La Corte di Cassazione con la sentenza 28468 del 2022 ha posto un pilastro fondamentale al rapporto tra professionista e cliente statuendo che il professionista che trattiene per sé il denaro del cliente deve sottostare alla radiazione dall’albo.
In seguito ad alcuni esposti presentati dai clienti a carico di un avvocato romano, il Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) prima e il Consiglio Nazionale Forense hanno provveduto alla radiazione dall’albo dell’avvocato, tale decisione è stata confermata dalla Corte di Cassazione. Il comportamento imputato al professionista è l’appropriazione di somme a lui affidate in deposito fiduciario in alcun i casi per formalizzare l’acquisto di un immobile, operazioni poi mai compiute, in altri casi si trattava di somme oggetto di esecuzione forzata.
Il Consiglio Distrettuale di Disciplina ha ritenuto provato oltre ogni ragionevole dubbio tale comportamento, infatti il professionista non aveva utilizzato le somme per lo scopo stabilito con i clienti e non aveva più restituito le stesse. L’incolpato è ritenuto non meritevole di far parte dell’ordine forense in quanto ha pregiudicato l’affidamento che il cliente dovrebbe poter avere nei confronti del professionista e ha compromesso la credibilità dell’intero ceto forense.
L’avvocato si è quindi rivolto al CNF ottenendo lo stesso risultato e infine alla Suprema Corte. Il professionista in particolare punta la sua difesa sulla prescrizione avvenuta per il reato di appropriazione indebita. La Corte di Cassazione, oltre a sottolineare che in realtà non vi è stata la prescrizione, ribadisce che l’illecito disciplinare pone una sanzione all’alterazione del rapporto fiduciario derivante dalla violazione di norme di legge e del codice deontologico.
Tale alterazione si protrae per tutta la durata del rapporto, non si esaurisce al momento della commissione dell’illecito, cioè al momento dell’appropriazione, ma si protrae fino al momento della mancata restituzione in seguito al mancato adempimento dell’obbligazione iniziale. La condotta nel caso in esame si inserisce in un rapporto contrattuale di durata.
La condotta non si esaurisce quindi nella percezione della somma, ma dura e “ricomprende il comportamento, protrattosi nel tempo, consistente nell’avere l’avvocato mantenuto nella propria disponibilità un importo che, invece, avrebbe dovuto essere immediatamente consegnato al cliente” oppure essere utilizzato come da disposizioni contrattuali tra le parti.
La Suprema Corte affermando la mancata prescrizione intervenuta sul fatto, passa a valutare la legittimità della grave sanzione applicata dal CDD e confermato dal Consiglio Nazionale Forense e sottolinea che la motivazione addotta al provvedimento adottato “è esente da contraddittorietà interna e non risulta meramente apparente”.
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