I souvenir dall’Italia sono enogastronomici

Coldiretti ha realizzato uno studio, La vacanza Made in Italy nel piatto, che conferma come, quando i turisti passano dall’Italia, non riescono a tornare a casa a mani vuote, nemmeno, o forse soprattutto, quando si tratta di cibo.
E, ancora una volta, quello italiano sembra si sia dimostrato imbattibile, sia quando ci si trova sul posto, tanto che un terzo della spesa degli italiani e degli stranieri in vacanza nel Belpaese è destinato a pasti consumati in pizzerie, ristoranti, trattorie o agriturismi, sia quando poi si torna a casa, dove è bello portarsi un ricordo anche gastronomico.

A dimostrazione che il cibo rappresenta un vero motore anche quando ci si trova in ferie, l’alimentare rappresenta la principale voce del budget, anche superiore a quella dell’alloggio e si stima che, tra il consumo di pasti nella ristorazione (14 miliardi) e l’acquisto di prodotti alimentari nei negozi e nei mercati (12 miliardi), i turisti italiani e stranieri spendono per cibo e bevande circa 26 miliardi di euro su un totale di 75 miliardi del fatturato turistico complessivo annuale.

Inoltre, l’offerta enogastronomica è una delle primarie motivazioni di viaggio specialmente in Italia, per uno straniero su quattro (23%), consapevole che l’Italia sia garanzia di buona cucina, seguita a ruota da monumenti e moda, solo al 16%, pittura e scultura al 15%, design al 7% e musica e teatro al 5%.

Il cibo, inoltre, è alla base di uno dei trend del momento, in Italia ma non solo, ovvero quello di fotografare, o fotografarsi, mentre si gustano piatti gourmet, magari presentati con impiattamenti che sembrano opere d’arte.
Il food selfie, infatti, è utilizzato e postato sui social network da più di un italiano su tre (38%). Protagoniste non solo le portate del ristorante, ma anche quelle create nella propria cucina.

Vera MORETTI

Nuove imprese in aumento, ma in calo quelle degli under 35

Secondo Istat, nel 2015 sono state 375 mila le nuove imprese avviate, che rispetto all’anno precedente sono aumentate del 18,6%.
I dati resi noti dal Report, inoltre, specificano che nel 55% dei casi sono lavoratori in proprio, corrispondenti a 209 mila persone per poco meno di 200 mila imprese mate senza dipendenti, mentre nel restante 44,2%, che riguarda 166 mila persone e 150 mila imprese, si tratta di imprenditori che hanno avviato un’attività con alcuni dipendenti.

Questo aumento deriva da diversi fattori, e tra questi sicuramente ci sono gli sgravi contributivi e l’introduzione del Jobs Act. Inoltre, altri elementi che emergono sono la minor incidenza di giovani (-2,2%), ma anche un maggiore orientamento verso i settori ad alto contenuto tecnologico e un maggiore livello di istruzione, con un aumento dell’1,4% di laureati.

Ciò che emerge ulteriormente è la crescita dell’età media di chi per la prima volta fonda un’azienda o un’impresa.
Nel 2015 solo il 35,2% dei nuovi lavoratori in proprio e il 24,9% degli imprenditori con nuova attività con dipendenti hanno meno di 35 anni. Nel 2014, invece, erano rispettivamente il 38,4% e il 27,1%.
Nelle imprese High growth, che sono in tutto 11.912 e gestite da 21.297 imprenditori, i giovani sono ancora meno presenti, e rappresentano il 5,4% del totale. Si tratta di un settore ancora piuttosto rigido, in cui è inoltre netta la predominanza degli imprenditori uomini, che raggiungono l’82,6% del totale.

Vera MORETTI

Tasse per le imprese: in Italia sono in calo da tre anni

Anche se forse gli italiani non se ne sono resi conto, negli ultimi tre anni le tasse sono costantemente in calo.
A confermarlo è il Paying Taxes 2018, il rapporto di Banca Mondiale e Pwc che, puntualmente come ogni anno, analizza il valore della pressione fiscale per le imprese nei vari Paesi del mondo, e che colloca l’Italia in una posizione intermedia.

Occorre, prima di considerare i singoli valori percentuali registrati, capire quali sono i criteri che determinano il Total tax & contribution rate (Ttcr), l’indice utilizzato nel rapporto per mettere a confronto la tassazione nei vari Paesi.

