Serve la partita Iva per creare contenuti online?

Quando serve la partita Iva nel caso in cui si faccia un lavoro che consiste nel creare contenuti on line? E come gestire dal punto di vista fiscale tutta l’attività? Si tratta di professioni che prevedono la creazione dei contenuti sul web, di youtuber con pubblicazione di video, di storie sui social network o anche di post. A volte possono rappresentare dei passatempi, ma spesso le professioni indicate possono far guadagnare anche cifre importanti, magari anche con gli incassi pubblicitari. Ecco allora una guida su come comportarsi dal punto di vista fiscale.

Partita Iva per attività abituale o occasionale: ecco il primo parametro da valutare per l’apertura

Il primo parametro da valutare per scegliere se aprire o meno la partita Iva è quello dell’abitualità oppure dell’occasionalità. Ovvero se le professioni on line procurino un vero e proprio reddito da lavoro autonomo o di impresa, nel caso in cui è necessaria la partita Iva. Diversamente, se l’attività è puramente svolta in maniera occasionale, non qualificandosi come professionale e nemmeno viene svolta con sistematicità e regolarità, i proventi non necessitano dell’apertura della partita Iva. In tal caso, i redditi prodotti si identificano come redditi diversi secondo quanto prevede la lettera i ed l, del comma 1, dell’articolo 67 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir).

Quali adempimenti fiscali occorrono se non si apre la partita Iva?

Nel caso dunque di non apertura della partita Iva, i redditi diversi devono essere presentati unicamente nella dichiarazione annuale dei redditi. Se, invece, il lavoratore autonomo ha deciso di aprire la partita Iva perché il lavoro di creazione di contenuti per il web risulta professionale e svolto in maniera continuativa, allora occorre adempiere a tutte le richieste fiscali conseguenti. Ciò indipendentemente dal reddito prodotto.

Secondo parametro per l’apertura della partita Iva: quali sono le fondi di guadagno?

Tuttavia, per procedere nella scelta di aprire o meno la partita Iva nel caso in cui si creino contenuti on line, è necessario anche verificare quali sono e quante sono le fonti di guadagno. Infatti, spesso, può capitare che nella creazione dei contenuti on line si abbiano più committenti, o più clienti, e più attività esercitate. Se si fanno attività commerciali, come la vendita di prodotti, è importante avere una partita Iva già dall’inizio del lavoro. Si tratta, in questo caso, di una vera e propria attività di impresa. Contrariamente, se i contenuti non consistono in vendite, almeno inizialmente si può rimandare la scelta. Almeno per vedere come procede l’attività, ad esempio. In un primo momento, dunque, i compensi possono essere dichiarati come redditi diversi.

Con cosa si guadagna con le attività on line?

A esclusione della vendita di prodotti o di servizi, sono molteplici le attività on line che possono generare dei guadagni. Ad esempio, caricare dei video su Youtube può portare a guadagnare sul numero dei follower posseduti. E, dunque, sul numero delle visualizzazioni di un video. Si possono, altresì, creare dei contenuti web per la vendita dei prodotti brandizzati oppure a favore di piattaforme di commercio elettronico o anche fisico. Anche in questo caso, i guadagni derivano dal numero dei follower e delle visualizzazioni prodotte tramite la creazione dei contenuti on line. Si possono dare anche delle informazioni oppure creare delle presentazioni di prodotti di brand e invitare i follower all’acquisto. In questo caso si possono ottenere dei compensi fissi, in base al numero delle storie pubblicate ad esempio. O dei video realizzati.

Youtuber e content creator, quando svolgere l’attività con partita Iva e quando no

In tutti i casi che abbiamo visto precedentemente, dunque, si può essere qualificati come youtuber oppure come content creator. E la conseguente produzione di guadagni può essere qualificata come rientrate in un’attività occasionale oppure d’impresa o professionale. Nel primo caso, come abbiamo visto in precedenza, si creeranno dei guadagni che finiranno nei redditi diversi della dichiarazione dei redditi. Aprendo, invece, la partita Iva per un’attività professionale o che generi un’attività di impresa, occorre tener presente di tutte le regole fiscali e contabili conseguenti.

