Autonomi, artigiani e commercianti, professionisti: come si determinano i contributi previdenziali?

I lavoratori autonomi sono chiamati a versare entro il 30 giugno il conguaglio contributivo. Oltre a mettersi in regola con il Fisco, infatti, in questo mese i titolari di partita Iva, gli artigiani, i commercianti, i liberi professionisti e, in generale, i lavoratori autonomi hanno l’onere di versare all’Inps il conguaglio dei contributi. Che si concretizza nel versamento del saldo dei contributi dallo scorso anno e nel 1° acconto per l’anno 2022.

Lavoratori autonomi, entro il 30 giugno 2022 il versamento del saldo contributi del 2021 e l’acconto del 2022

L’onere riguarda i cosiddetti “free lance”, iscritti alla gestione separata dell’Inps. La scadenza per il versamento del conguaglio contributivo è fissata al 30 giugno 2022. Si può, in ogni modo, pagare entro il 22 agosto prossimo, ma con la maggiorazione dello 0,40%. Lo stesso Istituto previdenziale è intervenuto nei giorni scorsi per ricordare agli iscritti alle Gestioni speciali artigiani e commercianti e agli iscritti alla Gestione separata il dovere di compilare il quadro RR del modello “Redditi 2022 Pf” (persone fisiche) e la riscossione dei contributi dovuti a saldo per il 2021 e l’acconto del 2022.

Da chi deve essere compilato il Quadro RR?

In particolare, il Quadro RR del modello “Redditi 2022 PF deve essere compilato “dagli iscritti alle Gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali e del terziario, nonché dai lavoratori autonomi che determinano il reddito di arte e professione così come disciplinato dall’articolo 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, numero 917 (Testo unico delle imposte sui redditi – Tuir), e sono iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, numero 335, per la determinazione dei contributi dovuti all’Inps”.

Artigiani e commercianti, come funziona il versamento dei contributi Inps?

Per gli artigiani e i commercianti il saldo dei contributi previdenziali deve essere calcolato sul complessivo dei redditi di impresa denunciati per il calcolo dell’Irpef. I redditi devono essere stati prodotti nello stesso anno al quale gli stessi contributi fanno riferimento. Sui contributi dovuti per l’anno 2021, i titolari delle imprese commerciali ed artigiane, nonché i soci titolari di una propria posizione assicurativa, sono chiamati ai versamenti contributivi sia per sé che per le persone che svolgono la propria attività lavorativa nell’impresa. Si tratta, dunque, dei collaboratori e dei familiari che devono completare la sezione I del Quadro RR.

Come si determina il reddito imponibile?

Per la determinazione del reddito imponibile da assoggettare al calcolo dei contributi previdenziali, gli iscritti alle gestioni Inps devono prendere in considerazione il totale dei redditi di impresa ottenuti nel 2021, sottraendo eventuali perdite dei periodi di imposta. Pertanto, la formula per il calcolo della base imponibile è la seguente:

RF63 – (RF 98 + RF 100, col. 1 + col. 2) + [RG 31 – (RG 33 + RG 35, col. 1 + col. 2)] + [somma algebrica (colonne 4 da RH 1 a RH 4 con codice 1 e 5 indicato in colonna 2 e colonne 4 da RH 5 a RH 6) – RH 12 col. 1- RH 12 col. 2] + RS 37 colonna 15.

Quali sono le aliquote da applicare per i commercianti e gli artigiani?

Le aliquote che agli artigiani e i commercianti devono applicare alla base imponibile per la determinazione dei contributi previdenziali sono:

  • il 24% per gli artigiani e il 24,09% per i commercianti sulla parte di reddito annuale che eccede i 15.593 euro e fino al limite di 47.379 euro;
  • il 24,55% gli artigiani, ovvero il 24,64% per i commercianti, tra 47.379 e 78.965 euro. Il limite sale a 103.055 euro per i contribuenti che non hanno contributi versati alla data del 31 dicembre 1995.

Commercianti e artigiani, cosa deve fare chi ha già versato un acconto nello scorso anno?

I commercianti e gli artigiani che lo scorso anno avessero versato l’acconto percentuale del reddito di impresa dichiarato per il 2020 in misura maggiore rispetto al minimale di 15.593 euro, devono versare il conguaglio. Tale somma va calcolata sui redditi conseguiti in maniera effettiva nel corso del 2021.

