Reddito di emergenza luglio 2021: quali autonomi possono richiederlo?

C’è tempo fino al 31 luglio 2021 per presentare domanda di Reddito di Emergenza. Tramite richiesta, come stabilito dal decreto Sostegni bis, è possibile ottenere altre quattro quote di REM relativamente ai mesi di giugno, luglio, agosto e settembre. Attenzione: oltre alla presenza di specifici requisiti, è da tenere presente che il Reddito di Emergenza di luglio 2021 non è compatibile con altre indennità ricevute dai lavoratori autonomi per fronteggiare i danni economici dovuti all’emergenza Covid-19, ma anche in altri casi. Elencheremo il tutto nel redigere questo articolo.

REM luglio 2021: requisiti necessari

Il nuovo Reddito di Emergenza rappresenta una misura di sostegno economico a favore delle famiglie che si trovano in stato di bisogno, ossia in condizioni di necessità. A determinare tale stato è il possesso di determinati requisiti:

  • residenza in Italia nel momento in cui s’inoltra la domanda con riferimento al richiedente;
  • il reddito del nucleo familiare riferito al mese di febbraio 2021 deve essere inferiore all’importo del beneficio;
  • il valore del patrimonio mobiliare familiare dell’anno 2020 deve essere inferiore a 10.000 euro, ma se si paga un canone di affitto per l’abitazione il limite viene aumentato di 1/12 dell’ammontare annuale dell’affitto, come risulta dalla dichiarazione ISEE. Tuttavia, tale soglia viene aumentata di 5.000 euro per ogni componente successivo al primo, fino ad un massimo di 20.000 euro; quando un componente del nucleo familiare è portatore di grave disabilità o non è autosufficiente come definiti ai fini ISEE;
  • l’ISEE valido al momento della richiesta non può raggiungere i 15.000 euro.

Reddito di Emergenza: quali lavoratori autonomi possono farne richiesta?

Per beneficiare del REM, nel nucleo familiare non devono essere presenti i seguenti lavoratori che hanno ricevuto o ricevono ancora una delle indennità Covid-19:

  • autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’INPS;
  • professionisti con partita IVA iscritti alla Gestione Separata INPS;
  • titolari di co.co.co iscritti alla Gestione Separata INPS;
  • stagionali del turismo e degli stabilimenti termali;
  • dello spettacolo;
  • agricoli;
  • intermittenti;
  • dipendenti stagionali che operano in settori diversi da quelli turistici e degli stabilimenti termali;
  • domestici;
  • marittimi;
  • dello sport;
  • venditori a domicilio;
  • autonomi senza partita IVA e non iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie.

Inoltre, il Reddito di Emergenza non è compatibile con la presenza all’interno della famiglia di uno o più componenti che risultino titolari di pensione (fatto salvo l’assegno ordinario di invalidità) oppure di un contratto di lavoro dipendente con stipendio lordo superiore al limite massimo di reddito familiare; fruitori di Reddito o Pensione di Cittadinanza.

In caso di lavoratori in CIGO o in CIGD o per cui è stato richiesto l’intervento del FIS, il requisito viene verificato sulla base dello stipendio teorico del lavoratore, che si desume dalle denunce dell’azienda. Questa retribuzione prende in considerazione le relative voci fisse.

Cosa significa rapporti non contestati?

Nella Centrale dei Rischi della Banca d’Italia i dati e le informazioni che sono raccolte sono soggette ad una classificazione. Sulla base di un modello di rilevazione dei rischi, infatti, in CR emergono quelli che, per i crediti, sono i rapporti tra l’intermediario segnalante, che può essere una banca oppure una società finanziaria, ed il soggetto segnalato che, per esempio, può essere un privato cittadino oppure una piccola o media impresa.

Ecco cosa significa rapporti non contestati per i crediti in Centrale Rischi

In queste categorie di censimento possono rientrare pure i cosiddetti rapporti non contestati. Ma cosa sono i rapporti non contestati, e cosa significa? Al riguardo c’è da dire, in linea generale, che i rapporti si definiscono non contestati quando per questi, ai fini della risoluzione delle controversie, non c’è stato alcun intervento da parte di un’autorità giudiziaria al fine di dirimere la lite.

Riferito al credito, quindi, il rapporto non contestato è tale che il credito dovrebbe essere o comunque in Centrale dei Rischi è ritenuto essere esigibile. O quantomeno non ci sono informazioni tali per cui si possa ritenere che il credito, per esempio, possa essere invece in sofferenza o addirittura è passato a perdita.

L’importanza di rapporti non contestati per i privati e per le imprese

La presenza di rapporti non contestati è importante per un privato che, nell’accedere al credito, paga puntualmente le rate dei mutui, dei prestiti e dei finanziamenti. Ed è altrettanto importante per un’azienda. E questo perché, se in Centrale Rischi sono presenti dei rapporti contestati, allora per esempio l’impresa potrebbe avere non pochi problemi per le operazioni di finanza straordinaria.

Dalla cessione di asset all’ingresso di nuovi soci, e passando anche per la stipula di importanti partnership a livello commerciale. E questo perché, per i soggetti terzi che vogliono vederci chiaro prima di investire in un’azienda, la presenza di rapporti non contestati in Centrale dei Rischi è fondamentale per accertare che l’impresa sia davvero solida a livello creditizio.

La verifica dei rapporti non contestati in Centrale dei Rischi

La dicitura ‘rapporto non contestato, accedendo al database in Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, equivale ad un rapporto che risulta essere segnalato come un credito di cassa che è regolare, e quindi è tale che per questo non sono state rilevate e verificate delle inadempienze. In caso contrario, se il rapporto è invece contestato, allora può scattare la segnalazione di credito di dubbia riscossione già a partire da una soglia di soli 250 euro se il credito rientra tra quelli in sofferenza.