Si prendono in considerazione imposte, tasse e contributi obbligatori cui è soggetta un’impresa di medie dimensioni nell’arco di un anno e che includono le imposte sui redditi, i contributi previdenziali e le tasse sul lavoro versate dal datore di lavoro, le imposte patrimoniali e sulle transazioni relative agli immobili, le tasse sui dividendi, sul capital gain, sulle transazioni finanziarie, sulla raccolta dei rifiuti, sulla circolazione dei veicoli e altri contributi minori.

Considerando i dati ottenuti, il carico fiscale per le aziende del nostro Paese è al 48% dei profitti commerciali, in calo di ben 14 punti percentuali rispetto al 2015. Questa diminuzione va principalmente ricollegata agli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato.

Nonostante, comunque, si trovi in una posizione intermedia, il Ttcr italiano è ancora al di sopra della media mondiale, 40,5%, ed europea, 39,6%, anche se l’Italia da un punto di vista fiscale guadagna competitività rispetto alle economie di molti partner comunitari.
Per fare esempi concreti, la Francia ha il Ttcr più alto d’Europa, del 62,2%, ma anche Belgio, Svezia e Germania sono superiori al nostro, poiché hanno Ttcr rispettivamente al 57,1%, 49,1% e 48,9%.

Meglio di noi sono, invece, il Regno Unito, con un ttcf pari al 30,7%, che rappresenta uno dei valori più bassi. Ma anche la Spagna raggiunge risultati migliori (46,9%), come anche l’Olanda (40,7%), la Polonia (40,5%) e il Portogallo (39,8%). Un caso del tutto particolare è poi quello della Svizzera, che con un Ttcr pari al 28,8% presenta una delle tassazioni più basse a livello mondiale.

Considerando non solo l’Europa, ma tutto il mondo, le situazioni peggiori si registrano in Sud America, dove addirittura l’Argentina fa segnare un Ttcr pari al 106. Ci sono poi la Bolivia con Ttcr pari all’83,7%, e Brasile, Colombia e Venezuela, con valori tutti superiori al 60%.

In Africa, altro caso difficile è quello dell’Eritrea, che fa segnare un indice dell’83,7%. E significativo è anche rilevare che il Ttcr della Cina è pari al 67,3%, dunque anch’esso ben al di sopra della media mondiale.

Situazioni positive, invece, in Zambia e Arabia Saudita, con valori del Ttcr di poco superiori al 15%, ma anche del Canada che si ferma al 20,9% e della Cambogia (21,7%).
Considerando le altre grandi potenze, gli Stati Uniti hanno un Ttcr pari al 43,8%, il Giappone al 47,4% e la Russia al 47,5%.

Vera MORETTI

Carico fiscale in calo ma ancora sopra la media Ue

Nel 2016 le aziende italiane, come è stato confermato dal Total tax & contribuition rate, hanno visto diminuire il proprio carico fiscale e contributivo del 48%, e questo grazie agli sgravi contribuiti portati dalle assunzioni a tempo indeterminato.

Nonostante ciò, però, il Ttcr è ancora al di sopra della media mondiale, attestata al 40,5%, ed europea, al 39,6%.
Occorrerà lavorare ancora in questo senso, ma sembra che l’Italia sia sulla strada giusta. Anche se alcune criticità rimangono.

L’Italia ha comunque un Ttcr inferiore rispetto ad altre economie avanzate come Germania, Svezia, Belgio e Francia, ma questo posizionamento favorevole potrebbe migliorare ancora, se si mantenesse il trend del 2016.

Tra i punti cruciali c’è il trattamento di fine rapporto, che sia nel 2016 sia negli anni precedenti era compreso nel Ttcr.
Nel 2016, il Tfr ha pesato per 8,6 punti percentuali sul Ttcr italian e ad oggi la classificazione del Tfr è oggetto di discussione tra l’amministrazione finanziaria italiana e la Banca Mondiale.

Vera MORETTI

Imprese del benessere in continua ascesa

Le imprese che appartengono al settore del benessere sono in continuo aumento, segnale che gli italiani sono sempre più attenti a bellezza e salute.
Negli ultimi cinque anni, infatti, le imprese del settore sono cresciute del 4%, e in particolare questo incremento riguarda palestre e centri benessere, in positivo del 12%, ma percentuali positive sono state registrate anche per istituti di bellezza (+15%) e servizi di manicure e pedicure, passati da 1.206 a 1.747 (+46%), come confermano i dati di Unioncamere-Infocamere.

Ma, nonostante questi segnali più che positivi, la parte del leone la fanno, ancora una volta, i saloni di barbiere e parrucchiere, che a fine giugno contavano oltre 104 mila imprese, che rappresentano il 68% del totale.

