Ceramiche Made in Italy al top anche all’estero

Made in Italy al top anche quando si tratta di ceramiche, che sono molto apprezzate sia sul mercato interno sia all’estero, anche quando si tratta di fronteggiare la concorrenza, spietata e spesso sleale dei cinesi.

Ma la qualità italiana sta sbaragliando tutti e, dopo aver chiuso il 2017 con una crescita che ha superato il 2% per un totale di 425 milioni di metri quadrati, si appresta ad inaugurare il nuovo anno con un rafforzamento della crescita del volume di affari.

All’estero, dove sono stati destinati ben 340 milioni, le piastrelle Made in Italy hanno riscosso particolare successo nell’Europa Centro Orientale (variazione superiore al 5%) e nel Far East (3,5%), anche se i mercati più dinamici sono quelli dei Paesi del Golfo ed il Nord Africa.

Vittorio Borelli, presidente di Confindustria Ceramica, ha posto l’accento su varie problematiche riscontrate e su varie soluzioni da introdurre, nel settore dell’edilizia, in particolare nell’ottica dell’estensione degli incentivi energetici e sismici, ma anche per incentivare gli investimenti necessari per la riqualificazione delle città, in una doppia misura: rispettare la normativa europea antidumping e restituire all’Italia luoghi sicuri.
Per questo, ha dichiarato: “L’edilizia non residenziale a livello internazionale sembra avere una dinamica interessante e può costituire un crescente potenziale per le lastre ceramiche, tecnologia che il nostro settore sta mettendo a regime. Abbiamo ottenuto nelle scorse settimane il rinnovo, fino al 2022, dei dazi antidumping sull’import cinese, una misura fondamentale per il Fair Trade e per dare certezza al quadro di riferimento a livello europeo”.

Vera MORETTI

Turismo italiano da record, anche a Natale

Il 2017 si sta rivelando e confermando un anno davvero positivo per il turismo, poiché, dopo l’estate più che soddisfacente, anche le vacanze di Natale sembra che andranno alla grande per questo settore che aveva conosciuto un periodo davvero difficile.

Tra Natale, Capodanno e l’Epifania, infatti, le imprese ricettive italiane registreranno 16,8 milioni di presenze, oltre 380mila in più rispetto alle festività del 2016.
Con queste ultime cifre, dunque, l’anno in corso si avvia a totalizzare oltre 420 milioni di presenze, il 4,2% in più sul 2016 e nuovo record storico per il nostro Paese, come si evince anche dall’indagine previsionale sui flussi turistici realizzata dal Centro Studi Turistici di Firenze, per conto di Confesercenti, su un campione di 1.657 imprenditori ricettivi.

La maggior parte dei turisti attesi, ben 12,5 milioni si muoverà tra Capodanno e l’Epifania, e di questi 10,2 saranno italiani, che aumentano del 2,1% rispetto al 2016, anche se l’aumento più consistente riguarderà proprio gli stranieri, con 6,6 milioni di presenze in più arrivando a +2,5% rispetto all’anno precedente.

Dove alloggeranno i viaggiatori? Soprattutto in hotel, dove aumentano sia gli italiani (+2,4%) sia gli stranieri (+2,2%), a differenza delle strutture extralberghiere dove l’aumento degli italiani si ferma al +1,1% e quello degli stranieri sale al +3,9%.

Per quanto riguarda le mete, percentuali positive dovunque, ma soprattutto per il Nord Ovest (+2,7%) e per il Sud/Isole (+2,8%); più contenute le stime per le regioni del Nord Est e del Centro Italia, anche se comunque in progresso di circa due punti percentuali.
Vanno molto bene le città e i centri d’arte, (+2,5% e un incremento degli stranieri del +2,9%) ma anche campagna/collina (+2,3%, con una crescita attesa degli stranieri pari al +4,2%).
Grazie ad un meteo favorevole, bene anche le località montane, con una stima in aumento del 2,2%, ma se la cavano anche le località di mare (+2%) e dei laghi (+1,6%).

Considerando tutta l’annata la crescita è di 5 milioni per quanto riguarda gli arrivi e di 17 milioni per quanto riguarda le presenze turistiche, con aumenti su tutti i fronti, anche se particolarmente bene è andato il comparto alberghiero (+4,3%), anche se l’extralberghiero si attesta al +3,9%.
Dal punto di vista del territorio, molto bene le imprese del Nord Ovest (5,4%) e del Sud/Isole (+5,3%). Anche nel Nord Est la crescita ha toccato valori interessanti (+4,3%), mentre per le aree del Centro la stima si ferma al +1,9%.

Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti, ha dichiarato: “Dopo un’estate da ricordare, anche la stagione invernale conferma il dinamismo del turismo italiano e il contributo che sta dando alla ripresa. Nonostante il settore continui a soffrire i problemi di sempre – dalla promozione insufficiente ai deficit logistici e infrastrutturali, reali e digitali – le imprese turistiche hanno fatto la loro parte, mostrandosi capaci di intercettare e soddisfare la crescente domanda di Italia, interna ed estera. Ma il lavoro aggiuntivo è stato premiato solo in parte: i margini degli operatori continuano ad essere messi sotto pressione dalla concorrenza degli abusivi e dall’eccesso di costi burocratici e fiscali che penalizzano il settore. Gli stessi turisti, in Italia, sono tassati più che in altri Paesi: non solo attraverso un’imposta di soggiorno che è sproporzionata in troppe località, ma anche con un’aliquota IVA sui prodotti turistici più alta rispetto a quella dei nostri rivali. Bisogna che la politica capisca che la competizione turistica è una competizione tra sistemi-Paese e sostenga più convintamente il settore più brillante della nostra economia, anche con un piano di promozione che permetta di andare oltre al turismo mordi e fuggi”.

Vera MORETTI

A dicembre 255mila posti di lavoro in più

Il mese di dicembre ha portato all’attivazione, da parte delle imprese italiane con dipendenti, di ben 255 mila contratti in più, per fronteggiare l’aumento del carico di lavoro in vista del Natale.
Tra questi, infatti, un terzo è destinato alle figure che operano nel settore della ristorazione (oltre 46mila le richieste di addetti) e delle vendite (circa 30mila), a cui si unisce la domanda di personale non qualificato nei servizi di pulizia, di conduttori di veicoli a motori, di tecnici dei rapporti con i mercati.

Si tratta di dati resi noti dal Bollettino mensile del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere in collaborazione con ANPAL, sulla base delle entrate previste dalle imprese con dipendenti dell’industria e dei servizi tra dicembre 2017 e febbraio 2018.

Nonostante l’aumento della richiesta, però, risulta comunque difficile reperire il 22% delle risorse ricercate, soprattutto nei settori che richiedono specialità particolari, come quello dei servizi informatici e delle comunicazioni (41%), ma criticità si riscontrano anche nelle industrie del legno e del mobile (38%), nelle industrie estrattive e della lavorazione dei minerali non metalliferi (37%) e in quelle metalmeccaniche ed elettroniche (35%).

Entrando nel dettaglio delle professioni di difficile reperibilità, ci sono gli specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali (58%), i tecnici informatici, telematici e delle comunicazioni (49%), i tecnici in campo ingegneristico (42%), i saldatori e montatori di carpenteria metallica (46%), gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (44%) e i meccanici riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili (40%).

Ancora più arduo è trovare risorse quanto si cerca tra gli under 29, e in questo caso le professioni a maggior difficoltà di reperimento sono gli specialisti in scienze informatiche, fisiche e chimiche (65%), i tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione (48%) e gli operai nelle attività metalmeccaniche ed elettroniche (48%).

Per quanto riguarda gli indirizzi di studio, nel mese di dicembre sono circa 31mila le offerte contrattuali per i laureati, 86mila per diplomati, mentre si attestano a 83 mila quelle per cui è richiesta una qualifica o diploma professionale.

Vera MORETTI

Diritto al segreto per i dipendenti di azienda

Non solo quando ci si appresta a lasciare un’azienda, ma anche e soprattutto quando ancora ci si lavora, e non si ha nessuna intenzione di andarsene, è vietato divulgare notizie relative non solo all’azienda ma anche ai suoi metodi di produzione, ma anche di farne uso causandone danno o pregiudizio.

Si tratta del diritto al segreto, che però non combacia con l’obbligo di riservatezza, che invece consiste nel potere di impedire a terzi l’accesso a spazi privati e preesiste al contratto di lavoro.
Il diritto al segreto, invece, consiste nella pretesa a che le notizie di cui il terzo sia venuto a conoscenza non siano divulgate, e trova fondamento nel contratto di lavoro.

