BARACCA&BURATTINI – Bossi, il volpone, lo sa: meglio avere un banchiere piuttosto che una banca

di Gianni GAMBAROTTA

Negli ambienti finanziari e bancari italiani si trovano alcuni manager di valore, un certo numero di mascalzoni e una quantità incalcolabile di mezze figure. È raro incontrare fra tutti questi grigi signori qualcuno che sia simpatico, sappia comunicare, intrattenere piacevolmente un uditorio anche su temi ostici come quelli legati al denaro. Uno sicuramente c’è: si chiama Massimo Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano. I quotidiani si sono occupati di lui nei giorni scorsi perché subito dopo il vertice della Lega di fine anno a Calalzo di Cadore culminato con la “cena degli ossi” fra tutti i fedelissimi del Carroccio, il leader Umberto Bossi ha intrattenuto proprio il banchiere in un lungo colloquio notturno. Suscitando l’invidia dell’entourage del leader delle camicie verdi e una dichiarazione ostile del segretario provinciale del Pd, Maurizio Martina, nei confronti di Ponzellini: “Stare al summit della Lega è inopportuno – ha detto –. La Bpm non è di Bossi, ma dei milanesi“.

E milanese Ponzellini non è, ma di Bologna. Suo padre Luigi, per 40 anni membro del consiglio superiore di Bankitalia, era amico del padre di Renato Pagliaro, attuale presidente di Mediobanca. Nascita giusta, dunque, e amicizie giuste. Così come giusta è la moglie, Maria Segafredo, della dinastia del caffè.  Discutibili invece – dal punto di vista del suo attuale posizionamento – i suoi primi legami politici: è stato amico e assistente di Romano Prodi che lo ha ricompensato con vari incarichi importanti.

Oggi Ponzellini fa tante cose. Partecipa al comitato di esperti che affiancano l’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) nei suoi investimenti finanziari; è presidente di Impregilo, la società di costruzioni controllata al 33 per cento ciascuno dai gruppi Benetton, Gavio e Ligresti; ed è appunto presidente della Popolare Milano. Queste ultime due cariche hanno suscitato accese polemiche: come può – si sono chiesti in molti – il numero uno di un istituto erogatore di credito essere anche a capo di un’impresa, l’Impregilo, affamata di credito tanto quanto i suoi azionisti? “Può” è stata la risposta di chi lo ha portato ai vertici della Popolare con l’appoggio aperto della Lega e quello più discreto di Giulio Tremonti.

La sua presenza alla “cena degli ossi” (allo stesso tavolo sedeva anche il ministro dell’Economia) dimostra che questo legame politico oggi è più saldo che mai. Bossi ha detto apertamente che Ponzellini è una sua creatura: “L’ho scelto io quando c’era da fare la nomina alla Bpm“. Nel 2005, ai tempi delle scalate (poi fallite) dei furbetti e dei loro amici, Piero Fassino, allora segretario del Pd, chiedeva a Giovanni Consorte, il capo dell’Unipol che tentava l’assalto alla Bnl. “Abbiamo una banca?“. Bossi, politico di razza, sa che spesso basta avere un banchiere.

Fai conoscere al mondo la tua eccellenza tecnologica con “Italia degli innovatori”

Dopo l’esperienza positiva che ha visto l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione promotrice di Italia degli Innovatori a Shanghai nel 2010, si riaprono i termini per la presentazione per la partecipazione all’edizione 2011/2012.
 
Quattro i Paesi obiettivo, Cina, Russia, Brasile e Messico, per promuovere i migliori esempi dell’innovazione e dell’eccellenza tecnologica italiana.
 
Italia degli innovatori nasce dalla volontà di offrire alle innovazioni italiane una vetrina di altissimo livello per mostrarsi al grande pubblico e per incontrare nuovi partner con cui, se ci saranno le condizioni, sviluppare buoni affari insieme“, afferma Davide Giacalone, presidente dell’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione. “L’Italia – continua Giacaloneè nota nel mondo per il design, la moda, per i prodotti di lusso e per il suo lifestyle. Il nostro obiettivo e fare conoscere un’altra Italia, fatta di tecnologia di altissimo livello, di innovazioni di avanguardia anche in settori che spesso si pensa che siano di appannaggio di altri Paesi“.
 
Italia degli Innovatori ha infatti lo scopo di mostrare le eccellenze tecnologiche italiane e promuovere un’immagine più completa dell’Italia, intesa come “Paese dell’Innovazione“, una realtà che sa creare prodotti innovativi e ad alto contenuto tecnologico negli ambiti più differenti, dalle costruzioni alla tutela dell’ambiente, dalla salute alla tutela del patrimonio artistico, fino a comunicazione, eGovernment e sicurezza.
 
