Taglio delle accise sul carburante, ecco il piano

Ed alla fine ecco che il governo finalmente sembra intenzionato a mettere mano alle accise. Il ritocco alle accise sui carburanti è una annosa questione. Tanti i governi che ci hanno provato, o meglio, che hanno messo in agenda l’ipotetico ritocco ad una tassa assurda per i più. Nulla di fatto sempre, perché ogni volta che se ne parlava, tutto è rimasto appeso e freno alla semplice promessa.

Adesso però i tempi sembrano maturi. Il ministro Cingolani ha annunciato che le intenzioni del governo sono indirizzate verso una rimodulazione della tassa sui carburanti.

Accise, la strana tassa che grava pure sui carburanti

Probabilmente ci volevano questi aumenti impressionanti del prezzo del carburante per spronare le istituzioni ad intervenire su una vecchia questione. La cancellazione delle accise sui carburanti. Si tratta di tasse che gravano anche sull’alcol per esempio. Delle tasse che come vedremo, nascono per finanziare eventi storici gravi come una calamità naturale per esempio. Oppure una guerra. In altri termini, emergenze vere e proprie. Tanto è vero che si tratta di tasse che vengono messe in maniera temporanea, provvisorie. Salvo poi non essere mai più tolte dal “groppone” degli italiani. E lo dimostrano proprio le accise oggi in vigore e da dove derivano.

Le accise sui carburanti, cosa sono?

Prima di affrontare il programma del governo di una abrogazione o quanto meno di una riduzione di queste accuse, meglio capire di cosa parliamo.

Le accise sono, per definizione un tributo indiretto o tassa indiretta. Parliamo di una imposta a riscossione mediata caricata su determinati beni come i carburanti, l’energia elettrica,  gli alcolici, le sigarette e così via. La tassa viene pagata dal produttore o dal commerciante ma alla fine grava sul consumatore finale. Si paga per litro di carburante e le accise che gravano sui contribuenti per benzina e gasolio sono:

  • Finanziamento a supporto crisi di Suez del 1956 per 0,00723 euro;
  • Ricostruzione post disastro del Vajont del 1963 per 0,00516 euro;
  • Finanziamento per la ricostruzione dopo alluvione di Firenze del 1966 per 0,00516 euro;
  • Ricostruzione post terremoto del Belice del 1968 per 0,00516 euro;
  • Ricostruzione post terremoto del Friuli del 1976 per 0,00511 euro;
  • Sostegno alla ricostruzione post terremoto dell’Irpinia  del 1980 per 0,0387 euro;
  • Finanziamento della missione ONU in Libano del1980 per 0,106 euro;
  • Finanziamento per missione ONU in Bosnia del 1996 per 0,0114 euro;
  • Rinnovo contratto autoferrotranvieri del 2004 per 0,020 euro;
  • Acquisto autobus ecologici nel 2005 per  0,005 euro;
  • Ricostruzione post terremoto a L’Aquila del 2006 per 0,0051 euro;
  • Finanziamento alla cultura del 2011 per euro 0,0071;
  • Finanziamento crisi migratoria libica del 2011 per 0,040 euro;
  • Ricostruzione post alluvione in Toscana e Liguria nel 2011 per euro  0,0089 euro;
  • Finanziamento al decreto “Salva Italia” del governo Monti nel 2011 per  0,082 euro;
  • Ricostruzione post terremoto in Emilia del 2012 per  0,024 euro;
  • Finanziamento per cosiddetto “Bonus gestori”  del 2014 per 0,005 euro;
  • Finanziamento al decreto  “del  fare” del 2014 per  euro 0,0024.

C’è anche l’Iva a gravare sul carburante

L’intervento di cui il Ministro per la transizione ecologica Cingolani ha parlato collega le accise all’Iva. Infatti pure l’Imposta sul valore aggiunto grava sui carburanti. E grava in misura pari al 22%. Una imposta che sale al salire del costo del carburante essendo collegata al prezzo di vendita. Benzina ad un euro al litro, Iva pari a 0,22 centesimi. Benzina a 2 euro per litro, Iva pari a 0,44 centesimi.

Il collegamento tra accise ed Iva è argomento di studio del governo che vorrebbe utilizzare, come il Ministro Cingolani ha confermato, i maggiori introiti per l’Iva come base per abbassare le accise.

Il Ministro della transizione ecologica Cingolani, ha annunciato queste intenzioni dell’esecutivo Draghi di cui fa parte, direttamente a Palazzo Madama, in Senato.