Versamento del primo acconto del 2022 dei commercianti e degli artigiani

Il versamento del primo acconto per il 2022 da parte dei commercianti e degli artigiani deve essere calcolato considerando l’aumento definitivo dell’aliquota contributiva al 24% (per i commercianti il 24,48%). Il minimale di reddito per il 2022 corrisponde, invece, a 15.710 euro, il massimale a 80.465 euro. Pertanto, le due categorie di lavoratori autonomi devono versare rispettivamente per il primo acconto dei contributi previdenziali:

  • il 24% gli artigiani sul reddito di impresa fino a 48.279 euro e il 25% sulla quota eventualmente eccedente fino al limite di 80.465 euro;
  • il 24,48% i commercianti sul reddito di impresa fino a 48.279 euro e il 25,48% sulla quota eventualmente eccedente fino al limite di 80.465 euro.

Per i collaboratori giovani è previsto uno sconto purché l’età non ecceda i 21 anni.

Commercianti e artigiani che nel 2021 avevano dichiarato un reddito d’impresa eccedente i 15.593 euro: cosa fare?

Pertanto, gli artigiani e i commercianti con un reddito di impresa riferito all’anno 2021 eccedente i 15.593 euro (il tetto del minimale) devono versare adesso:

  • il 22,80% gli artigiani;
  • il 23,28% i commercianti.

Queste percentuali scaturiscono dalla differenza tra il reddito di impresa risultante dall’Unico 2022 e il limite stabilito dal minimale di 15.710 euro.  Inoltre, le percentuali aumentano a:

  • 23,80% per gli artigiani;
  • 24,28% per i commercianti;

per la parte di reddito di impresa del 2021 tra i limiti di 48.279 euro e 80.546 euro. Infine, entro il 30 novembre 2022 bisogna pagare le quote del secondo acconto, applicando le medesime percentuali.

Liberi professionisti iscritti alla Gestione separata dell’Inps, come si calcola il saldo?

I liberi professionisti iscritti alla Gestione separata dell’Inps devono calcolare il saldo risultante dal reddito del 2021. Al limite di 103.055 euro deve essere applicata la percentuale del 25,98%. In alternativa si paga il 24% se si è già pensionati o assicurati. Al risultato vanno detratti gli acconti di giugno e di novembre già pagati nel 2021.

Professionisti, come calcolare gli acconti?

Ai fini del calcolo degli acconti nella percentuale del 40% è necessario considerare:

il reddito del professionista, maturato nell’anno 2021 ai fini dell’Irpef risultante dall’Unico 2022, nel tetto di 103.055 euro. Questo limite è riferito al reddito imponibile del 2021;

  • applicare la percentuale del 10,392%, pari al 40% dei contributi dovuti calcolati sul 25,98%;
  • oppure applicare la percentuale del 9,6%, pari al 40% dei contributi dovuti, calcolati sul 24% (pensionati o già assicurati).

Entro quanto è necessario procedere con i versamenti?

I commercianti e gli artigiani devono versare i contributi dovuti sulla quota di reddito eccedente il minimale e gli iscritti alla Gestione separata dell’Inps la contribuzione dovuta entro le scadenze fissate per il versamento delle imposte sui redditi. Per il 2022, tali scadenze sono fissate al:

  • 30 giugno (o 22 agosto 2022 per chi si avvale della rateizzazione) per il saldo 2021 e il 1° acconto 2022;  e
  • 30 novembre 2022 per il 2° acconto.

Maggiorazione dovuta dello 0,40% per chi paga dopo la scadenza del 30 giugno

Commercianti, artigiani, professionisti e partite Iva che pagano i contributi del saldo 2021 e del 1° acconto del 2022 dopo il 30 giugno 2022 devono calcolare la maggiorazione dello 0,40%. I contribuenti versano questa maggiorazione a titolo di interessi per evitare eventuali sanzioni per il ritardato pagamento. La quota della maggiorazione deve essere versata in via separata rispetto ai contributi. Si utilizzano le seguenti causali:

  • Api, per gli artigiani e codeline Inps usata per versare il corrispondente contributo;
  • Cpi, per i commercianti e codeline Inps usata per versare il corrispondente contributo;
  • Dppi per il libero professionista.

Come si effettua la rateizzazione? 