Il progetto è partito lo scorso anno, quando sono state invitate imprese, università e centri di ricerca italiani a segnalare al ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione le loro migliori innovazioni. Ne sono state selezionate 265 che sono attualmente rappresentate a Shanghai – specifica Mario Dal Co, direttore generale dell’Agenzia -. Oltre a realizzare una mostra che permetterà al grande pubblico dei quattro Paesi destinazione di quest’anno di conoscere un’Italia diversa dai soliti stereotipi, un’Italia forte nelle tecnologie e nell’innovazione, abbiamo organizzato, per gli imprenditori e per i ricercatori che hanno partecipato, un insieme di incontri business to business per favorire la reciproca conoscenza e, perché no, per favorire lo sviluppo di buoni affari e di possibili futuri guadagni“.
 
Duplice è l’obiettivo di tale iniziativa: offrire una vetrina di altissimo livello per mostrare le eccellenze del nostro Paese nel campo dell’innovazione e favorire al tempo stesso l’incontro tra domanda e offerta delle imprese italiane in ottica internazionale.
 
Con questa formula innovativa, che unisce cultura e business, si vuole offrire una immagine diversa dell’Italia, legata alle sue eccellenze tecnologiche, spesso poco conosciute – conclude Antonio Cianci, responsabile del progetto -. Questo progetto, vuole essere una ‘fiera di persone’, dove non sono esposti gli oggetti, ma gli uomini e le donne che hanno messo in pratica grandi idee. Italia degli innovatori, grazie all’Expo di Shanghai 2010, ha consentito a tante aziende italiane di conoscere la Cina attraverso la porta principale. E anche di mostrare al mondo cosa siamo veramente capaci di fare. Adesso, oltre a riproporlo in Cina, vogliamo portarlo anche in altri Paesi di grande interesse per le innovazioni italiane“.
 
L’invito a partecipare è rivolto a università, centri di ricerca, imprese, consorzi e a tutti coloro che attraverso le loro iniziative contribuiscono a testimoniare l’eccellenza tecnologica italiana.

Tutte le informazioni sono reperibili sul sito www.aginnovazione.gov.it. Le domande devono pervenire entro il 28 febbraio 2011. Clicca qui per scaricare il bando.

Temporary Manager qualificati: intervista a Franco Cavalli, vicepresidente di Atema

di Davide PASSONI

Il 2010 è stato, per Atema, un anno di svolta. L’Associazione per il Temporary Management ha infatti dato un forte segnale al mercato con la qualificazione di alcuni suoi associati, di cui Infoiva ha dato conto negli scorsi mesi. Per capire meglio lo spirito e le finalità di questa qualificazione, abbiamo incontrato il vicepresidente di Atema, Franco Cavalli, che ha fatto il punto sui risultati della prima tornata e anticipato alcuni dei passi che l’associazione potrebbe intraprendere, con l’obiettivo di dare una sempre maggiore autorevolezza ai propri temporary manager.

Come è nata l’idea di qualificare i temporary manager di Atema?
Ci siamo resi conto che, volendo essere un associazione che rappresenta questo tipo di attività sul territorio nazionale, dovevamo avere capacità diaggregare i manager ma anche di parlare al mercato dicendo che esistiamo, ci siamo e siamo in grado di dare al mercato una indicazione di competenza e capacità nel campo dell’attività manageriale. Ci siamo posti il problema di dire: elaboriamo una qualificazione nostra o ci affidiamo a terzi per non essere autoreferenziali? E poi: su quali elementi elaboriamo questa qualificazione?

Risposta?
Vede, la maggior parte dei nostri soci è stata responsabile di funzione o executive nella propria carriera professionale; a un certo punto, queste persone si sono trovate nella condizione di dire “mi invento un mestiere diverso”. Quindi ci siamo chiesti: che cosa vogliamo trasmettere al mercato come profilo del temporary manager o del transition manger? Così abbiamo messo intorno a un tavolo persone che hanno una lunga esperienza di questo tipo di attività, che negli anni hanno venduto servizi alle aziende in questo campo e che provengono da diverse realtà; ciascuno di loro ha dato una visione di quello che cerca nel temporary manager per poterlo abbinare alle attività o alle richieste che riceve dal mercato e abbiamo stilato una graduatoria di queste competenze.

Che cosa è emerso?
Abbiamo basato tutto su un discorso di soft skills, evitando di entrare nella valutazione delle competenze specifiche del CV della persona: non siamo in grado di valutarle, è troppo complesso. Quello che per noi era importante capire era invece che non tutti i manager hanno le caratteristiche per poter operare in condizioni di temporary, perché il mercato ci ha indicato chiaramente che per fare questo esistono delle competenze specifiche; noi ne abbiamo individuate 17, le abbiamo riunite e poi ci siamo posti il problema di come misurarle con una metodologia standard e valida da un punto di vista valutativo ma anche autorevole agli occhi del mercato. Abbiamo lavorato così con l’università di Milano Bicocca e uno dei componenti del team che è Giorgio Del Mare, presidente e AD di Methodos, una grossa società di consulenza, ci ha consigliato di appoggiarci all’esperienza di Giuliano Sangiorgi, professore di psicologia del lavoro all’università di Cagliari. Sangiorgi ha così elaborato uno strumento riconosciuto e valido per misurare questi soft skills. Diamo dunque per scontate le competenze hard e ci concentriamo su quelle soft, perché non è detto che il bravo manager della grande industria sia in grado di lavorare nelle condizioni in cui si trova di solito un temporary manager.

