La finanza agevolata: un concreto aiuto alle imprese

Da oggi Infoiva ospita sulle proprie pagine i contributi del dott. Giovanni De Lorenzi, Dottore Commercialista e Revisore dei Conti in Padova. Il dott. De Lorenzi darà il suo prezioso contribuito aiutando i nostri lettori a muoversi nel mondo della finanza agevolata.

Fino a poco tempo fa, molti titolari di imprese di piccole e medie dimensioni rispondevano con un “No, grazie” alla richiesta di partecipare a un bando di finanza agevolata. La finanza agevolata veniva vista, infatti, come l’ennesimo adempimento burocratico che portava solo a perdite di tempo e di denaro.

Oggi le cose sono cambiate e la finanza agevolata è nota come utile strumento a disposizione dalle istituzioni pubbliche per aiutare le imprese a investire e, quindi, a proporre nuovi prodotti e nuovi processi.

L’Unione Europea destina dei fondi per lo sviluppo economico agli Stati membri sulla base di una serie di linee guida programmate e approvate per una durata di 7 anni: si tratta dei fondi europei per lo sviluppo regionale (F.E.S.R.).

Le misure di finanza agevolata non utilizzano, però, solo i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea: ogni Stato e ogni singola regione possono emanare bandi di finanza pubblica recuperando i fondi dalle proprie leggi di bilancio. È necessario che venga fatta richiesta all’Unione Europea, che valuta se si tratta o meno di un aiuto di Stato.

Per evitare questa autorizzazione preventiva è stata introdotta la regola “De minimis”: l’importo massimo degli aiuti concessi a un’impresa non può superare i 200mila euro nell’arco di tre anni, somma sopra cui si può parlare di aiuti di Stato nel caso di finanziamenti provenienti direttamente da amministrazioni pubbliche.

Le agevolazioni alle imprese sono concesse sotto forma di contributo a fondo perduto, finanziamento a tasso agevolato e di credito d’imposta.
Il contributo a fondo perduto consiste in una somma di denaro che l’impresa riceve dall’ente erogante e non deve restituire.
Il finanziamento a tasso agevolato consiste in un prestito concesso dall’ente erogante all’impresa anche tramite l’intervento di una banca. Una parte del finanziamento è a tasso bancario, il resto è a tasso zero.
Il contributo nella forma del credito d’imposta, invece, è tipico delle misure di agevolazione fiscale. Il credito d’imposta ottenuto dall’impresa è utilizzato in compensazione con il pagamento delle imposte utilizzando il modello F24.

Grazie alla diffusione capillare di internet, è facile venire a conoscenza di agevolazioni proposte dalle istituzioni governative locali, regionali, nazionali e comunitarie. Più difficile è valutare se la propria impresa ha i requisiti giusti per partecipare a un bando di finanza pubblica; il fai da te non è consigliato.

 

 

Dott. Giovanni DE LORENZI | g.delorenzi[at]infoiva.it | www.gdlstudio.it | Padova

Padovano, classe ’73, laurea in Discipline Economiche e Sociali e master in Economics  presso l’Università Bocconi di Milano. Prima dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di Dottore Commercialista ha lavorato come analista dei processi informativi bancari. Attualmente collabora con la società Advance Group Srl per la consulenza nel campo della finanza agevolata e con la società AD Soluzioni Avanzate Srl per la consulenza nel campo dell’informatizzazione dei processi aziendali. Iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Padova e al Registro dei Revisori dei Conti dal 2007 è titolare dello studio GDL Studio, che fornisce attività di consulenza in campo fiscale, dei processi informativi e dell’organizzazione aziendale e della finanza agevolata.

Business Coach: qual e’ l’identikit del suo assistito?

Settima puntata del viaggio di Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva, nel mondo del Business Coaching, professione che da qualche tempo si sta diffondendo con successo anche in Italia. In collaborazione con il Dott. Giulio Ardenghi, uno dei pochi e qualificati Business Coach italiani.

Se fino a un paio di anni fa erano soprattutto le multinazionali che si rivolgevano al business coaching, oggi si nota un impulso nelle PMI alle prese con l’innovazione tecnologica, o meglio, a come venderla, a come proporsi sui mercati internazionali, a come dare forte impulso alla rete di vendita e al marketing. Anche le PMI si sono rese conto che non è sufficiente avere un’ottima tecnologia applicata se non la si sa vendere. La competizione è accanita, le novità durano meno che nel passato e vanno sfruttate presto e bene, l’inventiva e l’innovazione continua sono dei doveri come un tempo la manutenzione. Inoltre occorre distribuire il rischio su più mercati. Non sempre le PMI hanno tutte queste competenze, per cui accedono ai servizi del business coaching efficace per muoversi in fretta e bene, evitando gli errori da inesperienza.

