I controlli sul 730 precompilato

Abbiamo visto ieri come fare a collegarsi al sito delle Entrate per consultare il proprio 730 precompilato. E abbiamo scritto consultare, perché per questi primi giorni il 730 precompilato è scaricabile e consultabile, ma non modificabile. Integrazioni e modifiche saranno possibili solo a partire dal 2 maggio prossimo, prima data utile per inviare al fisco il proprio 730 precompilato.

Rispetto alla versione dello scorso anno, chi ne avrà bisogno potrà inserire nel 730 precompilato oneri deducibili e detraibili come interventi di riqualificazione energetica, spese sanitarie (esclusi i farmaci da banco), spese universitarie, spese per interventi di ristrutturazione, previdenza complementare.

Una informazione che sta a cuore a molti conoscere è il modo per non incorrere in eventuali controlli sui documenti che individuano gli oneri indicati nel 730, come premi assicurativi, spese sanitarie e universitarie. Per evitare questi controlli, basta inviare la dichiarazione senza modifiche o, qualora ve ne siano alcune da inserire, è necessario che non incidano nella determinazione del reddito d’imposta.

Un altro modo per evitare controlli su oneri detraibili e deducibili è quello di presentare il 730 attraverso un intermediario abilitato o attraverso il Caf. In questi casi, i controlli saranno effettuati solo nei confronti di questi ultimi, mentre il contribuente potrà subire controlli da parte delle Entrate per accertare che sussistano i requisiti per fruire delle agevolazioni indicate nel 730 precompilato.

Ecco l’identikit di chi richiede un mutuo

Chiedere un mutuo è sempre meno un’operazione compiuta da sprovveduti, ammesso che lo sia mai stata. È quanto emerge da un’analisi effettuata dal sito Immobiliare.it in occasione del lancio della sezione dedicata alla valutazione del proprio profilo di mutuatario.

I risultati dell’analisi, condotta su un campione di oltre 5mila italiani alle prese con una richiesta di mutuo, dicono che il 25,4% di chi si informa sulle sue possibilità di ottenerlo prevede di comprare casa non prima di 6 mesi dopo.

Sempre secondo l’analisi, chi comincia a pensare a un mutuo prima che a trovare un appartamento da acquistare, nel 29% dei casi è single e nel 28% in coppia, ma senza figli. Il 21% ha un solo figlio e probabilmente pensa di trasferirsi in un appartamento più grande.

Inoltre, il 70,3% degli intervistati vorrebbe intestare il mutuo a una sola persona e il 45% del campione si augura di finanziare attraverso il mutuo fino al 100% del valore dell’immobile (situazione più unica che rara). Nel 53% delle simulazioni si dichiara un solo percettore di reddito nel nucleo familiare.

Infine, se la durata media di un mutuo concesso in Italia è di poco superiore ai 20 anni, fra chi si informa prima di cominciare la ricerca dell’immobile uno su due punta ad avere un finanziamento più lungo e, nel 32% dei casi, lo vorrebbe di almeno 30 anni.

Carlo Giordano, amministratore delegato di Immobiliare.it, commenta così i risultati dell’analisi: “I dati ottenuti raccontano come in Italia sia sempre più comune l’abitudine di informarsi sulla possibilità di ottenere un mutuo molto prima di aver individuato l’immobile da acquistare. Responsabile di questo fenomeno è la maggiore consapevolezza maturata dagli italiani negli anni della crisi che li ha resi più esperti. Sapere realisticamente che cifra è possibile ottenere dalle banche permette di svolgere una ricerca della casa più mirata ed efficace”.

Agroalimentare italiano, il tuo nemico è il tarocco

Il tarocco alimentare sui prodotti italiani non conosce tregua. Per difendere l’ agroalimentare italiano dalle imitazioni a basso costo sono scesi in campo oggi migliaia di agricoltori arrivati con i trattori al Paladozza di Bologna, chiamati a raccolta da Coldiretti.