Risultato?
A fronte di tutto questo è arrivato il primo gruppo di 10 persone certificate e poi il secondo di 12. Interessante è notare che il test cui noi sottoponiamo i manager valuta, oltre alle 17 competenze distintive, molti altri skills, poiché è uno strumento di tipo standard i cui risultati vanno molto più in là di quanto noi valutiamo: potrebbe esserci infatti la necessità di rivalutare più avanti le 17 competenze e capire se devono essere cambiate oppure no. Questa qualificazione, poi, è a tempo: vale tre anni, nell’arco del triennio la persona deve adempiere a determinati doveri per mantenere la qualifica e alla fine del triennio saranno riviste alcune valutazioni iniziali.

Quindi queste competenze si evolvono,non rimangono uguali a se stesse?
Lavorando sui soft skills diventa difficile abbinare la qualificazione a un piano di formazione per acquisirli, ma è anche vero che questi skills possono maturare nel tempo a seconda dell’uso che ciascuno ne fa, o essere stimolati e visti in funzione di determinate situazioni in cui un manager si trova a operare. Di fatto l’utilizzo ne migliora il grado di possesso, per cui come ulteriore step pensiamo: se dovessimo incontrare chi non ha questi skills, come possiamo fare per far sì che li apprenda?

Appunto, come?
Stiamo valutando che cosa organizzare in tal senso, che però non può essere un classico corso di formazione in aula. Ci stiamo ancora pensando perché è una cosa piuttosto complessa, per cui abbiamo voluto analizzare i risultati delle prime qualificazioni prima di decidere.

Che percentuale di associati Atema è per ora qualificata?
Nelle prime due tornate abbiamo coinvolto il 12% dei nostri soci, un buon primo campione da analizzare a 360 gradi: un lavoro che farà il prof. Sangiorgi che, sulla base dei risultati, ci indicherà la direzione migliore da prendere.

Come ha reagito il mercato alla vostra iniziativa?
La risposta che abbiamo è quella degli operatori che lavorano con noi e che trovano la cosa molto interessante, perché permette loro di avere uno screening dell’individuo piuttosto completo e attendibile. Sulla validità dell’iniziativa mi confrontavo recentemente con Manager Italia, che ha un sistema di valutazione molto complesso chiamato Youmanager, il quale comporta costi di gestione elevati per l’associazione e di sostegno per l’individuo valutato, per cui l’associazione guarda con interesse al nostro: si può fare qualcosa di molto valido e autorevole a costi contenuti. Non abbiamo la pretesa che il nostro strumento dica al mercato che chi ha questa qualificazione sa fare tutto, vogliamo invece dire che questo strumento fa sì che il mercato sappia che il manager ha gli “attrezzi” necessari per poter affrontare certi incarichi.

Coinvolgerete tutti i vostri associati?
Sì, ci piacerebbe avere tutti gli associati qualificati. Vero è che abbiamo associati che non operano più sul mercato per limiti di età ma sono rimasti fedeli all’associazione come spirito e come obiettivi, per cui potrebbero non essere interessati, però l’idea è che i soci la acquisiscano, visto che è su base volontaria. L’altro step a cui stiamo pensando, oltre alla formazione di cui parlavo prima, è di dare maggiore visibilità allo strumento dal punto di vista della conoscenza all’esterno, spingendolo in direzioni molto “marketing oriented”. Non possiamo pensare che sia conosciuto solo da noi e da quei 5 o 6 operatori che lavorano con noi. Abbiamo attivato lo strumento, i nostri soci devono vederlo come un mezzo che consente loro di avere maggiore visibilità sul mercato, ma se non diciamo al mercato che questa cosa esiste i soci non possono spendersi adeguatamente: è un circolo virtuoso che va innescato e che dobbiamo innescare noi di Atema, non possiamo demandarlo a terzi.

Temporary Housing: ecco qual è l’identikit del cliente tipo

Viaggi di lavoro, relocation, vacanze: sono tanti i motivi che spingono le persone in cerca di una sistemazione provvisoria a rivolgersi a società specializzate nella gestione di affitti temporanei. Al giorno d’oggi assistiamo infatti a un incremento sempre più massiccio degli spostamenti sul territorio, sia per l’opportunità di viaggi low-cost, sia per necessità effettive, come quelle imposte dal mercato, oggi volto sempre più all’internazionalizzazione. Pensiamo soltanto ai dipendenti di società estere che vengono trasferiti in altre sedi, oppure ai Temporary Manager che assumono un incarico in un altro Paese per portare a termine un progetto temporaneo, o ancora ai cosiddetti Expat, quei dipendenti che subiscono continui trasferimenti da un Paese all’altro. Per tutti questi soggetti, traslocare da un Paese all’altro è un fatto di routine. Ma come fare per rendere il meno stressante possibile continue trasferte lontano da casa?

Il temporary housing è certamente un modo per ritrovare l’intimità della propria casa anche quando si è a migliaia di chilometri di distanza. Soggiornare in un albergo per periodi prolungati può diventare alienante, mentre avere a disposizione un appartamento in affitto permette di vivere come a casa propria, oppure anche di sperimentare uno stile di vita diverso, tipico del Paese che ci ospita. Alcuni esempi sono le case di ringhiera milanesi, i grattacieli di New York, o i cascinali toscani.

