette di conoscere l’azienda com’è nata, dove vuole andare e quali sono i suoi obiettivi.

Quali debiti non si trasmettono agli eredi?

Tutti i debiti di una persona deceduta si trasmettono agli eredi? La risposta è NO. Alcuni, vanno in estinzione con la morte del debitore, quindi, non rientrano nella successione.

In tal caso, i soggetti che vantano un credito nei confronti del defunto non possono rivalersi sugli eredi, a prescindere dall’accettazione o meno dell’eredità. Ma quali sono i debiti non trasmissibili agli eredi di chi li ha contratti? Conoscerli prima di accettare la successione, vuol dire poter fare due calcoli e valutare la convenienza o meno di farlo.

I debiti che non vanno pagati dagli eredi

I debiti di natura personale e quelli caduti in prescrizione non devono essere pagati dagli eredi.

Nella prima categoria rientrano diversi tipi di sanzioni: amministrative, penali, tributarie. Inoltre: gli alimenti, le multe per infrazione del codice della strada, l’assegno di mantenimento, i contratti personali, le scommesse e i debiti di gioco. Entriamo nel dettaglio.

Le sanzioni

Le sanzioni amministrative non rientrano nella successione, in quanto la responsabilità di chi ha commesso l’infrazione è strettamente personale e non può essere trasferita ad altri soggetti. Prendiamo ad esempio, l’emissione di un assegno scoperto o una vendita senza licenza.

Allo stesso modo, le sanzioni penali sono personali. Quindi, se il defunto ha commesso un reato la conseguente condanna non può essere trasferita agli eredi. Tuttavia, in caso di abuso edilizio, l’immobile relativo può essere demolito anche ai soggetti che lo hanno ereditato e che ne sono diventati proprietari.

Le sanzioni tributarie riguardano il mancato pagamento delle tasse o il loro pagamento irregolare. La somma dovuta per le imposte deve essere versata dagli eredi, che però non sono tenuti a pagare le sanzioni. Quindi, prima di pagare una cartella esattoriale inviata dall’Agenzia delle Entrate, va chiesto lo scorporo delle sanzioni.

Multe per violazione del codice stradale

Se al defunto è stata inflitta una multa stradale, gli eredi non devono pagarla in quanto rientra tra gli illeciti amministrativi che non vengono trasmessi attraverso la successione. Ovviamente, una volta divenuti titolari del veicolo ereditato, gli eredi devono provvedere a regolarizzarla. Ad esempio, se il defunto non ha pagato il bollo o tassa di circolazione, per utilizzare la vettura chi ha accettato la successione deve provvedere a pagarla per non incorrere in una multa.

Alimenti e assegno di mantenimento

Se la persona deceduta era tenuta al pagamento degli alimenti o di un assegno di mantenimento, gli eredi non sono tenuti a corrispondere i relativi importi all’ex coniuge o ai figli del defunto.

D’altronde, i figli sono eredi, mentre l’ex coniuge è erede solo se risulta legalmente separata, in caso di sentenza avvenuta di divorzio, non sarà erede e non perderà l’assegno. Tuttavia, esiste un’eccezione: se l’ex coniuge è in uno stato di bisogno che deve essere stabilito da un giudice, quest’ultimo può obbligare gli eredi al versamento a suo favore di un assegno periodico. Inoltre, per via dello stato di bisogno accertato, l’ex coniuge potrà fruire di una parte della pensione di reversibilità.

Scommesse e debiti di gioco

I crediti derivanti da gioco o scommesse non sono tutelati dalla legge. Quindi, non era obbligato a saldarli il defunto, di conseguenza nemmeno gli eredi. Per lo stesso principio, essi non possono chiedere la restituzione di pagamenti effettuati dal defunto per tali debiti.

Contratti personali

I contratti che hanno natura personale sono stati sottoscritti in relazione alle qualità del contraente. Motivo per cui, decadono alla morte di quest’ultimo. Nel caso gli eredi abbiano beneficiato di compensi derivanti da tali contratti, sono tenuti alla loro restituzione.