La cadenza della raccolta delle informazioni, nella Centrale dei Rischi che è gestita dalla Banca d’Italia, è mensile. Questi dati poi, sempre da parte della Banca d’Italia, vengono resi accessibili agli intermediari creditizi. Con questi ultimi che, di conseguenza, avranno sempre una conoscenza aggiornata e puntuale dell’indebitamento e del merito creditizio dei loro clienti includendo pure la regolarità o meno dei loro pagamenti. Ecco perché chi non ha segnalazioni negative in Centrale dei Rischi riesce ad ottenere un mutuo o un prestito più facilmente.

Quanto costa la tassa di successione?

La successione comporta una serie di adempimenti fiscali a partire dalla dichiarazione della medesima fino al pagamento della relativa tassa, passando per le imposte dovute sull’immobile in eredità, al 730 del defunto.

Quando si apre la successione

La successione inizia al momento del decesso da cui decorre l’anno di tempo concesso agli eredi per la presentazione della dichiarazione della stessa e il versamento delle conseguenti tasse. Ma, l’Agenzia delle Entrate non richiede solo la dichiarazione di successione.

Infatti, gli adempimenti burocratici sono molti. Qui di seguito, vediamo cosa deve fare il familiare del defunto e in quali modalità.

La tassa di successione

L’imposta di successione va pagata allo Stato dagli eredi e dai legatari, ossia, le persone che ricevono un bene o un diritto per legge od a seguito del testamento, in base alla propria quota di eredità. Il calcolo della tassa è soggetto alla quantificazione dell’eredità, pertanto, va sommato il valore degli immobili, i diritti reali sui beni immobili, i titoli, i beni mobili, le partecipazioni, le rendite, i crediti, le pensioni, il denaro, i gioielli. Insomma, tutto ciò di cui era proprietario il defunto.

Dall’importo lordo ricavato dalle suddette voci sommate, vanno sottratte quelle passive, come i debiti (mutui e prestiti inclusi) o le spese mediche effettuate per conto del defunto da parte dei suoi eredi negli ultimi sei mesi di vita. Al termine di queste operazioni, si evince il patrimonio netto su cui applicare le tasse.

La valutazione di ogni singolo bene viene effettuata secondo uno specifico criterio. In special modo se non esiste un inventario il valore di denaro, gioielli e mobilia viene valutato per il 10% dell’attivo ereditario.

Beni esclusi dal calcolo della tassa di successione

Non tutte le proprietà del defunto ereditate sono soggette al pagamento delle imposte di successione. Il TFR è escluso dall’attivo ereditario, così come le indennità per rapporti di agenzia o quelle spettanti gli eredi per assicurazioni previdenziali sottoscritte dal defunto, come i fondi pensione.

Sono esclusi dall’attivo ereditario anche i beni di interesse artistico o storico, i titoli del debito pubblico (Bot, Cct, titoli di Stato) e i veicoli iscritta al PRA.

E’ bene precisare che l’imposta di successione dovuta dall’erede sulla propria quota, viene ridotta dall’eventuale presenza di una franchigia a cui ha diritto. Ad esempio, in merito ai rapporti di parentela, per fratelli e sorelle l’aliquota applicata è pari al 6% su un importo superiore a 100.000 euro.

Agevolazioni per disabili

Quando l’erede è una persona portatrice di grave disabilità, come previsto dall’art. 3 comma 3 della Legge 104 del 1992, la tassa di successione viene applicata solo sulla parte di eredità eccedente l’importo di un milione e mezzo di euro. In questo caso, si prescinde dal grado di parentela che sussiste tra il defunto e l’erede per quanto concerne la soglia della franchigia. Tuttavia, il grado di parentela viene preso in considerazione per determinare l’aliquota da applicare alla parte eccedente la franchigia.

Il pagamento dell’imposta di successione

La tassa di successione non va pagata direttamente dall’erede mediante la relativa dichiarazione, così come è previsto per le altre imposte. Infatti, dopo l’avvenuta presentazione della dichiarazione di successione, lo Stato si attiva per effettuare tutti i controlli e i calcoli del caso ed entro tre anni (in realtà il tutto si svolge spesso nel giro di qualche mese) emette un avviso di accertamento con il quale richiede il versamento della tassa dovuta.

Il pagamento dell’imposta richiesta deve avvenire entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso, al fine di evitare una riscossione coatta che comprende anche sanzioni e interessi. La tassa di successione deve essere versata utilizzando il modello F24 allegato alla comunicazione dell’Agenzia delle Entrate oppure pagata presso l’Agenzia entrate riscossione, nonché in un ufficio postale o in banca.

Si tenga conto, che lo Stato prevede una serie di adempimenti da parte degli eredi che riguardano eventuali pendenze e obblighi che il defunto aveva nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

Le imposte dovute in presenza di immobili in successione

A prescindere dall’obbligo dell’erede di pagare la tassa di successione per la propria quota di eredità, quando ci sono degli immobili, è previsto il pagamento di due imposte variabili:

  • l’imposta ipotecaria pari al 2% del valore dell’immobile;
  • l’imposta catastale pari all’1% del valore dell’immobile.

A questi importi, vanno aggiunti l’imposta di bollo, la tassa ipotecaria e i tributi speciale per un ammontare complessivo di circa 100 euro.