Il governo si sta adoperando per ritoccare una delle voci che maggiormente fanno incrementare il costo del carburante. Anche perché la tassazione italiana non ha uguali rispetto al resto del Mondo o quasi.

L’informativa in Senato sulle misure che intende intraprendere l’esecutivo contro l’impennata dei prezzi dei carburanti e delle bollette energetiche anche seguita all’invasione russa in Ucraina, è stata l’occasione giusta per Cingolani. Occasione ideale per presentare ciò che il governo pensa di fare. Usare l’extra gettito Iva, dovuto all’aumento dei prezzi del carburante, per ridurre le accise. Una proposta che a dire il vero era partita da Fegica, associazione dei gestori di carburante.

Come scenderebbe il carburante senza le accise

Abbattere le accise sui carburanti quindi potrebbe davvero essere la soluzione ottimale per contenere l’esborso per le famiglie. Infatti stando alle statistiche ed ai numeri prima elencati, senza le accise il costo della benzina scenderebbe di molto. Addirittura arriverebbe a costare meno di un euro a litro. Naturalmente è vietato interpretare le parole del Ministro Cingolani come la certezza che le accise verranno tolte.

Anzi, a dire il vero pare che il governo stia pensando ad una rimodulazione delle accise, ad una riduzione soltanto e non ad una loro abrogazione. Main una fase in cui davvero il costo del carburante sta lievitando inesorabilmente, anche la semplice riduzione non è da sottovalutare. Il beneficio sarebbe ben accetto da milioni di famiglie o da chi, con gli autotrasportatori, con la benzina o il gasolio lavorano.

Accise mobili: la novità per calmierare il prezzo dei carburanti

Il ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha dichiarato che il Governo sta lavorando all’ipotesi delle accise mobili sul carburante. Cosa sono e come potrebbero funzionare?

I costi del carburante: leggere flessioni del prezzo fanno sperare

Dopo le dichiarazioni del ministro Giorgetti sugli aumenti ingiustificati dei prezzi dei carburanti ci sono le prime reazioni.  Si registrano leggere variazioni al ribasso dei prezzi di diesel e benzina, ma le riduzioni sono appena percepibili. I prezzi sono stati ridotti da Eni, Tamoil, IP e Q8 e variano da 5 centesimi a 8 centesimi.

Nel frattempo ci sono segnali distensivi tra Ucraina e Russia, l’ipotesi è che l’Ucraina accetti la neutralità e quindi di non fare il suo ingresso nella NATO. Questo naturalmente potrebbe portare gli scenari economico-politici a mutare in modo repentino. Naturalmente sono tutte ipotesi che si spera possano avverarsi, ma per aiutare famiglie e imprese il Governo sta comunque cercando una strada e cioè applicare le accise mobili sui carburanti. Il ministro Cingolani ha sottolineato che gli aumenti attuali sono dovuti all’aumento del prezzo del Brent e alla scarsa disponibilità di gasolio. Per quanto riguarda invece la benzina non vi sono difficoltà di approvvigionamento, proprio questa differente disponibilità ha portato i prezzi di gasolio e benzina quasi ad allinearsi, mentre in passato il diesel aveva un costo nettamente inferiore alla benzina.

Cosa sono le accise mobili e quale impatto possono avere sulle tasche degli italiani?

Le accise mobili sono una misura volta a contenere l’aumento dei prezzi di benzina e gasolio attraverso un meccanismo che le adegua automaticamente in base all’andamento dei prezzi. In questo modo si ottiene un prezzo calmierato per i carburanti e allo stesso tempo si contiene la perdita per l’erario che potrebbe essere determinata da un semplice e lineare taglio delle accise.

Attualmente le accise sui carburanti hanno un valore di 73 centesimi al litro. L’ipotesi allo studio è quella di creare un meccanismo per il quale il maggiore gettito IVA determinato dall’aumento dei costi della benzina e del gasolio dovrebbe essere automaticamente annullato per effetto della diminuzione delle accise.

Lo stesso Ministro Cingolani però sottolinea che il meccanismo potrebbe essere abbastanza complesso e portare per i consumatori a un risparmio che oscillerebbe tra i 10 e i 15 centesimi a litro. Poco percepibile perché in compenso vi sarebbe comunque un aumento dell’IVA. Secondo i calcoli fatti, il prezzo finale dovrebbe essere calmierato intorno alla soglia psicologica dei 2 euro. Un prezzo comunque alto rispetto a quanto costava anche solo un mese fa. Naturalmente le associazioni dei consumatori chiedono un provvedimento più incisivo con un taglio delle accise di almeno 50 centesimi. Lo stesso dovrebbe essere mantenuto nel tempo visto che le accise si sono accumulate nel tempo fino a raggiungere una soglia particolarmente elevata.