Lavoratore autonomo che produce contenuti per il reddito: conta dove si svolge il lavoro?

Infine, occorre anche considerare dove, ovvero il posto, nel quale vengono prodotti i guadagni. Un lavoratore autonomo tradizionale in genere ha una sede identificata, ciò che spesso non avviene per i creatori di contenuti digitali. Anche se si può avere uno studio, un creatore content creator può svolgere la sua attività ovunque. Pertanto, anche il luogo dove il creatore di contenuti digitale effettua normalmente il proprio lavoro può essere importante per la tassazione dei redditi ottenuti. Se si tratta di un lavoratore autonomo fiscalmente residente nel territorio italiano, allora i redditi sono imponibili in Italia, indipendentemente dal luogo di produzione. Se il lavoratore, invece, non ha residenza fiscale in Italia è occorrente identificare esattamente quali siano le fonti di guadagno per distinguere la tassazione italiana da quella applicabile da uno Stato estero.

Il codice ATECO cos’è, a cosa serve e com’è fatto

Quando si apre una partita IVA il professionista o il lavoratore autonomo è obbligato, tra l’altro, pure a indicare ed a specificare all’Agenzia delle Entrate la tipologia di attività che intende svolgere. E questo avviene sempre attraverso la classificazione che è basata sui cosiddetti codici ATECO. Vediamo allora, per chi non lo sapesse in quanto magari sta valutando l’apertura di una partita IVA, cos’è il codice ATECO ed a cosa serve, ma anche com’è fatto.

Cos’è e a cosa serve il codice ATECO quando si apre una partita IVA

Nel dettaglio, agli occhi del Fisco, con il codice ATECO viene univocamente identificata e classificata l’attività svolta non solo ai fini fiscali, ma anche contributivi. Così come sempre tramite la classificazione ATECO possono essere effettuate sulle partite IVA delle analisi di tipo statistico. In più, chi apre la partita IVA deve comunicare il codice ATECO pure al momento della denuncia di inizio dell’attività nel registro delle imprese.

Aperta la partita IVA con il relativo e corrispondente codice ATECO, inoltre, il professionista, il piccolo imprenditore o il lavoratore autonomo è tenuto in via obbligatoria pure a comunicare tempestivamente ogni eventuale variazione dell’attività economica associata ad un nuovo codice ATECO.

Com’è fatto il codice ATECO, dalle sezioni alle sottocategorie

Riguardo a com’è fatto il codice ATECO, questo risulta essere composto da una combinazione alfanumerica, quindi da numeri ed anche da lettere. In particolare, l’ATECO si compone di 6 parti. Nella fattispecie, le sezioni, le divisioni, i gruppi, le classi, le categorie e le sottocategorie. Nel dettaglio, le sezioni del codice ATECO sono rappresentate da una lettera, 2 cifre per le divisioni, 3 cifre per i gruppi, 4 cifre per le classi, 5 cifre per le categorie e 6 cifre per le sottocategorie.

Per la standardizzazione a livello europeo, il codice ATECO risulta essere classificato in maniera univoca fino alla quarta cifra. Mentre per i livelli 5 e 6, ovverosia per le categorie e per le sottocategorie, possono esserci delle differenze tra un Paese e l’altro. E questo, al fine di meglio cogliere le specificità nazionali così come riporta il sito Internet di Unioncamere.

Come trovare il giusto codice ATECO per l’avvio di un’attività a partita IVA

Ai fini dell’avvio di un’attività a partita IVA, quindi, come trovare il codice ATECO giusto da associare? Al riguardo è possibile chiedere supporto, assistenza e consulenza, per esempio, al proprio commercialista di fiducia. Oppure si può fare tutto in proprio dal portale ateco.infocamere.it. Che è proprio il sito Internet dedicato per l’inizio dell’attività d’impresa.