Purtroppo c’è poca sensibilità presso le associazioni di categoria e le camere di commercio a proporre alle PMI di adottare un coach che le segua da vicino: prevale il superato e poco efficace modello della formazione d’aula.

Molte sono le start up che sia avvalgono dei sevizi di un business coach che le segua dalla A alla Z. Un settore, questo, che mi stimola molto e su cui sto ottenendo ottimi risultati.

Anche imprese artigiane si stanno interessando al business coaching per diventare PMI. La prima cosa di cui si rendono conto è che il cliente cerca l’artigiano, ma l’imprenditore cerca i clienti. E il know-how commerciale delle imprese artigiane è basso. Il business coach può, affiancando la struttura, accelerare la crescita delle competenze in azienda.

Un’esplosione recente di richieste è da parte di persone che, volenti o nolenti, uscite dal mondo del lavoro o spinte da necessità, sono alla ricerca di formule che permettano loro di ricercare redditi sussidiari o paralleli. Come sfruttare capitali dormienti o competenze formatesi nel tempo. Qui il business coaching svolge un ruolo sociale importante, ridando speranza e stima a queste validissime persone che cercano di vincere l’indolenza paralizzante che può prendere e bloccare qualsiasi iniziativa e voglia di fare.

Dott. Giulio ARDENGHI

http://www.businesscoachingefficace.com/

La burocrazia costa troppo: ad una piccola impresa costa in media circa duemila euro all’anno

Secondo una misurazione realizzata da un pool di esperti coordinati dall’Ufficio per la Semplificazione del Dipartimento della Funzione Pubblica, nel bilancio di una pmi l’esborso relativo agli obblighi fiscali e l’annessa burocrazia è di circa duemila euro. Attenzione, stiamo parlando soltanto di oneri amministrativi (modelli da compilare, documentazione da presentare, comunicazioni, registri, ecc.) e non considera i costi fiscali (diritti, bolli, imposte, ecc.).

Complessivamente la spesa annua affrontata dalle aziende con meno di 250 dipendenti è pari a circa 2,7 miliardi. Una cifra che pesa tantissimo soprattutto sull’economia delle micro-imprese, quelle cioè fino a 4 dipendenti. E allora che si fa? La Comunità Europea ha stabilito che occorre una riduzione di questi oneri e l’Agenzia delle Entrate ed il dipartimento della funzione pubblica pare stiano tracciando la strada per arrivare a questo abbassamento, che dovrebbe essere di circa il 25%, entro il 2012.

Considerando la già alta pressione fiscale presente nel nostro Paese, appare veramente eccessivo il peso degli oneri amministrativi. Pensate che la sola dichiarazione annuale Iva costa ad una pmi costa mediamente 341 euro. Il 770 semplificato in bilancio vale un’uscita da 492 euro. La richiesta di rimborso del credito iva trimestrale costa 450 euro. Totale? quasi duemila euro (€ 1.926,00) solo per oneri fiscali. Come sottolineato anche da Carlo Sangalli – presidente di Rete Imprese Italia e di Confcommercio – “quello dei costi della burocrazia è certamente uno dei principali ostacoli, insieme all’elevata pressione fiscale, alle difficoltà di accesso al credito, al ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione, che gravano sulle pmi, in particolare sull’impresa diffusa, frenandone lo sviluppo e la competitività”. 

Ricordiamo che alla misurazione ha partecipato anche l’Istat per la rilevazione, e la direzione centrale servizi ai contribuenti dell’Agenzia delle Entrate. Inoltre sono state coinvolte le associazioni imprenditoriali che hanno partecipato a tutte le fasi del processo.

fonte: TG1 - Rai

Libertà d’impresa: accesso più facile alle micro e piccole imprese per le gare d’appalto

Alla commissione Attività produttive della Camera dei Deputati è allo studio il nuovo articolo 11 del disegno di legge sulla libertà di impresa. Obiettivo annunciato di questo articolo sarà quello di  favorire una maggiore trasparenza e un più facile accesso delle piccole e medie imprese agli appalti.

La disposizione, approvata lo scorso 29 settembre, punta a garantire una pluralità di commesse alle PMI attraverso il frazionamento dell’appalto in più parti. Per fare in modo che questo accada verrà richiesto alle stazioni appaltanti di “suddividere i contratti in lotti e rendere visibili le possibilità di subappalto, garantendo la conoscibilità della corresponsione dei pagamenti da parte della stazione appaltante nei vari stati di avanzamento”. Inoltre, le amministrazioni sono tenute a riservare alle piccole e medie imprese una quota non inferiore al 30% degli appalti.

