Continuità nella gestione del personale e giovani leader: questa la ricetta vincente delle imprese di famiglia

L’Osservatorio Aub (composto da Aidaf-Unicredit-Bocconi), ha realizzato un interessante studio curato da Guido Corbetta e Alessandro Minichili circa l’aumento della redditività per le imprese, specie familiari, capitanate da giovani manager. In realtà lo studio, contestualizzato sulla realtà italiana, allarga un po’ quello che è il limite di gioventù, arrivando alla soglia degli under 50. Ad ogni modo, dalla ricerca, su 2.550 imprese familiari che superano i 50 milioni di euro, è emerso che imprese che hanno alla guida persone sotto i 50 anni riescono a raggiungere risultati, in termini di reddività, migliori rispetto a quelle che hanno leader oltre i 60 anni d’età. L’indice di riferimento Roe (che misura la perfomance aziendale) di imprese con leader giovani è pari al 12%, mentre la media per le altre aziende familiari è dell’8,6%. Dai dati risulta che a incidere è anche il tempo di permanenza al vertice. Le performance più brillanti si registrano nell’arco dei primi 6-10 anni, cui segue un lento declino. Anche per questo motivo, determinare per tempo e con accortezza la successione all’interno delle aziende familiari è fondamentale per evitare di disperdere i risultati raggiunti sino a quel momento.

Altro dato di distinguo tra aziende familiari e non si rinviene nell’occupazione. Nel 2009, considerato anno di crisi, l’occupazione nelle aziende familiari sale di un più 0,8%. Dato minimo ma decisivo se confrontato a quello delle società statali e degli enti locali (-3,5%) e soprattutto al -20% delle multinazionali e al -33,6% dei consorzi e delle cooperative. Il motivo di tanta differenza? Le imprese a carattere familiare hanno una visione di lungo termine, incentrata sul rapporto con i territori in cui si insediano e guidate da maggiore responsabilità e senso civico. Quindi più ricorso alla cassa integrazione, ma meno licenziamenti e incentivi per la buona uscita. Mentre al vertice, dunque, il ricambio è necessario per migliorarsi, nella gestione del personale la parola d’ordine è continuità.

I bandi di finanza agevolata: che cosa bisogna conoscere per evitare la revoca del contributo

Le graduatorie di ammissione ai contributi previsti dai bandi di finanza agevolata sono divise in tre categorie.
Nella prima categoria rientrano le imprese che sono state ammesse a contributo e finanziate.
Nella seconda categoria rientrano le imprese ammesse a contributo ma non finanziate per esaurimento dei fondi.
Nella terza categoria rientrano le imprese non ammesse a contributo per mancanza dei requisiti o perché la domanda presentata è carente sotto il profilo formale e/o sostanziale.

L’impresa ammessa a contributo e finanziata deve rendicontare le spese degli investimenti indicati nella domanda di partecipazione e inviare i documenti di spesa entro i termini previsti dal bando.
Ci sono dei requisiti da rispettare, pena la revoca del contributo: il livello minimo di investimento, la dimensione dell’impresa, la permanenza dei beni acquistati nell’impresa.

Il livello minimo di investimento indica l’importo di spesa che deve essere sostenuto dall’impresa entro i termini previsti dal bando. Salvo qualche eccezione, la revoca totale del contributo scatta quando l’impresa non è in grado di sostenere almeno il 70% delle spese ammesse.
Questo problema si riscontra facilmente nei bandi per progetti di ricerca e sviluppo con durata di un paio di anni. Ad esempio, consideriamo un bando che agevola il costo del personale tecnico impiegato dall’impresa per la realizzazione del progetto: quando si prepara la domanda di partecipazione al bando, l’impresa deve valutare in modo ponderato le ore previste e il costo del personale dipendente impiegato. Pertanto, diventa di fondamentale importanza fare delle corrette previsioni di spesa, per evitare di trovarsi in difficoltà durante la fase di rendicontazione.

Il secondo requisito è legato alla dimensione dell’impresa. Se il bando di finanza agevolata riguarda le piccole e medie imprese, allora l’impresa ammessa e finanziata deve mantenere questa struttura dimensionale anche nei 5 anni successivi, pena la revoca del contributo. Non è un aspetto da sottovalutare, in quanto capita sovente che l’impresa faccia operazioni di ristrutturazione societaria, andando a mutare completamente la struttura organizzativa e dimensionale.