La Lombardia si conferma come la regione in cui queste imprese sono più diffuse: si tratta di 26mila attività registrate, che godono di ottima salute, poiché sia le palestre, per fare qualche esempio, sia i servizi di manicure e pedicure stanno lievitando e aumentando i loro fatturati.
Dopo la Lombardia, ecco il Lazio (quasi 15mila) e Veneto (oltre 13mila). In termini di variazione percentuale nei cinque anni considerati, però, al primo posto si incontra il Lazio (+9,7%), seguito dalla Sardegna (+7,6%), dal Friuli Venezia-Giulia e dalla Calabria (+5,9% entrambi), quindi dalla Toscana (+5,8%).

A livello provinciale, invece, il primato è di Roma, dove l’industria della bellezza conta quasi 11mila le attività, seguita da Milano (oltre 8mila) e Napoli (più di 6mila).
Le tre province sono ai vertici della classifica anche in termini di aumento delle attività appartenenti a questo comparto tra il 2012 e il 2017: +977 a Roma, grazie soprattutto alla diffusione dei saloni di barbiere e parrucchiere (+824); +583 a Milano e +193 a Napoli, in virtù, in particolare, dell’aumento degli istituti di bellezza (rispettivamente +342 e +151).

Occorre però dire che anche le province più piccole non stanno a guardare e, anzi, garantiscono ai loro cittadini servizi specializzati senza costringerli a spostarsi nelle grandi città.
Qualche esempio? I pisani hanno a disposizione, ad esempio, quasi l’11% di imprese in più rispetto a giugno 2012, i frusinati il 10,3% e i cagliaritani il 10%. Aumenti prossimi al 10% interessano, oltre alla provincia della Capitale, anche quelle di Pordenone, Latina, Sassari, Benevento.

Vera MORETTI

Web tax: nessuna doppia tassazione per le imprese italiane

Nessuna doppia tassazione per le imprese italiane da parte della web tax.
Le opzioni che ora la maggioranza sta valutando sono due:

  • una cedolare al 6% sui ricavi da attività digitale che vengono prodotti in Italia, e che verrebbe bilanciata per le aziende residenti o con una organizzazione stabile da una detrazione dell’imposta versata;
  • riconoscimento di un credito d’imposta da sfruttare in compensazione.

Quest’ultima  è un’ipotesi che permetterebbe di superare il limite rappresentato dall’impossibilità di utilizzo per coloro che non hanno abbastanza imposta da versare.

La problematica era nata già con la manovra di primavera, anche se non ancora attuata, poiché, estesa a tutti, residenti e non residenti, aveva generato il problema di una doppia tassazione per le imprese italiane e a quelle straniere che hanno già una stabile organizzazione in Italia e pagano correttamente le imposte.

Per correggere il tiro, dunque, l’emendamento Mucchetti, che prende il nome dal deputato che l’ha presentato al Senato, si fonda su due pilastri importanti, oltre ovviamente alla cedolare al 6%, rappresentati dal monitoraggio dei flussi finanziari delle multinazionali digitali e il rafforzamento dei poteri di accertamento delle stabili organizzazioni.

Massimo Mucchetti ha così dichiarato: “Fin dall’inizio c’è stata l’intenzione nazionale di ridurre le attuali distorsioni alla concorreza e di salvaguardaee l’equità fiscale“.
Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio alla Camera, ha poi aggiunto: “Sarebbe un errore tassare le imprese italiane perchè la web tax è l’allineamento fiscale tra Over the top e le altre aziende“.
Mentre il viceministro Luigi Casero ha voluto rassicurare sul fatto che non verranno presentate proposte che rischierebbero di penalizzare le imprese che già pagano le tasse in Italia.

Vera MORETTI

Consulenti del lavoro chiedono il posticipo delle dichiarazioni fiscali

Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, a confronto con l’Agenzia delle Entrate, ha richiesto di posticipare il termine di invio delle dichiarazioni al Fisco, ma anche di rendere annuale, o almeno semestrale, la trasmissione dei dati delle fatture, e di far diventare facoltativo l’utilizzo della fatturazione elettronica tra privati.

Queste le dichiarazioni ufficiali: “In controtendenza agli obiettivi dichiarati dal legislatore fiscale, negli ultimi anni si sono moltiplicati gli adempimenti, quali: le dichiarazioni, le scadenze e le richieste di documentazione ai contribuenti, alle imprese e ai professionisti che li assistono. Tale ingiustificata complicazione del sistema fiscale genera un aumento dei costi gestionali, amministrativi e legali, nonché l’impossibilità per le predette imprese e professionisti di programmare una sana amministrazione, necessaria e propedeutica a qualsiasi attività economica organizzata”.

