Cosmetica Made in Italy apprezzata anche all’estero

Il settore della cosmetica Made in Italy piace molto anche all’estero, soprattutto in Francia, Germania e Stati Uniti, che infatti rappresentano le tre destinazioni principali dell’export per questo importante comparto.

I risultati parlano chiaro: la bellezza Made in Italy ha chiuso il 2017 con un fatturato di 11 miliardi, in crescita del 4,4% rispetto all’anno precedente, e di questa cifra ben 4,7 miliardi arrivano dalle esportazioni, che segnano un aumento del 9%, portando così la bilancia commerciale a 2,4 miliardi, stabilendo un vero e proprio record.

La crescita, però, si registra anche in Italia, con un aumento dell’1,3% e 6,3 miliardi.

Questi dati sono stati confermati anche da Cosmetica Italia, che prevede un 2018 altrettanto positivo e un’ulteriore crescita del 5% per quanto riguarda i ricavi, del 9,2% per l’export e dell’1,9% del mercato interno.

A questo proposito, ha commentato i dati ottenuti Fabio Rossello, presidente di Cosmetica Italia: “L’export si riconferma ancora una volta motore del settore. La cosmesi Made in Italy è sempre più apprezzata nel mondo e continua a conquistare nuovi mercati. Nel 2017, infatti, le destinazioni extra Ue sono salite al 60%, mentre nel 2016 erano ferme al 48%, indice della competitività dell’offerta italiana anche su mercati consolidati“.

L’incremento più consistente è quello che arriva da Hong Kong (+32,9%), con un valore che da gennaio ad ottobre è pari a 162 milioni, pari al 4,3% delle esportazioni totali.
E’ cresciuto anche il mercato della Francia, da sempre il più importante, salito del 27,7% con 494 milioni. Terza, anche se in calo del 2%, la Germania, con 432 milioni. Ci sono poi gli Stati Uniti a 341 milioni (+4,5%), Regno Unito e Spagna.

Giovanni Foresti, della direzione studi e ricerche Intesa Sanpaolo, ha aggiunto: “La cosmetica italiana si conferma altamente competitiva e dinamica. Accresce la sua specializzazione nel comparto e rafforza la sua quota di mercato. Un risultato straordinario, ottenuto in un contesto che ha visto la rapida affermazione di nuovi competitor, come Corea del Sud e Cina. Nei settori specializzati in beni di consumo, le imprese della cosmesi, insieme a quelle dell’occhialeria e della farmaceutica, primeggiano per redditività“.

Per quanto riguarda i consumi interni, a fine 2017 il valore dei cosmetici acquistati in Italia ha raggiunto i 10 miliardi.
La crescita in questo caso deriva anche dall’aumento dei canali professionali. I saloni di estetica sono aumentati del 2,4%, con una previsione di un ulteriore 2,5% per l’anno in corso, mentre i saloni di acconciatura sono saliti dell’1,9% e registreranno un trend stabile anche nel 2018 con l’1,5%.

Leggermente in calo, al contrario, le vendite delle profumerie, con -0,5% nel 2017 ma una previsione di recupero dello 0,5% nel 2018. La grande distribuzione, invece, guadagna l’1% superando i 4 miliardi di euro, pari al 40% della distribuzione di cosmetici a livello nazionale.
Numeri importanti arrivano anche dai negozi monomarca e dai punti vendita riservati alla casa, ma in espansione ci sono anche le erboristerie (0,9% a 440 milioni) e le farmacie (1,2% e quasi 1,9 miliardi).

Gian Andrea Positano, responsabile del centro studi di Cosmetica Italia, ha dichiarato: “Si parla molto di digital transofrmation, ma il processo di adattamento da parte delle imprese non è così immediato come può sembrare. L’industria necessita di un cambiamento graduale, che impatti il meno possibile sulle routine aziendali e, allo stesso tempo, crei valore aggiunto“.

Vera MORETTI

Circolare sulla ricongiunzione dei contributi

E’ stata rilasciata dall’Inps la circolare 24 del 2 febbraio 2018 che contiene importanti informazioni che riguardano la ricongiunzione contributi INPS per i liberi professionisti.