Coldiretti che ha denunciato come 2 prodotti alimentari spacciati come italiani su 3 e venduti nei supermercati all’estero, non c’entrano nulla con l’ agroalimentare italiano. Una denuncia che arriva sulla scorta del dossier “Cosa si mangia di italiano in Europa”, presentato da Coldiretti stessa, che ha collaborato alla task force dei Carabinieri dei Nas all’estero per verificare quali sono i prodotti dell’ agroalimentare italiano maggiormente contraffatti e venduti all’estero. E sono uscite cose che, se non fossero un danno per la nostra economia, farebbero anche sorridere.

In Slovenia si vendono Mortadela e Kapeleti, in Romania il Parmezali, in Portogallo la Milaneza pasta fino al ‘Carpaccio formaggio’ olandese. La ricerca di Coldiretti e dei Nas ha battuto diverse capitali, in cerca di prodotti contraffatti dell’agroalimentare italiano: da Londra a Bruxelles, da Berlino a Budapest, da Bucarest a Lubiana.

Oltre ai tarocchi orribili di cui sopra, Coldiretti prende a esempio le derive di due delle eccellenze dell’ agroalimentare italiano come maccheroni e spaghetti. I primi diventano Makaroni nei supermercati inglesi e ungheresi, Macarone e Macaroni in Romania e Bulgaria. I secondi diventano Spageti in Slovenia, Spaghete in Romania Spagheroni in Olanda.

Come detto, ci sarebbe da sorridere se da questi orrori non derivasse un danno incalcolabile per nostra economia: “In una fase di stagnazione dei consumi nazionali – ha dichiarato il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo -, il mercato estero in crescita è diventato fondamentale per l’agroalimentare italiano, tanto da rappresentare circa 1/3 del fatturato complessivo, ma in alcuni settori, come ad esempio il vino, le vendite fuori dai confini sono addirittura arrivate a superare quelle interne. È ormai improrogabile la necessità di estendere e potenziare le azioni di vigilanza, tutela e valorizzazione del vero made in Italy all’estero negli scaffali dei supermercati e sulle tavole dei ristoranti dove possiamo contare su una estesa rete di chef da primato a livello internazionale“.

Sei in casa di riposo? Paghi il canone Rai!

La vessazione del canone Rai non risparmia nemmeno i poveri anziani ricoverati nelle case di riposo. Lo testimonia il fatto che l’Agenzia delle Entrate ha aggiornato le Faq e gli esempi di compilazione della dichiarazione di non detenzione TV per evitare di dover pagare il canone Rai in bolletta e tra questi aggiornamenti è anche specificato che se il contribuente è ricoverato in una casa di riposo, ma nella propria abitazione ha un apparecchio TV, deve comunque pagare il canone Rai.

Se il povero vecchietto perseguitato dal canone non ha un televisore ma è titolare di un’utenza elettrica con tariffa residenziale, dovrà presentare la dichiarazione sostitutiva di non detenzione per evitare di dover pagare il canone Rai nella fattura elettrica.

Se il contribuente non è titolare di un’utenza elettrica con tariffa residenziale ma è titolare di abbonamento alla televisione, dovrà seguire la procedura già utilizzata gli anni scorsi se non ha un televisore, deve dare disdetta dell’abbonamento ai sensi dell’art. 10 del RDL n. 246/1938, attraverso una raccomandata allo Sportello SAT dell’Agenzia delle entrate. Altrimenti il canone è assicurato, alla faccia della casa di riposo e dell’età avanzata.

Brennero, la frontiera maledetta

La barriera al Brennero che l’Austria sta allestendo per controllare i flussi migratori e i controlli che, con il mese di maggio, dovrebbero partire sui mezzi in transito attraverso la frontiera italo-austriaca potrebbero causare gravissimi danni all’economia dei due Paesi.

