Costruzioni made in Italy: un brand da esportare

 

Un brand che renda immediatamente riconoscibili gli edifici progettati e realizzati da ingegneri, architetti e costruttori italiani in tutto il mondo. Il Made in Italy viaggia sui tetti di tutte le città del mondo. La proposta è stata lanciata da Paolo Buzzetti, Presidente di Federcostruzioni e di Ance.

E’ un sogno che vorrei realizzare insieme all’Agenzia per l’internazionalizzazione delle imprese italiane e a Simest – dichiara entusiasta Buzzetti. – Un sogno che potrebbe dare nuova linfa vitale al mercato”.

Ma quali sono le ragioni di questa iniziativa? “Vi sono Paesi dove la contrazione del mercato è significativa come in Italia e ve ne sono altri dove il ruolo dell’edilizia per lo sviluppo economico e sociale resta fondamentale e dove si registrano tassi significativi di crescita degli investimenti – ha spiegato Buzzetti. – E’ qui che bisogna puntare ma senza rinunciare alla qualità e alla capacità dell’imprenditoria del settore italiano delle costruzioni che ci vengono riconosciute in tutto il mondo”.

Il made in Italy è un valore che va rispettato e promosso in tutti i campi dell’industri italiana. L’iniziativa ha ricevuto l’appoggio di Riccardo Monti, presidente dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane: “Razionalizzare il sistema italiano all’estero migliorando la rete già esistente e includendo tutte le nostre risorse: quelle umane dei rappresentanti delle filiere produttive a quelle finanziarie disponibili presso le regioni”.

Le conoscenze specifiche del settore delle costruzioni vantate dal made in Italy vanno messe in primo piano nella promozione di un’azione congiunta per l’esportazione del brand del made in Italy. Monti ha chiesto a Federcostruzioniuna concreta collaborazione anche con personale negli uffici dell’Agenzia all’estero soprattutto in quei Paesi che offrono maggiori opportunità per le imprese italiane come la Russia,il Brasile, ma anche alcune aree dell’Asia centrale e dell’Africa settentrionale”.

Da Intesa Sanpaolo 2 miliardi alle imprese Ance per combattere la crisi

E’ stato siglato un accordo tra il Presidente dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) Paolo Buzzetti e dal ceo di Intesa Sanpaolo, Enrico Tommaso Cucchiani. L’accordo mette a disposizione delle imprese Ance un plafond di due miliardi di euro “per lo sviluppo di iniziative immobiliari con particolare attenzione alla valorizzazione/riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente”, con l’obiettivo di contrastare la crisi del settore edilizio e facilitarne la ripresa in sintonia con i provvedimenti inseriti nel Decreto Sviluppo.

I punti focali dell’accordo riguardano l’agevolazione delle imprese di costruzioni nella gestione delle unità abitative invendute, nella gestione dell’indebitamento a breve termine, nel finanziamento di nuovi cantieri, nell’anticipo del circolante su opere eseguite per conto di terzi l’accordo. Inoltre, l’accordo si propone di sostenere il settore su aspetti fondamentali come l’efficienza energetica, le reti d’impresa, la formazione, l’internazionalizzazione e l’innovazione.

L’intesa raggiunta “assume anche un particolare rilievo sul fronte della relazione tra la banca e l’impresa edile, determinante per un rapido rilancio del settore”. A tale scopo verra’ costituito un tavolo di lavoro congiunto per stimolare il dialogo Imprese-Banca-Territorio, oltre a una valorizzazione delle specificità dei singoli territori tramite l’organizzazione congiunta di convegni e incontri, il coinvolgimento delle strutture locali e l’individuazione di ‘referenti territoriali per l’attuazione’ dell’accordo.

La crisi non risparmia l’edilizia

In questo periodo di crisi, il settore dell’edilizia non fa eccezione: l’industria delle costruzioni, negli ultimi cinque anni, ha perso mezzo milione di posti di lavoro. I dati emergono dall’Osservatorio congiunturale dell’Ance, che rileva anche 43 miliardi di investimenti in meno : dal 2008 al 2012 il settore ha perso più di un quarto (-25,8%) degli investimenti, riportandosi ai livelli della metà degli anni ’70.

A soffrire, secondo i dati Ance, sono tutti i comparti, a partire dalla produzione di nuove abitazioni, che nei cinque anni avrà perso il 44,4%, percentuale elevata anche per l’edilizia non residenziale privata con una diminuzione del -27,9% e i lavori pubblici, che registrano una caduta del 37,5%.