Crisi dell’auto: meglio le vetture estere o il made in Italy?

 di Alessia CASIRAGHI

Quanto sono esterofili gli italiani quando si parla di motori? Il quesito diventa ancora più pregnante in un momento di fortissima contrazione del mercato dell’auto in Italia, come quello che stiamo vivendo. In breve, in tempi di crisi, gli italiani puntano su vetture made in Italy o preferiscono le auto straniere? Per rispondere a questa domanda Infoiva oggi ha interpellato Romano Valente, Direttore Generale di Unrae, l’Unione Nazionale dei Rappresentanti Veicoli Esteri. 

Il mercato delle auto straniere in Italia soffre maggiormente rispetto al comparto nazionale? 
Direi di no, la crisi dell’auto è assolutamente trasversale e gli italiani mantengono una preferenza sostanzialmente stabile su circa il 70% del mercato occupato oggi dalle vetture straniere, la maggior parte delle quali sono di costruzione europea e utilizzano componentistica italiana. Un giro d’affari da 8,5 miliardi di euro.

Il calo del fatturato della vendita di auto straniere in Italia rappresenta una minaccia per la filiera e l’indotto in Italia?
Ripetuto che il calo del fatturato è generalizzato e non riguarda solo le case automobilistiche estere, è accertato che il calo del fatturato e soprattutto dei ricavi sia tale da mettere a rischio l’intera filiera, in particolare le reti di vendita. Il rischio chiusura riguarda ad oggi il 10% degli imprenditori con un problema occupazionale su circa 10.000 addetti diretti. Sulla filiera intera la stima del rischio diventa 20 volte più grande.

Il settore dei veicoli commerciali riesce a resistere maggiormente alla crisi?
I veicoli commerciali sono i primi a risentire della crisi, oggi stimiamo un calo del 30% delle vendite sull’intero 2012 con numeri che ci riportano indietro al 1994. Il dato puntuale ad agosto presenta un calo del 35% sull’immatricolato degli 8 mesi rispetto all’anno precedente.

Come vedono le case automobilistiche estere la situazione del mercato dell’auto in Italia?
L’auto in Italia soccombe stretta nella morsa delle due manovre economiche che sono state introdotte nell’ultimo anno, con un peso sul comparto auto pari a 8,7 miliardi di euro. Il conseguente aumento delle tasse, delle accise sulla benzina (7 aumenti in un anno, oggi siamo sopra i 2 euro/litro), delle assicurazioni, dei pedaggi autostradali sono diventati un macigno che ha di fatto bloccato la domanda di auto nuove. Più in generale la pressione fiscale sulle famiglie e la loro ridotta capacità di spesa ha un impatto devastante su tutti i beni durevoli. Senza un intervento strutturale del governo che alleggerisca la pressione fiscale sulle famiglie e ne aumenti la capacità di spesa, sarà ben difficile parlare di crescita e di ritorno a condizioni di mercato normali, anche, e soprattutto per l’auto.

Secondo la sua esperienza e conoscenza di mercati esteri, quali misure dovrebbe intraprendere il Governo italiano per favorire il mercato dell’auto in un momento di forte contrazione come quello che stiamo vivendo?
Ogni mercato ha condizioni politiche, sociali, culturali diverse, difficili da confrontare direttamente, il caso italiano è pertanto specifico ed UNRAE ha più volte richiesto un riallineamento delle politiche sull’auto a quanto stabilito dalle norme europee (p.es. il CARS 21) per andare verso una normativa orientata alla neutralità tecnologica (cioè indipendente dal tipo di alimentazione della vettura) e premiante in funzione dei livelli di emissione più bassi.

Quali sono le vostre previsioni sul futuro?
Pur volendo mantenere un approccio positivo, senza interventi strutturali di alleggerimento del peso fiscale sulle famiglie e di rilancio dei consumi, a breve sarà difficile vedere un’inversione di tendenza. Tuttavia, non potrà essere così per sempre e quindi ci auspichiamo tutti che nel medio periodo si ricreino le condizioni per un mercato più robusto.

La benzina sale, i benzinai protestano. Ma quali le ragioni?