Inoltre la norma prevede anche l’obbligo per le stazioni appaltanti di vigilare “sulla corretta corresponsione, da parte degli appaltatori, dei pagamenti ai subappaltatori nei vari stati di avanzamento dei lavori”. Previste anche agevolazioni per la formazione di consorzi e raggruppamenti di piccole e medie imprese partecipanti ad appalti e a servizi pubblici locali banditi da Comuni che hanno meno di 5mila abitanti. A tale scopo, vanno definiti “lotti adeguati alla dimensione ottimale del servizio pubblico locale, nonché alle caratteristiche delle imprese presenti sul territorio potenzialmente interessate agli affidamenti”.

Per quanto riguarda gli appalti per l’esecuzione di opere compensative collegate alle grandi infrastrutture, il legislatore propone di agevolare la partecipazione ai lavori delle micro e piccole imprese. Infine, il nuovo articolo 11 del ddl sulla libertà d’impresa prevede l’obbligo per ogni prefettura di predisporre delle “white list” di imprese e fornitori “contenenti l’adesione, da parte delle imprese, a determinati obblighi di trasparenza, di tracciabilità dei flussi di denaro, di beni e servizi”.

fonte: Casa&Clima

In aumento i contratti di lavoro a chiamata. Ecco quando può essere stipulato.

Il lavoro a chiamata è uno speciale contratto di lavoro subordinato e può essere stipulato con obbligo di risposta alla chiamata e quindi con riconoscimento di un’indennità di disponibilità oppure senza obbligo di disponibilità alla chiamata e quindi senza nessuna indennità. Questo particolare tipo di contratto per lavoro a chiamata può essere stipulato sia a tempo indeterminato, sia a tempo determinato, senza che si applichi, in questo ultimo caso, la disciplina dei contratti a termine di cui al D.Lgs. n. 368/2001. Ciò significa che per l’instaurazione del contratto a chiamata a termine non devono ricorrere le causali oggettive previste da citato decreto, né devono applicarsi le altre regole, come, ad esempio, il rispetto di alcuni limiti nel caso di proroga o di un intervallo temporale minimo nel caso di reiterazione di contratti.

Lo stesso lavoratore può stipulare:

  • più contratti di lavoro a chiamata con più datori di lavoro;
  • un contratto di lavoro a chiamata in contemporanea con altre tipologie contrattuali

Il contratto di lavoro a chiamata non è compatibile:

  • con il part-time;
  • con l’apprendistato e il contratto di inserimento in quanto sono entrambi contratti che prevedono l’obbligo formativo;
  • con il lavoro a domicilio in quanto la retribuzione è proporzionata alle ore effettivamente lavorate e non alle tariffe di cottimo;

Il contratto di lavoro a chiamata può essere stipulato in qualsiasi settore, ma soltanto nel rispetto di determinati requisiti oggettivi e soggettivi:

  1. per lo svolgimento di attività discontinue o intermittenti (requisiti oggettivi):
    • individuate dai C.C.N.L. o, in attesa che i contratti disciplinino le attività per le quali è consentito il ricorso al lavoro a chiamata, dal Ministero del lavoro con rinvio alla tabella delle occupazioni discontinue annessa al R.D. n. 2657/1923;
    • per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese e dell’anno, che il Ministero ha così definito
    – week-end: periodo che va dal venerdì pomeriggio, dopo le 13,00, fino alle ore 6,00 del lunedì mattina;
    – vacanze natalizie: dal 1° dicembre al 10 gennaio;
    – vacanze pasquali: periodo che va dalla domenica delle Palme al martedì successivo al lunedì dell’Angelo;
    – ferie estive: i giorni compresi nel periodo 1° giugno – 30 settembre.
  2. in ogni caso, per prestazioni rese da lavoratori (requisiti soggettivi):
    • con meno di 25 anni di età (24 anni e 364 giorni);
    • con più di 45 anni di età (45 anni e 1 giorno), anche pensionati.

I requisiti soggettivi sono alternativi rispetto ai requisiti oggettivi sopra descritti e in questa ipotesi non devono essere verificate le condizioni oggettive.
Il lavoratore intermittente o a chiamata non deve ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello e a parità di mansioni svolte.
Il trattamento economico, normativo e previdenziale è proporzionato alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita, come pure tutti gli istituti contrattuali (13.ma e 14,ma mensilità, ferie, permessi, ex festività e Tfr).
Il ricorso al lavoro a chiamata è vietato:

  • per sostituire lavoratori i sciopero;
  • presso unità produttive nelle quali, nei 6 mesi precedenti, si sia proceduto a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata, ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione di orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata;
  • da parte di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

Secondo una recente rilevazione Istat, nel 2009 le posizioni lavorative a chiamata hanno raggiunto le 111 mila unità in media annua facendo registrare un incremento del 75 per cento circa rispetto al 2007. Il dettaglio per attività economica mostra che nel settore degli alberghi e ristoranti si concentra circa il 60 per cento del totale dei lavoratori intermittenti. La restante quota è occupata prevalentemente nei settori dell’istruzione, sanità, servizi sociali e personali (12 per cento circa) e del commercio (circa il 10 per cento). Il job-on-call non risulta affatto utilizzato, invece, nel settore dell’intermediazione monetaria e finanziaria.