Per artigiani e commercianti la rateizzazione si può fare solo per i contributi dovuti sulla parte di reddito oltre il minimale imponibile a saldo per il 2021 e per il 1° acconto del 2022. Vanno escluse, dunque, le quote contributive entro il minimale. I professionisti, invece, possono procedere con la rateizzazione sia sul saldo del 2021 che sul 1° acconto del 2022. La prima rata deve essere versata entro la data di scadenza del saldo o dell’acconto differito. Le restanti rate, invece, hanno la scadenza indicata nel modello “Redditi 2022 Pf”. In ogni modo, il versamenti delle rate devono terminare entro il 30 novembre 2022. Per stabilire l’importo delle rate è necessario far riferimento alle modalità inserite nelle istruzioni al modello “Redditi 2022 Pf”, nella sezione relativa alle Modalità e termini di versamento – Rateazione.

Merletti: “Il mercato globale salverà l’artigianato”

 

In questa nostra settimana dedicata alla produzione artigianale, non potevamo non chiedere un’opinione al Presidente di Confartigianato Giorgio Merletti, sullo stato di salute dell’artigianato italiano. Il massimo dirigente dell’organizzazione italiana dell’artigianato e della micro e piccola impresa, saluta con positività l’arrivo delle nuove tecnologie digitali nel mercato e sottolinea l’importanza e l’impazienza per nuovi interventi legislativi mirati a valorizzare la qualità della produzione made in Italy.

Come rispondono gli artigiani alla crisi economica rispetto agli altri settori?
Gli artigiani sono stati segnati profondamente dalla crisi che ha picchiato duro e ha fatto selezione tra le aziende. Ma i piccoli imprenditori manifestano anche straordinarie doti reattive. Molti hanno vissuto le difficoltà come occasione per cambiare e per innovare, altri hanno prodotti e clienti non sostituibili, altri ancora hanno stretto la cinghia e, pur di resistere, hanno ridotto i margini di profitto.

Quale sarà il futuro delle aziende che operano soltanto per il mercato interno?
Confartigianato tiene monitorati i settori nei quali ci sono opportunità di sviluppo per chi vuole mettersi in proprio. Tra questi: information technology, green economy, agroalimentare, tutela ambientale, servizi alle persone, attività ricreative. La nostra più recente rilevazione mostra che, pur tra mille difficoltà, c’è un piccolo esercito di 332.488 imprese artigiane che, negli ultimi 4 anni, hanno fatto registrare un trend positivo, con una crescita media del 7,1% del numero delle aziende, pari a 22.076 nuove imprese. Tutela dell’ambiente, manutenzione degli impianti industriali, alimentazione guidano la classifica dei comparti con il maggior tasso di sviluppo imprenditoriale.

Solo il perdurare della domanda estera salverà l’artigianato italiano?
Servono interventi mirati a valorizzare la qualità della produzione made in Italy. Chi guida il Paese deve difendere, con orgoglio e determinazione, il ‘modello Italia’. A questo proposito, la competitività della nostra manifattura sul mercato interno e internazionale va sostenuta eliminando costi e vincoli che ci penalizzano rispetto ai competitor stranieri. Purtroppo, oggi, a fronte degli sforzi e dei sacrifici compiuti dai nostri imprenditori, continuiamo a non vedere cambiamenti nelle condizioni di contesto per agganciare la ripresa. Anzi. In tema di fisco, burocrazia, credito, servizi pubblici, si moltiplicano gli oneri e i vincoli sulle spalle degli imprenditori.

In ogni crisi economica c’è un’opportunità?
Mercato globale, reti, tecnologie digitali sono i tre ingredienti della ricetta degli imprenditori di Confartigianato per guardare con fiducia al prossimo futuro. La crisi è un’occasione per rilanciare la qualità del modello produttivo italiano e la strada per raggiungere questo obiettivo consiste anche nella capacità degli imprenditori di cambiare se stessi, puntando su reti e tecnologie digitali, fattori abilitanti per affermarsi su un mercato che è già globale per tutti i settori, anche per quelli che operano all’interno dei confini nazionali. Le reti sono forme di collaborazione necessaria per rompere l’isolamento non più possibile per le imprese.