Al di là degli aspetti ideologici del caso, c’è infatti un pesante risvolto economico che deriverebbe da una militarizzazione del Brennero. Qualche conto su quanto costerebbe all’Italia una sospensione di Schengen lo aveva fatto la Cgia qualche tempo fa. Ora la stessa Cgia, quantifica anche il “peso” delle merci in transito attraverso il Brennero analizzando i dati di Alpinfo-Ufficio federale trasporti svizzero, relativo al 2013, ultimo anno per il quale risultano disponibile.

Ebbene, secondo gli artigiani, un terzo delle merci che entrano ed escono su gomma dall’Italia attraverso le Alpi passano per il Brennero: 29 milioni di tonnellate sugli 89 milioni complessivi che passano le Alpi a bordo dei Tir.

A queste merci vanno aggiunti anche 11,7 milioni di tonnellate di merci che viaggiano su rotaia, quantità che fa salire il totale delle merci che attraversano ogni anno il Brennero a oltre 40 milioni di tonnellate. Tempi di attesa superiori alle 2-3 ore per i controlli, come si prospetta nella migliore delle ipotesi, sarebbero un colpo durissimo per il tessuto economico italiano e austriaco.

Una preoccupazione che è anche sentita dalle imprese austriache. Come ha dichiarato a Il Sole 24Ore Christoph Leitl, presidente della Camera di commercio federale austriaca, organismo che riunisce 500mila aziende, “l’ultima cosa che vogliamo è una barriera al Brennero”.

Secondo Leitl, il danno per l’economia austriaca potrebbero essere di 1,2 miliardi di euro all’anno, mentre Michael Berger, console commerciale dell’Austria per l’Italia, ha dichiarato sempre al Sole che “secondo i calcoli delle imprese di trasporto, nella situazione attuale si contano danni per 2,5 milioni di euro al giorno e se la chiusura fosse generalizzata il conto salirebbe a 8,5 milioni”.

Per l’Austria, gli effetti di un tappo al Brennero si sommerebbero a quelli già pesanti derivanti dai controlli messi in atto dalla Germania nei confronti di chi entra nel Paese passando proprio dall’Austria, oltre al blocco della rotta balcanica, che provoca pesanti ritardi per le merci in entrata e uscita verso Croazia e Serbia.

Insomma, le decisioni isolazioniste dell’Austria rischiano di avere controindicazioni pesanti sul piano economico più che su quello strettamente politiche.

Le tasse calano? Balle

E meno male che tutti i governi, di destra o di sinistra, che si sono alternati negli ultimi anni al governo dell’Italia hanno sostenuto di voler abbassare le tasse. Peccato che sia successo esattamente il contrario, almeno stando a quanto emerge dai conteggi effettuati dall’Ufficio studi della Cgia.

Ebbene, stando a questi calcoli, negli ultimi 6 anni le imposte nazionali e locali hanno continuato ad aumentare. Le prime, al netto del bonus Renzi, sono salite del 6,1%, le tasse locali dell’8%.

Aumento invertito in termini di valore assoluto: +21,6 miliardi per le tasse nazionali, +7,7 miliardi per quelle locali. In termini netti, dal 2010 a oggi, nonostante la pesante crisi economica, imprese e famiglie hanno sostenuto uno sforzo fiscale aggiuntivo in tasse di 29,3 miliardi di euro.

La Cgia ha anche rilevato che la composizione del gettito per livello di Governo è rimasta sostanzialmente identica. Su un totale di entrate tributarie di 483,2 miliardi nel 2015, al netto del bonus Renzi, il 21,6% del gettito ha finanziato le casse di Regioni e Comuni (104,4 miliardi), mentre il 78,4% è andato all’erario (378,8 miliardi). Nel 2010 la situazione era pressoché identica.

La Cgia ha anche analizzato nel dettaglio l’andamento delle principali tasse locali dal 2010 al 2015 e ha rilevato che solo l’Irap è calata in modo sensibile: -4,2 miliardi (-13%). Tutte le altre tasse sono cresciute in maniera piuttosto marcata: l’addizionale regionale Irpef è cresciuta di 3,1 miliardi (+39%) e l’addizionale comunale di 1,4 miliardi (+51%).