 

Le file ai distributori di benzina per i maxi sconti del weekend si preparano a diventare l’immagine simbolo di questa estate italiana, soffocata tra crisi, spread, agenzie di rating e poche, pochissime vacanze. Per il prossimo fine settimana, il 4 e 5 agosto, quello in cui si concentrerà molto probabilmente l’esodo vacanziero, i distributori di benzina avevano annunciato una serrata di protesta. 

Protesta revocata in seguito, grazie ad  “accordo raggiunto” tra gestori, governo e aziende petrolifere in un incontro, venerdì scorso, al Ministero dello Sviluppo economico. Anche se il verdetto finale è rimandato al prossimo giovedì, giorno nel quale le parti in causa si incontreranno nuovamente per fare il punto sulle decisione del Decreto Liberalizzazioni.

Ma quali sono le vere ragioni della protesta, sottoscritta dalle maggiori associazioni italiane di categoria, aib-Confesercenti, Fegica-Cisl e Figisc-Anisa Confcommercio?

Infoiva lo ha chiesto a Roberto Di Vincenzo, Presidente di Fegica, per cercare davvero di capire come funziona il mercato del petrolio e quali sono le cause reali della continua giostra dei prezzi del carburante, tra aumenti, sconti e rincari, che grava sulle tasche degli italiani.

Se ne è a lungo parlato sui giornali, ma se dovessimo spiegare in poche parole ai consumatori le ragioni dello sciopero delle pompe di benzina che avevate indetto per il 4 e 5 agosto?
E’ presto detto, evitando inutili tecnicismi. Le compagnie petrolifere intendono approfittare del momento di grave crisi del Paese e di “distrazione” della politica per “regolare i conti” con un’intera categoria che per loro rappresenta un costo e soprattutto l’unico possibile e reale elemento di potenziale concorrenza, se e quando dovessero finalmente tradursi nel concreto i contenuti del recente decreto liberalizzazioni che Governo e Parlamento hanno trasformato in legge. A questo scopo, i petrolieri ricorrono ad ogni mezzo, compreso quello di disattendere e violare apertamente anche le leggi che regolano l’attività del settore, rifiutandosi da anni di rinnovare gli accordi collettivi e tagliando unilateralmente fino al 70% i margini già esigui dei gestori. Mi limito a ricordare che i gestori avrebbero diritto ad un margine che mediamente vale meno di 4 centesimi al litro, vale a dire 1 euro ogni 50 che l’automobilista spende per fare rifornimento: una mancia, insomma.

Nonostante gli avvertimenti del Garante, avete continuato a far valere le vostre ragioni, trovando però una mediazione,  rinunciando in un primo momento, prima della revoca di venerdì, alla serrata del 3 agosto. Perché così tanta resistenza? Quali sono i vostri obiettivi?
Il Garante, lungi dal “bacchettare” i benzinai – come qualcuno ha cercato strumentalmente di far credere – ha tenuto a dire due cose importanti: da una parte, aveva confermato la piena legittimità della proclamazione dello sciopero per sabato 4 e domenica 5; dall’altra, ha spiegato che, nell’ambito delle prerogative della Commissione che prevedono un tentativo di “raffreddamento” delle vertenze, intende convocare i petrolieri e persino arrivare a multarli, se dovesse arrivare alla conclusione che lo sciopero fosse da addebitare alla responsabilità diretta di un loro comportamento fuori delle regole. Una vera rivoluzione rispetto al passato, che restituisce un pizzico di equilibrio rispetto ad un luogo comune , sciopero = disagio, che ormai evita qualsiasi approfondimento circa le ragioni vere e le reali responsabilità che portano a conflitti sociali di tale rilevanza. La pretesa di trasferire forzatamente sulla collettività altri 120.000 disoccupati, come sta cercando di fare l’industria petrolifera italiana, Eni in testa, non può essere accolta senza contrasto. E questo è il nostro primo obiettivo.

Quali sono le conseguenze delle sempre più competitive campagne sconto del weekend sul singolo gestore di una pompa di benzina?
La prima è il taglio, come già detto, del suo margine: le compagnie impongono ai gestori di rinunciare fino al 70% di quanto dovrebbero avere, se non vogliono essere tagliati fuori dalle “promozioni”. La seconda è vedere concentrate le vendite della settimana solo nei weekend: il totale dei volumi venduti continua a contrarsi, a causa della crisi e dei continui rialzi dei prezzi dei carburanti decisi dalle compagnie, ma trasferire le vendite nel fine settimana significa ridurre sensibilmente il ricavo unitario del gestore, a vantaggio delle aziende. La terza è rappresentata dalla sostituzione forzata di chi lavora sull’impianto (ad un costo ridicolo per il “sistema”) con la macchinetta del self: le compagnie, dopo aver alzato i prezzi, dicono di praticare gli “sconti” solo alla macchinetta del self, di fatto costringendo i consumatori a servirsi con quell’unica modalità di vendita e creando le condizioni per mandare a casa i lavoratori. Un effetto che si consoliderà soprattutto a settembre, dopo la fine delle iniziative di sconto.

