Come si va in pensione per le partite Iva o per i lavoratori autonomi in genere è una domanda frequente. La stragrande maggioranza dei siti, dei media e di chi in genere si occupa di dare informazioni sulla previdenza, non risponde a questa domanda come se le partite Iva fossero una inezia.
Certo, la verità è che i lavoratori dipendenti sono molti di più degli autonomi, ma parliamo comunque di uno spaccato importante della società italiana. Per questo oggi cerchiamo di dare una risposta ai frequenti dubbi che riguardano le regole previdenziali per le partite Iva, cioè le regole di pensionamento del lavoratore autonomo.
Come i lavoratori dipendenti, anche i titolari di partita IVA e quindi i lavoratori autonomi hanno diritto a vedersi erogata la pensione di vecchiaia, al raggiungimento di una determinata età e di una altrettanto determinata soglia di contribuzione versata. Nello specifico:
Per chi ha avviato una attività dopo il 1995, e non ha contributi previdenziali antecedenti il primo gennaio 1996 (anche da dipendente, figurativi e così via), può accedere alla pensione anticipata contributiva, che prevede:
In assenza dei requisiti prima citati, la pensione di vecchiaia si centra, per chi ha inziiato a versare dopo il 1995, con:
Anche la pensione anticipata è una misura che riguarda i titolari di partita Iva e i lavoratori autonomi in genere. La pensione anticipata che dal 2012 ha sostituito (con la riforma Fornero) le pensioni di anzianità, non prevede limiti di età e si centra con:
Per chi ha completato nel 2021 sia i 62 anni di età che i 38 anni di contributi versati, resta ancora lo scivolo di quota 100, per via della cristallizzazione del diritto. Anche per le autonome, cioè per le donne lavoratrici c’è la possibilità di accedere al Regime contributivo donna, meglio conosciuto come opzione donna. Rispetto alle lavoratrici dipendenti, le autonome escono con un anno di ritardo come età anagrafica e con una finestra di attesa di 18 mesi e non di 12. L’opzione donna per le autonome si centra con:
La pensione con opzione donna anche per le autonome è calcolata interamente con il penalizzante sistema contributivo.
Ad esclusione dei liberi professionisti iscritti ad ordini e collegi, anche ai lavoratori autonomi si applica l’agevolazione dell’Ape sociale. Dal punto di vista dei requisiti l’Ape sociale prevede:
Per i disoccupati quindi, bastano 63 anni di età e 30 anni di contribuzione purché la disoccupazione fuoriesca a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di conciliazione obbligatoria. Dentro pure i disoccupati a seguito di scadenza di un contratto a termine a condizione che nei tre anni precedenti la cessazione del rapporto, abbiano avuto periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi. Per il 2022 è venuto meno il vincolo dei tre mesi di margine dall’ultima Naspi percepita.
Ape sociale anche per gli autonomi se caregivers. Si tratta di coloro che, sempre centrando prima il doppio requisito anagrafico-contributivo, al momento della richiesta di Ape sociale risultino soggetti che prestano assistenza da almeno sei mesi ad un disabile tra:
Inoltre Ape sociale pure per gli invalidi con 63 anni di età almeno e con non meno di 30 anni di contributi versati a condizione che siano riconosciuti disabili con almeno il 74% di invalidità.
Infine, non collegata al lavoro autonomo, resta la possibilità di accedere all’Ape sociale come lavoro gravoso, con le nuove attività introdotte quest’anno che hanno aumentato considerevolmente la platea dei beneficiari. Stessi beneficiari e quindi, caregivers, invalidi disoccupati e lavori gravosi (ma solo per le 15 attività previste fino al 2021) per la pensione con quota 41. Servono i seguenti requisiti:
Se nel lavoro dipendente il versamento dei contributi è a carico del datore di lavoro, per l’autonomo il versamento è a suo carico.
In genere si versano due tipologie di contributi per il commerciante o per l’artigiano, che sono:
I primi sono quelli fissi, obbligatori per legge. Li stabilisce l’Inps ogni anno con tanto di circolare esplicativa. In genere si versano ogni trimestre. Quelli eccedenti il minimale invece si calcolano in percentuale sul reddito del lavoratore autonomo e sulla parte che ha superato il minimale.
Ad esclusione di commercianti e artigiani per gli altri lavoratori autonomi si deve calcolare l’aliquota del 25,72% da versare annualmente sul reddito prodotto. Va ricordato che di questa aliquota lo 0,72% riguarda le coperture assistenziali per eventuali periodi di malattia, maternità e assegni.
Le regole di calcolo della pensione per commercianti ed artigiani sono assai semplici. Si parte dal 2% di reddito pensionabile per ogni anno di contribuzione e si somma ciò che esce ogni anno con tanto di rivalutazione e coefficienti di trasformazione. In pratica, in maniera semplicistica, si percepisce di pensione l’80% del reddito medio pensionabile prodotto con 40 anni di contributi versati, cos’ come si percepisce il 40% con 20 anni e così via.
In genere sia commercianti che artigiani versano ogni anno qualcosa come 3.550 euro circa in 4 rate trimestrali. Va ricordato che per gli autonomi il calcolo della pensione è basato sull’anzianità contributiva massima di 40 anni.
I contributi pensionistici dei titolari di partita IVA valgono un anno ai fini previdenziali solo se è stata versata una contribuzione annua non inferiore a quella calcolata sul minimale di reddito. Una sottolineatura questa che riguarda per esempio gli autonomi che aderiscono al regime forfettario, e quindi versano contributi pari al 65% di quelli normalmente dovuti.
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