Perché un giovane d’oggi dovrebbe avventurarsi in una così difficile impresa?
Perché nell’artigianato c’è innovazione e c’è spazio per la creatività. Però bisogna liberarsi dai pregiudizi che accompagnano l’educazione delle nuove generazioni. Oggi l’impresa artigiana non è più la bottega polverosa dei nostri nonni. I nuovi artigiani sono ragazzi che inventano app per smartphone, sono i ‘meccatronici’ che riparano auto sempre più hi-tech, sono i talenti della moda che disegnano capi d’abbigliamento e gioielli, sono i produttori del buon cibo made in Italy, i restauratori dei tesori dell’arte che il mondo c’invidia. Ma la scuola non deve ‘deviare’ i giovani con falsi modelli. Purtroppo, paghiamo decenni di politiche formative sbagliate, un modello culturale che contrappone il sapere al saper fare, la cultura accademica e la conoscenza teorica alle competenze pratiche. E così i giovani non trovano lavoro, le aziende non trovano i lavoratori e si bloccano le potenzialità di crescita del Paese.

Jacopo MARCHESANO

Antichi mestieri, la Liguria in prima fila

Per fortuna, in Italia, c’è chi si rende conto dell’importanza di preservare il tessuto di mestieri e professioni che costituisce da sempre la ricchezza della nostra economia e che è messo a rischio da crisi e globalizzazione. La Regione Liguria, per esempio, che nei mesi scorsi ha pubblicato un bando 2 milioni e 270mila euro per la valorizzazione degli antichi mestieri, che ha visto la partecipazione di 22 aggregazioni di imprese del settore artigiano che hanno presentato i propri progetti.

Secondo Luca Costi, segretario regionale di Confartigianato Liguria, “la presentazione di ben 22 progetti per il bando della Regione Liguria dedicato agli antichi mestieri è la dimostrazione della vivacità delle imprese artigiane liguri che credono con forza nella formazione dei giovani per dare continuità alla propria attività“.

Il buon risultato del bando – dice Costinon era affatto scontato. Già nel passato bandi simili che prevedevano l’aggregazione delle imprese avevano ottenuto scarsi effetti. La forte sinergia con la Regione e l’azione di contatto e assistenza delle imprese da parte delle associazioni hanno determinato una risposta massiccia. Crediamo che la scelta della Regione di creare occasioni concrete di incontro tra la domanda delle imprese e mercato del lavoro sia la strada giusta da percorrere per contrastare la disoccupazione giovanile che in Liguria, come nel resto d’Italia, ha raggiunto percentuali allarmanti, così come il fenomeno dei Neet, giovani che non lavorano né studiano. Ora auspichiamo che la Regione possa prevedere una seconda edizione del bando per rispondere a coloro che non hanno potuto partecipare a causa della complessità della procedura“.

Dei 22 progetti presentati, 13 hanno ottenuto un finanziamento per un totale di oltre 2 milioni di euro. “La rapida risposta della Regione Liguria alle domande presentate – dice ancora Costiconsentirà alle imprese dei progetti vincitori di creare immediatamente occasioni concrete di nuova occupazione, giovanile e non solo, in un momento particolarmente difficile. La dotazione finanziaria, che va da circa 100mila a oltre 230mila euro a progetto agevolerà l’avvicinarsi di giovani a professioni della tradizione artigiana ligure, anche attraverso l’accompagnamento alla nascita di nuove micro e piccole imprese“.

I progetti che hanno ottenuto l’ok ai finanziamenti vanno dal settore floreale a quello del cioccolato, dalla sartoria alla falegnameria, dalla lavorazione della filigrana alla costruzione di muretti all’artigianato della carta.

L’ultima elaborazione dell’Ufficio Studi di Confartigianato su dati Istat-ministero del Lavoro-Unioncamere ha analizzato il mercato del lavoro per gli under 30 e la formazione “sul campo” dei nuovi assunti; ebbene, stando ai risultati dell’elaborazione, gli artigiani liguri, nel 2011, hanno investito circa 47 milioni di euro in formazione di giovani nella propria azienda. Un risultato che sottolinea la sensibilità della regione per la salvaguardia dei mestieri tradizionali.

Se i mestieri non tirano più…

Se il mestiere di riparatore di orologi non se la passa benissimo, sono tantissime altre le professioni che non vedono particolari luci nel proprio futuro. E la cosa paradossale è che tante di queste sono in crisi nonostante un aumento continuo della disoccupazione giovanile. Secondo la Cgia di Mestre, buona parte di loro è concentrata nei settori dell’artigianato e dell’agricoltura e potrebbero comportare entro i prossimi 10 anni la perdita di 385mila posti di lavoro ad alta intensità manuale.