Contributi a fondo perduto di 1000 euro alle partite Iva, domanda fino al 9 dicembre 2021

C’è un mese di tempo per presentare le domande del nuovo contributo a fondo perduto per le partite Iva che abbiano subito riduzioni di attività a causa della pandemia da Covid-19. Il direttore dell’Agenzia delle entrate ha firmato il provvedimento nella giornata di ieri. Il contributo sarà erogato alle imprese che abbiano iniziato l’attività nel corso del 2019. Si tratta di un riconoscimento a una fetta di imprese che, inizialmente, erano stati escluse dai ristori e da altre misure introdotte a sostegno delle imprese in difficoltà.

A chi spetta il contributo a fondo perduto di 1000 euro?

Il contributo a fondo perduto di 1000 euro spetta alle imprese che abbiano i requisiti previsti dal decreto “Sostegni”. In particolare, l’elenco è contenuto nell’articolo 1 del decreto legge numero 41 del 2021. Più dettagliatamente, il volume dei ricavi non deve superare i 10 milioni di euro. Diversamente dalle altre imprese, il fondo perduto spetta anche nel caso in cui non si sia verificato il calo del 30% del fatturato del 2020 rispetto a quello del 2019.

Bonus 1000 euro, come verificare le date di apertura dell’attività?

Il requisito dell’apertura dell’attività riguarda l’avvio della partita Iva. Infatti, quest’ultima deve essere stata aperta tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2018 per un inizio di attività avvenuto nel corso del 2019. Per questo requisito è dunque necessario che l’inizio dell’attività debba risultare dal registro delle imprese della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura.

Contributo a fondo perduto, quali imprese sono escluse dal bonus?

Il contributo a fondo perduto non potrà essere beneficiato dagli operatori che abbiano la partita Iva non attiva alla data di entrata in vigore del decreto legge numero 41 del 2021. Rimangono fuori dal bonus anche gli enti pubblici, le società di partecipazione e gli intermediari finanziari.

Come si presenta la domanda per il contributo a fondo perduto delle partita Iva?

Le partite Iva rientranti nei requisiti possono presentare la domanda del contributo a fondo perduto direttamente in via telematica collegandosi al portale dell’Agenzia delle entrate. In questo caso, il richiedente deve entrare nella propria area personale. L’istanza può essere inviata anche tramite un intermediario abilitato o il proprio commercialista.

Fondo perduto partite Iva, l’importo può arrivare a 1000 euro, dipende dalle domande

L’erogazione del fondo perduto fino a 1000 euro può avvenire anche nella formula di credito di imposta da portare in compensazione. In questo caso, sarà necessario presentare il modello F24 per far valere l’importo accordato. Sull’importo, infatti, l’Agenzia delle entrate precisa che il fondo perduto è dovuto nella misura massima di 1000 euro. “Il valore dipenderà dal rapporto tra il limite complessivo di spesa stabilito per norma e l’ammontare complessivo dei contributi relativi alle istanze accolte”.

Partita Iva, cosa fare in caso di lavoro extra del dipendente statale

Come deve comportarsi un dipendente del pubblico impiego, assunto con contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno, nel caso in cui dovesse svolgere delle attività extra? Le norme impediscono al lavoratore statale di aprire partita Iva. Ma spesso capita di svolgere lavori extra per i quali il lavoratore non deve far richiesta di autorizzazione all’ente pubblico. Rientrano in queste attività, ad esempio, lo svolgimento di lezioni tecniche o quelle di tenere dei corsi via web.

Apertura partita Iva e prestazioni lavorative entro i 5 mila euro annui

Non potendo aprire la partita Iva, il dipendente del pubblico impiego potrebbe ricorrere alla prestazione occasionale. Emerge, in ogni modo, la necessità di conoscere qual è il volume di compensi che il lavoratore percepisce all’anno per l’attività occasionale. Infatti, determinati obblighi fiscali derivano dal superamento del tetto dei 5 mila euro all’anno.

Attività occasionali extra lavorative, quando bisogna iscriversi alla Gestione separata dell’Inps?