Questa circolare può essere utilizzata per la corretta applicazione dei piani di rateizzazione di questi periodi, in base alle domande presentate nel 2018.

Si tratta di un documento importante soprattutto per i liberi professionisti che hanno versato contributi in più casse e hanno la necessità di presentare domanda di ricongiunzione dei contributi ai fini pensionistici. In questa circolare infatti sono contenuti i principali riferimenti di legge e le nuove tabelle approvate dall’Inps per il calcolo degli oneri di ricongiunzione.

La legge numero 45 del 5 marzo 1990 prevede, per i liberi professionisti, la possibilità di poter predisporre un pagamento rateale dell’onere di ricongiunzione della contribuzione. Sulle rate, sarà poi prevista una maggiorazione dell’interesse annuo. Quest’ultimo, è pari al tasso di variazione medio annuo dell’indice dei prezzi al consumo delle famiglie realizzato dall’Istat. Le categorie coinvolte in tale parametro sono operai e impiegati in un periodo di un anno.

In riferimento al corretto calcolo del pagamento in rate degli oneri di ricongiunzione, ogni anno l’INPS rilascia una apposita circolare ufficiale con le tabelle dei coefficienti validi per la definizione anche del piano di ammortamento da seguire per i pagamenti. Per il 2018 si tratta della circolare 24 del 2 febbraio 2018 che è disponibile sul sito ufficiale dell’Inps e come di consueto in fondo a questo articolo per i nostri lettori.

Sempre nella stessa circolare sono state inserite le istruzioni per utilizzare correttamente le due tabelle approvate per la presentazione delle nuove domande sulle ricongiunzioni dei contributi per il diritto alla pensione dei professionisti.

Vera MORETTI

Online i nuovi modelli per la dichiarazione dei Redditi 2018

Sono disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate i modelli per la dichiarazione dei Redditi 2018, sia per le persone fisiche (PF), gli enti non commerciali (ENC), le società di persone (SP) e le società di capitali (SC) , seguite dalle relative istruzioni, che dovranno essere utilizzate nella prossima stagione dichiarativa e relative al periodo d’imposta 2017.

Il documento per il 2018 ha in sé alcune novità, come ad esempio l’introduzione di una sezione dedicata agli affitti brevi e altre variazioni riguardanti le detrazioni relative al rischio sismico.

Nel dettaglio, il modello Redditi PF apre alla nuova disciplina fiscale per i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, situati in Italia, la cui durata non supera i 30 giorni e stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa.
In questo particolare caso, il reddito derivante da queste locazioni costituisce reddito fondiario per il proprietario dell’immobile o per il titolare di altro diritto reale e va indicato nel quadro RB del modello.
Per il sublocatore o il comodatario, il reddito derivante da queste locazioni brevi costituisce reddito diverso e va inserito nel quadro RL.

Dei nuovi modelli fanno parte anche le percentuali di detrazione più ampie, ad esempio riguardanti le spese sostenute per effettuare interventi antisismici sulle singole unità immobiliari e su parti comuni di edifici condominiali, ma anche per gli interventi che comportano una riduzione della classe di rischio sismico, per alcune spese per interventi di riqualificazione energetica sulle singole unità immobiliari e su parti comuni degli edifici condominiali.

Altre novità è la nuova modalità di determinazione del reddito di impresa improntata al criterio di cassa per le contabilità semplificate.
Nei quadri di determinazione del reddito d’impresa sono state invece gestite le modalità applicative del regime di esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti, dettate dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 28 agosto 2017.

Vera MORETTI

Condono edilizio negato nelle zone sismiche

Gli abusi edilizi, che nelle zone sismiche compromettono seriamente la stabilità di un edificio, devono necessariamente essere abbattuti, anche se sono stati oggetti di condono.
Per evitare l’abbattimento deve essere dimostrato il rispetto delle specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche e dunque che la sopraelevazione e la struttura sottostante sono idonee a fronteggiare il rischio sismico.
A chiarirlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2115/2018.