Debiti prescritti

Come già accennato, i soggetti che hanno accettato la successione non sono obbligati a pagare i debiti caduti in prescrizione. A meno che, il creditore non abbia formalmente interrotto i termini di prescrizione anche con una diffida inviata agli eredi.

La suddetta diffida deve essere inviata all’ultimo luogo di residenza del defunto con destinatari gli eredi, questo entro un anno dalla morte. Terminato l’anno, la diffida va inviata agli eredi presso la loro residenza.

Come si fa a sapere quanti dipendenti ha una ditta?

Le imprese, non solo in Italia, operano e possono operare nei settori economici più svariati. Così come le imprese si distinguono spesso dalle altre in base al numero di addetti. Basti pensare, per esempio, alle cosiddette multinazionali che hanno migliaia e spesso centinaia di migliaia di dipendenti sparsi per il mondo. Ed in generale l’impresa può essere micro, piccola, media oppure grande. Ma detto questo, e volendo sapere di preciso quanti sono gli addetti, come si fa a sapere quanti dipendenti ha una ditta?

Ecco come si fa a sapere quanti dipendenti ha una ditta

Nel dettaglio, per tutte le ditte che in Italia sono iscritte nel Registro delle Imprese, è facile risalire al numero dei dipendenti grazie alla visura camerale. Nella visura, in particolare, è riportato il numero degli addetti non solo fornito come dato complessivo, ma anche come somma dei dipendenti tra quelli che operano nel quartier generale dell’impresa, e quelli che, eventualmente, lavorano invece nelle unità locali. Inoltre, nella visura camerale c’è indicata pure la suddivisione del numero di addetti tra i lavoratori dipendenti, i lavoratori indipendenti, ovverosia i lavoratori senza vincoli formali di subordinazione, ed i collaboratori.

Inoltre, escludendo i lavoratori indipendenti e gli addetti agricoli, e comunque solo per le imprese con almeno 6 addetti dipendenti, nella visura camerale, oltre al numero degli addetti complessivo ed eventualmente suddiviso tra il quartier generale e le unità locali, come sopra accennato, ci sono pure dei dati percentuali.

E precisamente quelli relativi al tipo di contratto, all’orario di lavoro ed alla qualifica. Nello specifico, per tipologia di contratto nella visura camerale viene riportata tra l’altro, per l’impresa in questione, la percentuale di lavoratori che è a tempo indeterminato, la percentuale di addetti che è a tempo determinato e la percentuale dei lavoratori stagionali.

Mentre per l’orario di lavoro nella visura camerale sono riportati i dati relativi agli addetti a tempo pieno ed a quelli che, invece, lavorano a tempo parziale. La suddivisione per qualifica è invece riportata in percentuale tra il numero di impiegati, il numero di operai, il numero di apprendisti e, tra le altre qualifiche, il numero dei quadri ed il numero dei dirigenti.

Come vengono pubblicati i dati sul numero dei dipendenti di una ditta

I dati sul numero dei dipendenti si una ditta sono pubblicati e sono aggiornati sulla visura camerale con una cadenza che è trimestrale. Il che significa che, su una visura camerale che è stata richiesta e rilasciata a giugno i dati riportati per i dipendenti di una ditta saranno quelli aggiornati alla fine del precedente mese di marzo.

Inoltre, il dato sul numero dei propri dipendenti, da parte di un’impresa, può essere come non può essere dichiarato alla Camera di Commercio in quanto non c’è alcun obbligo in tal senso. Con la conseguenza che, nella visura camerale, il dato sul numero dei dipendenti di una ditta può davvero essere quello fornito dall’impresa, oppure si tratterà di un valore che, a livello statistico, è stato fornito dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS).