Il terzo requisito è quello della permanenza dei beni acquistati e agevolati all’interno dell’azienda. L’impresa, infatti, può dismettere i beni acquisti e agevolati solo dopo 5 anni dal loro acquisto. Se lo fa prima, pertanto, un’eventuale verifica da parte dell’ente governativo che ha emanato il bando comporta la revoca parziale o totale del contributo.

Dott. Giovanni DE LORENZI | g.delorenzi[at]infoiva.it | www.gdlstudio.it | Padova

Padovano, classe ’73, laurea in Discipline Economiche e Sociali e master in Economics presso l’Università Bocconi di Milano. Prima dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di Dottore Commercialista ha lavorato come analista dei processi informativi bancari. Attualmente collabora con la società Advance Group Srl per la consulenza nel campo della finanza agevolata e con la società AD Soluzioni Avanzate Srl per la consulenza nel campo dell’informatizzazione dei processi aziendali. Iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Padova e al Registro dei Revisori dei Conti dal 2007 è titolare dello studio GDL Studio, che fornisce attività di consulenza in campo fiscale, dei processi informativi e dell’organizzazione aziendale e della finanza agevolata.

Donne e mamme sull’orlo della partita Iva

Infoiva pubblica in anteprima e in esclusiva un articolo tratto dal terzo numero del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 30 novembre 2010 -, il nuovo mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Luisa SANTONOCITO

Il marito di Carla si è messo in malattia. Ha il mal di schiena. E Carla, che il mal di schiena l’ha davvero, è costretta ad accelerare il ritmo. Lei nemmeno sa cosa voglia dire “mettersi in malattia” né mai lo saprà, perché non può fermarsi. La sua giornata è inesorabilmente scandita: sveglia alle 7; ore 7,55, i bambini entrano a scuola e non si può sgarrare di un minuto; ore 8, Poldo deve uscire e, si sa, i labrador amano correre anche sotto la pioggia, allora, stivali ai piedi, si affrontano fango e liti canine; ore 8,30, i letti da fare, la spesa da ultimare, la cucina da sistemare dopo la colazione.

E poi via, finalmente nel proprio studio, davanti al Mac, la schiena di Carla trova un po’ di sollievo. E la mente anche. Si può pensare finalmente, scrivere, leggere la posta, dialogare a distanza. La scrivania è piena di memo, a leggerli tutti ci si mette un’ora, e allora via con la prima richiesta e la prima azione stampa. Una lettera, però, fa capolino da dietro il video, appiccicata con un pezzo di pongo rosso (quello di Federico, sei anni e una richiesta costante: “Mamma, giochi con me?“). È la lettera dell’Inpgi, l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, che reclama il “versamento dei contributi minimi per l’anno 2010 per giornalisti con attività libero-professionale“.

Attività libero-professionale: suona bene. Dà l’idea di qualcosa di grosso, di importante, di soddisfacente. E riguarda proprio lei, Carla, ma riguarda anche Beatrice, Paola, Patrizia, Caterina… donne di diversa età, cultura, geografia. Donne che, tra figli, casa e lavoro, hanno imparato a ottimizzare ogni minuto delle 24 ore: una mail tra un allenamento di basket e un compito di matematica, la lavatrice alle due del mattino (all’insegna del risparmio e della disperazione), si dimenticano delle impegnative per importanti esami di controllo, ma guai a non seguire nei dettagli e nei tempi giusti l’incarico affidato dall’unico committente.