Generalmente, l’abuso edilizio più diffuso è quello di sopraelevare un terrazzo costruendo una veranda, soprattutto da parte dei condomini residenti all’ultimo piano che possono avere accesso al lastrico solare in via esclusiva. Spesso l’opera viene effettuata senza permessi previsti dalla legge, per poi essere condonata in seguito, magari sfruttando il meccanismo del silenzio assenso dell’amministrazione comunale.

Il caso in questione analizzato dalla Cassazione era analogo, come ne esistono molti in Italia, ed è venuto alla luce dopo che gli altri condomini avevano presentato un ordine di demolizione ritenendo che la sopraelevazione compromettesse la stabilità del palazzo, trattandosi di zona sismica.

Ecco quanto stabilito dai giudici: “In zona sismica, la sopraelevazione irrispettosa della specifica normativa tecnica deve considerarsi di per sé pericolosa e dunque va abbattuta anche se condonata”.

In questa sentenza, la Corte di Cassazione ha ricordato quali sono i principi generali del diritto di sopraelevazione che spetta al proprietario dell’ultimo piano di un edificio, il quale ha facoltà di costruire sul proprio terrazzo o sul lastrico solare un nuovo piano o una struttura chiusa aumentando così l’altezza dello stabile a patto di essere in regola con le concessioni comunali ed i permessi di costruire prima di edificare la sopraelevazione.

I condomini possono opporsi alla sopraelevazione se:

  • le condizioni statiche dell’edificio non la consentono. Limite superabile solo se il proprietario viene autorizzato, con il consenso unanime dei condomini, all’esecuzione delle opere di rafforzamento e consolidamento necessarie a rendere idoneo l’edificio a sopportare il peso della nuova costruzione;
  • questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio;
  • questa diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti.

Vera MORETTI

Per i turisti stranieri, l’Italia rimane la meta preferita

I turisti stranieri che hanno visitato l’Italia nel 2017 non hanno intenzione di fermarsi e, anzi, nell’anno in corso aumenteranno ancora, attirati dalle bellezze artistiche, naturali e gastronomiche che il Belpaese sa offrire da Nord a Sud.

Se, infatti, nell’anno scorso sono stati 58,8 milioni, nel 2018 arriveranno addirittura a 62 milioni, con un aumento del 5%.

Ovviamente, per fidelizzare questi nuovi turisti, occorre applicare una politica economica adeguata che sappia sostenere lo sviluppo e la competitività del turismo italiano. A chiederlo sono le imprese che fanno parte di Assoturismo Confesercenti, che si aspettano un piano di intervento che sappia accompagnare il settore nel modo più giusto.
Considerando che il 2018 si prospetta come un anno molto dinamico dal punto di vista del turismo, soprattutto straniero, non si deve farsi trovare impreparati.

La crescita maggiore arriverà dai Paesi extraeuropei, ma arrivi massicci sono attesi anche dall’Europa e dal mercato domestico.
Tra i turisti più fedeli ed attratti dall’Italia ci sono gli statunitensi, per i quali si stima una crescita del 5,5%, ma anche i visitatori cinesi sono destinati ad aumentare, del 4,5%.
Bene anche le attese sulla domanda proveniente da Australia e America Latina, viste entrambe in crescita del 3,5%, mentre i visitatori giapponesi dovrebbero aumentare del 2,5% nel corso del 2018.
Guardando all’Europa, i mercati più interessanti per il nostro Paese sono quello tedesco, che ha segnato un aumento del 3% lo scorso anno e che dovrebbe crescere nel 2018 di un ulteriore 2%, la Francia (+2,5%) e l’Inghilterra (+2,5%).