Inoltre, con i termini riservatezza e segreto si fa riferimento a ciò che non è di dominio pubblico. Il divieto in questione riguarda l’obbligo di non concorrenza, poiché come quest’ultimo è teso a tutelare l’azienda dai vantaggi che il lavoratore o i terzi potrebbero trarre dalle informazioni giunte all’esterno dell’impresa stessa.

Per questo, occorre stabilire quali siano le informazioni protette, nelle quali comunque non si annoverano le cognizioni tecniche e specialistiche che fanno parte del bagaglio professionale del lavoratore. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la norma debba essere interpretata in senso ampio e, cioè riferita a qualsiasi dato influente sull’attività concorrenziale del datore di lavoro, sia di carattere tecnico, amministrativo o commerciale.

A favore di una interpretazione ancora più ampia si osserva che all’espressione “metodi di produzione” fa da contraltare quella ben più ampia e generica di “organizzazione dell’impresa” che dovrebbe escludere le sole informazioni relative agli aspetti meramente finanziari ed economici.

Si è recentemente osservato come la norma imponga di escludere la verifica caso per caso del carattere segreto o riservato della notizia: se essa riguarda l’organizzazione dell’impresa o i suoi metodi di produzione ne sono comunque vietati l’uso pregiudizievole e la divulgazione.
L’obbligo di segreto, chiamato segreto aziendale, non costituisce una specificazione dell’obbligo di segreto professionale, poiché le fattispecie regolate hanno oggetto e destinatari parzialmente diversi.

Vera MORETTI

In Lombardia il primato delle imprese dedicate al Natale

Natale significa famiglia, tradizioni e immancabilmente corsa ai regali.
Per questo motivo, in questo periodo dell’anno aumentano enormemente le opportunità di lavoro, anche se temporanee, che siano a tema natalizio.
Questo perché anche le imprese legate al Natale sono in continuo aumento, a cominciare dalla Lombardia, dove se ne contano addirittura 66 mila, con 327 mila addetti e 1,5 miliardi di business per il solo mese di dicembre.

I settori sono molteplici, e vanno dalle imprese dolciarie a quelle che producono giocattoli, senza dimenticare le agenzie di viaggio e i ristoranti. Il Natale è un motore d’affari davvero efficiente e ben rodato, e in Lombardia ancora i più, poiché pesano del 14% su tutte le imprese italiane operative nel settore, con una crescita dell’1% sia a livello regionale sia a livello nazionale.

I dati della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi confermano questo andamento e, in particolare, vanno molto bene soprattutto ristoranti e bar, con 25 mila imprese in Lombardia e 181 mila e 150 mila in tutta Italia.
Poi arrivano gli alberghi, che sono 2.400 presenti in Lombardia e 27 mila in Italia, i fioristi, le profumerie, le erboristerie e i gioiellieri, ognuno dei quali conta circa 2 mila imprese in Lombardia e 15 mila in Italia.

Tra le città lombarde più attive, c’è ovviamente Milano in pole position, con oltre 23 mila imprese e 163 mila addetti, Brescia con 9 mila imprese e 39 mila addetti, Bergamo con 7 mila imprese e 29 mila addetti, Varese con 5 mila imprese e 20 mila addetti, Monza e Brianza con oltre 4 mila imprese e 15 mila addetti. Lodi ha circa mille imprese e 4 mila addetti.
Per business mensile a Milano con un miliardo seguono Bergamo e Brescia, entrambe, con quasi cento milioni.

Vera MORETTI

Voucher digitalizzazione per micro e piccole imprese

Un’iniziativa molto importante per le micro, piccole e medie imprese, che possono approfittare di un’opportunità per diventare più innovative e competitive.
Si sa che spesso le imprese di piccole dimensioni non hanno un capitale elevato e si trovano così costrette a rinunciare ad adottare tecnologie e strumenti avanzati, indispensabili per rimanere al passo e reggere la concorrenza.

Per questo motivo, dal 30 gennaio al 9 febbraio 2018 le micro, piccole e medie imprese potranno richiedere i voucher per la digitalizzazione dei processi aziendali e per l’ammodernamento tecnologico.
Questo tipo di voucher prevede un contributo fino a 10 mila euro, che deve però corrispondere al massimo al 50% del totale delle spese ammissibili.