Ai fini dell’obbligo di apertura della partita Iva, in questo caso il superamento dei 5 mila euro risulta irrilevante. Infatti, la condizione per l’apertura della partita Iva è il carattere di abitualità di svolgimento di una certa attività. Se il dipendente del pubblico impiego, con le attività extra lavorative, non dovesse superare il tetto dei 5 mila euro annui, allora può essere esonerato rispetto all’obbligo di iscriversi alla Gestione separata dell’Inps.

Cosa avviene se con dei lavori si superano i 5 mila euro di compensi?

L’obbligo di iscrizione alla Gestione separata dell’Inps sussiste, invece, nel caso in cui dall’attività autonoma ne derivi un volume di compensi che superino i 5 mila euro annui. Con l’iscrizione alla gestione separata, infatti, chi svolge attività occasionali dovrà versare i contributi previdenziali.

Come si calcolano i contributi previdenziali nella Gestione separata Inps?

Per l’iscrizione alla Gestione separata Inps l’obbligo di versamento dei contributi previdenziali sussiste per un terzo in capo a chi svolge l’attività. I restanti due terzi competono a chi ha commissionato l’attività stessa. Tuttavia, il versamento sussiste solo sulle somme che eccedono i 5 mila euro. Nel caso in cui l’attività occasionale viene svolta con la cessione dei diritti di autore non vi sono limiti di compensi e sulle somme non sono soggette ai contributi.

Associazione culturale: quale codice Ateco senza scopo di lucro?

Quale codice Ateco deve essere attribuito a una partita Iva richiesta da un’associazione culturale senza scopo di lucro? La scelta del codice Ateco inerente l’attività dell’associazione è un passaggio determinante all’atto dell’apertura della partita Iva. Per la registrazione all’Agenzia delle entrate le associazione, dopo la registrazione dell’atto costitutivo e dello statuto, devono utilizzare il modello AA7/10.

Il modello AA7/10 per l’apertura della partita Iva delle associazioni culturali

L’apertura della partita Iva necessita della compilazione del modello AA7/10 che può essere anche scaricato e compilato online, collegandosi direttamente al portale dell’Agenzia delle entrate. Tra le informazioni fondamentali del modello da presentare per aprire la partita Iva, la scelta del giusto codice Ateco rappresenta un passaggio fondamentale. Vediamo quali sono i codici da poter utilizzare per un’associazione culturale senza scopi di lucro.

Scelta del codice Ateco per la partita Iva dell’associazione culturale

I codici Ateco riguardanti le associazioni culturali rientrano nella sezione S (altre attività di servizi) del codice stesso. Nel dettaglio della sezione, le prime due cifre sono quelle corrispondenti al numero 94, dove sono classificate le attività di servizi e, in particolare, le “Attività di organizzazioni economiche, di datori di lavoro e professionali”. Dopo il codice 94, la successiva cifra da considerare è il 9, corrispondente alle “Attività di altre organizzazioni associative”. Il codice Ateco fin qui ottenuto è, pertanto, 94.9.

Associazioni culturali: codici Ateco corrispondenti alle attività di altre organizzazioni associative non classificate

L’ulteriore classificazione del codice Ateco per l’apertura della partita Iva delle associazioni culturali porta a considerare il gruppo con il codice 94.99, corrispondente alle attività di altre organizzazioni associative non classificate. Si tratta di una classificazione che, al suo interno, apre un ventaglio di possibilità tra le quali scegliere l’attività che maggiormente si avvicina a quella dell’associazione culturale.

Codici Ateco per associazioni culturali: quali sono?

Questa possibilità è data dalle successive due cifre del codice Ateco:

  • 94.99.10, corrispondente alle “Attività di organizzazioni per la tutela degli interessi e dei diritti dei cittadini”;
  • 94.99.20 delle “Attività di organizzazioni che perseguono fini culturali, ricreativi e la coltivazione di hobby”;
  • 94.99.30 comprendente le “Attività di organizzazioni patriottiche e associazioni combattentistiche”.