L’affitto temporaneo, oltre a rappresentare un ambiente più familiare e meno impersonale rispetto all’albergo, offre diversi vantaggi che lo rendono la soluzione preferita da manager e consulenti “a spasso per il mondo”. La priorità quando ci si trasferisce altrove è infatti sempre quella di trovare una sistemazione in tempi brevi e pronta all’uso, magari per identificare in un secondo tempo una sistemazione definitiva. Da non sottovalutare, poi, la possibilità di rinnovare mensilmente il proprio contratto di affitto, senza doversi assumere impegni a lungo termine.

Il temporary housing, inoltre, è in grado di soddisfare richieste ed esigenze disparate. Ogni tipologia di expat, infatti, ha le proprie preferenze: dipendenti e consulenti cercano solitamente un appoggio dal lunedì al venerdì e preferiscono alloggiare nelle vicinanze di mezzi pubblici e servizi di varia utilità, come per esempio supermercati o lavanderie. Non è raro, inoltre, che due consulenti decidano di condividere la stessa casa per contenere i costi. I manager, invece, scelgono zone centrali, prediligendo l’utilizzo di servizi su richiesta.

Se il lavoro rappresenta un motore preponderante per gli spostamenti, non dobbiamo dimenticare un altro aspetto importante nella nostra vita… le vacanze! Oltre all’albergo, il villaggio o il campeggio, le case vacanza rappresentano un’alternativa ottimale, soprattutto per le famiglie. Nell’ottica di una sistemazione “children friendly”, l’appartamento in affitto costituisce una soluzione pratica ed efficace: si può cucinare, i bambini possono correre e spostarsi senza il rischio di essere persi di vista. La casa vacanza non è d’altronde una prerogativa solo delle famiglie, ma riscuote il favore anche di gruppi o coppie di amici, magari per occasioni speciali come le feste di Natale e Capodanno, in cui si desidera festeggiare con le persone care in un’atmosfera calda e familiare.

Vacanze e lavoro non sono però le sole ragioni per decidere di usufruire del temporary housing. L’affitto di appartamenti a breve termine diventa una soluzione anche per persone che in un determinato momento si trovano in situazioni scomode. Pensiamo a quelle coppie che, ahimè, decidono di prendersi un periodo di riflessione, o che si separano definitivamente. Molto spesso la scelta di trasferirsi temporaneamente lontano dal partner può rendere meno traumatico il momento di crisi, in quanto simbolo di una scelta che non è ancora definitiva, oppure può rappresentare un’ancora di salvezza per le coppie che purtroppo non tollerano più la convivenza.

Un altro motivo per ricorrere all’affitto temporaneo è la ristrutturazione della propria casa. Trasferirsi in un appartamento, magari vicino al proprio, è senz’altro utile per sfuggire alla polvere, ai rumori molesti e al viavai degli operai, a maggior ragione considerato che di solito si sa quando i lavori iniziano, ma non quanto dureranno.

Tra lavoro, vacanze e situazioni di emergenza, il temporary housing trova quindi un numero sempre maggiore di possibili applicazioni e, dati gli stili di vita sempre più cosmopoliti della società odierna, può aspirare ad ampliare sempre più il bacino dei propri clienti.

Lo Speciale “Temporary office e housing” è realizzato in collaborazione con Halldis, primo operatore nell’affitto di appartamenti e uffici chiavi in mano in Italia ed Europa, che a Milano gestisce il business center Blend Tower, con più di 100 temporary office.

Idee imprenditoriali: DesignWine, dal web al calice

Mettete insieme l’eccellenza del vino italiano, l’immediatezza del web, una grande dedizione al lavoro e otterrete un’idea di business semplice e vincente. Un esempio di come si possa fare impresa con successo, sfruttando la rete, la propria passione e un prodotto che è il fiore all’occhiello del nostro export. L’idea si chiama DesignWine ed è venuta a un signore americano innamorato del nostro Paese e del business, Timothy O’Connell. Vendere vini pregiati (e non solo…) online? Se siete dei puristi storcerete il naso, ma a sentire come Timothy racconta la storia e l’essenza della sua impresa, vi ricrederete subito.

Ci racconti brevemente la sua storia personale e imprenditoriale.
Sono nato negli Stati Uniti e cresciuto a Chicago. Ho studiato all’Università del Wisconsin completando gli studi con un Master in Economia e Scienze Politiche alla McGill University di Montreal. Ho avviato la mia prima impresa, Mountain Adventures, a Treviso nel 1995 e in seguito ho creato assieme ad alcuni soci un’azienda di Consulenza a Venezia nel 1998. Nel 2002 sono entrato in Technogym prima come Direttore dell’area Consumer poi come Direttore Marketing. Nel 2009 ho deciso di riprendere la carriera imprenditoriale fondando assieme ad alcuni soci, DesignWine.