Ciò significa che i consulenti del lavoro ritengono possibile la semplificazione fiscale solo attraverso un confronto con i professionisti, quotidianamente a contatto con le dinamiche aziendali dunque consapevoli di cosa hanno davvero bisogno i contribuenti in materia di imposte e contributi.

Per quanto riguarda Imu, Tasi, addizionali Irpef, per fare solo qualche esempio, i consulenti propongono di far coincidere le scadenze di dichiarazione e versamento dei contributi locali con quelle previste per le dichiarazioni dei redditi, eventualmente con la creazione di uno standard unificato per la gestione delle informazioni contenute nelle delibere comunali.

Viene anche richiesto dai consulenti “l’eliminazione dell’obbligo di invio delle liquidazioni iva periodiche, lo spostamento del termine entro il quale poter detrarre l’iva sugli acquisti al momento della scadenza di invio della dichiarazione iva dell’esercizio successivo a quello di esigibilità”.

Vera MORETTI

Borse Made in Italy, irresistibili anche per i brand stranieri

Ormai è un fatto assodato: le borse Made in Italy significano eccellenza in ogni parte del mondo, e di qualunque modello si tratti. E le donne lo sanno bene, perché ne fanno un accessorio fondamentale da utilizzare ogni giorno e da abbinare al proprio outfit quotidiano.

Il motivo di questo successo planetario sono sicuramente la manifattura e la qualità dei materiali, che garantiscono una durata lunga, in grado di adattarsi a qualunque situazione. Trattandosi di pellami pregiati e resistenti, infatti, lavorati artigianalmente, è scontato che il risultato sia ottimo. Quando poi all’artigianalità si aggiungono cura dei particolari ed eleganza nelle finiture, ciò che ne esce è qualcosa di unico che non passa mai di moda.

Ovviamente, ci sono alcune borse che, per la loro particolarità, sono diventate vere e proprie icone, come la strafamosa Birkin di Hermès, tanto da rappresentare un investimento. Per averla, c’è chi è disposto a spendere 10 mila euro, ma il suo valore aumenta costantemente, tanto da essere stata battuta all’asta per ben 200 mila euro.

Per quanto riguarda il nostro Made in Italy, ha raggiunto un valore talmente elevato che anche le aziende straniere scelgono il Belpaese per i loro prodotti di punta. Ad oggi, infatti, anche i brand francesi, inglesi e statunitensi producono in Italia.

Accanto a Gucci, Prada o Valentino, per citarne solo alcuni, gli esempi più celebri sono Burberry, quintessenza dell’inglesità più profonda, ma anchela francese Céline e il tedesco Philipp Plein, che produce in Italia l’80% delle sue collezioni. Ultima, ma non per importanza, Stella McCartney, Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico ma da sempre convinta sostenitrice dell’Italia e dei suoi artigiani, in particolare per le sue collezioni di scarpe e borse con lavorazione ecologica.

Come darle torto…

Vera MORETTI

Cup e Rpt uniti in favore dell’equo compenso

Il Comitato unitario delle professioni e la Rete delle professioni tecniche, che sono rispettivamente guidati da Marina Calderone e Armando Zambrano, ritengono che sia sempre più urgente una legge sull’equo compenso ai professionisti italiani.
Per questo motivo, entrambi hanno organizzato una conferenza stampa alla Camera dei deputati svoltasi ieri, lunedì 15 novembre, durante la quale è stata ribadita questa necessità, che serve a tutelare le prestazioni professionali degli iscritti agli ordini e agli albi.

In quell’ambito è stato presentato il nuovo sito web Equocompenso.info, in cui vengono dettagliatamente spiegate le ragioni che hanno portato il Cup, la Rpt ma anche i Consigli nazionali aderenti ai sue organismi e le rappresentanze territoriali a riunirsi il prossimo 30 novembre al Teatro Brancaccio di Roma, dove si manifesterà per l’ottenimento dell’equo compenso, che come conseguenza salvaguarda la professionalità di chi svolge determinate mansioni.
Obiettivo della manifestazione sarà, infatti, garantire una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto e sufficiente ad assicurare loro un’esistenza libera e dignitosa, così come previsto dall’art. 36 della Costituzione.

Marina Calderone, presidente del Comitato unitario delle professioni, ha definito questa iniziativa come una vera e propria battaglia di civiltà giuridica, in particolare dopo la decisione del Consiglio di Stato che, con la sentenza 4614/2017, ha legittimato gli enti pubblici a promuovere bandi senza compenso per il professionista e con la sola previsione di un rimborso spese simbolico.

