Italia ComFidi, primo Confidi nazionale in Italia

Italia Comfidi, l’associazione consortile promossa da Confesercenti, è ad oggi il primo Confidi nazionale e conta su 67.000 imprese e 2,8 miliardi di euro di finanziamenti per lo sviluppo delle pmi.
Cosa molto importante, la società, che ha sede a Roma e direzione generale a Firenze, è presente su tutto il territorio nazionale: il 40% delle imprese risiede nel Nord Italia, il 54% nel Centro e il rimanente 6% al Sud e Isole.

Nico Gronchi, presidente di Italia Comfidi, ha dichiarato: “E’ noto come il rapporto tra imprese e sistemi finanziari e bancari si sia deteriorato nel decennio appena trascorso per effetto di riforme del settore che non sempre hanno raggiunto i risultati voluti e da una crisi che ha fortemente cambiato il sistema produttivo italiano. Italia Comfidi ha come mission quella di favorire l’accesso al credito per le imprese attraverso le garanzie erogate: conosciamo le imprese e le necessità vitali per un loro sviluppo così come sappiamo in quale misura il sistema del credito necessiti di interlocutori produttivi affidabili e quanto sia urgente ripristinare un clima di fiducia tra imprese, banche e sistemi di garanzia. Con il 2018 metteremo a disposizione un nuovo plafond, con garanzie a prezzi estremamente agevolati, per un totale di 150 milioni di euro di finanziamenti dedicati agli investimenti per le PMI, un ulteriore passo in avanti per favorire la ripartenza del sistema economico del nostro paese”.

Questa associazione si pone come ponte di collegamento tra il mondo delle imprese e quello delle banche, e riesce a farlo con successo.
A dimostrazione di ciò, Italia Comfidi, ha saputo assumere negli anni un ruolo fondamentale nel mercato delle garanzie attraverso iniziative specifiche in partnership con il sistema bancario; attualmente sono attive convenzioni con oltre 150 banche o intermediari finanziari, senza dimenticare che in circa 50 Camere di Commercio sono state avviate agevolazioni dirette a favore delle imprese.

Si tratta di un fattore molto importante perché l’accesso al credito rappresenta per le pmi la possibilità di investire in strumenti che possano rendere la propria impresa sempre più competitiva.
Al fine di garantire finanziamenti, è molto importante che il rapporto con le banche e il ruolo di Abi possano rappresentare un elemento di stabilità.

Vera MORETTI

Imprese italiane investono in digitalizzazione

Per quanto riguarda il triennio 2014-2016, le imprese hanno deciso di convogliare il proprio capitale nell’investimento soprattutto di beni e servizi digitali, elementi considerati sempre più indispensabili ed in grado di fare davvero la differenza, in particolare quando la concorrenza è spietata.

Andando nel dettaglio, più o meno la metà delle imprese con almeno 10 addetti, e precisamente il 44,9%, ha adottato tecnologie relative alla sicurezza informatica, mentre un buon 27,9% ha investito per gli acquisti in beni e servizi legati a applicazioni web o app, il 18,4% per i social media, il 16,1% per il cloud computing, l’11,4% per le vendite online e il 9,9% nell’area internet delle cose.
Più selettivi gli investimenti in tecnologie relative ai big data (4,9%), robotica (3,5%), stampa 3D (2,7%) e realtà aumentata e realtà virtuale (1,3%).

C’è una marcata consapevolezza sull’importanza delle vendite online, tanto che ben un’impresa su quattro le riconosce come fattore in grado di migliorare la propria competitività, e di conseguenza la propria produttività.