Donne con una caratteristica in comune: la partita Iva, sinonimo, per loro, di libertà e al tempo stesso di schiavitù. Sì, perché se sei single e magari puoi contare sull’appoggio dei genitori, puoi lavorare divertendoti in attesa di un posto più sicuro, ma, se la mamma sei tu, la sensazione a fine giornata può essere quella di avere un cappio al collo, altro che libertà. “Le ricordo che il 30 settembre scade il termine previsto per il pagamento…”, la lettera dell’Inpgi parla chiaro, con toni che paiono quasi nervosi. Insomma Carla, lo paghi o no quest’ente previdenziale? Lo pagherà, lo pagherà, il problema è che non ci ha fatto ancora la mano con la sua partita Iva e la sua “libera” professione. Forse perché così libera non si sente, o forse, in fin dei conti, perché in questa libertà non ci crede tanto. “Contribuente regime dei minimi”, nel senso di dividere la propria vita in porzioni precise, nette, immodificabili: massima precisione per un minimo ricavo. Almeno quello monetizzabile, perché se si somma felicità dei figli, bei voti a scuola, soddisfazioni materne e professionali, allora il ricavo è massimo, ma conti reali alla mano c’è da mettersi le mani nei capelli, senza contare il prezzo in termini di vita privata che se ne va: sparita, annullata.

E il futuro? Ci pensi a volte Carla al futuro? Certo se il marito con la schiena dolorante ti sosterrà… Ma se non sarà così? Come andrà a finire per te? E come per Beatrice che un ente di previdenza nemmeno l’ha? Troppe domande per le 9,15 del mattino. Meglio scrivere il comunicato stampa, pensare al titolo del pezzo e avviare il collegamento Internet banking per pagare quella benedetta rata.

Tutto è veloce, immediato, niente errori. “Ma allora, accidenti, perché il tempo non basta mai?“, si chiede Paola puntualmente tutti i giorni. “Ma come, tu che lavori a casa“, la riprendono le altre mamme lavoratrici dipendenti, quasi tutte part time, che alle due del pomeriggio escono dall’ufficio e ci rientrano alle nove del giorno dopo e a fine mese sventolano un bel cedolino con straordinari e ferie pagate, “Ma come, tu che hai tutto il tempo che vuoi, arrivi in ritardo a scuola, ti lamenti, sei stremata? Insomma! Non sei organizzata!“.

Paola vorrebbe spiegare che si è persa nel vortice della vita professionale e familiare, che nulla concede a quella privata, ma non può, deve correre, e non per fare carriera come il marito ma per portare i figli ai campi di calcio, pagare le bollette, sollecitare il pagamento di una vecchia fattura. “Non fermarti!“, dicono quelle come lei, lavoratrici autonome senza busta paga, che magari l’avevano e che vi hanno rinunciato per trasferirsi in un’altra città, per seguire un amore o semplicemente perché hanno avuto la pessima idea di fare un figlio e quindi, declassate e umiliate, hanno deciso di mandare al diavolo l’azienda e mettersi in proprio. “La libertà, sì! Apro la partita Iva e sarò libera. Figurati, con la mia bravura e con la mia esperienza mi rimetterò certamente in pista“. Solo che la pista assomiglia a quella della Formula Uno, velocità a mille, anche in curva. Niente fermate neanche per…

Sì, questa è la vita di molte mamme partita Iva, più o meno benestanti. Che tra figli, scuola, casa e lavoro, si sentono in colpa se decelerano. Quando Patrizia, traduttrice e interprete free lance, si sente dire: “Ma che fortuna hai a lavorare in proprio, così puoi seguire figli, famiglia e casa senza dover fare i salti mortali e vai in vacanza quando vuoi!“, risponde: “Provateci!“. Ma non ha dubbi e con convinzione rivendica la propria scelta. Due figli e un marito libero professionista, anzi a dire la verità sono entrambi liberi professionisti… chissà perché, però, suona sempre meglio se riferito al genere maschile. Patrizia vede il bicchiere mezzo pieno: “L’aspetto positivo è che il lavoro è sempre vario, non hai orari fissi, non sei costretta a lavorare sempre con le stesse persone, sei capo di te stessa… Ma è anche vero che, se non fai attenzione, rischi di non avere più orari e di essere fagocitata da una spirale senza fine di attività famigliari che ti portano poi a dover magari lavorare di notte per riuscire a rispettare le consegne, con il marito che brontola perché non dedichi del tempo a lui“.