Vittorio Messina, presidente di Assoturismo, ha dichiarato: “Il turismo merita una maggiore attenzione: occorre individuare le giuste coordinate per accompagnare la crescita e lo sviluppo del settore, mettendo in campo tutte le azioni che consentono di rendere strutturale una domanda turistica che si presenta in forte crescita. Uno scenario che impone la predisposizione di tutti gli strumenti necessari per agganciare questo trend positivo in modo da rispondere alle aspettative dei viaggiatori, creando un vantaggio competitivo per il nostro sistema turistico. Per questo abbiamo proposto alle forze politiche un piano di intervento che si articola in quattro pilastri, dalla ricostituzione di un Ministero per il Turismo che permetta di perseguire una politica unitaria sul turismo – sia su fisco che su promozione – al varo di un piano specifico per sostenere le micro e piccole imprese del settore, soprattutto quelle stagionali. Ma è indispensabile anche agire sul fronte dell’Unione europea, ricalibrando il recepimento delle normative sul turismo e riequilibrando i livelli di tassazione sulla media Ue, e varare un progetto concreto di destagionalizzazione che permetta finalmente al nostro Paese di valorizzare la propria offerta turistica per dodici mesi l’anno”.

Vera MORETTI

Le pmi sempre più verso l’internazionalizzazione

Le piccole e medie imprese, per diverse ragioni, stanno ampliando i loro orizzonti oltre i confini di casa. Se, infatti, in alcuni casi per pesare il valore dei loro prodotti, specialmente se di qualità eccellente ma di nicchia, confrontandosi con mercati a minore intensità, spesso si tratta di una decisione quasi obbligata.
Se la crisi ha messo in ginocchio l’economia locale, infatti, molte pmi si sono salvate proprio rivolgendosi a mercati esteri e scegliere la strada dell’internazionalizzazione, e tuttora rimane una soluzione ottima se si vuole rimanere competitivi.

Per riuscire ad approdare sui mercati stranieri, occorre seguire leve strategiche che potrebbero davvero rivelarsi vincenti.
Bisogna comunque sapere quali sono gli aspetti da non tralasciare:

  • Termini contrattuali;
  • Fattibilità economica del progetto;
  • Conoscenza degli interlocutori e partner aziendali;
  • Attenzione ai flussi di cassa;
  • Evitare business poco chiari o illeciti;
  • Non accettare compromessi o scorciatoie;
  • Agire entro le regole del WTO;
  • Valutare potenziali problemi e apprendere dagli errori propri e altrui;
  • Limitare l’esposizione;
  • Essere presenti.

Prima di intraprendere l’avventura dell’internazionalizzazione, inoltre, è necessario effettuare un’analisi di mercato per capire dove è più conveniente dirigersi, e monitorare, tra gli altri aspetti, il livello di barriere d’ingresso, la dimensione e il tasso di crescita della domanda, la sensibilità del consumatore al prezzo, il livello di competizione e i futuri trend.

Anche il raggio d’azione è molto importante, poiché potrebbe rivelarsi più vantaggioso a questo proposito focalizzarsi sulle aree che abbiano maggior potenziale e tralasciare quelli che, al contrario, potrebbero non corrispondere alle aspettative, portando a scarso successo e a un inutile spreco di tempo e di denaro.

A proposito di denaro, si tratta ovviamente di un aspetto da non dimenticare, tenendo conto di tutti quei costi che sono legati al processo di distribuzione e vendita del cliente finale. Si comincia dal costo della spedizione, assicurazione compresa, fino ad eventuali tasse di importazione, e tutto ciò che c’è da sapere per non farsi cogliere impreparati.

Vera MORETTI

Banche: ad ottenere il credito sono sempre le grandi aziende

Considerando i numeri messi a disposizione dalla Banca d’Italia emerge come le banche, nonostante abbiano conosciuto un periodo di forte crisi, continuano a premiare chi risulta essere responsabile di questo dissesto, ovvero le grandi aziende e i grandi gruppi societari.

A conferma di ciò ci sono i dati, secondo i quali la quota dei prestiti ottenuta dal primo 10% degli affidati è pari al 79,8% del totale. Il restante 90% ottiene invece poco più del 20%.