  • In relazione alle diverse tecnologie si osservano le seguenti accentuazioni:
    sicurezza informatica: agenzie di viaggio (71,9%), Telecomunicazioni (66,5%), informatica (65,3%) e fabbricazione computer e prodotti elettronica (64,4%);
  • applicazioni web e app: attività editoriali (67,2%), agenzie di viaggio (58,7%), informatica (56,7%), telecomunicazioni (55,6%);
  • internet delle cose: telecomunicazioni (28,1%), imprese multimediali (Attività di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi, di registrazioni musicali e sonore), produzione di computer e prodotti di elettronica (24,2%) e informatica (18,6%);
  • social media: alloggio (52,1%), attività editoriali (49,4%), agenzie di viaggio (48,4%);
  • cloud computing: telecomunicazioni (59,7%), informatica (55,9%), attività editoriali (50,1%);
  • vendite on line: attività editoriali (57,3%), alloggio (56,5%), agenzie di viaggio (36,8%);
  • internet delle cose: telecomunicazioni (28,1%), imprese multimediali (24,2%), computer e prodotti elettronica (23,2%);
  • big data: telecomunicazioni (23,2%), attività editoriali (21,0%), informatica (17,0%), trasporto (10,0%);
  • robotica: in generale nel manifatturiero si osserva un sostanziale raddoppio (7,1%) rispetto alla media della quota imprese che investono in robot, con quote più elevate per Mezzi trasporto (20,3%), Petrolchimica (11,8%), Metallurgia e prodotti metallo (9,8%) e apparecchiature elettriche (9,4%) e computer e prodotti di elettronica (8,6%);
  • stampa 3D: anche per questa tecnologia nel manifatturiero raddoppia (5,0%) rispetto alla media la quota di imprese che investono, con una maggiore accentuazione per computer e prodotti elettrica (19,5%), apparecchiature elettriche (9,5%), mezzi di trasporto (8,9%) e altre manifatturiere (6,3%);
  • realtà aumentata e virtuale: tecnologia più diffusa tra imprese multimediali (12%), informatica (6,1%) e telecomunicazioni (4,9%).

Ciò che principalmente spinge le imprese verso la digitalizzazione sono le agevolazioni, i finanziamenti e gli incentivi fiscali, indicati dal 45,8% degli intervistati.

Il secondo fattore di sviluppo indicato dalle imprese riguarda le infrastrutture e le connessioni in banda ultra larga (indicato dal 33,4%). In questo caso, però, siamo ancora lontani dal riempire il gap fortemente presente. La banda larga, infatti, viene utilizzata dal 15,2% delle imprese, che rappresentano meno della metà delle imprese dell’Unione europea, a quota 31,7%.

Altri fattori determinanti sono la strategia aziendale di digitalizzazione (indicato dal 16,6% delle imprese), l’inserimento o sviluppo di nuove competenze digitali (12,6%), una maggiore capacità della Pubblica Amministrazione di promuovere iniziative digitali (10,6%) e la capacità delle imprese di fare rete (8,4%).

Vera MORETTI

Ripresa lenta per l’Italia e 2018 in calo

Se il 2017 era stato l’anno della ripresa, con un saldo positivo dell’1,5%, il 2018 non sarà in grado di ripetere né di aumentare questa performance.

La Cgia ha condotto un’indagine secondo cui il Pil italiano aumenterà dell’1,3% e che vedrà gli altri paesi Ue in rialzo rispetto a noi, Grecia compresa, che aumenterà la propria ricchezza del 2,5%, mentre la Francia segnerà il +1,7%, la Germania il +2,1% e la Spagna il +2,5%.
Aumenti quasi irrisori interesseranno anche le famiglie (+1,1%) e la Pubblica amministrazione (+0,3%). Note positive, invece, relative alle tasse, ma la situazione non è certamente delle più rosee.

Queste le parole di Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia: “Al netto di eventuali manovre correttive e degli effetti economici del cosiddetto bonus Renzi stimiamo che la pressione fiscale generale sia destinata a scendere al 42,1 per cento: 0,5 punti in meno rispetto al dato 2017. Prosegue, quindi, la discesa iniziata nel 2014. Il risultato del 2018, comunque, sarà ottenuto grazie al trend positivo del Pil nominale che aumenterà di oltre 3 punti percentuali e non a seguito di una contrazione del gettito fiscale che, invece, salirà del 2 per cento. Se il Governo Gentiloni non avesse fatto slittare sia l’introduzione dell’imposta sui redditi sulle società di persone e imprese individuali sia la cancellazione degli studi di settore, il carico fiscale generale avrebbe subito una contrazione decisamente superiore, soprattutto a vantaggio delle piccole e micro imprese”.

Considerando le previsioni attuali, per recuperare il livello di crescita antecedente alla crisi occorrerà aspettare fino al 2023. Per colmare i consumi delle famiglie e gli investimenti sia pubblici sia privati, bisognerà aspettare rispettivamente il 2019-20 e il 2030.

Sul fronte del lavoro, infine, la Commissione europea stima il tasso di disoccupazione in discesa al 10,9 per cento, mentre il numero degli occupati dovrebbe salire di 0,9 punti percentuali.