Qualora l’immobile in questione, oggetto dell’eredità, venga considerato prima casa dell’erede, questi può pagare le imposte ipotecaria e catastale usufruendo di una decurtazione pari a 200 ognuna. La concessione dello sconto vale anche nel caso in cui l’immobile viene ereditato da più soggetti contemporaneamente e, solo uno di loro è in possesso dei requisiti di agevolazione per prima casa.

Come scrivere un testamento olografo valido non impugnabile?

Il testatore può esprimere la sua volontà attraverso la redazione di un testamento olografo. Si tratta dell’unico tipo di testamento considerato valido e non impugnabile, che non prevede la presenza di un notaio o di un altro pubblico ufficiale. Tuttavia, a determinarne la sua validità è il rispetto di determinati requisiti.

Come redigere un testamento olografo

Il testamento olografo va interamente scritto di proprio pugno con indicazione della data e sottoscrizione del testatore, i nomi degli eredi del suo patrimonio devono essere chiari. La firma va apposta in basso, al termine delle disposizioni. La data deve essere completa, quindi, composta da giorno, mese e anno. La prova dell’indicazione di una data falsa è ammessa solo nel caso in cui si tratta di giudicare la capacità del testatore, della priorità di data tra più testamenti o di un’altra questione da decidersi in base al tempo del testamento.

Testamento olografo: i requisiti

Affinché un testamento olografo possa essere ritenuto valido e non impugnabile, deve essere redatto nel rispetto delle regole previste dalla legge. Pertanto, scopriamo quali sono i requisiti necessari:

  • L’autografia è uno dei requisiti formali del testamento olografo imposto dalla legge a garanzia del testatore. Tale requisito prevede che la scrittura dell’atto debba avvenire interamente per mano del testatore ed è ammesso anche lo stampatello. E’ fatto divieto di utilizzo di mezzi meccanici (macchina da scrivere o computer) o di intervento da parte di soggetti terzi. Ovvero, la mano del testatore non deve essere guidata da una terza persona, pena la non validità del testamento olografo per mancato riconoscimento dell’autografia. Lo strumento con il quale il testatore può scrivere, di solito è una penna, ma potrebbe essere anche un gessetto. Il materiale su cui il testatore esprime in forma scritta la sua volontà, può essere un semplice foglio di carta, così come una tavoletta di legno oppure di pietra.
  • La data deve indicare il giorno, mese e anno della sottoscrizione del testamento olografo. In caso di redazione di più pagine, ognuna va sottoscritta per evitare che possano esserci delle interpretazioni. Tale requisito presenta una doppia finalità. Per prima cosa, quando ci sono più testamenti non complementari, quello che viene ritenuto valido è l’ultimo redatto. In secondo luogo, in caso di contestazioni, la data serve per stabilire se il testatore fosse capace di intendere e di volere in quel giorno specifico. L’indicazione dell’ora e del luogo relativamente al testamento olografo, può essere qualcosa che lo rende più completo, ma non è obbligatorio ai fini della sua validità.
  • La sottoscrizione deve definire con assoluta certezza l’identità del testatore, pertanto deve essere leggibile.

Tutte le regole sopra indicate, devono essere rispettate dal testatore, anche nel caso di aggiunte o modifiche successive in merito alle disposizioni testamentarie. Pertanto, egli deve precisare l’intenzione di revocare una parte delle disposizioni e/o sostituirle.

Chiarimenti della Cassazione sul testamento olografo

La Cassazione attraverso una sentenza ha chiarito che, in realtà, la firma del testatore non deve necessariamente essere apposta alla fine delle disposizioni.

Abbiamo parlato di firma del testatore sul testamento olografo per semplificare. In realtà, il codice civile prevede che la sottoscrizione possa essere ritenuta valida anche senza l’indicazione del nome e cognome, ma deve comunque designare con certezza la persona del testatore.

A tal proposito si sono espressi i giudici di Cassazione precisando che, a differenza dell’autografia la sottoscrizione è finalizzata al soddisfacimento imprescindibile del bisogno di avere la certezza assoluta che le disposizioni contenute nel testamento, oltre a essere riferibili al testatore come dimostrato dall’olografia, rappresentino inequivocabilmente la paternità e responsabilità dello stesso che, dopo aver redatto il testamento anche in tempi diversi, abbia disposto del suo patrimonio senza alcun ripensamento.

La quota di legittima

Il testatore, in caso di testamento olografo deve tenere conto della quota di legittima. Ossia, una quota che non è nella sua disponibilità in quanto riservata dalla legge ai legittimi eredi (figli, coniuge o eventualmente genitori). Pertanto, il testatore non può disporre di tutti i beni dell’eredità, ma solo di quelli esclusi dalla quota di legittima.

Annullabilità e nullità del testamento olografo

Se la data apposta sul testamento olografo presenta dei difetti, la legge non prevede la nullità di quest’ultimo. Tuttavia, nel caso fosse presentata un’istanza a riguardo, il testamento olografo potrebbe essere annullato.

La nullità del testamento olografo si concretizza in assenza del requisito dell’autografia oppure quando manca la sottoscrizione, o ancora in tutti i casi in cui il beneficiario non sia identificato o in caso di disposizioni illecite.

L’azione di annullamento si prescrive dopo cinque anni dalla data di riferita all’esecuzione delle disposizioni testamentarie.

Fondo Est: cos’è come funziona e chi deve iscriversi

Se lavori nel mondo del turismo, farmaceutico o affini, probabilmente hai sentito parlare di Fondo Est, ma di cosa si tratta e a quali prestazioni puoi accedere?