Altri codici Ateco per le associazioni culturali

Altri codici Ateco relativi alle organizzazioni culturali sono:

  • 94.99.40 “Attività di organizzazioni per la cooperazione e la solidarietà internazionale”;
  • 94.99.50 “Attività di organizzazioni per la filantropia”;
  • 94.99.60 “Attività di organizzazioni per la promozione e la difesa degli animali e dell’ambiente”;
  • 94.99.90 “Attività di altre organizzazioni associative non classificate”.

Associazioni per la tutela degli interessi e dei diritti dei cittadini

Con il codice 94.99.10, relativo alle attività di organizzazioni per la tutela degli interessi e dei diritti dei cittadini, si fa riferimento a:

  • organizzazioni che non sono affiliate a un partito politico;
  • gruppi che portano avanti una questione di interesse generale sensibilizzando l’opinione pubblica ed esercitando una pressione politica.

Rientrano tra queste associazioni quelle dei consumatori o delle consulenze ai cittadini per la difesa dei diritti.

Le associazioni che perseguono fini culturali, ricreativi e la coltivazione di hobby

Il codice 94.99.20 è riservato alle associazioni che perseguono fini culturali, ricreativi e la coltivazione di hobby. Sono da escludere, tra gli h0bby, le attività sportive o ludiche. Rientrano tra le attività culturali e ricreative i circoli di lettura e letterari, quelli di storia, di cinema, di giardinaggio, di musica, di arte, di collezionisti e le associazioni automobilistiche.

Altre attività delle associazioni culturali

Altre attività delle associazioni classificabili come culturali si riscontrano nei codici Ateco delle attività classificabili come culturali rientrano successivamente:

  • le associazioni patriottiche, comprese quelle dei veterani di guerra (codice 94.99.30);
  • le organizzazioni che tutelano e migliorano le condizioni di vita di particolari gruppi etnici o di minoranze (codice 94.99.40);
  • le associazioni che svolgono sostegno umanitario ed economico all’estero (codice 94.99.40);
  • le organizzazioni che raccolgono fondi ed erogano contributi filantropici. Rientrano nel gruppo anche le associazioni che promuovono il volontariato e quelle che sostegno le strutture di comunità (codice 94.99.50);
  • le attività di ecologisti e ambientalisti, o per la protezione degli animali, o di lotta agli incendi e di protezione dell’ambiente (codice 94.99.40).

 

Associazione culturale con partita Iva, come funziona?

Le associazioni costituite per svolgere delle attività commerciali devono richiedere l’attribuzione della partita Iva. La richiesta si fa presso l’ufficio dell’Agenzia delle entrate dove le associazioni sono residenti. È importante rilevare che, contestualmente all’apertura della partita Iva, le associazioni devono depositare l’atto costitutivo e lo statuto presso l’Agenzia delle entrate.

Deposito dell’atto costitutivo e dello statuto dell’associazione presso l’Agenzia delle entrate

È necessario, tuttavia, che le associazioni in fase di costituzione richiedano l’attribuzione del codice fiscale all’Agenzia delle entrate prima di registrare l’atto costitutivo e lo statuto. La richiesta va presentata mediante presentazione del modello AA5/6. Il successivo deposito, presso l’Agenzia delle entrate, dell’atto costitutivo e dello statuto comporta una spesa di 200 euro che comprende il costo dei valori bollati e l’imposta di registro. Di questa spesa è esente l’associazione costituita per finalità di volontariato.

Quali associazioni devono richiedere la partita Iva?

Per le associazioni culturali costituite con l’intendo di non svolgere servizi commerciali è sufficiente avere il solo codice fiscale. Se le associazioni invece sono costituite per svolgere anche attività di commercio, di vendita di prodotti o di servizi, è necessaria la richiesta di attribuzione della partita Iva. L’attività commerciale deve essere svolta in maniera abituale.

Associazioni che svolgono attività commerciale: come si richiede la partita Iva?