Renato Mason, segretario della Cgia, ha dichiarato: “A differenza di quanto è successo in questi ultimi anni speriamo che il nuovo esecutivo che uscirà dalle urne torni ad occuparsi dei temi strategici per il futuro di un paese: come, ad esempio, creare lavoro di qualità, quali politiche industriali e formative sviluppare, come affrontare le sfide che l’economia internazionale ci sottopone. Abbiamo bisogno di affrontare queste tematiche, altrimenti rischiamo di veder aumentare lo scollamento già molto preoccupante tra il mondo della politica e il paese reale”.

Per quanto riguarda la situazione a livello regionale, sarà il Veneto, nell’anno in corso, a registrare il più alto aumento di Pil, che arriverà all’1,6%. Al secondo posto l’Emilia Romagna e la Lombardia (+1,5%) e in quarta posizione il Friuli Venezia Giulia (+1,4%).

Tra le regioni più in ritardo in termini di recupero ci sono la Calabria (-11,2%), la Liguria (-11,4), la Sicilia (-12,5), l’Umbria (-14,9) e il Molise (-16,9).

Vera MORETTI

Cup e Rpt presentano Professionisti per l’Italia

Il Comitato unitario delle professioni e la Rete delle professioni tecniche, a seguito dell’approvazione della norma sull’equo compenso ai professionisti, hanno costituito Professionisti per l’Italia, ovvero un’alleanza fra le due rappresentanze degli ordini e dei collegi, aperta anche ad altre organizzazioni del mondo professionale.

Si tratta di una collaborazione nata per valorizzare l’asset strategico che le professioni tendono a realizzare in termini di cultura, competenze, garanzia di legalità e tutela dei diritti dei cittadini, che entro le prossime tre settimane elaborerà un Manifesto per la modernizzazione del Paese, che verrà sottoposto alle diverse forze politiche candidate per le prossime elezioni.

Ciò accadrà il 21 febbraio durante l’assemblea programmatica che si terrà a Roma. In quell’occasione, verranno presentati i dati raccolti e le misure pensate dai Professionisti per l’Italia per investimenti pubblici, sussidiarietà, semplificazione fiscale, percorsi formativi, gestione del rischio e sicurezza, tutela dei diritti dei cittadini, integrazione e accoglienza sociale, ingresso e permanenza nel mercato del lavoro, ruolo della rappresentanza e sussidiarietà degli Ordini professionali.

I rappresentanti di Cup e Rpt hanno detto: “I professionisti ancora una volta vogliono dimostrare che restando uniti possono mettere insieme energie e progetti per il bene dell’Italia. Insieme per il futuro del nostro Paese è, infatti, il motto che ispira l’azione della nostra Alleanza, con la quale vogliamo rappresentare unitariamente esigenze, sensibilità e aspettative dei nostri iscritti. Dopo aver vinto la battaglia per l’equo compenso, che ha visto il riconoscimento del valore economico e sociale della prestazione professionale, vogliamo potenziare l’interlocuzione con la politica puntando sull’attuazione della nostra funzione sussidiaria. Il Manifesto sarà lo strumento con cui valorizzare l’apporto dei professionisti in termini di proposizione di misure legislative che possano favorire l’occupazione e la ripresa dell’economia, ma anche rendere più moderno e attrattivo il Paese, orientare gli investimenti, promuovere l’acquisizione di competenze adeguate ai cambiamenti socio-economici e migliorare la qualità della vita e dei servizi offerti ai cittadini”.

Vera Moretti

Raccolta rifiuti aumentata del 13,4% in cinque giorni

Negli ultimi cinque anni l’indice della raccolta dei rifiuti in Italia è cresciuto del 13,6%, più del doppio rispetto al 6,4% della media dell’Eurozona.
In questi cinque anni l’aumento del costo del servizio in Italia, a fronte di un’inflazione del 2,2%, è stato il più alto, se confrontato ai maggiori Paesi europei.
La Francia, ad esempio, segna un aumento del 10,7%, la Spagna del 4,1% mentre il costo in Germania risulta sostanzialmente stabile (+0,1%). Nell’ultimo anno in Italia il prezzo della raccolta rifiuti si è stabilizzato (+0,1%), 1 punto percentuale in meno dell’inflazione (1,1%).