Com’è fare business in Italia agli occhi di un americano? Facile, complesso, stimolante…?
Lavorare in Italia è sempre stimolante, sebbene io mi sia sempre adoperato nel supporto delle aziende italiane che cercavano di crescere all’estero. Anche oggi DesignWine ha due aree di business: la prima focalizzata sulla promozione e vendita online dei vini, l’altra opera nella consulenza per supportare lo sviluppo del Business delle aziende.

Come è nata la sua passione per i vini?
Amo il buon cibo e ovviamente il vino è il complemento naturale: ecco un altro motivo per cui vivo in Italia!

E la passione per l’Italia?
Nasce dal territorio, dalla cultura e dalla passione delle persone. Non è sempre facile, ma quando le cose funzionano allora funzionano bene. Buona parte di questa passione nasce anche dalla vita con mia moglie e i miei figli.

Spesso si pensa che il vino pregiato debba essere comprato solo in enoteca o nelle migliori cantine. Il vostro sito dimostra il contrario: come ha pensato di sposare il web e l’alta enologia?
La vera opportunità dei produttori italiani di vini pregiati è il web come strumento per comunicare il vero valore dei loro prodotti. Una bottiglia di vino piazzata sullo scaffale di un’enoteca in mezzo a altre centinaia di bottiglie per non dire migliaia, comunica poco e purtroppo a volte vende meno. A DesignWine lavoriamo ogni giorno per usare il web nel modo più corretto per comunicare la storia che c’è dietro ogni singola bottiglia dei nostri vini.

Come scegliete i vini in vendita su DesignWine.com?
Attraverso l’esperienza del nostro comitato di selezionatori che degusta e valuta ciascun vino. Evitiamo di usare le classiche pubblicazioni tipo Gambero Rosso o Espresso per giudicare i vini.

Che cos’hanno di particolare i vini italiani rispetto ai “fratelli” di tutto il mondo?
Scegliere un vino italiano è spesso molto più complesso che sceglierne uno straniero. Poiché l’Italia produce un’enorme quantità di vino (è sempre fra i primi 2 produttori al mondo) il livello di qualità dei prodotti che si trovano sul mercato è amplissimo. Se a questo uniamo che l’Italia ha alcuni dei migliori vini al mondo, con un rapporto qualità-prezzo fantastico, è chiaro che il tipico consumatore necessità di essere guidato nella selezione del vino giusto. Il nostro impegno come DesignWine è proprio quello di essere il partner di fiducia per chi cerca i grandi vini italiani.

Italians do it better: quanto c’è di vero, secondo lei, in questa celebre frase?
Gli italiani sono i migliori nel fare molte cose, specialmente in ambito creativo, ma hanno bisogno di comprendere meglio che l’attuale situazione economica e competitiva richiede la massima focalizzazione su marketing e vendite. Fare grandi prodotti è il primo passo, ma dopo è necessario venderli.

Davide Passoni

Contatti
Timothy O’Connell
DesignWine s.r.l.
Via Roberto Ruffilli, n. 18/20
47030 San Mauro Pascoli (FC)
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Fax +39 0541 1641060

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L’affitto breve e la sua evoluzione: dalle vacanze ai viaggi di lavoro

“Affittare per un breve periodo un appartamento o una casa, per una vacanza o per un soggiorno di lavoro”: questa potrebbe essere una definizione del cosiddetto temporary housing. L’affitto breve è un fenomeno sempre più diffuso al giorno d’oggi, che però esiste da molto tempo, seppur con modi e forme diverse.

Andando indietro nel tempo, già nell’Italia degli Anni ’60 l’affitto di una casa per una stagione faceva parte delle abitudini di vacanza di diverse famiglie benestanti. Che fosse al mare o in montagna, ci si trasferiva tutti per qualche settimana in una casa pronta all’uso, arredata e dotata di tutto il necessario per potervici soggiornare comodamente. All’epoca le possibilità di comunicazione erano limitate, quindi l’unico modo per accedere a questo tipo di alloggio era conoscere direttamente il proprietario dell’immobile o arrivarci tramite passaparola di conoscenti e amici. E comunque era una tipologia di alloggio riservato a un ceto abbiente, visto che all’epoca ben poche persone potevano permettersi una vacanza.

Con l’evolversi dei mezzi di trasporto e la diffusione dell’automobile, si è passati sempre più a un turismo di massa che, inizialmente nelle vacanze estive e in quelle invernali, poi sempre più spesso anche durante l’anno, si spostava scegliendo come destinazione anche le città d’arte. Questo ha portato molti proprietari a cercare di approfittare della grande domanda di alloggio da parte di turisti proponendo i propri appartamenti in affitto.

L’aumento della domanda ha favorito la nascita di operatori che gestissero l’affitto breve di appartamenti in modo professionale. E’ il caso, per esempio, di Leonardo Ferragamo, che nel 1986 creò l’agenzia immobiliare Windows On Tuscany, divenuta in seguito Windows On Italy, per gestire le proprietà immobiliari della famiglia Ferragamo tra Firenze e le colline toscane, e che via via ha inserito in portafogli anche immobili di altri proprietari della zona, diventando in breve tempo un punto riferimento per l’affitto breve in Toscana prima e in Italia poi. Con la nascita del turismo di massa sono nate le agenzie di viaggio e riuscire ad avere contatti privilegiati con il maggior numero possibile di agenzie in location chiave era la strategia a disposizione degli operatori di affitti brevi per poter ampliare il più possibile la propria base di clienti.