Crediti deteriorati: cosa sono e chi li acquista

In tempi di crisi economica, si sente più che mai parlare di crediti deteriorati. Non è un caso, quindi, che l’avvento della pandemia abbia riportato in auge il problema. La difficoltà di imprese e famiglie si è notevolmente accentuata in questo periodo storico, il rischio di insolvenza è maggiore e di conseguenza le banche si trovano nella condizione di dove far fronte ad un aumento dei Npl (Non performing loans), in italiano “crediti deteriorati”.

Cosa sono i crediti deteriorati

I crediti deteriorati sono rappresentati da quei crediti la cui riscossione da parte delle banche è diventata problematica per il rimborso complessivo, ma anche per la parte riguardante gli interessi che costituisce il profitto degli istituti di credito.

Quando i soggetti che hanno fruito della concessione di un prestito faticano a pagare le rate previste e arrivano al punto di sospendere i versamenti dovuti, dopo un tempo determinato, la banca è costretta a classificare il credito come “deteriorato”. Purtroppo, in Italia i crediti deteriorati hanno raggiunto un ammontare molto elevato, circa un terzo dell’intero sistema europeo.

Ma cosa possono fare le banche per recuperare questi crediti? Un modo è rappresentato dalla svalutazione dei crediti da mettere in atto in pochi anni, evitando le lunghe attese dei tribunali. L’altro è costituito dalla possibilità di cederli a società di recupero crediti. Ma chi è interessato all’acquisto di Npl? Prima di trovare risposta al quesito, scopriamo qual è la classificazione e anche la valutazione dei crediti deteriorati delle banche.

Tipi di crediti deteriorati

Non tutti gli Npl possono essere classificati allo stesso modo, ciascuno di essi presenta un grado di deterioramento diverso:

  • crediti deteriorati non performing: indipendentemente dalla presenza o meno di garanzie a sostegno del credito, quelli facenti parte di tale categoria sono i crediti la cui riscossione è incerta per quest’ultima, ma anche per quanto concerne la scadenza;
  • crediti scaduti e sconfinati oltre i 90 giorni: esposizioni, diverse dalle sofferenze o inadempienze probabili, già scadute o che hanno superato i  90 giorni;
  • inadempienze: sono i crediti che la banca giudicano improbabile la loro riscossione, senza ricorrere ad azioni come l’escussione delle garanzie, chi ha contratto il debito adempie per intero alle sue obbligazioni creditizie;
  • crediti in sofferenza: riguardano i debitori che versano in uno stato d’insolvenza o in una situazione equiparabile, a prescindere da qualsiasi previsione di perdita formulata dalla banca.

Tasso di copertura dei crediti deteriorati

Il tasso di copertura dei crediti deteriorati rappresenta il rapporto tra le modifiche di valore effettuate in relazione alla capacità di recupero del credito che la banca deve compiere per fare un conteggio di bilancio realistico e il valore lordo del Npl.

Crediti deteriorati: la cartolarizzazione

Per ripristinare le condizioni di disponibilità al credito delle banche è necessaria un’operazione di cartolarizzazione degli Npl, per immetterli sul mercato finanziario a interessi vantaggiosi. offrendoli a interessi sostanzialmente vantaggiosi sul mercato finanziario.

Cartolarizzare i crediti deteriorati significa effettuare una cessione di attività e/o passività iscritte in bilancio, tramite l’emissione e la trasformazione del debito/credito in titoli collocati presso il pubblico. Con tale processo si diversificano le fonti di raccolta con la costituzione di una riserva di liquidità.

Con i finanziamenti trasferiti al soggetto cessionario, la banca può rientrare in possesso dei capitali prestati e procedere con la concessione di ulteriori finanziamenti alla clientela.

Valutazione crediti deteriorati

Gli Npl vengono immessi sul mercato finanziario a interessi vantaggiosi mediante la cartolarizzazione. Per farlo, però, è necessario definirne il valore, ovvero mettere in atto l’attività di pricing del portafoglio dei crediti deteriorati.

Il processo viene avviato mediante una serie di analisi che comprende gli incaricati alla riscossione dei crediti e due diligence che prevedono la verifica del bilancio della società debitrice, la valutazione dei vari tipi di asset e della categoria di Npl.