In Italia il costo pro capite per la gestione del servizio di igiene urbana è pari a 167,74 euro all’anno.
Generalmente, i proventi pro capite del servizio di igiene urbana pesano per lo 0,61% sul Pil pro capite. La tassa rifiuti tende ad essere regressiva rispetto al reddito. Questo tipo di prelievo pesa maggiormente sulle regioni del Sud, a cominciare dalla Campania (incidenza pari all’1,07% del PIL), poi Sicilia (1,01%), Sardegna (0,98%), Calabria e Puglia (per entrambe 0,97%); all’opposto le incidenze minori sono quelle del Trentino Alto Adige (0,34%), della Lombardia (0,37%), del Friuli-Venezia Giulia (0,43%), del Veneto (0,43%), della Valle d’Aosta (0,49%), dell’Emilia-Romagna (0,50%).

I proventi pro capite da tassa o tariffa pagati per il servizio di igiene urbana sono superiori alla media nazionale in ben dodici regioni, di 165,95 euro, e in tre di queste i valori sono superiori ai 200 euro. Si tratta di Liguria con 216,80 euro (30,6% sopra la media), Lazio con 213,50 euro (28,7% sopra la media) e Toscana con 208,05 euro (25,4% sopra la media). Al contrario, i proventi pro capite minori sono quelli di: Friuli-Venezia Giulia (124,16 euro), Molise (125,98 euro), Trentino Alto Adige (129,40 euro), Lombardia (133,21 euro) e Veneto (133,62 euro).

Vera MORETTI

Evasione fiscale ancora elevata in Italia

La lotta all’evasione fiscale , se ha dato buoni frutti con il recupero di 6 miliardi in un solo anno, è più viva e agguerrita che mai, poiché purtroppo non è arrivato ancora il momento di abbassare la guardia.
Le notizie, infatti, continuano a non essere particolarmente incoraggianti, poiché ad oggi, a seguito della non corretta dichiarazione dei redditi, ci sono ancora 93,2 miliardi di euro di imponibile evaso, e sono imputabili alle imprese e alle partite Iva.
Questo significa che l’incidenza dell’evasione attribuibile alle aziende sul totale del valore aggiunto prodotto dall’economia non osservata è pari al 44,9%. Un altro 37,3% è riconducibile al lavoro irregolare e un ulteriore 17,8% è ascrivibile alle attività illegali e ai fitti in nero.

Considerando le aziende, il settore in cui l’evasione è maggiormente diffusa è quella dei servizi professionali, che comprendono attività legali e di contabilità, attività di direzione aziendale e di consulenza gestionale, studi di architettura e di ingegneria, collaudi e analisi tecniche, altre attività professionali, scientifiche e tecniche e servizi veterinari.

Evasione che riguarda in particolare le libere professioni, al 16,2%, seguite da commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti, alloggi e ristorazione (12,8) e quella riferita alle costruzioni (12,3).
Evasione fiscale più contenuta per i servizi alle persone (8,8%), nella produzione di beni alimentari e di consumo (7,7%), nell’istruzione e nella sanità (3,9%), negli altri servizi alle imprese (2,8%), nella produzione di beni di investimento (2,3%) e nella produzione di beni intermedi, energia e rifiuti (0,5%).

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, ha dichiarato: “Per combattere questa piaga sociale ed economica la strada da percorrere è una sola: ridurre il peso del prelievo fiscale e rimuovere i numerosi ostacoli burocratici che condizionano, di fatto, coloro che ogni giorno fanno impresa. In altre parole: pagare meno per pagare tutti. Ovviamente gli evasori seriali vanno perseguiti e messi nelle condizioni di non farlo più, ma attenzione a non fare di tutta l’erba un fascio. Purtroppo, esiste anche un’evasione di sopravvivenza, decisamente aumentata con la crisi, per cui non pagare le imposte ha consentito in questi ultimi anni la salvaguardia della continuità aziendale e dei posti di lavoro”.

Dal punto di vista territoriale, c’è più rischio nel Mezzogiorno (7,6 %). Seguono il Centro (6,5%), il Nordest (6%) e il Nordovest (5,4%).

Considerando le regioni, invece, il Molise la regione con la quota più elevata (8,4%), seguono l’Umbria, Marche e Puglia (8,3%), Campania (7,7%), Abruzzo e Calabria (7,6%) e Sicilia e Toscana (7,3%). Al contrario, il Friuli Venezia Giulia (5,8%), il Lazio (5,3%), la Lombardia (5%), la provincia autonoma di Trento (4,9%) e quella di Bolzano (3,9%) sono i territori che presentano un rischio evasione più contenuto.