Cos’è il Fondo Est

Il Sistema Sanitario Nazionale sempre più spesso fa fatica ad assicurare ai cittadini prestazioni sanitarie, proprio per questo sono numerose le persone che cercano tutele ulteriori attraverso polizze assicurative o altri strumenti. Per i dipendenti a tempo determinato o indeterminato di aziende che lavorano nel settore dei servizi, del commercio, del turismo e affini c’è il Fondo Est che offre ai suoi iscritti un’assistenza sanitaria integrativa. Il Fondo Est è accessibile sia ai lavoratori full time sia a quelli part time, inoltre è aperto anche agli apprendisti.

Il Fondo Est nasce nel 2005 in applicazione del CCNL del terziario e del turismo, in particolare  l’iscrizione è obbligatoria per  le aziende della ristorazione, aziende farmaceutiche speciali, autoscuole, agenzie funebri, distribuzione, aziende del settore ortofrutticolo e produzione agrumi  e, dal primo luglio del 2020, anche coloro che operano nel settore fiori recisi. In alcuni casi l’iscrizione spetta anche ai giornalisti che, se hanno un contratto per un settore afferente quelli in cui si applica il Fondo Est,  possono aderire al fondo Casagit, ma in caso contrario diventa obbligatorio aderire al Fondo Est.

La procedura per accedere al Fondo Est

Le aziende, di conseguenza, quando assumono in uno di questi settori devono iscrivere il lavoratore al Fondo Est.  Il lavoratore riceverà a casa le credenziali per poter accedere all’area personale My Fondo Est, presente sul sito www.fondest.it da qui potrà procedere e richiedere i rimborsi delle prestazioni sanitarie a cui si è sottoposto tramite il Servizio Sanitario Nazionale oppure tramite strutture private.

La procedura prevede che il lavoratore, se si avvale del SSN o di strutture private, deve effettuare i pagamenti e poi chiedere il rimborso caricando i documenti inerenti la prestazione nella propria area personale o inviandoli con servizio postale all’indirizzo Fondo Est – Ufficio Liquidazioni Via Cristoforo Colombo 137 – 00147 Roma , oltre ai documenti deve essere inviato il modulo presente sul sito e correttamente compilato.

Nel caso in cui il lavoratore intenda avvalersi delle prestazioni di esercizi convenzionati SiSalute per Fondo Est, potrà farsi autorizzare la prestazione prima di accedervi e di conseguenza non dovrà anticipare le somme. Per accedere a tali vantaggi occorre entrare nell’area personale e in seguito nella sezione “Prenota una prestazione presso una struttura convenzionata”, oppure chiamare il numero 06.510311 e seguire la procedura indicata. Il servizio è attivo dal lunedì al venerdì, dalle ore 8.30 alle 19.30. In questo caso il Fondo Est liquida il costo della prestazione direttamente all’esercizio convenzionato.

In ogni caso, cioè prestazione con il SSN, privati o convenzionati, per poter accedere alle prestazioni è necessaria la prescrizione medica con cui si indica la patologia accertata o presunta.

Versamenti volontari Fondo EST

Naturalmente il fondo è alimentato dai contributi delle aziende che li versano per ogni dipendente fino a quando lo stesso lavora in azienda. Deve però essere sottolineato che un lavoratore che è iscritto al fondo, se perde il lavoro non viene cancellato, ma per il periodo scoperto può versare volontariamente i contributi e quindi continuare ad accedere alle prestazioni sanitarie. Il lavoratore può optare per tale possibilità accedendo al sito ed entrando nell’area “prosecuzione volontaria dei versamenti individuali”. Vi sono però dei limiti.

In caso di cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore può versare i contributi volontari limitatamente al periodo in cui usufruisce della Naspi, Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego. Nel caso di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria o in deroga), il periodo massimo di versamento di contributi volontari è limitato a quello in cui il lavoratore percepisce tali sostegni. Per la cessazione del rapporto di lavoro per crisi aziendale, il contributo volontario può essere versato solo per il periodo corrispondente alla percezione dell’assegno ordinario di disoccupazione.

Il versamento volontario può inoltre essere effettuato in caso di aspettativa non retribuita, purché non sia per maternità. Per coloro che hanno un contratto a tempo determinato, il versamento volontario alla scadenza contrattuale non può superare i 12 mesi.

Quali sono le prestazioni per cui si può chiedere il rimborso?

Le prestazioni sanitarie per le quali si può chiedere il rimborso tramite il fondo EST sono molteplici, però deve essere chiaro che non per tutte le prestazioni ci sono le stesse condizioni e gli stessi limiti. Ad esempio nel caso in cui si richieda una visita specialistica è previsto che, accedendo tramite una struttura convenzionata è possibile che a carico del lavoratore vi sia una franchigia di 20 euro ed è previsto un massimale garantito di 700 euro l’anno (Il massimale è sempre valido per tutti, anche accedendo con il SSN). Nel caso di esami diagnostici, la franchigia sale a 35 euro, mentre il massimale garantito è di 6.000 euro annuali. Tra le prestazioni ci sono anche chemioterapia, radioterapia, dialisi, in questo caso il rimborso è sempre totale.

Per lenti ed occhiali il rimborso può essere richiesto solo ogni 36 mesi e l’importo massimo è 90 euro. Si può ottenere un rimborso anticipato solo nel caso in cui il medico oculista certifichi una variazione di almeno 1,5 diottrie sferiche o cilindriche su un singolo occhio. Tra i rimborsi vi sono anche fisioterapia, agopuntura, ausili medici, riabilitazione e prestazioni mediche necessarie in caso di invalidità permanente superiore all’80%.