Si legge nella nota che questo atteggiamento è stato condannato “anche da Papa Francesco, che nelle scorse settimane ha definito gli appalti al massimo ribasso, proposti dalle amministrazioni pubbliche, una prassi sempre più diffusa che lede alla dignità del lavoro e favorisce il lavoro sommerso”.

Vera MORETTI

Parte la rottamazione bis delle cartelle

Sono stati pubblicati dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, i modelli per aderire alla nuova stagione di regolarizzazione per il pagamento delle cartelle.
Si tratta di un provvedimento che prevede tre diverse tipologie: i ruoli emessi dal primo gennaio al 30 settembre, le cartelle per le quali era in atto una rateizzazione non versata, i pagamenti delle prime due rate della prima rottamazione.

In un comunicato si legge che: “Sul portale istituzionale dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione sono disponibili il modello per presentare la domanda di adesione per i debiti affidati alla riscossione nei primi nove mesi di quest’anno e il modello destinato a quei contribuenti ai quali era stata rigettata l’adesione alla definizione agevolata (dl 193/2016), perché non in regola con i vecchi piani di rateizzazione in corso al 24 ottobre 2016, e intendono presentare una nuova domanda di adesione. Il decreto fiscale ora all’esame del Senato consente inoltre ai contribuenti che hanno aderito alla “prima definizione agevolata”, ma non hanno pagato la prima (o unica) rata di luglio né quella prevista a settembre 2017, di mettersi in regola entro il prossimo 30 novembre per essere riammessi ai benefici previsti dalla definizione agevolata”.

Tra le novità, ecco quali spiccano maggiormente:

LA ROTTAMAZIONE PER LE CARTELLE 2017: Riguarda i carichi affidati all’agente della riscossione dall’1 gennaio al 30 settembre 2017. Chi aderisce dovrà pagare l’importo residuo del debito senza corrispondere le sanzioni e gli interessi di mora. Per le multe stradali, invece, non si devono pagare gli interessi di mora e le maggiorazioni previste dalla legge. Per aderire il contribuente deve presentare, entro il 15 maggio 2018, la propria richiesta di adesione compilando il modello DA-2017 disponibile sul portale dell’Agenzia delle Entrate- Riscossione o presso i suoi sportelli. E’ possibile effettuale il pagamento in unica soluzione, prevista a luglio 2018, o a rate, fino ad un massimo di 5: oltre a luglio, nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2018, mentre la quinta rata è fissata a febbraio 2019. Entro il 31 marzo 2018 l’Agenzia delle entrate-Riscossione invierà al contribuente una comunicazione per posta ordinaria sulle somme che le sono state affidate entro il 30 settembre del 2017 e per le quali non risulta ancora notificata la relativa cartella di pagamento.

NUOVA CHANCE PER I “RESPINTI“: Hanno la possibilità di accedere nuovamente alla rottamazione anche i contribuenti che si sono visti respingere la domanda perché non erano in regola con il pagamento di tutte le rate scadute al 31 dicembre 2016 di una dilazione in corso al 24 ottobre 2016. I contribuenti interessati devono presentare, entro il 31 dicembre 2017, una nuova istanza di adesione alla definizione agevolata compilando il modello DA-R disponibile sul portale o presso gli sportelli dell’Agenzia della Riscossione. Il modello può essere inviato anche per posta certificata alla direzione regionale di riferimento. L’Agenzia rinvierà entro il 31 marzo una comunicazione con l’importo del debito non versato che dovrà essere pagato entro il 31 maggio. Poi entro il 31 luglio indicherà gli importi dovuti per la “rottamazione” da pagare in un massimo di tre rate di pari importo con scadenza settembre, ottobre e novembre 2018.

VERSAMENTI NON FATTI, PROROGA A NOVEMBRE: Arriva una ciambella di salvataggio per chi non ha pagato la prima rottamazione, come previsto. Se non si è versata la prima (o unica) rata prevista a luglio o quella di settembre 2017 (dl 193/2016 convertito con legge 225/2016), potrà mettersi in regola e quindi non perdere i benefici previsti dalla definizione agevolata, pagando quanto previsto entro il prossimo 30 novembre, senza oneri aggiuntivi e senza comunicazioni all’Agenzia delle entrate-Riscossione. Per pagare si devono utilizzare i bollettini ricevuti dall’agente della riscossione con la comunicazione delle somme dovute.

Vera MORETTI