Quali sono le ripercussioni delle campagne aggressive praticate dalle grande compagnie petrolifere sulle più piccole e le pompe no logo?
Sono volate parole grosse in queste settimane: dumping, comportamento predatorio, abuso di posizione dominante. Tutte accuse -lanciate dalle compagnie più piccole, dai retisti indipendenti e dalle stesse pompe bianche all’Eni- almeno credibili e, con ogni probabilità, fondate. Quando un mercato non è dominato, ma letteralmente governato da un unico soggetto -l’Eni- peraltro controllato dallo Stato, con il quale intrattiene innumerevoli occasioni di “scambio” (compresi i contratti all’estero per ragioni geopolitiche) e che gli garantisce il monopolio di mercati ricchissimi (il gas), queste sono conseguenze da mettere in conto. D’altra parte, finché il “leader del mercato” se la prendeva solo con i gestori o i consumatori alzando continuamente i prezzi, tutti gli altri soggetti hanno largamente beneficiato del “sistema Eni”. Ma quando si accetta supinamente che un sistema si muova non in funzione di regole oggettive e uguali per tutti, ma della “liberalità del principe”, si rischia di avere un pizzico meno di credibilità nel denunciare le storture. In ogni caso, benvenuti ai ritardatari.

Scontoni nel weekend e repentini rialzi dei prezzi del carburante in settimana. E’ un po’ come se gli italiani alla fine ‘pagassero’ il proprio sconto?
E’ la triste verità che abbiamo denunciato – allora da soli, oggi potendo contare su qualche “alleato” in più – fin dalla conferenza stampa di Scaroni di presentazione di “Riparti con Eni”. In realtà, il nostro Paese, la collettività, oltreché ciascun singolo cittadino e consumatore, si è già pagato, in anticipo e in mille modi diversi, molto più del valore degli “sconti” di questi weekend. Solo nei primi 3 mesi di quest’anno, le compagnie hanno rialzato 34 volte consecutivamente i prezzi dei carburanti: una volta ogni tre giorni! Il fatto è che siamo nelle mani di pochi soggetti che controllano indisturbati il rubinetto del prezzo dei carburanti, a cui viene consentito di mettere in fila gli italiani alle macchinette del self nei fine settimana -come se stessimo in tempo di guerra, con la tessera del razionamento del pane in mano- facendogli credere di dare loro un vantaggio. Ma la verità è che, se fosse applicato quello che nel decreto liberalizzazioni è solo appena abbozzato, vale a dire se fosse data ai gestori la possibilità di svincolarsi dalle compagnie e di rifornirsi sul libero mercato, gli automobilisti avrebbero immediatamente, su tutti gli impianti, anche sotto casa, tutti i giorni e senza rinunciare al servizio e all’assistenza, un prezzo stabilmente più basso di almeno 10 centesimi.

Esiste un tetto massimo al rialzo dei prezzi del carburante? Lo Stato come interviene in tal senso?
Il regime di “libero mercato” non consente l’imposizione di un tetto massimo alla fissazione dei prezzi. E quindi lo Stato non ha alcuno strumento di intervento diretto sul fenomeno. Può (e dovrebbe) dotare il sistema di regole certe che consentano di ottenere un mercato meno ingessato dalla prepotenza di pochi soggetti e quindi maggiore concorrenza, efficienza e prezzi più contenuti. Ad ogni modo, la nostra categoria, fin dal 2002, ha ottenuti accordi (gli stessi che le compagnie petrolifere non voglio rispettare e rinnovare) che impongono negozialmente un prezzo massimo di rivendita al pubblico. Un esempio virtuoso di contrattazione a cui non è stato dato particolare rilievo dall’informazione e che perciò viene ora aggirato dai petrolieri senza nessuno scandalo.