Sul fronte dell’imposta sugli immobili, il fisco locale ha dato il meglio di sé. Se nel 2010 l’Ici ha fatto incamerare ai comuni 9,6 miliardi, nel 2015 Imu e Tasi hanno portato nelle casse locali 21,3 miliardi, +120%. E meno male che le tasse calano…

I commercialisti e i Panama Papers

I commercialisti italiani sono intervenuti nei giorni scorsi sul caso Panama Papers, condannando duramente gli evasori, o presunti tali, i cui nomi sono usciti dalle carte dello studio Mossack Fonseca e ricordando, invece, l’opportunità della voluntary disclosure.

Chi si è affidato a cinici consiglieri fraudolenti e, non avvalendosi della voluntary discolsure, ha spostato le proprie disponibilità da Ginevra a Panama è sciocco e volgare – ha infatti dichiarato il presidente dei commercialisti, Gerardo Longobardi, nel corso di un convegno sulla lotta all’evasione -. Dovrebbe essere consapevole che dal 30 settembre 2015 per schivare il reato di autoriciclaggio potrà sì utilizzare le disponibilità economiche non oggetto di voluntary a Panama, ma solo per pagarsi le vacanze in quello Stato caraibico, o per metterle dentro un pouf, seguendo un noto esempio di cronaca degli Anni ’90”.

La voluntary disclosure approvata dal Parlamento italiano e terminata nel dicembre dello scorso anno – ha proseguito il presidente dei commercialistiè stata l’ultima spiaggia per chi deteneva disponibilità finanziarie all’estero, e mal gliene incolse a chi non ha aderito, restando insensibile ai molti appelli che anche la nostra categoria ha lanciato nei mesi scorsi”.

Longobardi ha ricordato poi come “da qualche anno a questa parte la sensibilità internazionale ha cambiato atteggiamento verso l’occultamento di ricchezze nei paradisi fiscali. Questi ultimi sono divenuti di fatto una nuova categoria di Stati canaglia”.

Secondo il presidente dei commercialistiper evitare il ripetersi a livello nazionale e internazionale di fenomeni di occultamento di ricchezze non dichiarate, è evidente che, nell’immediato occorre proseguire e, semmai, rafforzare il percorso intrapreso già da qualche anno dall’Ocse circa gli standard sullo scambio automatico di informazioni tra Stati. A ciò va aggiunta un’azione incisiva sulla transparency bancaria, ossia sulle regole che impongono alle banche di verificare la trasparenza della titolarità e della provenienza dei fondi da loro gestiti”.

Questa maggiore trasparenza – ha proseguito Longobardisi tramuterebbe in una maggiore tutela del risparmio nonché dell’economia ‘pulita’. In tal modo si genererebbero dei circuiti finanziari trasparenti (di serie A) contrapposti ai residuali circuiti finanziari non trasparenti (di serie B), in cui potrebbero rafforzarsi le misure speciali di contrasto all’economia illecita”.

L’obiettivo a cui tendere, ha concluso il presidente dei commercialisti italiani, è “un sistema di piena libertà economica a condizione di una totale trasparenza, che premi i comportamenti fully compliant, vale a dire i comportamenti rispettosi delle regole”.

Le tasse mascherate dello Stato

Che lo Stato sia spesso ladro, è convinzione che Infoiva ha da tempo. E, a dimostrazione del fatto che la nostra convinzione è anche una solida realtà, arriva un’analisi effettuata dall’Ufficio studi della Cgia dalla quale emerge che nel 96% dei casi le tasse pagate dalle famiglie dei lavoratori dipendenti sono prelevate alla fonte – dalla busta paga o incluse nei beni o nei servizi acquistati -, mentre solo il restante 4% è versato al fisco attraverso un’operazione di pagamento allo sportello, sia esso bancario o postale.

