Le criptovalute sono monete digitali di cui ormai si sente parlare quotidianamente e tra chi ritiene che siano una truffa e chi invece ritiene siano un investimento molto remunerativo, in pochi si chiedono: Ma le criptovalute devono essere indicate nella dichiarazione dei redditi? Ecco la risposta.
Le criptovalute, tra cui la più conosciuta è il bitcoin, sono monete virtuali sottratte al controllo da parte delle banche centrali, si tratta di una sorta di realtà parallela e virtuale che di fatto ha generato molti guadagni e si sa che i guadagni sono sempre tassati. Naturalmente per tassarli è necessario che gli stessi siano dichiarati.
Le criptovalute devono essere dichiarate ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 167 del 1990. L’articolo in oggetto stabilisce che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate residenti in Italia e che nel periodo di imposta detengono investimenti o attività finanziarie all’estero suscettibili di produrre redditi imponibili devono dichiararli nella dichiarazione dei redditi. Deve essere sottolineato che la dichiarazione deve essere fatta anche nel caso in cui tali investimenti non abbiano prodotto guadaghni, in questo caso naturalmente non vi sarà tassazione ma sussiste l’obbligo di dichiarare e ciò anche in virtù della lettera dell’articolo 4 citato che parla di “attività finanziarie all’estero suscettibili di produrre redditi imponibili“.
Le attività devono essere dichiarate nel riquadro RW della dichiarazione dei redditi. Trattandosi di redditi diversi è possibile anche compensare eventuali perdite con lo strumento dello zainetto fiscale. Eventuali guadagni prodotti sono tassati al 26%.
Per avere maggiori informazioni sullo zainetto fiscale, leggi la guida: Zainetto fiscale: cos’è e quali vantaggi porta a chi fa investimenti finanziari
Deve essere sottolineato che ad oggi sono numerose le persone che sottovalutano l’obbligo dichiarativo e di fatto rischiano pesanti sanzioni. La normativa stabilisce che chi non dichiara strumenti finanziari detenuti all’estero rischia una sanzione dal 3% al 15% del valore detenuto. Se gli strumenti finanziari sono detenuti in Paesi facenti parte delle black list la sanzione è più elevata e va dal 6% al 30%. Se la moneta virtuale genera un reddito annuale superiore a 50.000 euro, il rischio è che ci sia una condanna alla reclusione.
Per conoscere i Paesi facenti parte della black list, leggi l’articolo: Fiscalità privilegiata: I Paesi della Black List e della White List
Le attività di controllo della Guardia di Finanza sulle criptovalute sono già in corso e saranno intensificate nei prossimi mesi e questo perché le attività di investimento in tali settori ricadono nel contrasto ai fenomeni di riciclaggio. Tale attività riceverà inoltre il supporto del Registro degli Operatori in criptovalute istituito in Italia nel 2022 e che entrerà a tutti gli effetti in vigore dal 18 maggio.
Per effetto della nuova normativa gli operatori che intendono offrire in Italia i servizi relativi all’utilizzo di moneta virtuale o che intendono operare online anche in Italia devono iscriversi nella sezione speciale del Registro dei Cambiavalute tenuto presso l’OAM (Organismo degli Agenti e Mediatori). L’OAM è tenuto a collaborare con il Ministero delle Finanze, le autorità di vigilanza del settore, con la direzione nazionale Antimafia e antiterrorismo, con le forze di polizia e con tutti i soggetti che intervengono nella repressione dei reati fornendo loro informazioni.
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