Per presentare la domanda, gli imprenditori devono collegarsi al sito del Ministero dello Sviluppo Economico a cominciare dalle ore 10 del 30 gennaio e fino alle ore 17 del 9 febbraio 2018.
In realtà, sarà possibile già dal 15 gennaio accedere alla procedura informatica e poter compilare la domanda, ma per poterlo fare è necessario essere in possesso della Carta nazionale dei servizi e di una casella di posta elettronica certificata attiva, che però sia stata registrata all’interno del Registro delle Imprese.

Vera MORETTI

Italiani più propensi a spendere per Natale

Il Natale si sta avvicinando e, come sempre, la corsa al regalo. Anche se, a causa della crisi economica che ha pesantemente investito il nostro Paese, negli ultimi anni si compra di meno e i regali costosi sembrano ormai un vago ricordo, dicembre rappresenta ancora un mese piuttosto frenetico dal punto di vista delle spese.

L’Ufficio Studi Confcommercio ha presentato uno studio sull’andamento dei consumi, le tredicesime e la propensione al regalo in vista del Natale e rispetto all’anno scorso la situazione è decisamente migliorata, anche se negli ultimi mesi il reddito ha subito uno stop, a causa di qualche oscillazione da parte della produzione industriale. E questo, insieme al calo dell’occupazione, stagnante negli ultimi tre mesi, potrebbe far diminuire anche la fiducia nelle famiglie, riducendone la loro propensione alle spese.

Un’altra motivazione può essere anche il reddito disponibile nel 2018, ormai non tanto lontano, che è ancora molto indietro rispetto al 2007, e di ben 2010 euro a testa, e questa carenza sicuramente si fa sentire. La cosa positiva è che rispetto al 2014 sono stati recuperati 700 euro, quindi una nota positiva ijn realtà c’è.

Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi Confcommercio, ha aggiunto: “Valutazioni analoghe valgono per i consumi: siamo ancora sotto di circa 1000 euro rispetto al massimo del 2007 ma abbiamo recuperato altri 1000 euro rispetto ai minimi del 2014, con una crescita del 6,3% nel quadriennio 2015-2018”.

Per quanto riguarda le tredicesime, superano 41 miliardi di euro, con una crescita di quasi 1,1 miliardi, passando così da 34,4 a 35,5 miliardi di euro. se a queste si aggiunge anche le risorse che si stima verranno destinate alle spese natalizie, si raggiunge un valore superiore rispetto a quello dll’anno scors, che era di 33,7 miliardi.
Facendo i conti, si dovrebbe trattare di una spesa di 1500 euro a famiglia, valore che si avvicinerebbe ai livelli pre-crisi.

Gli italiani penseranno a mettere ordine nei propri bilanci e nelle proprie case o magari a fare qualche viaggio in più piuttosto che a fare regali, che comunque restano una voce importante a dicembre. A conferma di qualche incertezza presente tra le famiglie c’è la prosecuzione del trend discendente sulla gradevolezza del rito dei regali, un fatto piuttosto importante per il commercio: se si riduce la voglia e la piacevolezza del fare i regali sarà difficile rimettere in sesto molti bilanci aziendali, per i quali il mese di dicembre continua a rappresentare il momento dirimente tra proseguire l’attività o chiudere. Qui credo ci sia bisogno di nuove e più importanti iniziative di marketing per rilanciare il Natale come festa consumistica. Può piacere o meno ma questi dati indicano una certa disaffezione che va recuperata”.

Vera MORETTI

Imprese familiari: per crescere occorrono risorse esterne

Le aziende familiari, se hanno avuto la forza e la coesione adatte per sopravvivere durante i lunghi e difficili anni della crisi, ora, per continuare ad essere competitive, sono chiamate a fare un passo avanti ed aprire i loro orizzonti anche a manager esterni.

Il motivo principale è quello di ampliare le proprie strategie e conquistare nuove fette di mercato, ma ancora pochi lo stanno attuando, per timore dei costi, ma anche perché si è restii a lasciare potere decisionale a chi arriva da “fuori”.
Se, infatti, molte delle aziende interpellate hanno considerato valida l’idea di accogliere professionisti esterni che potessero illustrare le novità in fatto di tecnologia, all’atto pratico ben poche hanno portato avanti questo discorso, nonostante il vantaggio che potrebbe derivarne.

