L’Ue ha adottato il Regolamento F-Gas che ha l’obiettivo di ridurre emissioni di gas fluorurati a effetto serra. Ciò potrebbe influire sull’installazione di condizionatori e pompe di calore e secondo le stime fatte in almeno 8 case su 10 non sarà possibile installarli. Si prevedono inoltre aumenti dei prezzi fino al doppio. Ecco cosa prevede il Regolamento F-Gas per i condizionatori.
A lanciare l’allarme sulle nuove regole per i condizionatori è Gabriele Di Prenda, manager di Daikin Italia ed esperto di F-gas, a lui si aggiunge Assoclima, l’associazione dei costruttori dei sistemi di climatizzazione. Entrambi propongono di affiancare agli attuali gas in uso, gas naturali senza però andare a precludere la possibilità di installazione dei modelli attualmente in commercio visto che le aziende del settore sono leader in tutto il mondo.
Il nuovo Regolamento UE F-Gas prevede che per il funzionamento dei climatizzatori siano utilizzati solo gas naturali, come il propano e l’ammoniaca, sottolinea Assoclima che il propano essendo a rischio eplosione– incendio mette a rischio la sicurezza, mentre l’ammoniaca è potenzialmente tossica. A ciò si aggiunge che questi due gas naturali sono vietati in strutture come ospedali, hotel, cinema, spazi pubblici e di conseguenza vi è l’esigenza di provvedere a sistemi alternativi per la climatizzazione di questi ambienti.
L’allarme di Daikin riguarda anche i posti di lavoro, infatti si potrebbero perdere fino a 100.000 posti con una forte ricaduta anche sul Pil nazionale. Tra le ombre della normativa vi è il fatto che il divieto previsto dal Regolamento F-Gas non consentirebbe neanche di effettuare la produzione per l’esportazione in Paesi Extra Ue dove è ancora possibile installare climatizzatori/condizionatori che funzionano con gas che sarebbero vietati in Ue.
Questo implica che sebbene una forte domanda di produzione italiana arrivi proprio dall’estero, non si potrà rispondere a questa domanda. Di conseguenza ci sarà un vantaggio per i produttori americani e cinesi che occuperebbero quello spazio vuoto lasciato dalle produzioni dall’Ue e in particolare dall’Italia.
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