Parallelamente, la struttura economica e l’organizzazione delle aziende diventano sempre più internazionali e crescono i viaggi di lavoro e l’offerta di affitti brevi anche per questo tipo di richiesta, che negli Stati Uniti esisteva già negli Anni ’60 sotto il nome di “corporate housing“. Il principio è lo stesso che per le vacanze: poter affittare per un breve periodo di tempo un appartamento “chiavi in mano”. Il concetto di affitto breve per soggiorni di lavoro acquista dunque sempre più terreno grazie alla creazione di società specializzate in questa tipologia di servizio anche in Italia.

Nel 2002 Pietro Martani, giovane imprenditore, dopo aver trascorso un periodo di tempo negli Stati Uniti, decide di proporre ai manager in viaggio un’alternativa all’hotel creando Rentxpress. Con i primi 50 appartamenti a Milano e grazie ad alleanze con aziende dislocate nel territorio meneghino, Rentxpress sviluppa la sua offerta in modo sempre più capillare, anche in risposta al concomitante sviluppo dei trasporti aerei e dei viaggi low cost, che porta ad incrementare il numero di potenziali clienti.

Altro fattore essenziale che ha profondamente modificato le regole del gioco è stato lo sviluppo di internet: la rete è diventata la vetrina per eccellenza, permettendo di scavalcare qualsiasi tipo di intermediazione, a partire dalle agenzie di viaggio. Gli operatori dell’affitto breve più accorti hanno capito velocemente questo potenziale e hanno costruito siti di facile consultazione, disponibili in più lingue e dotati di prenotazione online per raggiungere possibili clienti in ogni angolo del mondo. Un esempio di successo è dato da Halldis, che non solo dispone di un sito in 7 lingue, ma si serve di uno staff internazionale per assistere il cliente nella sua lingua d’origine.

L’evoluzione del mercato inoltre, fa sì che clienti diversi richiedano trattamenti personalizzati. Gruppi all’avanguardia come Windows On Europe presentano un’offerta diversificata mettendo a disposizione del cliente appartamenti di livello medio alto con Halldis, appartamenti di lusso con servizi di concierge con Gentili & Roy e coprendo anche il mercato immobiliare per studenti, grazie alla società Phosphoro.

Lo Speciale “Temporary office” è realizzato in collaborazione con Halldis, primo operatore nell’affitto di appartamenti e uffici chiavi in mano in Italia ed Europa, che a Milano gestisce il business center Blend Tower, con più di 100 temporary office.

I bandi di finanza agevolata: che cosa bisogna conoscere per evitare la revoca del contributo

Le graduatorie di ammissione ai contributi previsti dai bandi di finanza agevolata sono divise in tre categorie.
Nella prima categoria rientrano le imprese che sono state ammesse a contributo e finanziate.
Nella seconda categoria rientrano le imprese ammesse a contributo ma non finanziate per esaurimento dei fondi.
Nella terza categoria rientrano le imprese non ammesse a contributo per mancanza dei requisiti o perché la domanda presentata è carente sotto il profilo formale e/o sostanziale.

L’impresa ammessa a contributo e finanziata deve rendicontare le spese degli investimenti indicati nella domanda di partecipazione e inviare i documenti di spesa entro i termini previsti dal bando.
Ci sono dei requisiti da rispettare, pena la revoca del contributo: il livello minimo di investimento, la dimensione dell’impresa, la permanenza dei beni acquistati nell’impresa.

Il livello minimo di investimento indica l’importo di spesa che deve essere sostenuto dall’impresa entro i termini previsti dal bando. Salvo qualche eccezione, la revoca totale del contributo scatta quando l’impresa non è in grado di sostenere almeno il 70% delle spese ammesse.
Questo problema si riscontra facilmente nei bandi per progetti di ricerca e sviluppo con durata di un paio di anni. Ad esempio, consideriamo un bando che agevola il costo del personale tecnico impiegato dall’impresa per la realizzazione del progetto: quando si prepara la domanda di partecipazione al bando, l’impresa deve valutare in modo ponderato le ore previste e il costo del personale dipendente impiegato. Pertanto, diventa di fondamentale importanza fare delle corrette previsioni di spesa, per evitare di trovarsi in difficoltà durante la fase di rendicontazione.

Il secondo requisito è legato alla dimensione dell’impresa. Se il bando di finanza agevolata riguarda le piccole e medie imprese, allora l’impresa ammessa e finanziata deve mantenere questa struttura dimensionale anche nei 5 anni successivi, pena la revoca del contributo. Non è un aspetto da sottovalutare, in quanto capita sovente che l’impresa faccia operazioni di ristrutturazione societaria, andando a mutare completamente la struttura organizzativa e dimensionale.