Fondo est 2021: novità

Il 2021 è stato un anno caratterizzato da una pandemia e dalla necessità di sottoporsi ripetutamente a test molecolari e sierologici volti a determinare se il virus è stato contratto e a proteggere la salute pubblica attraverso un incisivo tracciamento. Per i lavoratori iscritti al Fondo Est è stato previsto il rimborso anche dei costi sostenuti per i tamponi antigenici e molecolari e l’indennità forfettaria per ricovero in caso di Covid 19.

Che cosa sono i crediti in sofferenza?

Oggi, in una situazione di sofferenza generale per il paese, dovuta dalla crisi pandemica, da cui appena si intravede una via di uscita, andremo a scoprire di cosa si parla quando si fa riferimento ai crediti in sofferenza.

Crediti in sofferenza, di cosa si tratta

Oggi andiamo ad addentrarci in situazioni bancarie per molti astruse. In una situazione economica, psicologica e sociologica poco agevole per il nostro paese (e per tanti altri paesi), molti si chiedono cosa siano i crediti in sofferenza. Scopriamolo assieme.

Partiamo col capire che il credito bancario nasce da tre diverse situazioni: Un contratto, ad esempio di finanziamento stipulato tra un soggetto che vuole acquistare dei beni ma non ha il denaro necessario e una finanziaria che è in grado di prestare il denaro.

Ma cosa è, in questo caso, un credito in sofferenza?

crediti in sofferenza sono, in pratica, quei crediti bancari la cui riscossione non è certa (per le banche e gli intermediari finanziari che hanno erogato il finanziamento), poiché i soggetti debitori si trovano in stato d’insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili.

Quindi si può ben dire che un debito bancario viene definito in sofferenza quando la riscossione da parte della banca non è sicura, per una situazione di insolvenza del cliente.

Come cancellare crediti in sofferenza

Ma la domanda che può arrovella le menti di coloro che sono in sofferenza (bancaria, in questo caso) è ben precisa. Ovvero come si possono cancellare i crediti in sofferenza?

La risposta a questa annosa e sofferente questione è, banalmente, presto detta. In sostanza, se non si presentano gli estremi, ma la banca segnala comunque la sofferenza bancaria, il cliente può ricorrere al tribunale in sede cautelare con un ricorso d’urgenza. In questo modo, il cliente potrebbe ottenere la cancellazione dello stato di sofferenza e della segnalazione alla Centrale Rischi.

E allora, i più sofferenti si chiederanno, ma come fare nel caso fosse arrivata la segnalazione alla Centrale Rischi?

Per sopperire a tale rischio e limare la sofferenza, il cliente ha una sola soluzione. Per richiedere la cancellazione potrà utilizzare il modulo online sul sito del CRIF e dovrà inviarlo via mail, fax o posta alla società. Il CRIF ha il dovere di effettuare la cancellazione dei dati che risultino positivi entro 90 giorni dalla tua richiesta.

Ma quanto dura la sofferenza?

Molti si chiedono quando poter mettere fine a questa sofferenza bancaria, attraverso l’impiego del CRIF.

In sostanza, possiamo dire che varia la durata della risoluzione della sofferenza previa segnalazione al Crif a seconda della gravità del ritardo. Ovvero, avremo un periodo di 12 mesi per ritardi relativi a 1 o 2 rate. Mentre un periodo di 24 mesi per ritardi relativi a 3 o più rate.

Per quanto riguarda invece la sofferenza segnalata alla Centrale Rischi abbiamo un altro quadro di sofferenza. Quindi, ad esempio la sofferenza in Centrale Rischi di Banca d’Italia dura finché il debito non è estinto o prescritto. I crediti della banca si prescrivono, di regola, entro 10 anni. Il termine decorre dalla chiusura del rapporto col cliente.

Questo è quanto vi fosse di più necessario ed immediato da sapere per poter mettere fine una volta per tutte alle vostre sofferenze bancarie.

Regime forfettario con più attività, come si calcola il reddito imponibile con diversi codici Ateco?

Uno dei quesiti più ricorrenti per chi voglia aprire un nuovo business riguarda la possibilità di svolgere più attività con la stessa partita Iva. In altre parole, è possibile che nella stessa partita Iva siano iscritti due differenti codici Ateco. L’informazione è particolarmente importante per il  calcolo del reddito imponibile ai fini del limite di fatturato necessario per chi rientri nel regime forfettario. Ma anche per l’applicazione della tassazione unica del 15%.

Apertura di partita Iva con più attività

In generale, già all’atto dell’apertura della partita Iva, il titolare può scegliere, nella compilazione del modello AA9\12, più codici Ateco corrispondenti a diverse attività. Per ogni codice alfanumerico verrà identificata la relativa attività che il titolare della partita Iva svolgerà. Le attività possono essere classificate come principali e accessorie. Uno degli esempi più ricorrenti è quello di un professionista che lavori a più attività professionali.

Più codici Ateco con la stessa partita Iva: il caso del forfettario

Anche i titolari di partita Iva rientranti nel regime forfettario hanno la possibilità di svolgere più attività, con diversi codici Ateco, ma devono prestare attenzione alle regole connesse alla corretta applicazione del limite di fatturato e al calcolo della base imponibile sulla quale verrà applicata l’imposta fissa sostitutiva del 15% (o del 5% per le nuove attività per un limite massimo di cinque anni).

Limite di fatturato unico per le partite Iva del forfettario

Il limite del fatturato è una delle condizioni necessarie per mantenere il regime forfettario della partita Iva. Per la stessa partita Iva con più codici Ateco (e dunque per più attività), dal 1° gennaio 2019 è necessario che il limite di fatturato all’anno sia unico per tutte le attività della partita Iva, indipendentemente dai codici Ateco riportati. Pertanto, i compensi o i ricavi ottenuti dalle varie attività devono avere il limite complessivo di 65.000 euro all’anno, il tetto previsto per le partite Iva aderenti al regime forfettario.