Molte professioni storiche presenti nell’artigianato – dice Giuseppe Bortolussi, Segretario della Cgia di Mestrerischiano di scomparire. Non solo perché manca il ricambio generazionale, ma anche perché non sono più redditizie o non hanno più mercato. Oberati da tasse e da una burocrazia sempre più asfissiante, molte imprese chiudono i battenti, lasciando dei vuoti culturali che rischiamo di non riuscire più a colmare, nonostante la crisi abbia avvicinato molti giovani a queste attività“.

Queste le professioni a rischio individuate dalla Cgia: pellettieri, valigiai, borsettieri, falegnami, impagliatori, muratori, carpentieri, lattonieri, carrozzieri, meccanici auto, saldatori, armaioli, riparatori di orologi, odontotecnici, tipografi, stampatori offset, rilegatori, riparatori radio e Tv, elettricisti, elettromeccanici, addetti alla tessitura e alla maglieria, sarti, materassai, tappezzieri, dipintori, stuccatori, ponteggiatori, parquettisti e posatori di pavimenti. Nel settore dell’agricoltura, invece, si rischia di non trovare più gli allevatori di bestiame nel settore zootecnico e i braccianti agricoli.

Per estrapolare questi dati, la Cgia ha calcolato il numero di occupati presenti oggi nelle principali professioni manuali compresi nella fascia di età 15-24 anni e in quella 55-64 anni. Poi ha misurato il tasso di ricambio, stilando una prima graduatoria per mestieri. Infine, ha stimato il numero delle figure che presumibilmente verranno a mancare nei prossimi 10 anni per ciascuna attività.

Premesso che non siamo in grado di prevedere se nei prossimi anni cambieranno i fabbisogni occupazionali del mercato del lavoro italiano – conclude Bortolussisiamo comunque certi di tre cose. La prima: fra 10 anni la grandissima parte degli over 55 censiti in questa mappa lascerà il lavoro per raggiunti limiti di età. La seconda: vista la contrazione delle nascite avvenuta in questi ultimi decenni, nel prossimo futuro si ridurrà ancora di più il numero dei giovani che entreranno nel mercato del lavoro, accentuando così la mancanza di turn-over. La terza: visto che i giovani ormai da tempo si avvicinano sempre meno alle professioni manuali, riteniamo che il risultato ottenuto in questa elaborazione sia molto attendibile“.

Laboratori di orologeria, un futuro tra luci e ombre

di Davide SCHIOPPA

Tra i mestieri artigiani che sono il vanto della piccola impresa italiana e che, tra il mordere della crisi e lo sviluppo di mercati sempre più globalizzati, soffrono più del lecito, c’è quello dell’orologiaio. Sono centinaia, in Italia, i piccoli riparatori che si dedicano a un lavoro fatto di tecnica e passione e che, oggi, si trovano in difficoltà di fronte alle politiche commerciali dei big mondiali dell’orologeria, che privilegiano sempre di più le riparazioni in house. Lo scorso mese l’Associazione Orafa Lombarda aveva lanciato una proposta di dialogo. Oggi torniamo sull’argomento con Mario Peserico, presidente di Assorologi.

Partiamo dai numeri: come va il mercato italiano dell’orologeria?
Non sono momenti facili ed è ovvio che il clima di sfiducia e di attesa che contagia il consumatore non può non riflettersi anche sul nostro mercato. Così come fatto lo scorso anno, mi sembra però giusto evidenziare che l’orologeria tutto sommato tiene molto meglio di altri comparti e riesce a difendere immagine, competitività ed attrattività. In ogni caso, nel 2012 nel nostro Paese sono stati venduti poco meno di 7 milioni di orologi da polso, per un valore di 1,14 miliardi di euro.

E sul fronte delle manifatture italiane, come vanno le cose?
In Italia esistono dei marchi più connotati sul mercato interno, che non esportano e di conseguenza sentono di più la difficoltà del momento. Il prodotto italiano è tale per chi lo conosce, lo è meno dal punto di vista del “made in”, per il quale la legislazione italiana è più lasca rispetto, per esempio, a quella Svizzera; per cui, chi è totalmente o quasi made in Italy, nella percezione del consumatore finale è, di fatto, uguale a chi importa e magari fa solo l’ultimo passaggio in Italia, fregiandosi ugualmente della dicitura made in Italy.

Soluzioni?
C’era stata la proposta di considerare il movimento italiano come condizione necessaria perché un orologio potesse essere considerato made in Italy, ma credo che ci saranno dei rallentamenti su questo fronte, stante la difficile situazione di mercato.

