Art.18 da luna di miele: sentenza contro licenziamento senza giusta causa

 

Chi l’ha detto che dopo le nozze si deve partire subito per la luna di miele? E perché mai questo dovrebbe comportare un licenziamento per giunta “per giusta causa”? A stabilirlo è la Suprema Corte che ha respinto il ricorso della società aeronautica Aerosoft, in causa con un suo ingegnere partenopeo.

La vicenda è andata così, e siamo sempre alle prese con il tormentato Articolo 18.

Nel 2008, la Corte d’appello di Napoli aveva sentenziato che l’ingegner Mario G. aveva diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro.

Il dipendente era partito per la luna di miele 10 giorni dopo la celebrazione delle sue nozze. All’Aerosoft la cosa non era andata giù, e aveva detto bye bye al lavoratore neo sposino.

Come l’ha presa lui? Si sono ritrovati tutti sotto il martelletto del giudice, che lo aveva giustificato.

Oggi, con sentenza 9150 la Corte di Cassazione è tornata a dargli ragione, imponendo ad Aerosoft il pagamento delle spese processuali più 3,000 euro per l’avvocato difensore dello sposo.

Con questa decisione si stabilisce che i lavoratori in vista dei fiori d’arancio sono liberi di scegliere la data del loro viaggio di nozze che non necessariamente deve coincidere con quella della celebrazione del matrimonio. Allo stesso modo, gli imprenditori non possono dare il benservito ai quei dipendenti che scelgono di cominciare la loro luna di miele qualche tempo dopo il giorno più bello.

In sostanza, “la luna di miele può essere procrastinata ad un periodo ragionevolmente connesso, in senso temporale, con la data delle nozze, ciò essendo sufficiente a mantenere il necessario rapporto causale con l’evento”. Inoltre, la giornata del matrimonio non deve essere necessariamente ricompresa nei 15 giorni di congedo anche se il viaggio di nozze non può avvenire in maniera “del tutto svincolata dall’evento giustificativo”.

Detto tra noi: uno, il lavoro che fa, mica se lo sposa; ma quel che è giusto è giusto. Chissà se gli sposini avranno mandato una cartolina dalla loro vacanza!?
Paola PERFETTI

Non si uccidono così anche le Pmi?

di Davide PASSONI

Dire che in Italia siamo bravissimi a martellarci gli zebedei è ancora troppo poco. L’attitudine a essere dei Tafazzi ce la portiamo infatti dentro a molti livelli, specialmente per quello che riguarda la nostra capacità imprenditoriale.

Prendiamo l’esempio delle Pmi. Costituiscono il 95% circa del nostro tessuto produttivo e ora scopriamo che il loro contributo alle esportazioni del Paese è pari al 50% del totale; un valore che nei settori tradizionali del Made in Italy è vicino al 70%. Lo dice una ricerca realizzata dal Centro Studi Cna in collaborazione con il Centro Tedis della Venice International University.

Secondo questa ricerca, le Pmi hanno una notevole proiezione internazionale, a partire dal segmento di imprese con meno di dieci dipendenti: nel 2008, circa 45mila di loro con una media di 4,5 addetti, hanno realizzato oltre il 20% del proprio fatturato all’estero, spesso in mercati extra-europei e con quote di export analoghe a quelle delle imprese medio-grandi.

E allora, dove sono i Tafazzi? Eccoli qui. Al settore più vivo e dinamico della nostra economia buttiamo addosso una camionata di tasse, chiudiamo il rubinetto del credito e prepariamo una riforma del lavoro che, per quanto strutturata su un impianto molto buono, costituirà un aggravio di costi probabilmente insostenibile. Prendiamo il mitico articolo 18. Nella proposta del ministero c’è la quantificazione dell’indennizzo del licenziamento per motivi economici in un range che va da 15 a 27 mensilità per il lavoratore; una cifra mostruosa per una piccola impresa: d’accordo la maggiore flessibilità in uscita, ma se significa sostenere questi costi, allora una Pmi ci penserà su un bel po’ prima di mettere in strada la gente, visto che rischierà di rimetterci ancora di più. E pensare che in Spagna la riforma del lavoro è stata fatta riducendo gli indennizzi, mentre da noi rischia di passare uno dei livelli più alti in Europa. A danno, ancora una volta, delle imprese. Tanto più che la riforma dell’articolo 18 non si applicherà al pubblico impiego, ossia a quella che, in alcuni casi, è la zavorra di inefficienza che trascina a fondo l’Italia. Ma di che parliamo?

Se poi pensiamo che tra le imprese esportatrici, quelle più piccole hanno pagato il prezzo più alto alla recessione globale del 2009, la frittata è completa. Del resto, tra il 2008 e 2009 il numero di micro-imprese esportatrici si è ridotto di quasi il 30%, vale a dire 13mila unità in meno. A poco serve consolarsi guardando come queste micro-imprese abbiano contenuto meglio delle altre la caduta delle esportazioni, anche per la maggiore flessibilità derivante dalla loro piccola dimensione, e abbiano saputo approfittare al meglio della ripresa del commercio mondiale del 2010, recuperando per prime i livelli di export pre-crisi. Di fronte a questo aggravio di costi previsto, la crisi è ancora dietro l’angolo.

Come affrontarla, quindi? Secondo la ricerca del Centro Studi Cna, l’innovazione e la qualità emergono come i fattori determinanti per superarla. Le imprese che hanno investito nell’ultimo triennio sui mercati esteri appaiono infatti le più performanti.

Lo studio sottolinea infine che è necessario rinnovare le politiche e gli strumenti in grado di supportare una vasta ed eterogenea platea di interlocutori con azioni di policy che rafforzino la posizione competitiva delle Pmi sui mercati internazionali. Certo, se le azioni di policy sono quelle di inasprire i costi, trasformare la flessibilità in rigidità, togliere ossigeno a chi lavora per rilanciare il Paese, non ci resta che commentare come la Sora Lella:

Cgia Mestre: i lavoratori dipendenti sono tutelati dall’art 18

“Anche per noi è stata una vera e propria sorpresa: se si analizza solo la platea dei lavoratori dipendenti presente nel nostro Paese, oltre il 65% degli occupati lavora nelle aziende con più di 15 dipendenti. Da ciò si evince che la maggioranza dei lavoratori dipendenti è tutelata dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori”.

La dichiarazione è del segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi, che, dopo aver analizzato i dati relativi alla distribuzione degli occupati italiani nelle aziende con più o meno di 15 addetti, afferma : “Se, invece, includiamo anche i lavoratori autonomi, la situazione, chiaramente, si capovolge. Gli addetti che lavorano nelle aziende con meno di 15 raggiungono il 54,3%, mentre quelli che sono occupati nelle imprese con più di 15 dipendenti non raggiungono il 46% del totale”.

Tuttavia, fanno notare nella nota quelli della CGIA, correttezza statistica suggerisce che il conteggio venga effettuato solo tra i lavoratori dipendenti. Per questo il dato che emerge da questa analisi “rovescia” la tesi dominante: vale a dire che, ad essere “coperti” dall’articolo 18, era solo una minoranza di lavoratori italiani. Da questi dati, sottolinea la CGIA, sono esclusi i lavoratori del Pubblico impiego, quelli occupati nel settore dell’agricoltura, nonché i cocopro ed i “lavoratori a progetto”.

Fonte: Agenparl.it