Il terzo requisito è quello della permanenza dei beni acquistati e agevolati all’interno dell’azienda. L’impresa, infatti, può dismettere i beni acquisti e agevolati solo dopo 5 anni dal loro acquisto. Se lo fa prima, pertanto, un’eventuale verifica da parte dell’ente governativo che ha emanato il bando comporta la revoca parziale o totale del contributo.

Dott. Giovanni DE LORENZI | g.delorenzi[at]infoiva.it | www.gdlstudio.it | Padova

Padovano, classe ’73, laurea in Discipline Economiche e Sociali e master in Economics presso l’Università Bocconi di Milano. Prima dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di Dottore Commercialista ha lavorato come analista dei processi informativi bancari. Attualmente collabora con la società Advance Group Srl per la consulenza nel campo della finanza agevolata e con la società AD Soluzioni Avanzate Srl per la consulenza nel campo dell’informatizzazione dei processi aziendali. Iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Padova e al Registro dei Revisori dei Conti dal 2007 è titolare dello studio GDL Studio, che fornisce attività di consulenza in campo fiscale, dei processi informativi e dell’organizzazione aziendale e della finanza agevolata.

Cara P.A., ora paga i tuoi debiti alle PMI. Te lo impone l’Ue, basta ritardi

di Davide PASSONI

Oggi partiamo da una buona notizia. La Commissione Europea ha finalmente trovato un accordo con l’Europarlamento e con il Consiglio dei ministri Ue per varare una direttiva contro i ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Una piaga per l’economia, non solo italiana ma europea, una jattura con la quale si sono trovati a fare i conti molti dei nostri lettori che, quindi, sanno bene di che cosa stiamo parlando.

Nell’Ue i pagamenti in ritardo ammontano a quasi 2 miliardi all’anno, con tempi medi di 65 giorni e casi estremi che arrivano a 180. Ora, secondo la direttiva europea in via di approvazione, il termine ultimo per i pagamenti sarà di 60 giorni; dal 61esimo in poi, per le P.A. scatterà l’interesse dell’8% sul debito. Una mossa che dovrebbe sbloccare circa 180 miliardi, in buona parte a favore delle PMI.

Da noi la pubblica amministrazione ha un debito di circa 70 miliardi verso i propri fornitori, molti dei quali sono, guarda caso, PMI. Lo sa bene la Commissione Europea, visto che da Bruxelles ricordano che questa intollerabile morosità è spesso causa del fallimento di imprese che sarebbero altrimenti sane e produttive, specialmente se di piccole e medie dimensioni. Se aggiungiamo che in Italia, sempre secondo fonti Ue, i ritardi nei pagamenti sono passati da 138 giorni nel 2008 a 170 nel 2010 e che il 50% delle nostre imprese registra ritardi medi di 2-4 mesi e il 25% persino di 6, ecco che questo accordo tra Commissione, Europarlamento e Consiglio dei Ministri Ue appare quanto mai salvifico. Purché…

Purché chi nel Palazzo dovrebbe decidere sul futuro e sulla salvezza della nostra economia non trovi qualche gabola per decidere sulla salvezza della pubblica amministrazione. Di fatto già ora la P.A. fa spesso orecchie da mercante, fingendo di ignorare le disposizioni di legge che impongono il pagamento a 30 giorni dal ricevimento della fattura, oltre alla decorrenza e all’importo degli interessi per il pagamento ritardato. Un comportamento non più sostenibile, già più volte sanzionato dal Consiglio di Stato, che continua a essere tenuto con la scusa della mancanza di fondi, della crisi, dei costi della macchina pubblica.

In quest’ottica, c’è da sperare che i due anni concessi ai Paesi Ue per recepire la direttiva non diventino un alibi per prendere/perdere tempo. Lo sa bene il Taiis, che ha chiesto di definire in tempi rapidi la quantificazione dei debiti, per approvare una soluzione che possa sanare il pregresso senza incidere negativamente sui conti pubblici. Una soluzione fattibile con un piano di rientro decennale del debito che inciderebbe sul Pil fino a un massimo dello 0,4% all’anno. Se si pensa che il totale dei debiti commerciali in Italia equivale a 4 punti di Pil, è chiaro quanto la nostra economia possa trarre beneficio da una recuperata capacità di spesa e di investimento da parte delle imprese. 

Non basta quindi la crisi dei mercati mondiali; non basta la stretta sul credito operata dalle banche, che ha ridotto la circolazione di liquidità mandando in sofferenza le piccole e medie imprese che non hanno una capacità finanziaria adeguata per affrontarla; non bastano il nero e l’evasione, cancri che allignano nel nostro tessuto produttivo di base sottraendo ricchezza al Paese e, di conseguenza, risorse alle imprese stesse che credono di fare le furbe. Dobbiamo anche lottare contro una P.A. morosa e supponente.

Ora l’Ue dice basta, redde quod debes. Peccato che, come al solito, sia dovuta intervenire l’Europa per arrivare là dove non siamo in grado di arrivare noi, per furbizia, per ignavia o solo per pigrizia. Vedremo ora se alla P.A. converrà di più pagare a termine o continuare a voltarsi dall’altra parte, accollandosi quell’8% in più.