Il rovescio della medaglia è dietro l’angolo: “Quando abbiamo avuto Giorgio e Francesca (nove e dieci anni) – continua Patrizianon abbiamo dovuto prendere decisioni su chi si sarebbe dedicato di più alla famiglia e chi di più alla carriera, era già insito nel mio dna. Credevo di essere Wonder Woman e di poter riuscire a crescere i miei figli in armonia almeno fino ai tre anni, conciliando anche il lavoro. E ho rischiato l’esaurimento. Grazie al sostegno di mio marito e alla decisione di ‘spedire’ i pargoli al nido, sono riuscita a reinserirmi sul mercato del lavoro e a ritrovare me stessa… Però quando lui parte per lavoro si prepara la valigia, saluta e se ne va. Quando parto io, devo preparare i vestiti per i bambini per i giorni in cui sono assente, preparare le borse e le borsine per le attività extrascolastiche, controllare che il frigo e la dispensa non siano completamente vuoti, scrivere bigliettini vari per rammentare orari e impegni, e poi finalmente posso prepararmi e partire per la meta lavorativa, saltando in macchina e magari prendendo un aereo al volo!“.

Patrizia ha imparato a conciliare lavoro, casa e famiglia facendo appello a tutto il suo senso di disciplina, grazie anche a una forte unione e a un matrimonio solido. Ma non va sempre così. A volte devi fare i conti con quello che la vita ti riserva. Caterina era una brava PR, lavorava tra Roma e Milano, felice e soddisfatta. Poi ha incontrato l’uomo della sua vita e con lui ha avuto una figlia. Ha lasciato l’azienda, “il posto fisso”, e ha scelto la libera professione tra grandi progetti ed entusiasmo. Non si è sposata. Un anno dopo lui se ne è andato e ora lei è sola con Lucrezia, tre anni, bellissima, e la sua partita Iva che le farà compagnia per molto tempo ancora, forse per sempre. Insieme a un futuro tutto da costruire.

Imprese familiari e passaggio generazionale: Atema firma un evento a Firenze e Milano

Quanto conta, in un tessuto produttivo come quello italiano caratterizzato dalla preponderanza di piccole e medie imprese spesso a conduzione familare, una corretta gestione del passaggio generazionale all’interno di un’azienda, per evitare errori, traumi, sbandamenti, spesso pericolosi per il business se non addirittura per la sopravvivenza dell’attività stessa?

È quello cui cercherà di rispondere l’evento “Padri, Figli e Patrimoni: family business e passaggio generazionale“, organizzato da Atema in collaborazione con Family Office del Gruppo Montepaschi e AIdAF Associazione Italiana delle Aziende Familiari, in programma a Firenze venerdì 3 dicembre 2010 (ore 9,30 – 13,30, Banca Monte Dei Paschi di Siena, Via Dè Pecori 6/8 – SCARICA IL PROGRAMMA DELLA GIORNATA) a Milano mercoledì 15 dicembre 2010 (ore 9,30 – 13,30, Circolo della Stampa, Sala Bracco, C.so Venezia 16).

È sentire comune che competenze, conoscenze e aspetti manageriali di eccellenza per la gestione dei cambiamenti strategici e di governo delle imprese familiari, debbano affiancarsi in coerenza ai migliori servizi di gestione dei patrimoni familiari (tangibili e intangibili) garanti di una continuità dello spirito imprenditoriale, sociale e della sostenibilità delle imprese familiari italiane.

La “family continuity” è un obiettivo dell’impresa di famiglia ma è anche fattore necessario allo sviluppo del sistema produttivo italiano.
Poter contare su stabili relazioni, sulla possibilità di trasmettere il patrimonio di generazione in generazione, e sulla possibilità di generare ma anche trasmettere ricchezza e valori sul territorio sono fondamenti imprescindibili per la crescita competitiva del Paese: ciò si fonda anche sul valore della tutela dei patrimoni individuali e familiari, e sulla possibilità di creare presupposti operativi ed efficaci ad ogni momento del passaggio inter-generazionale per il mantenimento degli stessi e dell’azienda nel medio-lungo termine.

L’incontro si propone di fare il punto sui servizi di eccellenza, le forme innovative e personalizzate alle esigenze degli imprenditori per la gestione integrata dei patrimoni familiari, in particolare nelle critiche fasi dei passaggi generazionali.

Laura LESEVRE

Oltre il business: gli impieghi alternativi degli spazi per il Temporary office

I business center più moderni, come per esempio Blend Tower a Milano, sono stati concepiti e realizzati per rispondere al maggior numero possibile di esigenze di aziende e professionisti, sia da un punto di vista logistico, sia in termini di servizi offerti.