Dal portafoglio di posizioni creditizie con rischio collegato annesso, viene determinato il valore del pacchetto.

I criteri di valutazione del rischio dei crediti deteriorati sono i seguenti:

  • tipologia di recupero (giudiziale o servicer);
  • tempo di recupero;
  • tipologia di debitore (persona giuridica o persona fisica);
  • ammontare del debito;
  • area geografica.

Chi acquista i crediti deteriorati

I soggetti che acquistano gli Npl sono le società iscritte al nuovo albo unico, ovvero intermediari sotto controllo da parte della Banca d’Italia, con obblighi di segnalazione alla Centrale Rischi. Le società di recupero crediti il cui acquisto è vincolato solo ai crediti in sofferenza così classificati dalle banche o dagli intermediari finanziari controllati, leva finanziaria usata per l’acquisto che non deve superare il totale del patrimonio netto. Inoltre, vige il divieto di novazione dei contratti originali.

Agevolazioni ONLUS per l’acquisto di immobili nel Codice del Terzo Settore

Le agevolazioni ONLUS per l’acquisto di immobili prevedono un regime di favore per gli acquisti a titolo gratuito e oneroso, questa disciplina consente di risparmiare soprattutto sull’imposta di registro.

Cosa sono le ONLUS e perché godono di un regime di favore

Le ONLUS sono organizzazioni senza scopo di lucro, come tali da inserire nel terzo settore e di conseguenza si applica il CTS (Codice Terzo Settore) anche conosciuto come decreto legislativo 117 del 2017 che raccoglie/ riordina le varie normative che introdotte in questa materia e istituisce il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore. L’ordinamento ha sempre tutelato le organizzazioni che lavorano nel terzo settore perché il loro fine istituzionale è meritevole di tutela, infatti lo scopo di questa tipologia di attività è di tipo sociale.

Appartengono al terzo settore enti filantropici, associazioni sociali, cooperative sociali, società di mutuo soccorso, fondazioni che hanno scopi benefici. L’ambito dei fini ritenuti meritevoli è delineato nell’articolo 5 del decreto legislativo 117/2017. Vi sono però state nel tempo diverse riforme che hanno portato a notevoli cambiamenti e questi hanno riguardato anche le agevolazioni ONLUS per l’acquisto di immobili: si è passati da un regime di favore, ad un regime ordinario entrato in vigore nel 2014, introdotto dall’articolo 10 del D.Lgs n.23 del 2011, e che prevedeva un’imposta di registro al 9% calcolato sul valore dell’immobile. Questa disciplina è stata poi nuovamente modificata ed è proprio il Codice Terzo Settore ha chiarito molti punti sulle agevolazioni acquisto immobili ONLUS.

Agevolazioni ONLUS per acquisto immobili a titolo gratuito

In primo luogo deve essere chiarito che gli acquisti di immobili possono avvenire a titolo oneroso o a titolo gratuito. Gli acquisti a titolo gratuito sono lasciti testamentari e donazioni, quelli a titolo oneroso, sono i tradizionali atti di vendita di un bene immobile, (case, edifici, terreni). L’articolo 82 regola al comma 2 le agevolazioni acquisto immobili a titolo gratuito stabilendo che per atti come donazioni e successioni non è prevista l’imposta sulla successione e le imposte ipotecarie e catastali. E’ però necessario che tali beni siano utilizzati per scopi istituzionali e cioè per perseguire gli obiettivi della ONLUS.

Agevolazioni ONLUS per acquisto a titolo oneroso 2021

Diverso è invece il caso degli acquisti a titolo oneroso, per essi c’è il comma 4, sempre dell’articolo 82 che stabilisce la necessità di versare l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria e catastale, ma queste sono in misura fissa. Affinché però si possa avere questa agevolazione è necessario che l’ONLUS dichiari contestualmente all’atto di trasferimento della proprietà di utilizzare entro 5 anni dall’acquisto il bene per dare attuazione agli scopi istituzionali.