Veniamo alla questione dei “platts”, quotazione fissata virtualmente dalle agenzie internazionali di rating. Quanto incide sul prezzo finale del carburante?
Al 16 luglio scorso la famigerata quotazione platts, cioè il valore convenzionale dei carburanti finiti, era 0,601 euro al litro per la benzina -il 34,20% sul prezzo medio al pubblico- , e a quota 0,650 euro al litro per il gasolio  -il 39,44% sul prezzo medio al pubblico. Come si evince, se non ci fossero imposizioni fiscali sensibilmente differenti per ragioni politiche, la benzina costerebbe molto meno del gasolio. Ciò detto, però, quel che agli italiani andrebbe detto è che dietro la quotazione platts viene impunemente nascosta la vera e ingentissima rendita dei petrolieri. Mentre la rivista Forbes inserisce ben 8 compagnie petrolifere tra le 10 aziende più ricche del mondo, i petrolieri nostrani denunciano margini industriali da fame e ridicoli: il 5,06% sul prezzo della benzina e addirittura il 3,76% sul gasolio. Ci si può credere? La verità è che i loro veri margini sono proprio dentro la quotazione platts che fissano “virtualmente” loro stessi (sono tutti soci della rivista del gruppo Standard&Poors che fissa la quotazione) e che non un solo litro di carburante viene “scambiato” al prezzo platts. D’altra parte, è assolutamente incontrovertibile che, ancora oggi, il costo (tutto compreso) di estrazione del greggio varia tra i 2 e i 10 dollari al massimo al barile, mentre la quotazione sui mercati internazionali è stabilmente sopra i 100 dollari: nelle tasche di chi va la differenza?

Accise e Iva quanto pesano sul prezzo finale del carburante? Cosa potrebbe fare lo Stato Italiano per andare incontro ai consumatori?
Sempre al 16 luglio, le tasse pesano il 58,57% sul prezzo della benzina ed il 54,56% su quello del gasolio. Non c’è dubbio che sia una imposizione pesantissima e particolarmente odiosa perché pesa indiscriminatamente su tutti i cittadini, indipendentemente dal loro reddito, e perché incide su un bene divenuto ormai essenziale alla vita quo diana di ciascuno. Allo stesso modo, va rilevato che questa imposizione concorre a “finanziare” una parte consistente della cosiddetta “spesa pubblica corrente” e che, se non fosse caricata sui carburanti, la collettività se la vedrebbe trasferita altrove. Fatte queste premesse, quel che appare davvero iniquo è che il Governo italiano, qualunque Governo, non trovi di meglio da fare che aumentare le accise dei carburanti, ogni qual volta abbia la necessità di “fare cassa”. Adoperare un intero settore produttivo e un prodotto essenziale come i carburanti alla stessa stregua di un bancomat, non è serio, oltreché profondamente ingiusto. Anche perché -nell’indifferenza della politica e nonostante lo “scontone”- i consumi continuano a far registrare un -8% abbondante nel primo semestre dell’anno.

La percezione è che ci sia una gran confusione tra i consumatori nel distinguere fra benzinai, petrolieri e compagnie petrolifere. Se volessimo fare un po’ di chiarezza?
Non c’è dubbio che, per tanto tempo, nella percezione comune si è fatto fatica a separare la “posizione” dei gestori da quella delle compagnie petrolifere. Un po’ come se si potesse ritenere che un banchiere e un bancario abbiano il medesimo grado di interesse nell’affare della banca. Una confusione di ruoli che comunque ha consentito proprio alle compagnie di defilarsi e di dissimulare le proprie responsabilità. Per un automobilista, del prezzo alto dei carburanti, è senz’altro più semplice incolpare il benzinaio che sembra sfilargli direttamente i soldi dal portafoglio. Oggi le cose sono un po’ diverse, c’è maggiore consapevolezza e affiora non raramente un certo spirito solidale tra consumatore e gestore, accumunati da uno stesso destino: essere vittima della lobby potente del petrolio.

Alessia CASIRAGHI

Benzina, i prezzi rimangono stabili

Mentre le quotazioni internazionali calano e l’Italia si prepara alla nuova accise sui carburanti, i prezzi di benzina e diesel rimangono pressoché invariati. Nel fine settimana solo Eni ha iniziato a recepire i cali dei prezzi internazionali che si sono susseguiti nel corso della scorsa settimana, con il diesel che scende di 0,4 centesimi al litro.

Considerando sempre il servito, i prezzi più bassi sono praticati da Esso per la benzina (1,820) e da Agi per il diesel (1,718), mentre i più alti si trovano da Tamoil, con 1,838 per la benzina e 1,730 per il diesel.