Nel dettaglio, la Cgia ha calcolato che nel 2016 la famiglia tipo presa a modello dell’analisi (marito e moglie lavoratori dipendenti con un figlio a carico) pagherà circa 17mila euro di tasse, un carico fiscale a dir poco vergognoso.

Nello specifico, il marito preso come modello è un operaio specializzato con reddito da lavoro dipendente pari a 22.627 euro (circa 1.513 euro/mese per 13 mensilità), mentre la moglie è impiegata in una piccola azienda artigiana, con reddito da lavoro dipendente pari a 17.913 euro (circa 1.235 euro/mese).

La famiglia in questione alle prese con le tasse abita in un appartamento di 94 mq calpestabili, la cui rendita catastale è di 522 euro, e possiede due auto, di cilindrata pari a 1.800cc e 1.200cc con le quali vengono percorsi rispettivamente 15.000 km e 5.000 km all’anno. Ecco il dettaglio delle tasse pagate, suddiviso in 3 voci.

prelievo “alla fonte”. Pesa il 65% carico fiscale annuo, 11.098 euro. Comprende i versamenti dei contributi previdenziali Inps, Irpef e le addizionali regionali e comunali Irpef;

tasse “nascoste”. Pesano il 31% del carico fiscale annuo, 5.230 euro. Iva, accise collegate alla benzina e alle bollette di luce e gas, tasse e imposte comprese nell’assicurazione auto, nei bolli dei conti correnti e dei dossier titoli, canone Rai;

tasse “consapevoli”. Pesano il 4% del carico fiscale annuo, 696 euro. Bollo auto e Tari.

Con questa analisi, la Cgia ha voluto sottolineare come lo Stato ladro sia bravo a farci pagare le tasse senza farci apparentemente soffrire, come se fosse un vampiro buono. Ricorda Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia: “Nel momento in cui ci rechiamo in banca o alle poste per pagare il bollo dell’auto, la Tari o l’Imu, psicologicamente percepiamo maggiormente il peso economico di questi versamenti rispetto a quando subiamo il prelievo dell’Irpef o dei contributi previdenziali direttamente dalla busta paga. Nel momento in cui mettiamo mano al portafoglio prendiamo atto dell’entità del pagamento e di riflesso scatta una forma di avversione nei confronti del fisco. All’opposto, quando i tributi vengono riscossi alla fonte, l’operazione è astrattamente meno indolore, perché avviene in maniera automatica”.

Un 2015 in crescita per i mutui

È continuato anche nel 2015 il trend positivo del mercato dei mutui in Italia. Le famiglie italiane hanno ricevuto finanziamenti per l’acquisto dell’abitazione per 13.077 milioni di euro nel quarto trimestre 2015. Rispetto allo stesso trimestre del 2014 si registra un aumento delle erogazioni pari a +83,7%, per un controvalore di +5.956,9 milioni di euro. È quanto emerge dai dati riportati nel Bollettino Statistico I-2016 pubblicato da Banca d’Italia nel mese di aprile 2016.

Il mercato dei mutui continua a dare segnali positivi, le erogazioni sono in aumento da due anni, superano abbondantemente i 10 miliardi di euro ed era dalla metà del 2011 che non si toccava quota 13 miliardi. Questo trend è suffragato anche dalle performance positive riscontrate mensilmente, che vedono incrementi importanti a partire dalla metà del 2014 e volumi raddoppiati dall’estate scorsa.

Considerando l’intero anno 2015, riscontriamo che sono stati erogati alle famiglie italiane mutui per 41.247,1 milioni di euro. Il saldo annuo, se confrontato con quanto rilevato nei 12 mesi precedenti (intero anno 2014), segna un aumento dei volumi pari a +70,6%, per un controvalore di +17.064,4 milioni di euro.