Ma le previsioni non sono così nere: il 2013 potrebbe essere l’anno della ripresa, con investimenti del +0,1% rispetto al 2012. Ci sono infatti, spiega l’Ance, un miliardo e mezzo di investimenti attivabili da subito per effetto del decreto sviluppo, principalmente per effetto delle detrazioni per interventi di ristrutturazione ed efficentamento energetico.

Francesca SCARABELLI

Il settore edilizia spera nel decreto sulla Crescita

Il settore dell’edilizia può ben sperare. A quanto pare, infatti, una parte del decreto sulla Crescita sarà dedicata proprio a questo comparto che, come sappiamo, sta attraversando un periodo di grave crisi.

Il provvedimento, messo a punto dal viceministro alle Infrastrutture Mario Ciaccia, prevede, tra le altre cose, i project bond, ovvero l’emissione e il collocamento di obbligazioni da parte dei concessionari e delle società di progetto per finanziarsi, sostenuti da un trattamento fiscale agevolato, equiparato ai titoli del debito pubblico.

L’Ance, associazione costruttori, ha chiesto a gran voce la revisione di alcuni aspetti chiave, riassunti in quattro punti fondamentali che rappresentano la svolta per il settore.

Vediamoli nel dettaglio:

  • Il ripristino dell’Iva sulle cessioni e sulle locazioni delle nuove costruzioni, effettuate oltre cinque anni dall’ultimazione dei lavori.
  • L’esenzione dell’Imu (la nuova Ici) sulle nuove costruzioni per un massimo di tre, più probabilmente cinque anni. Già questi due provvedimenti potrebbero avere ricadute per 3,5 miliardi e creare 17 mila nuovi posti di lavoro.
  • L’elevazione dal 36% al 50% delle detrazioni per interventi di ristrutturazione edilizia e l’innalzamento da 48 mila a 96 mila euro del limite di importo detraibile.
  • Riconduzione a regime delle detrazioni del 55% per interventi di riqualificazione energetica che attualmente vengono prorogati di anno in anno.

In totale, questi quattro provvedimenti dovrebbero creare, da soli, 25mila nuovi posti di lavoro.

Ma non è tutto, perché è previsto anche un Piano nazionale per le città con l’istituzione presso il ministero delle Infrastrutture di una specie di “stanza dei bottoni”, con il compito di selezionare gli interventi di riqualificazione e valorizzazione di aree urbane degradate, proposti direttamente dai Comuni.

Rimane al 40% il credito d’imposta sulle spese ammissibili sul costo del personale ma resta circoscritto alle assunzioni altamente qualificate che danno diritto a un beneficio fiscale del 100% con un credito d’imposta massimo di 300 mila euro e non più 600 mila.
La decisione che riguarda la pubblicità obbligatoria su Internet ha a che fare con la necessità di trasparenza nei rapporti economici tra Pubblica amministrazione, imprese e cittadini e riguarda, a partire da mille euro, sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese oltre all’attribuzione di corrispettivi e compensi a persone, professionisti ed imprese per forniture, servizi, incarichi e consulenze.

Vera MORETTI

L’Italia è un cantiere. Fermo.

Non abbiamo fatto in tempo ad applaudire, ieri, l’iniziativa dell’Ance, che ha detto basta ai pagamenti lumaca della Pubblica Amministrazione e ha deciso di citare in giudizio lo Stato qualora continui a non pagare le imprese dell’edilizia, che è arrivata una notizia che ha fa montare ancora di più la rabbia, tanto a noi quanto alle stesse imprese edili.

Ci ha pensato Confcommercio a darcela, presentando il suo Libro bianco sui Trasporti in Italia e parlando delle grandi infrastrutture del nostro Paese decise ma mai deliberate o i cui lavori sono fermi da anni. Una galleria degli orrori che conta 27 protagonisti per un valore complessivo di 31 miliardi di euro. Consideriamo che il presidente dell’Ance Buzzetti, parla di crediti nei confronti dello Stato per 19 miliardi…

Quello che più scoraggia, o fa incazzare, a seconda dei punti di vista, è leggere i tempi di realizzazione che interessano queste grandi incompiute: the winner is…, anzi, are… il tunnel Rapallo Fontanabuona in Liguria e la trasversale Fano-Grosseto in Toscana, che aspettano da 50 anni di vedere la luce. Ma si difendono bene la Pedemontana Veneta (46 anni), la statale 96 Bari-Matera (20 anni), l’autostrada Roma-Latina (11 anni) e la terza corsia dell’A11 in Toscana e il prolungamento dell’A27 in Veneto (5 anni).