Che cosa sono i regimi fiscali? Esistono regimi fiscali agevolati per l’attività che sto iniziando?

Terza tappa del viaggio di Luigi P. nel mondo delle partite IVA. Luigi deve valutare e scegliere un regime fiscale agevolato per la propria attività economica. Infoiva, grazie al contributo della dott.ssa Ippolita Pellegrini, gli spiega come fare.

Dopo la scelta del codice attività e la contestuale apertura della Partita Iva in fase di avvio di una nuova impresa, analizziamo la fase successiva relativa alla scelta del regime fiscale da adottare.

Il regime fiscale di un’impresa corrisponde alle formalità da osservare per essere in regola con il fisco e con il codice civile. I regimi sono piuttosto numerosi ed estremamente diversi tra loro per le regole da rispettare e, di conseguenza, per i documenti contabili da redigere.

Nella scelta del regime fiscale o contabile hanno importanza le caratteristiche dell’impresa. Il regime prescelto e le sue funzionalità permetteranno all’imprenditore di conoscere tutti gli aspetti della propria azienda, i suoi punti di forza e i suoi punti deboli, nonché di verificare l’andamento dei risultati di gestione.

Di particolare interesse risulta il regime fiscale agevolato per i contribuenti minimi, introdotto a partire dal 1° gennaio 2008. Rientrano in tale regime i lavoratori autonomi e le persone fisiche esercenti attività d’impresa che nell’anno solare precedente hanno innanzitutto conseguito compensi o ricavi in misura non superiore a 30mila euro, oltre ad altri requisiti. I soggetti che iniziano l’attività possono immediatamente applicare il regime agevolato se prevedono di rispettare il limite suddetto, tenendo conto che, in caso di inizio di attività in corso d’anno, si procede al ragguaglio all’anno.

Le principali agevolazioni riguardano l’applicazione di una imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali nella misura del 20% sul reddito e l’esonero dalla maggior parte degli obblighi contabili e dichiarativi.

 

Dott.ssa Ippolita PELLEGRINI | i.pellegrini[at]infoiva.it | (+39) 346.5278117 | Bisceglie
Laureata in Economia e Commercio presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Bari nel 1995, la Dott.ssa Pellegrini è esperta in gestione aziendale e da 12 anni è Responsabile Contabilità e Bilancio di un gruppo di società di capitali, titolari di numerosi marchi, dedite alla produzione e alla commercializzazione di abbigliamento in Italia e all’estero. Iscritta all’Albo dei Dottori Commercialisti di Trani dal 2006, segue l’approfondimento della materia fiscale e tributaria e studia la fattibilità e la convenienza di operazioni aziendali particolari.

Leggi gli articoli già pubblicati dal Professionista.

Luigi P.: idee e coraggio. Così comincia la storia di un Partitivista

C’era una volta un uomo che viveva in una città qualunque di una regione qualunque della nostra bella Italia. Si chiamava Luigi P. Una persona come tante, il nostro Luigi P.: 35 anni, una laurea, una carriera lavorativa come dipendente all’interno di una grande azienda. Un bel giorno, però, Luigi P. scoprì che questa condizione di dipendente cominciava ad andargli stretta: orari rigidi da rispettare, turni fissi da onorare, un capo cui rendere sempre e comunque conto del proprio operato, nel bene e nel male. Insomma, qualche grattacapo di troppo e qualche costrizione sempre più difficile da digerire.

Ma era anche fortunato, Luigi P.: da anni coltivava svariati interessi, leggeva, si informava ed era sempre in grado di dare utili consigli agli amici che si rivolgevano a lui quando avevano bisogno di districarsi tra la burocrazia, erano a caccia di soluzioni per il loro business, avevano un problema di gestione nell’azienda di famiglia.

Ecco allora che, quel bel giorno in cui Luigi P. scoprì le angustie del lavoro dipendente, fece anche una riflessione: “Visto che hanno così tanto successo i consigli che do agli amici di fronte a una pizza o a un bicchiere di vino, perché non rendere questa mia capacità la mia vera occupazione? Perché non fare di una passione la principale fonte di reddito? Perché non smettere di ‘regalare’ e cominciare a ‘vendere”,il frutto di questa mia passione?“.

 

Detto, fatto. Dopo qualche giorno Luigi P. diede le dimissioni dalla sua azienda e, con il suo gruzzoletto di liquidazione in tasca, si trovò lungo una strada e pensò: “Ecco, ora investirò questi soldi per avviare la mia nuova attività. Ma prima… che devo fare? Qualche mio amico mi ha spiegato che devo aprire una partita IVA: ma che cos’è? E poi, quali sono i passi successivi? Cosa ci faccio con questo capitale se non so come muovermi?“. Ecco allora che Luigi P. decise di contattare gli amici di infoiva che, passo dopo passo, gli avrebbero spiegato le cose da fare per aprire una propria attività.

Seguiamolo, dunque, nel suo percorso per mettersi in proprio; un percorso che noi di infoiva aiutiamo a costruire settimana dopo settimana, grazie a semplici ma complete risposte a poche, semplici domande, che Luigi P. ci pone. Buona lettura.

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