Accanto agli uffici sono state progettate delle sale riunione di varie dimensioni – per ospitare l’incontro con il singolo cliente, ma anche il meeting del board aziendale – oltre a sale concepite espressamente per accogliere corsi di formazione o per ospitare riunioni in cui sono richieste tecnologie sofisticate: si va dal semplice videoproiettore + schermo, entrambi integrati a muro e immediatamente utilizzabili collegando il proprio laptop, fino a soluzioni più sofisticate. Un esempio è dato dalla tecnologia di videoconferenza, per collegarsi e interagire con clienti e collaboratori in location remote, fino alla tecnologia del room combining, per collegare tra loro più sale riunione, particolarmente utile, per esempio, per corsi di formazione o convegni con alcune sessioni comuni e altre da svolgere in gruppi separati.

E poi, chi ha detto che un business center deve essere solo un luogo di lavoro? Le strutture più all’avanguardia propongono spazi per eventi, come il panoramico lounge all’11° piano di Blend Tower a Milano, per ospitare eventi aziendali e privati, presentazioni di nuove attività o prodotti in un contesto prestigioso, trasformabile all’occorrenza persino in uno showroom.

Da un punto di vista dei servizi, a tendere il Temporary office si può dunque avvicinare al modello di “incubatore d’azienda“, grazie alla proposta di risorse a supporto delle aziende e start up, quali, per esempio, aiuto per i servizi basici e strutturali, attività di networking, fino poi a consulenze più avanzate come assistenza di marketing, consulenza legale e finanziaria, collegamenti con partner strategici.

Lo Speciale “Temporary office” è realizzato in collaborazione con Halldis, primo operatore nell’affitto di appartamenti e uffici chiavi in mano in Italia ed Europa, che a Milano gestisce il business center Blend Tower, con più di 100 temporary office.

A chi è meglio affidare la tenuta della contabilità una volta che ho avviato la mia impresa?

Quinta tappa del viaggio di Luigi P. nel mondo delle partite IVA. Luigi ora deve scegliere la figura professionale più idonea cui affidare la propria contabilità. Infoiva, grazie al contributo della dott.ssa Ippolita Pellegrini, gli spiega come fare.

Il commercialista è la figura più idonea e più preparata ad affrontare la vasta gamma delle esigenze amministrative, contabili e fiscali di un’attività di lavoro autonomo o d’impresa.

Oltre ai servizi relativi all’inizio di un’impresa, il commercialista dovrà tener conto dei servizi relativi alla tenuta della contabilità, agli adempimenti fiscali e ad altri servizi amministrativi.

Gli adempimenti fiscali riguardano sostanzialmente la liquidazione periodica dell’IVA, la comunicazione annuale iva, gli elenchi Intrastat, i versamenti Ici, l’elaborazione e trasmissione della dichiarazione IVA, della dichiarazione dei redditi, dei modelli relativi alle ritenute d’acconto.

La consulenza aziendale concerne la predisposizione del budget di programmazione aziendale, di simulazioni utili alla verifica delle prospettive aziendali e di studi di fattibilità economica.

I servizi vari amministrativi riguardano gli adempimenti verso la Camera di Commercio, l’assistenza negli adempimenti amministrativi ordinari, l’assistenza contrattuale, la consulenza su temi legali e fiscali che riguardano la propria attività.

 

Dott.ssa Ippolita PELLEGRINI | i.pellegrini[at]infoiva.it | (+39) 346.5278117 | Bisceglie
Laureata in Economia e Commercio presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Bari nel 1995, la Dott.ssa Pellegrini è esperta in gestione aziendale e da 12 anni è Responsabile Contabilità e Bilancio di un gruppo di società di capitali, titolari di numerosi marchi, dedite alla produzione e alla commercializzazione di abbigliamento in Italia e all’estero. Iscritta all’Albo dei Dottori Commercialisti di Trani dal 2006, segue l’approfondimento della materia fiscale e tributaria e studia la fattibilità e la convenienza di operazioni aziendali particolari.

Leggi gli articoli già pubblicati dal Professionista.