Ha aggiunto Renato Mason: “È verosimile ipotizzare che con meno tasse da pagare, si registrerebbe una decisa emersione di base imponibile tale da consentire al nostro fisco di concentrare le attività di contrasto nei confronti dei comportamenti fiscali più insidiosi. Ovvero quelli praticati dalle grandi imprese e da molte multinazionali che hanno spostato le sedi fiscali nei Paesi con una marcata fiscalità di vantaggio”.

Vera MORETTI

In continuo aumento in Italia le aziende bio

In Italia le aziende con certificazione Bio sono ormai 60mila, e di queste ben 24mila, che rappresentano il 40% del totale, sono state accreditate dal sistema di certificazione nazionale negli ultimi tre anni.

Per la precisione, le imprese in possesso del bollino Bio erano, a inizio dicembre, 59.461.
Il 55,8% si trova nelle regioni del Sud, mentre al Nord sono il 23,4% e nel Centro Italia sono il 20,8%.
Più della metà (il 56%) delle imprese certificate si concentra in sole cinque regioni con la Sicilia in testa (15,9), seguita dalla Calabria (13,4), dalla Puglia (11,6), dalla Toscana e dall’Emilia Romagna (7,7).

Il biologico, in controtendenza con l’agricoltura tradizionale, dimostra di godere di buona salute e di essere in costante crescita, anche quando si tratta di aziende di piccole dimensioni che, grazie all’applicazione dell’agricoltura biodinamica riscuotono sul mercato un soddisfacente successo.

Tra le aziende bio, l’81% opera nel settore agricolo e il 7% nel commercio.
Le aziende che svolgono esclusivamente produzione Bio sono 44.482, pari al 75% delle certificate e di esse una su tre ha sede in due sole regioni del Mezzogiorno: Calabria o Sicilia. Approfondendo l’analisi delle imprese Bio per forma giuridica, l’11% (6.490) è costituito da società di capitale. Di queste, oltre il 90% è una pmi con un volume d’affari uguale o inferiore ai 50 milioni di euro. Più della metà (il 55,2%) rientra nella definizione di micro impresa e la metà ha un capitale sociale inferiore ai 50mila euro.

L’agricoltura biologica è disciplinata a livello comunitario dal Regolamento CE 834/2007 e dai successivi regolamenti di applicazione relativi alla produzione biologica e all’etichettatura per le seguenti categorie di prodotti:

  • prodotti agricoli vivi o non trasformati;
  • prodotti agricoli trasformati destinati a essere usati come alimenti;
    mangimi;
  • materiale da propagazione vegetativa e sementi per la coltivazione.

Vera MORETTI

Prezzi dei prodotti alimentari confezionati in aumento

Si stima, secondo un calcolo effettuato e reso noto da Unioncamere, che il 2018 potrebbe portare ad un aumento del prezzo dei prodotti confezionati del 3%.
La causa principale di questo rincaro è da imputare dall’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari, ma anche da alcune recenti tendenze dell’industria di trasformazione.
Ciò riguarda, ad esempio, il burro, protagonista di incrementi superiori al 10% nel 2017 per effetto di una intensificazione degli impieghi da parte dell’industria che lo sta sempre più utilizzando in sostituzione dell’olio di palma.

Al contrario, comunque, si assisterà ad un calo dei prodotti ortofrutticoli, sempre che il meteo dia un aiuto all’agricoltura.
Pensando, infatti, al 2017 che aveva portato prima neve in abbondanza e poi lunghi periodi di siccità, seguiti da temperature torride in primavera ed estate, un ritorno alla normalità dal punto di vista meteorologico porterebbe ad un sensibile calo dei prezzi dei prodotti ortofrutticoli. E questo andrebbe a pareggiare i conti, considerando i rincari dei prodotti confezionati.

Questi ultimi sono destinati ad aumentare a seguito di un rialzo dei prezzi della filiera lattiero-casearia: +6% per il latte, +8% per il parmigiano reggiano, +3% per mozzarella vaccina e stracchino. I prezzi all’ingrosso del latte sembrano però aver trovato un assestamento nell’ultimo anno, in conseguenza della buona disponibilità di prodotto in Italia ed in Europa.