Tutte opere che hanno sofferto di blocchi, veti, burocrazia, taglio dei fondi (dice infatti il documento di Confcommercio che “è senza dubbio doveroso tenere nella debita considerazione gli effetti che la grave congiuntura economica inevitabilmente sta esercitando sugli stanziamenti previsti” ma che fanno gridare allo scandalo se si considera quante imprese, che oggi agonizzano, potrebbero trarre beneficio dall’apertura dei vari cantieri.

Va bene la crisi ma, secondo Confcommercio, i difetti e i vizi della burocrazia di casa nostra pesano ancora in maniera troppo rilevante: è infatti evidente “la pericolosa lentezza con cui si stanno utilizzando i 41,2 miliardi di fondi strutturali e FAS stanziati per il quinquennio 2007-2013“. Fondi dei quali è stato utilizzato solo il 12%. E se si va avanti così, a fine 2012 Bruxelles batterà cassa per riavere la sua quota di stanziamento, pari a 2,6 miliardi. Proprio quello che ci vuole, con l’economia in ginocchio e le imprese che si volatilizzano.

E vogliamo parlare di quello che avrebbero significato queste infrastrutture in termini di Pil? Parliamone. Secondo Confcommercio, se l’Italia nel decennio 2001-2010 avesse attualto politiche di miglioramento dell’accessibilità stradale che allineassero il sistema-Paese all’andamento dello stesso indicatore, per esempio, della Germania, si sarebbe registrato un incremento del Pil di 142 miliardi di euro. E se si fosse armonizzato l’accesso alla rete delle infrastrutture tra Nord e Sud del Paese il Pil ne avrebbe beneficiato per circa 50 miliardi nel solo 2010: questo sarebbe valso il portare i livelli di accessibilità medi del Mezzogiorno agli standard raggiunti dalla Lombardia.

E allora, che cosa pensare? Che le imprese di costruzioni fanno bene a picchiare i pugni sul tavolo. Che chi ci governa e ci ha governato forse non ha ben chiaro che migliori infrastrutture significano migliore economia. Che è vero che siamo in periodo di vacche magre (-34% di risorse per nuove infrastrutture dal 2009 al 2011), ma i soldi per far partire i cantieri si possono e si devono trovare tagliando i rami secchi, le sacche di improduttività, le spese irrazionali dello Stato. Che ci meritiamo uno Stato così? Noi non ci vogliamo rassegnare.

Stato, non paghi? Ti denuncio!

Finalmente qualcuno si è deciso a portare lo Stato alla sbarra. Non paghi? E io ti porto in giudizio. Si fa con i debitori più recidivi, perché non farlo con il padre di tutti i debitori, lo Stato appunto? Ci ha pensato l’Ance, l’Associazione Nazionale Costruttori Edili, che ieri a Roma, in occasione “D-Day delle costruzioni”, per bocca del suo presidente Buzzetti ha chiesto l’immediato pagamento dei debiti per non dare il via a “decreti ingiuntivi o class action“.

E siccome lo Stato, oltre a essere ladro ci prende anche in giro, Buzzetti ha messo i puntini sulle i: “No a pagamenti attraverso baratti, Bot, Cct e garanzie varie. Se li tenessero. Noi vogliamo essere pagati in denaro, vogliamo liquidità“. E come dargli torto? Se l’Italia vuole pagare i propri debiti ai privati con i titoli del debito pubblico vuol dire che non ha capito proprio nulla.

Specialmente nel suo rapportarsi con un settore come quello edile, che sta vivendo da anni una crisi nerissima, che sta tutta nelle cifre snocciolate da Buzzetti: “Abbiamo pazientato per anni, oggi siamo arrivati a 9 mesi di ritardi con punte di un anno e mezzo-due anni. È una situazione unica in Europa. Dall’inizio della crisi sono fallite 7.552 imprese di costruzione e si sono persi 380mila posti di lavoro nel settore“. E giù una mazzata al governo, cui l’Ance chiede “un deciso cambiamento di rotta. Troviamo subito una soluzione, oppure con tutta la filiera delle costruzioni, le cooperative, gli artigiani del settore partiremo con i decreti ingiuntivi”.

Un vero aut aut. E ce n’era bisogno, anche se è triste constatare che il punto cui siamo arrivati è quello delle minacce; come se l’Italia fosse una bambina capricciosa da ricattare. Del resto, questo è lo stato in cui la politica fiscale dissennata di questo e dei precedenti governi, una crisi che nell’edilizia più che in altri settori ha mietuto vittime (non solo imprese fallite: quanti suicidi tra gli imprenditori edili?) e la cronica mancanza di volontà da parte della PA di onorare i propri debiti (perché i soldi ci sono, sono solo mal spesi) hanno portato le nostre imprese edili. A due passi dal punto di non ritorno.