Tra i timori delle aziende familiari c’è, infatti, la perplessità circa la facilità a reperire risorse professionali adeguate per la gestione dell’azienda (43%), a seguire l’aumento dei livelli di concorrenza (37%) e al terzo la diminuzione della marginalità (36%).

A confermarlo è anche uno studio effettuato dall’European Family Business Barometer, realizzato da Kpmg in collaborazione con l’Associazione European Family Business.
A questo proposito, Silvia Rimoldi, partner di Kpmg e curatrice della ricerca, ha dichiarato: “E’ evidente che le imprese familiari si sentono in concorrenza con i colossi dell’high tech e con le grandi multinazionali nell’attrarre giovani ad alto potenziale”.

Ma, se il punto di forza delle aziende familiari è sempre stato quello dei valori, delle tradizioni e della cultura, oggi occorre far leva anche su innovazione e mondo digitale, sempre più incalzanti e sempre più indispensabili se si vuole continuare ad essere competitivi.

Rimoldi rimarca la necessità di ricorrere anche a risorse esterne, in grado di portare idee e prospettive nuove, senza per questo appesantire eccessivamente i costi aziendali, soprattutto se si tratta di aziende medio-grandi.

Com’è la situazione a livello europeo? Le imprese familiari europee chiedono ai governi nazionali di spingere sull’acceleratore dell’integrazione a livello europeo e sulla creazione di un mercato unico: lo chiede il 56% delle aziende dell’Unione europea, mentre la quota sale all’80% per le aziende italiane.

Vera MORETTI

Lavorare nelle festività: il dipendente si può rifiutare

Dicembre è uno dei mesi in cui ci sono più festività, che cominciano con l’Immacolata e finiscono con i botti di Capodanno.
Per questo, è sicuramente di attualità l’argomento relativo alle festività retribuite, anche pensando che i lavoratori stanno finalmente diventando consapevoli della possibilità di rifiutarsi.

Cosa accade in questi casi? Se il lavoratore rifiuta di lavorare in una festività, l’impresa non può trattenere la retribuzione, che va al contrario interamente riconosciuta: il diritto al rifiuto è garantito dalla legge e non è sanzionabile in nessun modo.
Ciò rimane valido anche in presenza di previsioni diverse, anche quando sono contenute nel contratto di lavoro, poiché può prevedere clausole che possono obbligare il lavoratore a effettuare straordinari nei giorni di festività; ma nel caso in cui il lavoratore non accetti, anche senza giustificato motivo, l’azienda non può trattenere la retribuzione.

Questo cosa significa? Semplicemente che, anche in presenza di contratti in cui è scritto che al lavoratore potrebbe essere richiesto di lavorare nelle festività, il lavoratore stesso può sottrarvisi senza per questo ricorrere a sanzioni da parte del datore di lavoro.

Le uniche eccezioni sono rappresentate da particolari tipologie di attività, ad esempio i medici e in generale i dipendenti delle istituzioni sanitarie pubbliche e private.

Per tutti gli altri, vale la sentenza secondo la quale: “Non sussiste un obbligo generale a carico dei lavoratori di effettuare la prestazione nei giorni destinati ex lege per la celebrazione di ricorrenze civili o religiose e sono nulle le clausole della contrattazione collettiva che prevedono tale obbligo, in quanto incidenti sul diritto dei lavoratori di astenersi dal lavoro (cui è consentito derogare per il solo lavoratore domenicale); in nessun caso una norma di un contratto collettivo può comportare il venir meno di un diritto già acquisito dal singolo lavoratore (come il diritto ad astenersi dal lavoro nelle festività infrasettimanali)”.

Questo vuol dire che qualsiasi cosa ci sia scritta nei contratti di lavoro, prevale la legge che riconosce al lavoratore il diritto soggettivo di non lavorare nelle festività.

L’impresa, dunque, non può mai trattenere la giornata festiva non lavorata dalla retribuzione: “Il trattamento economico ordinario, si legge nella sentenza 21209/2016, deriva «direttamente dalla legge, e non possono su questo piano avere alcun rilievo le disposizioni contrattuali». Stessa considerazione di cui sopra: la legge prevale in ogni caso sulle disposizioni contrattuali”.

Viceversa, vanno pagati gli straordinari al lavoratore che presta la propria opera nelle festività.