Limite di 65.000 euro per la somma delle attività di una stessa partita Iva

Ciò significa che è necessario calcolare i due o più fatturati derivanti dalle fatture emesse corrispondenti alle diverse attività e moltiplicarne, per ciascuno, il totale per il coefficiente di redditività previsto per ogni codice Ateco. Nel quadro Lm del modello Unico, il contribuente dovrà iscrivere tutte le attività esercitate con i rispettivi codici Ateco e i fatturati conseguiti. La somma dei fatturati, che determina il guadagno totale, non dovrà essere superiore ai 65.000 euro.

Quadro LM modello Unico, quando le attività della partita Iva vanno inserite nello stesso rigo

Nel caso di più codici Ateco corrispondenti a un’unica partita Iva, si dovranno fare alcune distinzioni. In primis, per più attività dello stesso settore, è richiesta l’iscrizione di un unico rigo con il codice Ateco dell’attività stessa. Il totale dei compensi o guadagni conseguiti dovrà andare nello stesso rigo, in quanto anche se trattasi di differenti codici Ateco, le varie attività avranno lo stesso coefficiente di redditività e dunque non si creerebbe la possibilità di confusione. Ad esempio, il commerciante all’ingrosso che è anche commerciante ambulante di prodotti alimentari e di bevande ha, per le due attività, lo stesso coefficiente di redditività pari al 40%.

Stessa partita Iva con due o più attività rientranti in settori diversi: cosa fare

Diverso è il caso di una partita Iva nella quale siano iscritti più codici Ateco con attività appartenenti a diversi settori. È il caso, ad esempio, del commerciante che è anche professionista. Per queste situazioni, è necessario compilare un rigo per ogni gruppo di settore di attività. Pertanto, il commerciante che è anche professionista dovrà compilare due righe nel quadro LM del modello Unico, corrispondenti alle due attività rientranti nei diversi settori.

Calcolo reddito imponibile per più attività di diversi settori: un caso concreto

Il reddito imponibile da calcolare da diversi codici Ateco rientranti in diversi settori della stessa partita Iva, dovrà dunque essere quantificato in maniera esatta considerando i diversi coefficienti di redditività. Ad esempio, un contribuente con partita Iva aderente al regime forfettario con due codici Ateco corrispondenti a diverse attività, una del commercio e l’altra di consulenza, dovrà calcolare due basi imponibili sulle quali applicare un diverso coefficiente.

Imponibile partita Iva con più codici Ateco

Ammettiamo che dall’attività di commercio, il contribuente abbia ricavato 40.000 euro nell’anno di riferimento, e dall’attività di consulenza 20.000 euro. La somma di quanto guadagnato nell’anno (60.000 euro) permette al contribuente di mantenere la partita Iva con regime forfettario. Ciò avviene perché non è stato superato il limite del 65.000 euro previsto per tutte le attività. Tuttavia, il calcolo della base imponibile dovrà essere diversificato in quanto per le due attività sono previsti due coefficienti di redditività diversi. Per la prima attività è del 40% di coefficiente di redditività, mentre per quella di consulenza è del 78%. Pertanto la base imponibile dell’attività di commercio sarà 40.000 x 40% = 16.000, quella per l’attività di consulenza sarà di 20.000 x 78% = 15.600 euro.

Determinazione del reddito netto tra più attività

Al netto delle specifiche regole delle due diverse casse di previdenza, quella dei commercianti e quella dei professionisti, si dovrà procedere con la determinazione del reddito netto. Pertanto, dalla somma delle due basi imponibili andranno dedotti i contributi previdenziali obbligatori. Al reddito imponibile ottenuto, dovrà essere applicata la percentuale unica del 15% (o del 5% per le nuove attività) che costituisce l’ammontare di tasse da pagare per la partita Iva.

Certificato camerale: a cosa serve e la differenza con la visura camerale

Il certificato camerale contiene tutte le informazioni di un’impresa certificata dalla Camera di Commercio. Quest’ultima è autorizzata a rilasciarlo su carta filigranata sul quale è apposto il bollo che ha la funzione di attestare la validità del documento assolvendo ai diritti di segreteria. Qui di seguito, sarà possibile capire cos’è il certificato camerale, a cosa serve e quali sono le differenze con la visura camerale.

Cos’è il certificato camerale

Dunque, il certificato camerale dell’impresa attesta l’iscrizione di questa nel Registro delle Imprese tenuto dalla Camera di Commercio. Le informazioni contenute nel documento sono di carattere giuridico ed economico, è legalmente valido per sei mesi dalla data di rilascio.

Esistono diversi tipi di certificato camerale: ordinario, storico, artigiano e di Vigenza. Diamo uno sguardo a cosa rappresentano.

Il certificato camerale ordinario attesta l’iscrizione dell’impresa all’interno del Registro delle Imprese della Camera di Commercio italiana. E’ come una visura camerale certificata contenente tutti i dati dell’impresa.

Il certificato camerale storico racchiude in sé in tutti i dettagli di un’impresa a partire dalla sua costituzione, quindi, con tutte le modifiche apportate nel corso del tempo ad esclusione dell’anno fiscale in corso.

Il certificato camerale artigiano rappresenta una raccolta di tutte le informazioni di un’impresa di artigianato, relativamente all’iscrizione, all’attività, ai titolari e al numero albo.

