Entro il 2 agosto 2022 l’Italia, insieme ad altri Paesi Membri dell’Unione Europea, è tenuta a dare attuazione alla direttiva UE 2019/1152. Per rispettare i termini il 13 aprile 2022 è stato pubblicato lo schema di decreto legislativo per l’attuazione della direttiva in oggetto. Lo stesso prevede una serie di tutele per i lavoratori e in particolare delle norme specifiche per i lavoratori occasionali e precari. Ci soffermeremo proprio su queste norme.
La prima norma da tenere in considerazione è contenuta nell’articolo 5 del decreto legislativo, questo stabilisce che nei contratti di lavoro occasionale il datore di lavoro deve inviare al lavoratore una copia della dichiarazione comunicata all’INPS. La consegna della copia può avvenire in forma cartacea o elettronica. La consegna deve avvenire prima dell’inizio della prestazione lavorativa. In caso di mancato adempimento è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria di ammontare compreso tra 250 euro e 1500 euro.
Al fine di non esporre il lavoratore a eccessiva insicurezza circa il futuro, l’articolo 7 dello schema di decreto legislativo prevede che i periodi di prova abbiano una durata ragionevole, da calcolare in base anche alla tipologia di mansione da svolgere. La direttiva dell’Unione Europea prevede un periodo massimo di prova di 6 mesi (già previsto anche nel nostro codice civile) e in caso di contratto a tempo determinato la durata massima del periodo di prova deve essere stabilita tenendo in considerazione anche la durata del contratto. Nel caso in cui il lavoratore per un periodo di prova sia stato assente, ad esempio per malattia, è possibile prolungare la durata della prova stessa.
L’articolo 9 dello schema si occupa di una particolare tipologia di contratto di lavoro precario, cioè il lavoro a chiamata e contratto di lavoro somministrato. Si tratta di contratti che hanno caratteristiche molto particolari, infatti spetta al datore di lavoro stabilire quando ha bisogno della prestazione. Non è predeterminato l’orario di lavoro o la sua collocazione temporale. In questo caso la nuova normativa prevede che il contratto debba indicare dei termini di prevedibilità minima della prestazione. In particolare nel contratto devono essere indicati orari e giorni in cui è prevedibile che possa avvenire la prestazione. Al lavoratore deve anche essere concesso un ragionevole periodo di preavviso in cui il lavoratore deve essere avvisato che c’è bisogno della sua prestazione, ad esempio con 24 ore di anticipo.
Qualora uno dei due requisiti non sia rispettato, cioè il contratto non preveda indicazioni temporali di massima circa il bisogno delle prestazioni oppure non dia congruo preavviso, il lavoratore può rifiutare la prestazione senza subire conseguenze negative. Questo vuol dire che il rifiuto della prestazione non deve pregiudicare la possibilità che lo stesso lavoratore sia successivamente chiamato a fornire le sue prestazioni.
Inoltre l’articolo 9 stabilisce che in revoca dell’incarico già affidato il lavoratore abbia diritto a un congruo compenso per il mancato guadagno.
L’articolo 10 dello schema di decreto legislativo promuove invece la transizione verso forme di lavoro maggiormente stabili. Prevede che il lavoratore al termine di 6 mesi di servizio non continuativo possa chiedere la trasformazione del contratto di lavoro in un impiego maggiormente stabile. Il datore di lavoro può rifiutare tale proposta ma deve fornire al lavoratore una risposta motivata entro un mese.
Il lavoratore può nuovamente chiedere la transizione verso forme più stabili al decorrere di ulteriori 6 mesi di servizio.
Queste disposizioni non trovano però applicazione in caso di lavoratori marittimi, del settore pesca, ai lavoratori domestici e ai lavoratori alle dipendenze pubbliche.
Queste sono solo alcune delle novità introdotte dalla direttiva 2019/1152. Per ulteriori informazioni leggi, l’articolo: Tutela dei lavoratori: nuove regole con la direttiva 2019/1152
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