Per richiedere la partita Iva, le associazioni che svolgono attività commerciale devono compilare il modello AA7/10. Si tratta del modello di richiesta di apertura, di variazione e di chiusura della partita Iva per soggetti diversi dalle persone fisiche. Nel modello, si deve riportare, innanzitutto, il codice fiscale dell’associazione. Il quadro A è quello inerente l’inizio dell’attività con attribuzione del numero di codice fiscale e di partita Iva. Nel quadro B, viene si definisce il soggetto d’imposta: in questa sezione del modello si deve definire la denominazione o ragione sociale, la sede legale, amministrativa o, in mancanza, la sede effettiva. Inoltre si deve compilare il domicilio fiscale, l’attività esercitata e il luogo di esercizio. Nel caso in cui l’associazione svolga più attività è necessario riportare quella prevalente.

Associazioni: il modello AA7/10 per l’apertura della partita Iva

Nel quadro C del modello AA7/10 si deve riportare il rappresentante dell’associazione (nel quadro F si inseriscono gli eventuali altri rappresentanti o soci). Il quadro D va compilato nei successivi casi di operazioni straordinarie e trasformazioni sostanziali soggettive, come scissione totale o conferimento, cessione e donazione di ramo d’impresa. Per la tipologia di attività che l’associazione andrà a svolgere è importante la compilazione del quadro G. In questa sezione si inseriscono le informazioni inerenti le altre attività esercitate e gli altri luoghi in cui saranno esercitate le attività o conservate le scritture contabili.

Compilazione on line del modello AA7/10

Il modello AA7/10 per l’apertura della partita Iva può essere scaricato e compilato direttamente on line collegandosi al sito ufficiale dell’Agenzia delle entrate. È sufficiente seguire le istruzione per la presentazione semplice e veloce. Le associazioni che abbiano intenzione di svolgere attività commerciale, come si capisce, devono comportarsi come una qualsiasi piccola o media impresa che inizia la propria attività. In tale vesti, l’associazione può scegliere anche il regime fiscale più conveniente.

Regimi fiscali agevolati delle associazioni

Un’associazione che abbia richiesto l’attribuzione di partita Iva in quanto svolge attività commerciale, potrebbe optare per il regime fiscale semplificato. La scelta potrebbe garantire vari vantaggi fiscali e offrire un regime forfettario di tassazione, sia per quanto riguarda le imposte dirette che l’imposta sul valore aggiunto.

 

Partite Iva forfettarie: la verifica del limite dei 30mila euro coincide con la fine del periodo di preavviso

Per le partite Iva ricadenti nel regime forfettario, la cessazione del lavoro coincide con il momento in cui termina il periodo di preavviso e non con il momento effettivo delle dimissioni. L’importante specifica, contenuta nell’interpello numero 268 del 2021 dell’Agenzia delle entrate, è utile ai fini della verifica del tetto dei 30mila euro di reddito. Il superamento della soglia rappresenta, infatti, una causa ostativa proprio al regime forfettario.

Il limite dei 30mila euro di reddito per il regime forfettario

Il caso sul quale l’Agenzia delle entrate è stata chiamata a esprimersi riguarda un lavoratore dipendente che, nel 2020, aveva presentato le proprie dimissioni. Le dimissioni rappresentano un atto unilaterale recettizio per la cui efficacia non è richiesta l’accettazione da parte del datore di lavoro. Lo slittamento della cessazione del lavoro alla fine del periodo di preavviso e non al momento delle dimissioni impone di verificare, nel caso del lavoratore, i redditi del 2020.

Richiesta di apertura partita Iva con regime forfettario

Nel quesito posto all’Agenzia delle entrate si legge che il contribuente ha rassegnato le dimissioni volontarie in una data dell’anno 2020, e di aver proseguito il rapporto di lavoro sino a inizio del 2021 per il periodo di preavviso. Il lavoratore, nel periodo di imposta del 2020, ha ottenuto un reddito da lavoro alle dipendenze superiore ai 30mila euro. Lo stesso intende fare richiesta di attribuzione di partita Iva per esercitare l’attività di lavoratore autonomo a regime forfettario.