In aumento sono anche le quotazioni all’ingrosso dei principali tagli di carne, al traino dei rincari dei mangimi, che stanno sollecitando in questi mesi anche i prezzi alla produzione.
Variazioni ai listini di tutt’altro tenore e prossimi allo zero, al contrario, per i diversi prodotti della filiera cerealicola (+0,7% il pane, -1% per pasta e farina), che hanno beneficiato di una situazione ampiamente capiente sul versante dell’offerta (secondo l’ultimo report della Fao, nel 2018 la produzione mondiale di cereali farà registrare un nuovo livello record).

Discorso inverso per le uova, la cui disponibilità, insufficiente rispetto all’anno precedente, ha portato ad un aumento dei prezzi all’ingrosso di oltre il 60%.

Vera MORETTI

 

Transazioni con POS in continuo aumento

Il Consiglio dei Ministri ha emanato il decreto legislativo sui servizi di pagamento nel mercato interno che stabilisce che “per i pagamenti tramite carta di debito e prepagata la commissione interbancaria per ogni operazione di pagamento non può essere superiore allo 0,2% del valore dell’operazione stessa; per le operazioni tramite carta di credito la commissione interbancaria per operazione non può essere superiore allo 0,3% del valore dell’operazione”.

E’ inoltre stata abbassata la franchigia massima a carico degli utenti in caso di pagamenti non autorizzati, che passa da 150 a 50 euro.

Tale provvedimento vuole contribuire ad accelerare ancora di più la diffusione e l’utilizzo della moneta elettronica, cresciuto comunque sensibilmente da quando è entrata in vigore, dal 30 giugno 2014, la legge n. 221/2012 che prevede l’accettazione da parte di imprese e professionisti di pagamenti effettuati attraverso carte di debito.

In particolare, dal 2013 al 2016 il numero dei POS è cresciuto del 37,6% pari a 572.396 unità in più. Inoltre si è osservato un tasso medio annuo di crescita dell’11,2% dal 2013 al 2016 rispetto al più contenuto +0,8% del triennio precedente; di conseguenza tra il 2013 e il 2016 il numero di abitanti per POS passa da 39 a 29 abitanti per POS.
In parallelo tra il 2013 e il 2016 è cresciuto del 49,8% il numero delle transazioni con carta di debito tramite POS con un ritmo medio annuo del 14,4% rispetto al 10,2% osservato nel periodo precedente. L’ammontare delle transazioni sale a 115.418 milioni di euro e dal 2013 al 2016 è aumentato del 46,5%, con un trend maggiormente accentuato rispetto alla spesa per consumi finali delle famiglie che nel periodo è aumentata del 4,3%, evidenziando un crescente utilizzo da parte di imprese e consumatori.

Dal punto di vista territoriale, l’aumento più considerevole è avvenuto in Campania, dove si è passati da un tasso medio negativo del -1,1% nei 3 anni precedenti all’obbligo ad un tasso positivo del +16,0% nel periodo successivo; seguono Molise che è passata dal +1,1% al +17,4%, Piemonte che è passata da -2,5% a +13,5% e Valle d’Aosta che è passata dal -4,3% al +11,4%.

Vera MORETTI

Continuano gli sgravi per chi assume donne disoccupate

Per quanto riguarda gli incentivi all’assunzione, anche per il 2018 rimane valido il bonus previsto per i datori di lavoro appartenenti al settore privato che decidano di assumere donne disoccupate di qualsiasi età.

Lo sgravio è valido se le donne da assumere sono prive di impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi, ma se l’assunzione avviene in particolari settori economici, caratterizzati da una profonda disparità di genere, allora il periodo di disoccupazione scende a sei mesi.

Al contrario, non è più disponibile l’incentivo per l’assunzione di donne disoccupate da almeno sei mesi residenti in aree svantaggiate.

L’agevolazione spettante al datore di lavoro del settore privato si traduce in uno sgravio contributivo pari al 50%:

  • per 12 mesi in caso di contratto tempo determinato;
  • per 18 mesi in caso di assunzioni a tempo indeterminato;
  • fino al 18° mese dalla data di assunzione in caso di trasformazione del contratto da tempo determinato a indeterminato.

Per fruire del beneficio è necessario presentare apposita domanda di ammissione compilando ed inviando per via telematica, prima della denuncia contributiva, il modulo disponibile nel Cassetto previdenziale aziendale presente sul sito INPS.
L’Istituto, una volta ricevuta la domanda, verificherà la presenza dei requisiti e quindi concederà il bonus.

Vera MORETTI