Nello specifico, il quarto trimestre 2015 vede un incremento delle erogazioni in tutte le macroaree, come avviene ormai da più di un anno. La performance migliore spetta alle Isole, dove i quasi 870 milioni di euro sono il doppio rispetto a quanto erogato nel quarto trimestre 2014. I volumi raddoppiano anche nel Centro e nel Sud Italia, mentre il Nord-Ovest si conferma la macroarea dove si eroga di più, con più di 4,3 miliardi di euro. Anche l’Italia Centrale fa segnare una performance interessante: i volumi dei mutui sono aumentati del 68% e adesso superano i 2,8 miliardi di euro.

Analizzando l’intero anno 2015 si registrano volumi in aumento in tutte le macroaree italiane. Il Meridione eroga 5.750 mln di euro (+84%), il Centro Italia si posiziona al secondo posto con un aumento del 79,6% e volumi pari a 10,3 miliardi di euro sia per andamento sia per totale erogato. Con quasi 14 miliardi di euro, invece, è il Nord-Ovest l’area dove si eroga di più e i suoi volumi sono aumentati del 63,3%; la performance è simile nel Nord-Est, dove però i volumi dei mutui sono 8.900 milioni di euro.

Attraverso la base dati interna all’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa, è stata analizzata la tendenza rispetto alla quantificazione media dell’importo dei mutui. Il ticket medio nazionale si è attestato a circa 111.300 euro, in aumento rispetto a quanto riscontrato nel quarto trimestre 2014. La ripartizione geografica è nettamente diversa: il Nord-Ovest e il Centro si mantengono sopra i livelli nazionali, il Nord-Est è in linea rispetto al totale dell’Italia, mentre la tendenza è opposta al Sud e nelle Isole. Il ticket medio dei mutui risulta più elevato nella macroarea Centrale (116.200 euro) e più basso al Sud, dove si erogano in media 104.100 euro.

Inoltre, il 2015 si è chiuso con un aumento delle erogazioni dei mutui rispetto a quanto rilevato nel 2014, anche per effetto della significativa crescita dei finanziamenti di surroga. Il 2016 dovrebbe continuare su questa stessa lunghezza d’onda, ma con una riduzione delle erogazioni relative alle surroghe.

Pensionati all’estero e Certificazione Unica

L’Inps torna a pronunciarsi sugli aspetti fiscali relativi ai pensionati residenti all’estero, nello specifico quelli residenti in Brasile e Canada, fornendo alcune informazioni relative alla loro Certificazione Unica 2016.

Il messaggio con il quale l’Inps ritorna sulla questione specifica che l’importo del reddito esentato – in caso di pensioni del tutto o in parte esentate da imposizione in Italia – deve essere indicato nelle annotazioni della Certificazione Unica 2016 con il codice BW, anziché AJ come nel 2015.

Le pensioni in questione sono relative ai casi in cui il pensionato risiede in uno Stato estero con il quale l’Italia ha stipulato una convenzione per evitare che il contribuente paghi doppie imposte dirette e ne ha richiesto l’applicazione utilizzando l’apposita istanza.

Qualora il reddito sia del tutto esentato, l’importo dell’imponibile lordo viene indicato fra parentesi nelle annotazioni con codice BW e preceduto dalla dicitura: “Redditi esentati da imposizione in Italia in quanto il percipiente risiede in uno stato estero: importo del reddito esente percepito”.

Per i pensionati ex lavoratori privati che risiedono in Brasile e Canada, cui è stata applicata la convenzione di cui sopra, l’importo del reddito corrispondente alla soglia di esenzione prevista da ciascuna delle convenzioni in oggetto è indicato, nella CU 2016, fra parentesi nelle annotazioni con il codice BW, preceduto dalla dicitura: “Redditi esentati da imposizione in Italia in quanto il percipiente risiede in uno stato estero: importo del reddito esente percepito”.

Nella sezione “dati fiscali” della Certificazione Unica 2016, alla voce “redditi da pensione”, è invece indicato il reddito imponibile al netto della quota esente, valorizzata in euro.