Help! La Cna di Perugia, chiede provvedimenti ad hoc per le piccole imprese umbre

Secondo Renato Cesca, presidente provinciale della Cna di Perugia, servono al più presto nuovi provvedimenti ad hoc per aiutare le piccole imprese a superare definitivamente la crisi. Secondo Cesca, “le piccole imprese da sole oggi non ce la fanno più: costrette, oramai da alcuni anni, ad operare in un mercato interno stagnante e soffocate da una eccessiva burocrazia e da un’elevata pressione fiscale, stanno pian piano scivolando verso la marginalità e il sommerso”. Cesca ricorda che in Umbria operano circa 84 mila imprese, delle quali oltre il 90% hanno meno di 10 dipendenti. ”Esse – afferma – da sempre hanno svolto sia un ruolo economico che sociale, creando da un lato valore aggiunto e quindi ricchezza, ma anche ridistribuendola sul territorio in cui opera. Per tali motivi non è più demandabile nel tempo l’adozione di una nuova legge regionale per promuovere il riposizionamento strategico della piccola impresa. Credito, internazionalizzazione delle piccole imprese di subfornitura, innovazione organizzativa, formazione continua degli imprenditori e dei dipendenti, semplificazione amministrativa e una strumentazione per favorire l’aggregazione tra imprese, sono le linee lungo le quali una siffatta normativa dovrebbe svilupparsi, con risorse dedicate e congrue rispetto agli obiettivi”. Per il presidente provinciale della Cna di Perugia, quindi, occorre lavorare per ”rendere il sistema paese e dunque il sistema Umbria più competitivo, utilizzando tutte le potenzialità che tali sistema hanno”

San Nicola propizia gli accordi tra le imprese baresi e quelle russe

Che i santi siano attrezzati per fare miracoli, è cosa risaputa. Che i santi ci mettano lo zampino nelle questioni economiche… era cosa meno risaputa. Pare però, che proprio grazie ad un santo, San Nicola, che sia nata un’amicizia tra la città di Bari e la Russia. Un’amicizia, questa, che potrebbe portare a concludere importanti affari tra le imprese baresi e quelle russe, negli scorsi giorni infatti è stato siglato un accordo tra la Camera di Commercio di Bari e la rappresentanza commerciale della Federazione Russa in Italia. L’accordo sarà volto all’introduzione di programmi ed iniziative atti a stimolare lo sviluppo di una rete di cooperazione attraverso un progetto dell’azienda speciale Aicai, che ha istituito da tre anni lo Sportello Russia dedicato all’assistenza alle aziende della provincia di Bari. Il protocollo d’intesa è stato siglato lo scorso 19 novembre da Antonio Laforgia, Presidente della Camera di Commercio di Bari e da Nathela Shengelija, presidente della Rappresentanza commerciale della Federazione Russa in Italia. L’accordo servirà a favorire la circolazione di opportunità di scambio e a rendere accessibili le informazioni e i servizi di carattere commerciale al fine di facilitare i contatti e gli incontri economici tra imprenditori e organizzazioni private dell’Italia e della Russia. È, inoltre, prevista l’organizzazione di visite di delegazioni e missioni economiche allo scopo di creare le condizioni che favoriscano lo sviluppo delle relazioni di collaborazione tra le aziende dei rispettivi paesi e/o territori di riferimento e a promuovere, quando possibile, l’organizzazione di seminari e conferenze allo scopo di far conoscere le reciproche potenzialità economiche. Il protocollo mira anche ad incoraggiare le partecipazioni dei soggetti economici a fiere, mostre e altre manifestazioni internazionali.

Un bilancio positivo, insomma, quello che ha visto a Bari oltre 600 operatori che hanno animato la due giorni della 17ma edizione della cosiddetta task force Italo-russa sui distretti delle piccole e medie imprese. Un’occasione che ha avvicinato enti, partner istituzionali e privati, a una economica che nel futuro intende incrementare l’import-export e investire in meccanica, meccatronica ed energie rinnovabili. In tal senso sono già stati proposti 30 progetti per i quali è allo studio la creazione di un segretariato proprio per seguire gli esiti di quanto prodotto durante i lavori delle task force. A oggi ammonta a 10 miliardi di euro il valore complessivo degli scambi tra Italia e Russia, dati relativi al I° semestre 2010. Dati che segnano un incremento dell’8,2 per cento rispetto al 2009. Sempre nel primo semestre 2010, la Puglia ha registrato un  incremento dell’export verso la Puglia del 34,1%.

fonte: Bari Sera

Giorgio Guerrini Presidente Rete Imprese Italia

Passaggio di testimone ai vertici di Rete Imprese Italia: dal 1 gennaio 2011, l’attuale presidente dell’organizzazione interassociativa nonché presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, lascerà il vertice a Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato, che siederà alla presidenza di Rete Imprese Italia per i successivi sei mesi.