La giurisprudenza ritiene che debba essere un utilizzo diretto, ad esempio l’acquisto di un casolare per una casa famiglia in cui le persone ricevono accoglienza, ma non è tale l’acquisto per un utilizzo indiretto, ad esempio l’acquisto di un immobile al fine di cederlo in locazione e ricavare un reddito da utilizzare nelle attività sociali, non è considerato come “attuazione dello scopo”. Nel caso in cui non avvenga l’utilizzo del bene per scopi istituzionali e si versi nella situazione di dichiarazione mendace o che la ONLUS non sia riuscita a realizzare tale obiettivo,  sarà dovuta l’imposta ordinaria a cui si aggiunge una sanzione del 30% e gli interessi di mora sulle somme effettivamente dovute fin dal momento dell’acquisto.  Il comma 4 si applica a tutti gli enti del Terzo Settore e agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari.

Come si aggiunge un codice Ateco a una Partita Iva?

Scegliere il codice Ateco giusto per la descrizione della propria attività è, senza dubbio, uno dei crucci da affrontare in particolare all’atto dell’apertura della partita Iva. Il codice Ateco rappresenta una tipologia di classificazione delle attività economiche basata su una combinazione alfanumerica.

Che cos’è il codice Ateco?

La classificazione dei codici Ateco (o anche codice attività) è utilizzata dall’Istat per le rilevazioni di carattere economiche. Per ogni attività economica classificata esiste un codice le cui lettere indicano il macro settore dell’attività economica, mentre i numeri descrivono, via via, le sottocategorie. Il codice attività è particolarmente importante all’apertura di una nuova partita Iva. È infatti indispensabile comunicare all’Agenzia delle Entrate il tipo di attività che si andrà a svolgere con la nuova posizione lavorativa. La scelta del codice giusto deriva, pertanto, da un’accurata ricerca per identificare il codice che maggiormente descrive la nuova attività.

A cosa serve il codice Ateco?

In prima battuta, il codice Ateco serve a identificare il tipo di attività della partita Iva in apertura. In particolare, l’attribuzione del codice giusto è importanti ai fini del controllo dell’Agenzia delle Entrate e della Camera di commercio per le imprese. Attraverso il codice alfanumerico si riesce a determinare la categoria statistica, contabile e fiscale della partita Iva. Inoltre, il codice è necessario anche in ambito di sicurezza del lavoro ai fini Inail: in questo caso, il codice attività identifica il rischio connesso al tipo di attività svolta.

Come scegliere il codice Ateco giusto?

La scelta del codice Ateco parte dalla descrizione dell’attività nella maniera più chiara possibile. Sul sito dell’Istat, nella sezione “Classificazione delle attività economiche Ateco 2007”, è possibile utilizzare gli strumenti per individuare il codice alfanumerico giusto. Nella pagina di ricerca del codice Ateco dell’Istat, è necessario inserire nel primo spazio disponibile la descrizione dell’attività (“Individua un codice attività”). La descrizione sintetica porterà a un risultato di ricerca che potrà essere confermato. Ad esempio, inserendo nel campo di ricerca “barista”, il risultato che il sito restituisce, da confermare, è il codice “56.30.00″, con la descrizione dell’attività corrispondente a “Bar e altri esercizi simili senza cucina”. 

Ricerca codice Ateco sul sito Istat

Tra le opzioni di ricerca del codice Ateco sul sito Istat è possibile procedere anche con la ricerca per codice di attività, ovvero avendo già il codice è possibile sapere a quale tipologia di attività corrisponda. Infine, le possibilità di ricerca permettono di poter procedere per aggregati andando, di volta in volta, a spacchettare il gruppo omogeneo per arrivare al codice preciso. Questa tipologia di ricerca è utile soprattutto quando non si ha una professione ben definita e si voglia arrivare al codice Ateco andando a identificare esattamente il tipo di attività da svolgere.

