ULTIM’ORA ENAC, terrore in volo: sventrata la fusoliera a 26mila piedi di quota | Passeggeri sopravvivono a -45 gradi, un incubo

Aereo- foto di Roland Mey da Pixabay-Infoiva
Durante questo volo c’è stato un attimo in cui il rumore dei motori si è fuso con il vento gelido e con il terrore che ha preso il sopravvento.
Un istante di disastro e di adrenalina pura. E se tutto questo accadesse a 26.000 piedi, con un’enorme squarcio aperto sulla tua testa?
Questa è la storia di un volo che non doveva finire, di un equipaggio che ha lottato con tutte le forze contro l’impossibile e di passeggeri che hanno visto la morte in faccia per poi abbracciare la vita.
Un’odissea che ha segnato per sempre la storia dell’aviazione.
Horror ad alta quota
Il 28 aprile 1988, il volo 243 della Aloha Airlines decollò dalle Hawaii per un volo di routine. Ma a soli 23 minuti dal decollo, a un’altitudine di 26.000 piedi, l’incubo divenne realtà. Senza alcun preavviso, un’enorme sezione della fusoliera, quasi 35 metri quadrati, si staccò dal Boeing 737. Il tetto sopra le prime sei file svanì, scoperchiando l’aereo. L’impatto fu devastante: la cabina subì una decompressione esplosiva, e la violenza dell’evento scardinò persino la porta della cabina di pilotaggio. In un tragico istante, uno degli assistenti di volo venne risucchiato fuori dall’aereo, scomparendo nel vuoto.
I passeggeri delle file anteriori furono proiettati in un inferno di venti gelidi a -45 °C che superavano i 500 km/h. Eppure, in mezzo al caos e al terrore, l’abilità del comandante fu la sola cosa a non cedere. Con un’incredibile calma e sangue freddo, riuscì a mantenere il controllo del velivolo e a iniziare una discesa d’emergenza, atterrando in sicurezza a Kahului. Nonostante lo scenario apocalittico, tutti gli 89 passeggeri a bordo del volo 243 sopravvissero. Un’impresa che sembrava impossibile, un vero miracolo.
Un aereo sotto stress
L’inchiesta successiva rivelò le cause di quello che fu molto più che un semplice incidente. L’aereo in questione, infatti, effettuava brevi rotte interinsulari, con 5 o 6 voli al giorno. Questo significava che subiva cicli costanti di pressurizzazione e depressurizzazione, che avevano lentamente generato minuscole crepe nella fusoliera. Nel tempo, queste crepe si erano espanse intorno ai rivetti fino al punto di causare il cedimento strutturale. Al momento del disastro, l’aereo aveva accumulato quasi 90.000 cicli, quasi il doppio rispetto a quelli per cui era stato originariamente progettato. Un limite che le ispezioni visive di routine, purtroppo, non erano riuscite a rilevare prima che fosse troppo tardi.
Le conseguenze dell’incidente furono decisive per l’intero settore. La FAA, l’ente per l’aviazione civile statunitense, inasprì immediatamente i requisiti di sicurezza per gli aerei più datati, imponendo controlli più rigorosi sui danni da fatica, in particolare in aree ad alto stress come le giunture e le linee di rivetti. Anche la Boeing, costruttrice del velivolo, rispose all’accaduto introducendo modifiche progettuali e protocolli di ispezione più severi, al fine di evitare che una simile tragedia potesse ripetersi in futuro.