L’annuncio é stato dato in questi giorni, durante un incontro con i giornalisti dello stesso Sangalli, che si é definito, “già in prorogatio”, e Giuseppe De Rita, presidente della fondazione di Rete Imprese.

Sangalli era stato nominato giusto lo scorso maggio 2010 in occasione della costituzione dell’organizzazione interassociativa composta da Confcommercio, Confartigianato, Confesercenti, Cna, Casartigiani.

In quest’ultimo incontro, Sangalli ha voluto ribadire la sua posizione rispetto alle scelte del governo, ovvero

“con forza la richiesta di una riforma fiscale che, incrociandosi con il federalismo, punti a due obiettivi: la semplificazione e la riduzione del pressione fiscale”.

Edilizia: un imprenditore su tre non riesce ad avere accesso al credito

Secondo un’indagine condotta sulle imprese Ance si evidenzia che il credito per le imprese del settore edilizio è ancora cosa molto difficile e ben un imprenditore su tre dichiara forti difficoltà ad accedere ai finanziamenti. Nel Sud e nelle Regioni si raggiungono picchi del 50% di imprenditori che denunciano un freno al credito. Inoltre, a soffrire di più sono le piccole imprese, con un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro. Il problema di liquidità, sottolinea l’associazione dei costruttori, sconta anche la difficoltà di vedere soddisfatti i propri crediti verso la pubblica amministrazione. “Il sistematico ritardo nei pagamenti – spiega l’Ance – ha sottratto liquidità alle imprese di costruzione impegnate nella realizzazione delle opere pubbliche. In alcuni casi è la sopravvivenza stessa delle imprese che viene messa a rischio dalla sottrazione di risorse finanziarie determinata dai ritardi. In molti altri, la mancanza di certezza nei tempi di pagamento impedisce agli operatori economici di procedere all’indispensabile programmazione delle proprie attività”. Quasi la metà delle imprese Ance denuncia ritardi medi che superano i 4 mesi oltre i termini contrattuali, con punte di ritardo che toccano i 2 anni. Sono soprattutto le imprese più piccole a incontrare difficoltà nel riscuotere i crediti vantati.

Un altro elemento di difficoltà segnalato dall’Ance è dato “dal progressivo disimpegno dello Stato nella realizzazione delle opere pubbliche, testimoniato dal calo di risorse stanziate per nuove infrastrutture”. Dall’analisi del disegno di legge di stabilità 2011 emerge una riduzione del 14% rispetto all’anno precedente, “un calo pesante che si somma a quelli altrettanto significativi registrati nel 2009 (-13,4% rispetto al 2008) e 2010 (-9,8%)”. Complessivamente, secondo l’associazione, le risorse per nuove infrastrutture sono diminuite del 30% nel triennio 2009-2011. Accanto a questo si registra una concentrazione delle risorse per infrastrutture in pochi capitoli di spesa. Il disegno di legge di stabilità per il 2011, osserva l’Ance, “non prevede inoltre alcun contributo in conto capitale per l’Anas. La mancanza di fondi ordinari per l’ente stradale blocca la continuità delle risorse necessarie per la programmazione, la realizzazione e la manutenzione di nuove opere, per lo più di piccola e media dimensione. Da segnalare anche i tagli alle risorse per l’edilizia sanitaria (-1,8 miliardi di euro nel biennio 2011-2012 rispetto alle previsioni) e alle Ferrovie dello Stato (-922 milioni nel triennio 2011-2013)”. Infine per l’Ance, la diminuzione degli stanziamenti per nuove infrastrutture a livello nazionale si accompagna a una progressiva riduzione degli investimenti locali.