Come cercare il codice Ateco, un esempio pratico

Volendo cercare il proprio codice Ateco da una generica descrizione della propria attività, ad esempio allevatore di bovini da latte, è necessario procedere partendo dal gruppo più omogeneo, ovvero quello dell’Agricoltura, silvicoltura e pesca. All’interno del gruppo, che Ateco 2007 classifica con il primo codice “01”, è necessario andare a cliccare sul “+” per spacchettare il settore ed entrare più nello specifico. All’interno della classificazione, si va a selezionare la macroarea più corrispondente, ovvero quella dell'”allevamento di animali”, alla quale fa capo il codice 01.4.

Codici Ateco, come rendere la ricerca il più precisa possibile

Cliccando sul “+” di questa voce, la ricerca entra più nel dettaglio andando a individuare la voce più precisa, corrispondente all’attività “Allevamento di bovini da latte” con codice 01.41. Il passaggio successivo (cliccando nuovamente sul “+”) serve a individuare più capillarmente l’attività, corrispondente ad “Allevamento di bovini e bufale da latte, produzione di latte crudo”, alla quale corrisponderà il codice Ateco definitivo 01.41.00, che fornirà una descrizione completa di tutta l’attività con le varie ipotesi di esclusione (perché corrispondenti ad altre attività e ad altri codici Ateco). Nel nostro caso, sono escluse le attività svolte per conto terzo o le lavorazioni del latte all’esterno dell’azienda.

Perché il codice Ateco è importante per le partite Iva forfettarie?

Il codice Ateco è fondamentale soprattutto per il calcolo del reddito netto delle partite Iva ricadenti nel regime forfettario. Infatti, a ogni codice di attività è assegnato un coefficiente di redditività, variabile dal 40 all’86%. Fino al 2018 alle diverse attività era assegnato anche un diverso limite di fatturato. Ma dal 2019, con le modifiche fatte al regime forfettario delle partite Iva, il limite di fatturato per tutte le partite Iva è pari a 65.000 euro, con applicazione dell’imposta unica del 15% (del 5% per le nuove attività e per i primi cinque anni).

I codici Ateco per la partita Iva forfettaria

I codici Ateco attualmente in vigore e i coefficienti di redditività corrispondenti sono i seguenti:

  • Industrie alimentari e delle bevande, codici Ateco 10 e 11, coefficiente di redditività del 40%;
  • commercio all’ingrosso e al dettaglio, codici Ateco 45; da 46.2 a 46.9; da 47.1 a 47.7; 47.9; coefficiente del 40%;
  • commercio ambulante e di prodotti alimentari e bevande, codice Ateco 47.81, coefficiente di redditività 40%;
  • commercio ambulante di altri prodotti, 47.82-47.89, coefficiente del 54%;
  • costruzioni e attività immobiliari, 41; 42; 43; 68; coefficiente 86%;
  • intermediari del commercio, codice Ateco 46.1, coefficiente 62%;
  • attività dei servizi di alloggio e di ristorazione, codici 55 e 56, coefficiente 40%;
  • attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari ed assicurativi, codici 64; 65; 66; 69; 70; 71; 72; 73; 74; 75; 85; 86; 87; 88; coefficiente 78%;
  • altre attività economiche, codici Ateco 01; 02; 03; 05; 06; 07; 08; 09; 12; 13; 14; 15; 16; 17; 18; 19; 20; 21; 22; 23; 24; 25; 26; 27; 28; 29; 30; 31; 32; 33; 35; 36; 37; 38; 39; 49; 50; 51; 52; 53; 58; 59; 60; 61; 62; 63; 77; 78; 79; 80; 81; 82; 90; 91; 92; 93; 94; 95; 96; 97; 98; 99; coefficiente di redditività del 67%.

Che cos’è una visura Cerved e a cosa serve?

Oggi andremo a vedere di cosa si parla quando si fa riferimento ad una Visura Cerved, entrando nel mondo delle imprese per scoprire di più a riguardo, con una rapida guida sull’argomento.