Il certificato camerale di Vigenza attesta che l’azienda non è soggetta a procedura fallimentare, liquidazione amministrativa coatta o amministrazione controllata o straordinaria. Questo tipo di documento è richiesto per la partecipazione alle gare di appalto, per i rimborsi delle tasse, per la concessione di mutui e finanziamenti e per verificare l’affidabilità della ditta.

Certificato camerale: a cosa serve

Il certificato camerale serve ad attestare l’iscrizione dell’impresa alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIAA) con valore legale. Serve a rilevare la presenza di procedure concorsuali per richieste di finanziamento, fusioni societarie, richieste particolari e di vario genere.

Ma quali sono le procedure concorsuali? La verifica di uno stato d’insolvenza dell’impresa commerciale o di uno stato di fallimento. Se è in liquidazione coatta amministrativa o se è sottoposta ad amministrazione controllata.

In parole semplici, dal contenuto del certificato camerale si evince lo stato più o meno sano di un’impresa commerciale, ma anche la sua situazione a livello legale. In casi specifici, l’impresa può anche chiedere il certificato di assenza procedure concorsuali.

Certificato camerale e visura camerale: differenza

La differenza tra il certificato camerale e la visura camerale consiste nel valore legale detenuto solo dal primo documento che, quindi, è anche opponibile a terzi. Il secondo, oltre a non avere valore legale ha una validità non prestabilita. Inoltre, il certificato non può essere rilasciato su carta semplice come accade per la visura, ma solo filigranata e con relative marche da bollo: entrambe le peculiarità hanno proprio la funzione di dare valore legale al documento certificato.

Un’altra differenza è data dal contenuto: il certificato camerale rispetto alla visura camerale, non riporta la partita IVA dell’impresa, il codice ATECO, la certificazione di qualità e attestazione SOA, scadenza dell’esercizio economico, numero di addetti, domicilio/residenza dei soggetti aventi cariche/qualifiche. Ma è anche vero, che in più, riporta maggiori dati sull’assenza di procedure concorsuali.

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Richiesta del certificato camerale

Per ottenere il certificato camerale ci si può recare presso la propria Camera di Commercio. Oppure si può inoltrare la richiesta per via telematica attraverso vari portali autorizzati, la ricezione del documento online avverrà nel giro di pochi minuti via mail e con tutti i diritti assolti.

Ad esempio, accedendo al sito registroimprese e utilizzando come sportello online il servizio Telemaco, scegliendo quale tipologia di certificato camerale si vuole ottenere. Per acquistarlo si deve essere muniti di carta filigranata su cui stamparlo e della relativa marca da bollo da apporre sul documento certificato.

Presso la Camera di Commercio è possibile reperire le contromarche olografiche che variano a seconda del tipo di certificato.

Quelle “oro” sono utilizzate per il certificato camerale ordinario o d’iscrizione; quelle “argento” per il certificato storico. Infine, le contromarche “rame” vengono usate per quello artigiano.

E’ lo stesso certificato camerale a indicare il numero e il valore delle marche da bollo da applicare per l’attestazione del pagamento della relativa imposta obbligatoria.

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Che significa crediti passati a perdita?

Quando la riscossione dei crediti non è certa, da parte di banche e società finanziarie, questi vengono definiti come crediti in sofferenza. E questo quando il debitore si trova in una situazione tale da non poter onorare gli impegni presi contrattualmente, per esempio, con la stipula di un mutuo o con l’accensione di un prestito.

Quando invece i crediti già in sofferenza non sono più recuperabili, allora si utilizza un’altra definizione. In tal caso, infatti, si parlerà di crediti passati a perdita. Ecco allora quali sono tutti gli aspetti e le caratteristiche per i crediti passati a perdita, cosa succede e quali sono i rischi e le conseguenze per chi ha concesso il credito, e per chi invece non è riuscito a pagare il debito in tutto o magari solo in parte.

Cosa succede e che fine fanno i crediti che sono passati a perdita?

Quando il credito da in sofferenza passa a perdita, questo significa che l’intermediario, la banca o la società finanziaria, non è più in grado di recuperarlo. Con la conseguenza che, tecnicamente, il rapporto di credito tra le parti, ovverosia tra chi ha concesso il credito e chi lo ha ricevuto, si estingue in maniera anomala.

E questo perché la banca o la società finanziaria dall’operazione ha subito una perdita, mentre per chi ha ricevuto il credito, senza ripagare il debito, in futuro sarà difficile se non impossibile, specie nel breve termine, riuscire ad accedere di nuovo al credito attraverso la stipula di mutui, di prestiti e di finanziamenti spesso anche se questi risultano essere coperti da garanzie reali.

Incubo Centrale dei Rischi per le famiglie e per le imprese insolventi

Quando le famiglie e le imprese sono insolventi, o comunque il credito loro concesso non è passato a perdita, ma è in sofferenza e quindi solo di dubbia riscossione, scatterà inevitabile e inesorabile la segnalazione e l’inserimento nella CR, ovverosia nella Centrale dei Rischi che è una base di dati che è gestita dalla Banca d’Italia.

La base di dati, in particolare, è alimentata proprio dalle banche e dalle società finanziarie. Ma quando un cliente che accede al credito è segnalato nella CR? Al riguardo c’è da dire che la segnalazione in Centrale Rischi scatta solo quando l’importo che il cliente deve restituire, sia questo un’impresa o un privato cittadino, risulta essere pari o superiore alla soglia dei 30.000 euro. Pur tuttavia, se il credito concesso al cliente è in sofferenza, allora la soglia di segnalazione nella Centrale dei Rischi crolla ad appena 250 euro.

