Sottrazioni dati aziendali, cosa rischia il dipendente?

E’ lecito sottrarre dati aziendali, se si è dipendenti con accesso ai computer dell’azienda? Cosa si può rischiare in caso di illecito? Queste sono le principali domande a cui daremo risposta in questa rapida guida.

Dati aziendali: sottrarli è reato?

Spesso si ha accesso ai computer aziendali, per poter lavorare, ma questo non rende lecito poter immagazzinare i dati in essi presenti.

La sottrazione di dati aziendali da parte del dipendente è, pertanto considerato, un reato ed a dichiararlo a gran voce è stata diverse volte la giurisprudenza della Cassazione.

Infatti, una recente sentenza della Corte Suprema si è occupata di un caso simile. Nello specifico, un dirigente con mansioni di direttore commerciale, dopo aver dato le dimissioni, aveva restituito il pc aziendale, non prima di aver asportato e poi cancellato il relativo contenuto: ovvero dati lavorativi contenenti e-mail e numeri di telefono dei clienti, informazioni su prodotti e metodi di produzione.

La società datrice, con un intervento tecnico sull’hard disk del pc, aveva recuperato taluni dati cancellati, tra cui una password personale del dirigente, attraverso la quale aveva potuto poi accedere a messaggi privati del dirigente stesso. Da tale corrispondenza aveva scoperto che quest’ultimo si era appropriato di informazioni riservate contenute nel pc aziendale, per metterle in divulgazione all’esterno. L’ex dipendente ha così dovuto affrontare un lungo processo per difendersi da una domanda di risarcimento danni. 

Cosa rischia il dipendente?

Ma, quindi, appurato che non è lecito immagazzinare dati riservati dai computer aziendali, cosa va a rischiare il dipendente che cade in tentazione e commette tale reato?

Possiamo anche qui ricorrere alla Cassazione.

Difatto, a causa di un precedente, la Cassazione ha stabilito che il dipendente che scarica dei dati contenuti nel pc aziendale, anche se esso è in sua dotazione, e se ne appropri per ottenerne un vantaggio personale commette il reato di appropriazione indebita. 

A parte questo, il dipendente che sia legato da un patto di non concorrenza potrebbe essere citato per il risarcimento del danno conseguente a questo specifico utilizzo qualora finalizzato a costruire una propria rete di clientela. Nel caso in cui il rapporto di lavoro invece è ancora in essere, il divieto di concorrenza non necessita neanche dell’esistenza del patto di non concorrenza e si va ad incorrere nel licenziamento per giusta causa.

Come avere le prove del reato?

Ovviamente, ci resta da chiedere come riesca l’azienda di lavoro a comprendere che c’è stata la cancellazione o il download dei dati dal pc aziendale?

Sempre, secondo la Cassazione, l’azienda per provare la condotta può produrre documenti personali, ad esempio le e-mail e i messaggi recuperati dallo stesso pc in uso al dipendente. Non si tratta di dati coperti da privacy. Si tratta però di controlli difensivi sempre ammessi. Senza considerare che il Jobs Act, ovvero la riforma dello Statuto dei Lavoratori attuata nel 2015, consente al datore di controllare gli strumenti aziendali dati in uso ai dipendenti (come ad esempio tablet, pc, telefoni) a patto che gli stessi ne siano stati informati.

L’informativa non è invece necessaria, nel caso di controlli difensivi, cioè quando l’azienda, avendo dei fondati sospetti di irregolarità della condotta del proprio dipendente, debba procurarsi le prove dell’illecito.

Questo è quanto vi fosse, dunque di più utile ed esaustivo da sapere in merito alla questione annosa che potrebbe, talvolta vedere dipendenti poco disciplinati nel sottrarre dati sensibili alla propria azienda. Una cosa che, dunque, è bene non fare.

 

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Appassionato di scrittura, ho collaborato per diverse testate online tra le quali ricordiamo BlastingNews.com e NotizieOra.it. Ama cinema e scrittura, fin dalla tenera età, studia recitazione e consegue una formazione attoriale nei teatri off partenopei.