Visura Cerved, di cosa si tratta?

Quando si parla di Visura Cerved si fa riferimento ad un documento che presenta le informazioni disponibili su ogni impresa, così come risultano depositate nel Registro Imprese. Per ogni tipologia, sono disponibili versione ordinaria e storica. Inoltre, sulle società di capitali, è incluso l’elenco dei soci/azionisti con relative quote/azioni.

Sostanzialmente, la Cerved Business Information S.p.A., fondata nel lontano 1974, dispone di un’ampia banca dati di informazioni necessarie per il mondo degli affari. La Cerved utilizza una longeva esperienza maturata nella gestione e nel trattamento dei dati delle Camere di Commercio Italiane, sviluppando quindi prodotti e servizi atti a fornire informazioni, che sfruttano le potenzialità del patrimonio informativo di fonte pubblica, offrendo on line informazioni necessarie a verificare l’affidabilità, la solvibilità, e la struttura economico finanziaria di un’impresa.

Col termine Visura, dunque si fa riferimento ad un’ispezione, una certificazione documentata, in questo caso attuata attraverso la Cerved Business Information, con la sua banca dati.

A cosa serve una visura e come funziona?

Molti si chiederanno a cosa serve, dunque, richiedere una visura. Quali sono i costi e come funziona richiederla? Scopriamolo assieme.

La visura dunque, non è altro che una fotografia del patrimonio immobiliare di un soggetto e di eventuali ipoteche ed eventi pregiudizievoli (come pignoramenti o sequestri) su tutto il territorio nazionale;

Per potere effettuare una visura Cerved, semplicemente occorre essere abilitati al servizio, quindi si potrà accedere alla banca dati Cerved, avendo un Conto OPEN attivo. Per farlo online, bisognerà cliccare sul pulsante “Consultazione banche dati Cerved“, quindi attivare nuova richiesta.

Inoltre, il controllo può essere fatto anche su una persona fisica. In tal caso, per richiedere una visura su persona fisica è necessario essere in possesso del suo codice fiscale e/o del nome e cognome, ma in base al tipo di accertamento potrebbero essere richiesti anche altri dati.

Per quanto riguarda i costi, bisognerà attenersi a diversi piani disponibili. Ogni piano predispone una tariffa ed un pacchetto differente, variando dai 56 euro a scendere fino a soli 6 euro.

Insomma, se dovete valutare e ispezionare un’azienda una visura è una soluzione piuttosto interessante, nel caso della Cerved Business Information vi trovereste in una delle più longeve ed affidabili del settore.

Come fare una visura catastale?

Restando, dunque in ambito di visure, vediamo in breve come poter fare una visura catastale, ed in cosa consiste.

La visura catastale è un documento contenente tutti i dati relativi ad un edificio o unità immobiliare. I dati identificativi e reddituali dei beni immobili (sia terreni che fabbricati) i dati anagrafici delle persone, fisiche o giuridiche, intestatarie dei beni immobili, sono contenuti in tale documento che compongono l’ispezione.

Per poter effettuare una visura catastale gratis, solo i titolari di diritti reali, intestatari o proprietari, recandosi presso le sedi degli uffici provinciali del catasto, possono ottenere le visure catastali gratis delle proprietà immobiliari intestate loro. Accedendo, invece al sito dell’Agenzia delle Entrate, è possibile reperire gratuitamente soltanto alcune.

 

Dove scaricare i bilanci delle società e come

Chi cerca il bilancio di una società può essere qualcuno che ha intenzione di acquistare un’azienda oppure che ha bisogno di informarsi su un concorrente diretto del mercato in cui svolge la propria attività economica. O ancora, un fornitore, distributore e stakeholders in generale che vuole valutare il grado di affidabilità di un’impresa. Conoscere il bilancio societario serve a chi entra in contatto con una nuova realtà, al fine di tutelare i propri affari e/o trarne vantaggio da nuovi.

Bilancio aziendale pubblico e online: per chi?