Parliamo della situazione dei laboratori di orologeria e dei riparatori…
Il settore patisce il momento come, in generale, lo patiscono le piccole botteghe artigianali. Gli orologiai lamentano il fatto che le grandi aziende non danno loro le parti di ricambio? Mi lasci dire, anche il fornaio si lamenta con la GDO perché fa il pane alla domenica. La tendenza è quella: i grandi gruppi si rendono autonomi come produzione, distribuzione e riparazione. Non credo sia criticabile il fatto che un marchio si organizzi autonomamente per le riparazioni o che si affidi per queste solo a chi gli dà certe garanzie in termini di preparazione e capacità.

Le politiche in questo senso le fanno dunque i big?
Se un marchio ha uno o più centri di assistenza autorizzati e professionalmente preparati o ha dei negozi che sono a loro volta attrezzati per le riparazioni, può anche non avere disponibilità di parti meccaniche per i riparatori che, per normativa europea, dovrebbero essere serviti dalla marca.

Anche in questo caso: soluzioni?
Trovo che sia un peccato che il mondo dei riparatori si perda e spero che ciò non accada ma, come associazione, abbiamo sempre sostenuto che i riparatori non sono organizzati, agiscono lamentando questa situazione ma senza fare nulla per rendersi organici ed elaborare proposte unitarie. Proporsi come alternativa vuol dire consorziarsi, creare un’associazione e darsi degli standard per cui chi entra nell’associazione ha certe capacità e garantisce un certo livello di servizio.

Che peso date, infine, alla formazione delle nuove leve di orologiai?
Negli ultimi 6-7 anni Assorologi ha contribuito a “ricostruire” la scuola di orologeria all’interno del Capac, il politecnico del commercio. La scuola aveva assunto col tempi una rilevanza sempre minore, anche perché dà spazio a una quindicina di allievi all’anno contro le centinaia delle altre scuole, nonostante costituisca un’eccellenza. Abbiamo riformato i programmi, ammodernato i laboratori con macchinari nuovi che le case hanno contribuito a far avere e gli allievi fanno degli stage nelle aziende di oltre un mese. La scuola ora dà spazio a 16 allievi per anno su due anni, ma le domande di iscrizione sono un centinaio, quasi sempre di ragazzi diplomati che vedono nella scuola una prospettiva, perché tutti i suoi diplomati trovano lavoro. Inoltre, la Regione Lombardia ha individuato nella scuola uno degli esempi di tutela delle arti e dei mestieri.

Perché certe professioni rischiano di sparire? Crisi, nuovi mercati ma anche colpe italiane

di Davide PASSONI

Un paio di settimane fa aveva fatto scalpore la notizia secondo la quale in Italia mancherebbero almeno 6mila pizzaioli; tante sarebbero, infatti, le figure richieste dal mercato che, per un motivo o per un altro, non si trovano. Un esempio, quello dei pizzaioli, di un fenomeno che nel nostro Paese investe moltissime figure professionali e artigiane che, complici una crisi sempre più bastarda e un mercato globalizzato che tende a penalizzare chi non ha le giuste dimensioni per imporsi sui mercati internazionali, vedono a rischio il proprio futuro.

Questa settimana Infoiva vuole fare un piccolo viaggio tra queste figure storiche della piccola impresa e dell’artigianato italiano che, tutto a un tratto, si sono trovate nella posizione assai scomoda che le vede, da un lato, custodi di una tradizione imprenditoriale che va difesa tanto per motivi storici quanto economici, e dall’altro poco strutturate per assolvere a questi compiti senza rischiare di scomparire.

A onor del vero bisogna anche ricordare che spesso la debolezza intrinseca di queste aziende e di queste categorie professionali è anche figlia di un atteggiamento che, per decenni, le ha portate a pensare di “bastare a se stesse“, di essere inserite in una nicchia di mercato che le avrebbe messe al sicuro da sconvolgimenti e turbolenze. Un’idea di consociativismo teso più a difendere posizioni e privilegi che a farsi vettore di proposte e azioni costruttive, che le ha rese deboli perché sole di fronte a un mercato e a delle prospettive economiche che, ormai, vanno al di là del recinto di casa.

Speriamo che il raccontare storie e capire le dinamiche di questo mondo serva da stimolo alle aziende artigiane che si trovano in queste situazioni per trovare le giuste soluzioni e affrontare il mercato non solo tirando a campare, ma sviluppando business e prospettive.