Le imprese ricorrono al contratto di lavoro intermittente quasi esclusivamente per coprire posizioni lavorative con qualifica operaia, che rappresentano il 90 per cento circa del totale, rileva ancora l’Istat, con un massimo di oltre il 98 per cento nel settore degli alberghi e ristoranti. I dipendenti a chiamata inquadrati come impiegati costituiscono una quota significativa solo nel settore del commercio (36 per cento circa nel 2007 e 30 per cento nel 2009). La regione in cui viene fatto maggiore uso del lavoro a chiamata è il Veneto.

Mamma, da grande farò il Temporary Manager!

Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva,  in collaborazione con il Dott. Alessandro Catania, docente universitario e temporary manager, ha provato ad indagare il fenomeno del Temporary Management, che da qualche tempo si sta diffondendo anche in Italia.

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Il Temporary Manager è un professionista che opera in modo temporaneo in progetti o mandati specifici vincolati dalla definizione e rispetto degli obiettivi (certi e misurabili), del ruolo, della funzione e degli ambiti di applicazione, del tempo (scadenza entro la quale portare a termine il mandato), dell’implementazione del progetto e, non ultimo, della sostenibilità e continuità dei risultati ottenuti. Al momento non è possibile stilare una classifica di aziende e di settori che maggiormente si avvalgono del temporary management, tuttavia, è possibile classificare le aree funzionali a maggior richiamo della figura dell’interim manager: Direzione Generale, Commerciale e Marketing, Produzione, Amministrazione, Risorse Umane, Information Technology, Ricerca e Sviluppo.

In Italia le prospettive sono delineate e circoscritte comunque da un quadro macroeconomico ancora poco rassicurante, almeno per i prossimi 12 – 18 mesi. Ma è proprio in momenti di crisi che la figura del manager in affitto è in crescita, certo non priva di rischi e di incertezze ed ostacoli.

Non volendo scoraggiare i colleghi che volessero intraprendere questa sfida, è bene comunque chiarire che si tratta di una scelta di vita e personale prima ancora che professionale. La scelta può essere anche condizionata dalla propria estromissione dall’azienda in cui si è lavorato, ma ciò non deve essere interpretato negativamente dal futuro temporary manager, viceversa è bene interpretarlo come un evento positivo di rinnovo radicale della propria professionalità. Innanzitutto bisogna vincere la diffidenza perpetrata ingiustamente e ciecamente dalle aziende e da alcuni imprenditori convinti che la mobilità sia dipendente dall’incapacità del manager e non dalla congiuntura economica negativa. In secondo luogo è necessario costantemente aggiornarsi professionalmente sugli ambiti funzionali cui voler operare, limitando le proprie scelte, non solo alle competenze sinora sviluppate, ma anche alle proprie aspirazioni e sogni professionali (non da sottovalutare, in questo caso, la componente personale delle pulsioni e motivazioni di autorealizzazione). Infine, ai futuri colleghi suggerisco un breve decalogo che a molti sembrerà banale o scontato, ma, a ben vedere, è frutto di considerazioni universali e personali che ciascuno di noi deve metabolizzare:

  • Scegliere limitati ambiti applicativi;
  • Associarsi ad organizzazioni di categoria;
  • Investire sul proprio futuro in corsi di formazione ed aggiornamento professionale anche intraprendendo percorsi di certificazione (PMA, PMI, ecc.);
  • Essere disponibili alla delocalizzazione temporanea (anche internazionale);
  • Accettare la propria mobilità e incertezza contrattuale come fattore critico di successo, facendo della propria professione fonte della soddisfazione personale;
  • Fare del proprio licenziamento (eventuale) non un’onta ma un momento di riposizionamento strategico della propria vita e indirizzarlo come atto di rinascita lavorativa, emotiva e personale;
  • Potenziare le capacità comunicative, di leadership, di gestione della complessità e della conflittualità, di problem solving, di governance e di management;
  • Garantire elevati standard di qualità personali per i propri clienti;
  • Vivere ogni incarico come un progetto temporaneo e non come opportunità subordinata all’inserimento in organico o di perpetrare la conservazione del proprio ruolo;
  • Essere capaci di vincere la diffidenza imprenditoriale e organizzativa.

Dott. Alessandro CATANIA