Limite di reddito per la partita Iva a regime forfettario

Considerando, dunque, il limite dei 30mila euro di reddito da lavoro dipendente ostativo ai sensi del comma 57, lettera d-ter, dell’articolo 1 della legge numero 190 del 2014, il lavoratore chiede se potrà avvalersi del regime forfettario. In particolare, il richiedete vorrebbe sapere se il superamento della soglia di reddito per l’anno 2020 rappresenti una condizione ostativa per l’apertura della partita Iva forfettaria nel 2021.

Partite Iva forfettarie, il limite del reddito si riferisce all’anno precedente

I chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate, nell’interpello numero 368 del 2021, evidenziano che il limite dei 30mila euro di reddito non opera se il rapporto di lavoro alle dipendenze è cessato nel corso dell’anno precedente. La ragione di questo chiarimento consiste nel favorire il lavoratore, rimasto senza impiego, a iniziare una nuova attività.

Chiarimenti Agenzia delle entrate sul regime forfettario

Tuttavia, il richiedente ritiene di rientrare nel regime forfettario nel 2021. La sua convinzione risiede nel fatto che le dimissioni siano state presentate nel 2020, anno precedente a quello di apertura della partita Iva. La risposta dell’Agenzia delle entrate, in ogni modo, parte da quanto specificato dalla legge numero 190 del 2014. All’articolo 57, infatti, si precisa che non possono avvalersi del regime forfettario i soggetti che “nell’anno precedente hanno percepito redditi da lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, eccedenti l’importo di 30mila euro”. Inoltre, “la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato”. Altrimenti è dovuta, essendo il rapporto di lavoro cessato nel 2021 e non nel 2020.

Cessazione del lavoro da dipendente e apertura partita Iva a regime forfettario

E, pertanto, ai fini della non applicabilità della causa di esclusione rilevano “solo le cessazioni di lavoro intervenute nell’anno precedente a quello di applicazione del regime forfettario”. Nel caso del lavoratore, il rapporto di lavoro si è protratto fino al 2021 per il rispetto del periodo di preavviso. Ed è solo a partire dalla data di effettiva cessazione del lavoro che vengono meno le retribuzioni e gli altri diritti connessi al rapporto di lavoro. Quindi il rapporto è in essere fino al termine del preavviso.

Per l’Agenzia delle entrate il richiedente potrà avvalersi del forfettario solo nel 2022

Pertanto, l’anno effettivo di cessazione del lavoro, il 2021, coincide con l’anno di apertura della partita Iva beneficiando del regime forfettario. Il richiedente potrà dunque aprire la partita Iva nel 2021 con la quale avviare la propria attività. Ma solo a partire dal 2022 potrà beneficiare del regime forfettario avendo superato nel 2020 il tetto dei 30mila euro. E la verifica, essendo il rapporto terminato a inizio anno, è dovuta per i redditi del 2020, essendo nel 2021 ancora in essere il rapporto di lavoro.

Legge di Stabilità: tutti contenti, tranne le partite Iva

Esclusi dal Jobs Act e discriminati dalla nuova Legge di Stabilità, il popolo dei partitivisti continua ad essere colpevolmente ignorato. La manovra Renzi-Padon prevede, infatti, l’innalzamento dell’aliquota Irpef forfettaria dal 5 al 15% (il cosiddetto Regime dei minimi), per i professionisti e i lavoratori autonomi con un basso giro d’affari. Un così brusco innalzamento potrebbe falcidiare, però, decine di migliaia di giovani professionisti e artigiani che, magari, hanno appena cominciato a lavorare o che, complice la violenza della crisi degli ultimi anni, hanno visto crollare il giro d’affari della propria attività. In sostanza: il passaggio ad una flat tax del 5% a quella al 15% significherebbe un’ulteriore mazzata per i professionisti che ogni giorno devono lottare contro l’oppressione del Fisco.