Ogni anno, le società sono obbligate a redigere il bilancio della propria azienda che ne fotografa lo stato economico, finanziario e patrimoniale. Inoltre, esso comprende tutte le operazioni compiute nell’arco dell’anno, con informazioni e dati utili a stabilire l’affidabilità e la prestazione dell’impresa.

Tuttavia, esistono società che non sono tenute alla redazione e deposito del bilancio aziendale annuale. L’obbligo ricorre solo per le aziende che superano un determinato limite di fatturato, ma solo per quanto concerne la predisposizione del documento. Infatti, non per tutte è indispensabile rendere pubblico il bilancio.

Nello specifico, l’obbligatorietà vale per le società di capitali come la S.r.l. o la S.p.a che devono rendere il proprio bilancio disponibile alla visualizzazione di terzi. Mentre, le società di persone, quali la società semplice o la S.n.c. non sono tenute a depositarlo in Camera di Commercio, quindi, non sono obbligate a rendere il bilancio aziendale pubblico.

L’articolo 31 della legge n. 340/2000 (e successive modifiche) stabilisce che il deposito dei bilanci deve avvenire esclusivamente in formato digitale e per via telematica o su supporto informatico.

Composizione del bilancio di una società

Il bilancio aziendale consente a chi può visionarlo di ricevere informazioni fiscali e/o tributarie. Strutturato nella sua redazione, ecco quali sono le sezioni in cui è suddiviso tale documento:

  • conto economico: contenente i ricavi e i costi di competenza dell’esercizio;
  • stato patrimoniale: rappresentante la situazione finanziaria della società alla chiusura d’esercizio. Esso è diviso in due sezioni: l’attivo composto dai beni e dalle proprietà aziendali, dai crediti vantati nei confronti di terzi, dalla liquidità disponibile in cassa e sui conti correnti. Il passivo è composto dai debiti aziendali verso terzi;
  • nota integrativa: che illustra le decisioni prese dagli amministratori dell’impresa nella redazione del bilancio e nel consentire la sua leggibilità e comprensione;
  • rendiconto finanziario: con l’obiettivo principale di visualizzare la composizione e l’importo totale della liquidità disponibile all’inizio e al termine dell’esercizio, nonché i flussi finanziari che derivano dall’attività operativa.

I predetti documenti possono essere accompagnati da un altro che informa sull’andamento della gestione e sulla situazione della società, redatto dagli amministratori della società.

Il bilancio di un’azienda viene approvato ogni anno dai soci entro 120 o 180 giorni dalla chiusura d’esercizio. A seguito dell’approvazione, l’amministratore deve depositarlo presso il Registro delle Imprese.

Dove cercare il bilancio online di una società e come

Il titolare o il legale rappresentante di un’impresa può ricevere gratuitamente il relativo bilancio aziendale. Basta accedere al cassetto digitale dell’imprenditore presente sul sito Impresa Italia. Per farlo è necessario munirsi di SPID o di CNS, strumenti d’identificazione rilasciati gratuitamente dalle Camere di Commercio.

Sul portale registroimprese.it è possibile per gli utenti registrati al servizio Telemaco ottenere il bilancio di una società per annualità che l’abbia depositato. La procedura prevede la scelta dei criteri di ricerca e il successivo avvio, l’individuazione della sede legale dell’impresa e nell’elenco dei prospetti ufficiali, cliccare su “Atti e bilanci”.

A questo punto, sulla voce Bilanci si deve impostare il periodo d’interesse e avviare la ricerca da cui estrarre i documenti utili. Gli utenti non registrati possono accedere solo all’ultimo bilancio d’esercizio depositato dall’impresa.

Esistono altri servizi online che consentono agli utenti di visionare i bilanci delle società resi pubblici, tra cui la piattaforma ivisura.it. Per ottenere il bilancio aziendale è necessario indicare la denominazione/partita IVA/codice fiscale della società; la provincia e il Comune di residenza; la specifica riguardante l’anno di esercizio relativo al bilancio che si vuole visionare.