E se il cliente bancario, pur tuttavia, è segnalato in CR ritenendo che ci sia un errore, cosa fare? Al riguardo, in caso di problemi o di contestazioni relative proprio alla segnalazione nella Centrale dei Rischi, il cliente prima di tutto può inviare un reclamo direttamente all’intermediario bancario o finanziario. Ed eventualmente il cliente può pure rivolgersi al giudice ordinario, oppure può optare per sistemi di risoluzioni stragiudiziali delle controversie. E questo avviene, nel caso specifico, rivolgendosi all’ABF che è l’Arbitro Bancario Finanziario.

Cosa possono fare le società di recupero crediti?

Le società di recupero crediti rappresentano l’incubo di molti italiani che non sono riusciti e non riescono a pagare un debito contratto. Queste agenzie ricevono spesso l’incarico da imprese e banche di riscuotere per loro conto dei crediti insoluti in modo totale o parziale.

Nella maggior parte dei casi, le agenzie di recupero crediti hanno a che fare con bollette non pagate, con prestiti e mutui non restituiti. Il guadagno di tali società, solitamente corrisponde a una percentuale del credito recuperato presso il debitore.

Società di recupero crediti: perché vengono incaricate?

Molti soggetti che vantano un credito, si rivolgono alle società di recupero crediti in quanto uno o più tentativi di riscossione sono andati vani, di conseguenza non vogliono rischiare di perdere ulteriore tempo per esigere il credito, magari con il dubbio di non riuscire a recuperarlo. In altri casi, il creditore deve sostenere costi elevati per recuperare un credito e preferisce affidarsi alle agenzie di recupero crediti.

Le società di recupero crediti hanno a disposizione strumenti e strategie mirate allo svolgimento del loro compito, motivo per cui hanno una maggiore possibilità di successo nella riscossione presso il debitore, impiegando minori risorse economiche e in un tempo inferiore.

Cosa possono fare le agenzie di recupero crediti: le indagini

La prima mossa di una società di recupero crediti consiste nel contattare il debitore per sollecitare il pagamento della somma di denaro dovuta. Ma può anche decidere di intraprendere un’indagine patrimoniale tramite vari canali, allo scopo di conoscere quali sono i redditi percepiti e i beni di cui è in possesso il debitore, specie nel caso in cui si tratta di riscuotere un credito importante.

Le investigazioni messe in atto dalle agenzie di recupero crediti servono ad accertare il domicilio e la residenza del debitore, il luogo e il tipo di lavoro che svolge, fino a scoprirne la retribuzione per poter eventualmente pignorare un quinto dello stipendio.

Le società di recupero crediti possono richiedere informazioni presso gli istituti previdenziali per sapere se possono intervenire su eventuali redditi di pensioni o rendite. In alcuni casi, si spingono all’accertamento svolto presso istituti finanziari, banche ed enti postali, al fine di scoprire l’esistenza di conti correnti, libretti e depositi.

Le agenzie di riscossione del credito possono anche ricevere informazioni dall’Agenzia delle Entrate e dagli Uffici del Catasto, nonché dalla Conservatoria dei beni immobiliari per conoscere quali sono gli immobili di proprietà del debitore. Lo scopo è di valutare la possibilità di pignorare dei beni per la successiva vendita all’asta e per venire a conoscenza dell’importo dei redditi del debitore.

Solleciti e pignoramenti

Indagini e investigazioni sopra descritte, servono alle società di recupero crediti per avere un quadro esaustivo della situazione finanziaria, patrimoniale e reddituale del debitore, per la messa in atto della migliore strategia possibile.

Inizialmente, tali agenzie devono contattare il debitore e poi inviare una lettera di sollecito, ma possono anche provare a contrattare con egli attraverso contatti telefonici o recandosi al suo domicilio. Se le trattative non avessero esito positivo, le società di recupero crediti possono procedere con un pignoramento dei beni finalizzato a soddisfare il credito del proprio cliente.

Cosa non possono fare le società di recupero crediti

Purtroppo, esistono delle agenzie di recupero crediti non professionali, che tendono sistematicamente ad adottare una strategia illecita verso il debitore. Non è raro imbattersi nella ricezione di telefonate ripetute e dai toni minacciosi e poco rispettosi. In taluni casi, gli operatori che contattano il debitore non indicano le proprie generalità né la società per la quale lavorano, tanto meno possono presentarsi come creditori.

Il Garante della privacy tutela il debitore che viene contattato in orari insoliti e con una frequenza fuori dal normale. Se un agente di una società di recupero crediti si presenta alla porta, il debitore non è tenuto ad aprire, in quanto non si trova davanti a un ufficiale giudiziario. E’ fatto divieto anche di lasciare avvisi o cartelli presso il domicilio del debitore.

L’agenzia di recupero crediti che agisce tramite minacce e offese personali, può andare incontro al risarcimento del danno nei confronti del debitore o in casi estremi, come per le minacce fisiche, a un reato penale.

Il debitore può anche registrare la telefonata avvenuta con la società recupero crediti.

Cosa può fare il debitore

A seguito delle iniziative intraprese dalle agenzie di riscossione del credito, il debitore può cercare di trovare un accordo con esse per ridurre l’importo del debito o per ottenere una rateizzazione dello stesso più adeguata alla propria situazione finanziaria.

In molti casi, il debitore può trovarsi in difficoltà a causa di strategie aggressive, anche se non propriamente scorrette, messe in atto da un’agenzia di recupero crediti. In tal caso, la mossa migliore è quella di affidarsi a un esperto del settore per ricevere la giusta assistenza, al fine di contrattare al meglio con la società di riscossione del credito.