Coloro che accederanno al Regime dei minimi, inoltre, non potranno eccedere il limite dei 20 mila euro annui in beni strumentali, da escludere i beni di valore inferiore ai 516,46 euro, non calcolando gli investimenti nell’arco del triennio precedente ma ricomprendendo anche locazioni e noleggi. A partire dal 2015, salvo modifiche in sede parlamentare, comunque, potranno farne parte tutti coloro che rientrano nei limiti di reddito previsti con la nuova Legge di Stabilità: il nuovo limite sarà compreso in un range che andrà dai 15.000 € annui (per i professionisti) ai 40.000 € (per artigiani e commercianti).

Altro importante fattore di differenziazione rispetto alle norme attuali sarà il decadimento del limite di età a cui si doveva sottostare in precedenza: dal 2015, infatti, si potrà continuare a rimanere all’interno del regime anche qualora si siano superati i 35 anni di età e i 5 anni di apertura. L’aumento dell’aliquota, secondo il legislatore, sarà quindi compensato dalla maggior platea a cui si potrà aderire; resta il fatto che la differenziazione delle soglie appena introdotte potrebbe avvantaggiare alcuni titolari di partita Iva, ma risultare inevitabilemente penalizzante per altri.

Per fortuna ci sarà tutto il tempo in Parlamento per modifare alcuni particolari nelle prossime settimane. Sempre che qualcuno prenda a cuore le sorti del popolo dei partitivisti…

Jacopo MARCHESANO

Partite Iva, il crollo continua

 

Ormai il trend è consolidato: le aperture di nuove partite Iva nel nostro Paese continuano a calare. A giugno di quest’anno sono state aperte 38.311 nuove partite Iva per una flessione del 3,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

La sintesi dell’Osservatorio sulle partite iva, pubbicato sul sito del Dipartimento delle Finanze, spiega come: “la distribuzione per natura giuridica evidenzia che il 72,7% delle nuove aperture è relativo alle persone fisiche, il 20,7% alle società di capitali, il 5,7% alle società di persone. Rispetto al mese di giugno 2013, si notano le flessioni di aperture per le persone fisiche (-5,5%) e per le società di persone (-9,7%), mentre per le società di capitali si registra un aumento (+4,3%)”.

La classificazione per settore conferma il commercio sul gradino più alto del podio delle nuove aperture, con un numero di partite Iva pari al 24,5% del totale. Seguono le attività professionali con il 13,1% di aperture e le costruzioni con il 9,4%.

“Riguardo alla ripartizione territoriale – si legge sul sito del Mef – il 41,7% delle partite Iva avviate nel mese di giugno è localizzato al Nord, il 22,7% al Centro e il 35,4% al Sud e Isole. Nel confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente, il numero di aperture risulta in aumento solo nella provincia autonoma di Trento (+5%), in Sicilia (+2,7%), in Abruzzo (+2,5%) e in Campania (+1,2%), mentre si assiste ad una riduzione del numero di aperture in tutte le altre Regioni, in particolare in Valle d’Aosta (-29,6%), nella provincia autonoma di Bolzano (-15,6%) e in Molise (-15%)”.

JM

Partite Iva, a maggio in calo del 6,9%

Secondo il Mef sarebbero 43.643 le partite Iva aperte nel mese di maggio, il 6,9% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il 73,3% delle nuove aperture è relativo alle persone fisiche (-9%), il 19,9% alle società di capitali (+2,5%), il 6% alle società di persone (-10,2%). Il 41,5% delle partite Iva è localizzato nelle regioni settentrionali, il 29,3% al centro e il 35,8% al sud e isole.

Sempre al primo posto, ovviamente, il commercio con il 23,9% delle nuove aperture, mentre ferme al 13,1% le attività professionali e al 10,4% l’agricoltura. Servizi di informazione e comunicazione (+3,7%) e trasporto e magazzinaggio (+3,3%) sono i settori che hanno fatto registrare gli incrementi maggiori. Attività finanziarie (-41,2%), attività immobiliari (-13,0%), attività professionali, scientifiche e tecniche (-9,5%) e costruzioni (-9,1%), sono invece i reparti dove si è assistito alle flessioni più significative.

JM