Traducendo queste percentuali in numero, si evince che, su 1.500 miliardi erogati dagli istituti di credito italiani, ben 1.200 sono andati a un ristretto numero di soggetti che però hanno un elevato potere negoziale.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, ha dichiarato in proposito: “Non ci sarebbe nulla di strano se questo primo 10 per cento di affidati fosse solvibile. Una banca, infatti, deve aiutare chi ha bisogno di risorse finanziarie ma, allo stesso tempo, è anche nelle condizioni finanziarie di restituire nei tempi concordati quanto ottenuto. In Italia, invece, le cose continuano ad andare diversamente. Se, infatti, analizziamo l’incidenza percentuale sul totale delle sofferenze bancarie ascrivibile a questo ristrettissimo club di affidati, la quota ammonta all’81 per cento del totale. In altre parole, le grandi imprese continuano a ricevere la quasi totalità dei prestiti bancari, sebbene presentino livelli di insolvenza allarmanti”.

Inoltre, al 30 settembre del 2017, le sofferenze bancarie lorde presenti in Italia ammontavano a 170,2 miliardi, con 16,2 miliardi in meno rispetto al 2016.

Renato Mason, segretario della Cgia, ha aggiunto: “Questo elevato numero di crediti deteriorati ha provocato una forte contrazione dei prestiti all’economia reale. Non essendo in grado di recuperare una buona parte dei finanziamenti erogati, le banche hanno deciso di non rischiare più e hanno progressivamente chiuso i rubinetti del credito. Solo nell’ultimo anno c’è stata una leggera inversione di tendenza. Tra novembre 2017 e lo stesso mese del 2016, la quantità di finanziamenti alle imprese è aumentata mediamente dello 0,3 per cento, anche se si sono registrati dei risultati molto diversi tra le varie classi dimensionali di impresa. Nelle medio-grandi, ad esempio, la crescita è stata dello 0,6 per cento, nelle piccole e micro, invece, la contrazione è stata dell’1 per cento, nonostante la domanda generale di credito registrata in questi ultimi mesi sia tendenzialmente in crescita”.

A livello regionale si nota che al Sud il primo 10% degli affidati ottiene meno credito delle rispettive fasce presenti nel resto d’Italia, ma genera una quota di sofferenze quasi in linea con il dato medio nazionale. Al Nord, invece, le grandi imprese ottengono percentuali di credito molto alte, con livelli di affidabilità che, comunque, si allineano attorno al dato medio nazionale.

A livello provinciale, invece, il primo 10% degli affidati ha in capo l’87,8% delle sofferenze a La Spezia: record nazionale rispetto a una media Italia pari all’ 81 per cento. Al secondo posto con l’86,% Verbania-Cusio-Ossola, al terzo con l’86,2 Bolzano, al quarto con l’85,9 Roma e al quinto con l’85,8% Parma.
In coda alla classifica nazionale ci sono con il 69,% Sondrio, con il 69,7% Agrigento e con il 68,7% Lodi.

Vera MORETTI

Agroalimentare italiano sempre più forte in Cina

L’export agroalimentare italiano verso la Cina sta registrando dati sempre più positivi, che hanno portato, a fine 2017, ad un aumento del 18%, superando i 460 milioni di euro a valore.
Ciò, confermato anche da Coldiretti, è stato possibile anche perché l’Italia, nell’anno appena trascorso, è stata visitata da 1,4 milioni di cinesi, approdati nel Belpaese perché considerato più sicuro rispetto ad altre mete turistiche europee, e che, una volta arrivati qui, hanno potuto conoscere la nostra indiscussa e inestimabile ricchezza agroalimentare che vanta ben 292 prodotti Dop e Igp, 523 vini Docg, Doc e Igt e 5.047 specialità alimentari tradizionali.

Spesso, infatti, accade che i turisti rimangano rapiti dal food Made in Italy e, una volta tornati a casa, siano presi dalla voglia di riassaggiare gli stessi sapori, portando così ad un incremento delle richieste e di conseguenza dell’export.