E allora bene fa l’Ance a picchiare i pugni sul tavolo: ha la ragione dalla sua parte, la faccia valere. Sono i 19 miliardi di debiti dell’amministrazione pubblica nei confronti del settore, 9 miliardi verso le sole imprese associate all’Ance, quelli che fanno tremare i polsi. Buzzetti lo sa e fa la voce grossa: “Stanno arrivando di continuo i dati di coloro che sono già in condizioni per fare un decreto ingiuntivo, siamo già a un miliardo di euro di crediti non pagati“. Che dire: passate dalle parole ai fatti, noi vi daremo una mano.

L’Italia vince il primato (negativo) per Mutui più costosi

E’ l’Italia ad aggiudicarsi il primato per il Paese con il costo dei mutui più alto. Rispetto alla media europea un italiano sborsa 9mila Euro in più rispetto ad un altro cittadino comunitario. A renderlo noto è L’Associazione Nazionale costruttori edili (Ance) in un rapporto intitolato “Il credito nel settore delle costruzioni in Italia”. Per l’Ance che ha preso come modello un mutuo di 150 mila Euro dilazionato in 25 anni è come se un connazionale fosse costretto a pagare un anno intero in più rispetto ad altri Paesi europei“.

Una tale rivelazione dimostra come il nostro Paese soffra molto in termini di crescita economica per il settore immobiliare. Sono naturalmente i tassi applicati a creare le maggiori disparità. A settembre i tassi medi italiani erano del 4,1% contro il 3,74 per cento europeo. Per l’Ance “Gli italiani sono costretti anche ad assumersi rischi che non vorrebbero, con le banche che continuano a erogare la maggior parte dei mutui a tasso variabile con aspettative sui tassi tendenti al rialzo”. Una situazione dura che necessita di interventi “dall’alto” per essere sbloccata.

Mirko Zago

Edilizia: un imprenditore su tre non riesce ad avere accesso al credito

Secondo un’indagine condotta sulle imprese Ance si evidenzia che il credito per le imprese del settore edilizio è ancora cosa molto difficile e ben un imprenditore su tre dichiara forti difficoltà ad accedere ai finanziamenti. Nel Sud e nelle Regioni si raggiungono picchi del 50% di imprenditori che denunciano un freno al credito. Inoltre, a soffrire di più sono le piccole imprese, con un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro. Il problema di liquidità, sottolinea l’associazione dei costruttori, sconta anche la difficoltà di vedere soddisfatti i propri crediti verso la pubblica amministrazione. “Il sistematico ritardo nei pagamenti – spiega l’Ance – ha sottratto liquidità alle imprese di costruzione impegnate nella realizzazione delle opere pubbliche. In alcuni casi è la sopravvivenza stessa delle imprese che viene messa a rischio dalla sottrazione di risorse finanziarie determinata dai ritardi. In molti altri, la mancanza di certezza nei tempi di pagamento impedisce agli operatori economici di procedere all’indispensabile programmazione delle proprie attività”. Quasi la metà delle imprese Ance denuncia ritardi medi che superano i 4 mesi oltre i termini contrattuali, con punte di ritardo che toccano i 2 anni. Sono soprattutto le imprese più piccole a incontrare difficoltà nel riscuotere i crediti vantati.

Un altro elemento di difficoltà segnalato dall’Ance è dato “dal progressivo disimpegno dello Stato nella realizzazione delle opere pubbliche, testimoniato dal calo di risorse stanziate per nuove infrastrutture”. Dall’analisi del disegno di legge di stabilità 2011 emerge una riduzione del 14% rispetto all’anno precedente, “un calo pesante che si somma a quelli altrettanto significativi registrati nel 2009 (-13,4% rispetto al 2008) e 2010 (-9,8%)”. Complessivamente, secondo l’associazione, le risorse per nuove infrastrutture sono diminuite del 30% nel triennio 2009-2011. Accanto a questo si registra una concentrazione delle risorse per infrastrutture in pochi capitoli di spesa. Il disegno di legge di stabilità per il 2011, osserva l’Ance, “non prevede inoltre alcun contributo in conto capitale per l’Anas. La mancanza di fondi ordinari per l’ente stradale blocca la continuità delle risorse necessarie per la programmazione, la realizzazione e la manutenzione di nuove opere, per lo più di piccola e media dimensione. Da segnalare anche i tagli alle risorse per l’edilizia sanitaria (-1,8 miliardi di euro nel biennio 2011-2012 rispetto alle previsioni) e alle Ferrovie dello Stato (-922 milioni nel triennio 2011-2013)”. Infine per l’Ance, la diminuzione degli stanziamenti per nuove infrastrutture a livello nazionale si accompagna a una progressiva riduzione degli investimenti locali.