Vera MORETTI

Italiani in viaggio a Natale in aumento

Gli italiani passeranno le vacanze di Natale in viaggio. Altro che regali costosi, meglio prendere una valigia e partire.
A pensarla così sono ben 16,6 milioni di italiani, 3,3 milioni in più rispetto all’anno scorso, e ad aumentare non è solo il numero di chi partirà ma anche il budget medio a persona, che sale del 7% e si assesta a 715 euro. Con questo importo, supera finalmente il valore registrato nel 2007, fermo a 694 euro, per un giro d’affari che quest’anno si stimerà intorno ai 2,3 miliardi di consumi turistici.

Se, dunque, da una parte c’è una propensione a spendere di più per viaggiare, dall’altra c’è invece una minore voglia di spendere per i regali di Natale.
La spesa media di quest’anno sarà di 307 euro, anche se occorre fare delle distinzioni territoriali: nelle regioni del Sud la media a persona è di 298 euro, inferiore del 7,4% ai 320 euro delle regioni del Nord. Tra le grandi città, Milano è quella con la propensione alla spesa più alta, mentre i valori più bassi si rilevano a Palermo.

Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti, ha dichiarato: “La nostra indagine di Natale, quest’anno, rileva importanti segnali positivi, anche se questi coinvolgono soprattutto i consumi turistici. Complessivamente, comunque, il quadro che emerge è di una fase di progressivo rilancio ma ancora delicata. Preoccupa un po’ la ripartenza dell’incertezza sul futuro: quest’anno è ritenuta un condizionamento per le spese di Natale dal 15% degli italiani, il 3% in più dello scorso anno. A pesare, forse, sono i timori di instabilità legati alla prossima tornata elettorale. Cresce anche la sensazione di stare erodendo troppo il risparmio, condizionata dal calo del potere d’acquisto registrato nell’ultimo anno. Segnali che sembrano suggerire un possibile cedimento di quell’atteggiamento fiducioso che gli italiani e le imprese avevano ritrovato e che è prioritario mantenere. Per questo è vitale concentrare gli sforzi, mettendo in campo interventi mirati a dare maggiore impulso alla ripartenza effettiva dei consumi ed al sostegno dei piccoli imprenditori che, purtroppo, sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto della crisi e scontano una domanda interna ancora debole. La Legge di Bilancio deve tenerne conto. È fondamentale, in particolare, estendere a tutto il piccolo commercio di prossimità il credito di imposta appena varato per le librerie indipendenti”.

Quindi, niente regali per Natale? Certo che no, perché gli italiani non hanno intenzione di rinunciarvi, anche se nel 41% dei casi si deciderà di fare doni principalmente ai bambini, per i quali si sceglieranno giochi didattici (22%) libri (14%) e vestiario (11%), mentre caleranno, anche se di poco, i giochi tecnologici, dal 10 al 9%.
Il 35% si recherà in un centro commerciale, il 28% in negozi e mercatini, mentre il 34% acquisterà online.

Coloro che partiranno, rimarranno al 66% in Italia, a discapito di chi sceglierà una meta europea, che passerà dal 27 al 23%, mentre aumenteranno coloro che andranno ancora più lontano, dal 7 all’11%.
Ma, rovescio della medaglia, le ferie saranno ancora più brevi. Difficile trovare chi rimarrà fuori casa più di 8 giorni, risicati al 18%, scesi dunque di dieci punti rispetto al 2007.

Per quanto riguarda la tipologia della vacanza, si tratterà soprattutto di viaggi all’insegna della cultura, in particolare in città d’arte, meta del 45% dei viaggiatori.
La montagna rimane al di sotto, anche se in ripresa dal 23 al 29%.

Sempre più vacanzieri prenoteranno via internet (47%, erano il 42% lo scorso anno) o acquistando, sempre sulla rete, offerte last minute (8%, stabile rispetto al 2016). Praticamente stabili però le agenzie di viaggio, scelte dall’11% degli intervistati, contro il 12% del Natale precedente.
In aumento il numero di chi dormirà in hotel, sistemazione segnalata dal 32%. Il 27% andrà a casa di amici o parenti, mentre il 20% soggiornerà in una casa in affitto o in un B&B. Ma c’è anche un 14% che si fermerà in una casa di proprietà, un 5% che sceglierà la pensione ed un 4% che andrà in un campeggio, in un villaggio o in un’altra struttura all’aria aperta.

Viaggi di coppia per il 39% degli intervistati, in famiglia per il 34% e con gli amici per il 19%.

Vera MORETTI