I prodotti più amati rimangono quelli della nostra tradizione, a partire dal vino che, con 120 milioni di euro registra un balzo del 21% nel Paese asiatico, l’olio d’oliva con oltre 40 milioni di euro segna una crescita del 41%, i formaggi aumentano del 34% e la pasta sale del 20%, arrivando a 23 milioni di euro.
Questi dati hanno contribuiti ad un ribilanciamento, dopo che nel 2017 alla crescita dell’export era seguito anche un calo del 10% delle importazioni italiane dalla Cina.

Si tratta di dati molto importanti, determinati anche da alcune cruciali decisioni prese dal governo cinese, che ha rimosso il bando sulla carne bovina tricolore e ha dimezzato i dazi all’importazione su alcuni prodotti cardine della gastronomia Made in Italy  come Parmigiano Reggiano, Grana Padano e altri formaggi stagionati oltre che per Gorgonzola (da 15/12% a 8%), formaggio grattugiato e fuso e acquaviti di vino (da 10 al 5%), vermouth (da 65 a 14%), pasta e salsicce/salami (da 15 a 8%).
Ad ottobre, inoltre, la Cina aveva anche deciso di rimuovere il blocco alle importazioni di Gorgonzola, Taleggio e altri formaggi erborinati, a crosta fiorita o muffettati deciso a fine agosto scorso per un improvviso irrigidimento nell’applicazione delle norme sull’import dall’Unione Europea.
A maggio inoltre è stato anche deciso di aprire il mercato a limoni, arance e mandarini di origine italiana.

Vera MORETTI

Professionisti: quale regime fiscale scegliere?

Sono molti i professionisti che, quando iniziano la loro nuova attività lavorativa, ricorrono alla ritenuta d’acconto, quando, invece, sarebbe più vantaggioso scegliere un regime fiscale con apertura di partita Iva.

Perché questo? La ritenuta d’acconto, che potrebbe sembrare la scelta più semplice e leggera, impone rigidi limiti alla prestazione occasionale.
Vediamo quali sono:

  • limite di 5000€ di reddito annuo;
  • limite di 30 giorni di collaborazione occasionale con ogni committente;
  • impossibilità di collaborare più volte con lo stesso committente;
  • impossibilità di pubblicizzare la propria attività.

Non a caso, dunque, la ritenuta d’acconto può essere utilizzata per prestazioni occasionali, ma sicuramente non permette di lavorare serenamente e anzi costringe a rifiutare contratti per non superare i limiti imposti.

Ai professionisti viene consigliato invece di ricorrere al regime forfettario, che è un regime fiscale agevolato che permette di usufruire di imposte che a volte si rivelano più convenienti anche rispetto alla ritenuta d’acconto.

Anche questo regime prevede limiti di ricavi annuali, definiti tramite codice ATECO, composto da cifre e lettere a seconda delle tipologie lavorative e che definisce non solo il limite annuale dei ricavi ma anche il coefficiente di redditività.

Si tratta di un coefficiente che definisce anche un forfait di spese che possono essere detratte dal contribuente che nel regime forfettario non può detrarre le spese sostenute per l’attività lavorativa.
L’unica imposta prevista dal regime forfettario è l’imposta sostitutiva che ammonta al 5% dell’imponibile nei primi cinque anni di attività e 15% negli anni a seguire.

Aprire la propria partita IVA è possibile sia online che offline:

  • offline, recandosi personalmente in un Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, consegnando il modello AA9/12, ben compilato, corredato di carta d’identità;
  • offline, inviando una raccomandata a qualsiasi Ufficio dell’Agenzia delle Entrate con i medesimi documenti;
  • online, con gli stessi documenti, senza dover recarsi in nessun ufficio.

Dopo l’apertura della partita Iva, occorre iscriversi ad una cassa previdenziale, che, per molte categorie di professionisti è dedicata, ad esempio per avvocati, o ingegneri, o agenti di commercio.
Se, per l’attività scelta non esiste una cassa previdenziale, si ricorre alla Gestione Separata INPS.

Vera MORETTI

In Italia non calano le attività illegali

Gli italiani spendono 19 miliardi all’anno in attività illegali. Una cifra spaventosa che riguarda soprattutto l’uso di sostanze stupefacenti (14,3 miliardi), i servizi di prostituzione (4 miliardi) e il contrabbando di sigarette (600 milioni di euro).
E, come conferma l’Ufficio Studi della Cgia, si tratta di un’economia che non conosce crisi, tanto da essere aumentata negli ultimi 4 anni di oltre 4 punti percentuali.

Paolo Zabeo ha affermato in proposito: “Lungi dall’esprimere alcun giudizio etico è comunque deplorevole che gli italiani spendano per beni e servizi illegali più di un punto di Pil costringe tutta la comunità a farsi carico di un costo sociale altrettanto elevato. Senza contare che il degrado urbano, l’insicurezza, il disagio sociale e i problemi di ordine pubblico provocati da queste attività hanno effetti molto negativi sulla qualità della vita dei cittadini e degli operatori economici che vivono e operano nelle zone interessate dalla presenza di queste manifestazioni criminali”.

Renato Mason, segretario della Cgia, ha aggiunto: “Tra le attività illegali l’Istat include solo le transazioni illecite in cui c’è un accordo volontario tra le parti, come il traffico di droga, la prostituzione e il contrabbando di sigarette e non, ad esempio, i proventi da furti, rapine, estorsioni, usura, etc. Una metodologia, quest’ultima, molto discutibile che è stata suggerita dall’agenzia statistica della Comunità europea che, infatti, ha scatenato durissime contestazioni da parte di molti economisti che, giustamente, ritengono sia stato inopportuno aumentare il reddito nazionale attraverso l’inclusione del giro di affari delle organizzazioni criminali”.

La conferma del pervadere di queste attività arriva anche dalle numerose segnalazioni ricevute dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. Si tratta di operazioni sospette arrivate da intermediari finanziari, che fanno poi scattare, da parte della Uif, degli approfondimenti sulle operazioni ritenute più a rischio e le trasmette, arricchite da una accurata analisi finanziaria, al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza (NSPV) e alla Direzione Investigativa Antimafia (DIA). Solo nel caso le segnalazioni siano ritenute infondate, la Uif le archivia.

Per capire la portata di questa situazione, tra il 2009 e il 2016 le segnalazioni sono aumentate di quasi il 380%. Infatti, se nel 2009 erano state poco più di 21mila, nel 2016 sono arrivate addirittura a 101.065.
La tipologia più segnalata è quella del riciclaggio di denaro, che per il 2016 ha coperto il 78,5% delle segnalazioni. Sempre secondo la Uif, nel 2016 la totalità delle operazioni sospette ammontava a 88 miliardi di euro, a fronte dei 97 miliardi di euro circa registrati nel 2015.

Ha ribadito Zabeo: “I gruppi criminali hanno la necessità di reinvestire i proventi delle loro attività nell’economia legale, anche per consolidare il proprio consenso sociale. E il boom di denunce avvenute tra il 2009 e il 2016 costituisce un segnale molto preoccupante. Tra l’altro, dal momento che negli ultimi 2 anni si registra una diminuzione delle segnalazioni archiviate, abbiamo il forte sospetto che l’aumento delle denunce registrato negli ultimi tempi evidenzi come questa parte dell’economia sia forse l’unica a non aver risentito della crisi”.

A livello regionale, le realtà che nel 2016 hanno fatto pervenire il maggior numero di segnalazioni sono state la Lombardia (253,5), la Liguria (185,3) e la Campania (167). Mentre su base provinciale le situazioni più critiche, con oltre 200 segnalazioni ogni 100.000 abitanti, sono quelle nelle province di confine come Como, Varese, Imperia e Verbano-Cusio-Ossola. Altrettanto critica la situazione a Rimini, Milano, Napoli e Prato.
A seguire ci sono le province di Treviso, Vicenza, Verona, Bergamo, Brescia, Novara, Genova, Parma, Firenze, Macerata, Roma, Caserta e Crotone.

Vera MORETTI