La Bacchetta Magica, il franchising degli asili nido

Per chi sta pensando di mettersi in proprio e vorrebbe farlo lavorando con i bambini, esistono proposte di asili nido in franchising, come, ad esempio, quelli della Bacchetta Magica.

Gli asili con questo marchio presenti in Italia sono ormai 52 ed offrono ai loro piccoli ospiti ambienti colorati e stimolanti, realizzati in piena sicurezza e nel rispetto dell’ambiente.

Gli affiliati che entrano in questo network beneficiano della fornitura completa di materiale, arredi compresi, ma anche suggerimenti per allestire al meglio la location, la planimetria con i punti luce e le prese di corrente, la pubblicità per promuovere il centro, l’intera fornitura descritta, senza dimenticare la consulenza per tutta la durata dell’attività.

Il canone mensile di soli € 50,00 + iva al mese (euro 600,00 + iva l’anno) è un contributo a forfait richiesto per ottenere il permesso di utilizzo del marchio e avere la garanzia dell’esclusiva di zona, molto importante in un settore in cui la concorrenza è spietata.

L’affiliazione prevede un contratto di 5 anni, tacitamente rinnovabile e non esistono obblighi di riammodernamento locali.

Per ricevere ulteriori informazioni, è possibile collegarsi al sito La Bacchetta Magica.

Il Pianeta dei Bambini, franchising in asili nido

Poiché spesso è difficile trovare un asilo nido dove poter lasciare il proprio bambino, soprattutto a causa della scarsa disponibilità di strutture affidabili.
Per questo, il franchising Il Pianeta dei Bambini, catena di asili nido inaugurata nel 1999, ha avuto subito successo, e ne ha tuttora.

Per coloro che, dunque, sognano di lavorare con i bambini di età compresa tra i 3 mesi e i 3 anni, ricorrere al franchising Il Pianeta dei Bambini potrebbe essere la giusta soluzione.
La sede centrale offre, infatti, agli aspiranti franchisee consulenza e supporto per tutto ciò che riguarda l’attività, oltre a corsi di formazione e consulenza metodologica ed educativa.
Ovviamente, il nuovo affiliato viene accompagnato anche durante le fasi delicate del marketing e dell’avvio del nuovo centro.

Per ricevere ulteriori informazioni, è possibile collegarsi sul sito Il Pianeta dei Bambini.

Donne imprenditrici: a quando una politica di conciliazione all’altezza?

di Vera MORETTI

La questione è spinosa, e quanto mai attuale: le donne italiane sono davvero messe in condizione di svolgere il loro duplice ruolo di madri e lavoratrici?
In un periodo, infatti, in cui il secondo stipendio non è un lusso ma una mera necessità, anche il desiderio di una donna di continuare a lavorare, nonostante i figli, non è un capriccio ma un modo per fronteggiare la crisi.

Di una cosa siamo certi: la donna imprenditrice che aspira a mantenere saldo il suo posto di lavoro, da sola non ce la fa, se a casa la aspettano figli e marito. E nemmeno le buone intenzioni, di cui, sappiamo, è lastricato il suo percorso, possono arrivare, poiché gli imprevisti, in una famiglia con bambini, sono all’ordine del giorno.
Ma, se la maggior parte delle mamme lavoratrici si avvale dell’aiuto di una rete di parenti-amici, in primis partner e nonni, un ruolo decisivo deve averlo anche il settore pubblico.

Le strutture, dunque, alle quali si rivolge una madre che diventa “in carriera” perché, ricoprendo un ruolo importante, non può permettersi una maternità prolungata, sono gli asili nido. Niente di male a lasciare i propri figli in questi luoghi, considerando che si tratta di posti sicuri dove i bambini vengono accuditi da personale qualificato e fidato, ma, si sa, una madre, molto più del padre, vive questo passaggio con difficoltà e sensi di colpa. Se poi si considerano i costi, elevati, dei nidi, anche quando sono pubblici, le problematiche da fronteggiare sono molteplici.

Per questo, molte Regioni ed enti locali stanno cercando di sensibilizzare la popolazione organizzando seminari ed incontri per eliminare definitivamente i pregiudizi nei confronti della donna, spiegando, dunque, la sua difficoltà nel conciliare lavoro e vita privata.
Spesso, infatti, una donna che ricopre cariche di rilievo in un’azienda è vista come il fumo negli occhi, perché si pensa che, presto o tardi, le sue assenze si faranno sentire. I bambini si ammalano, le scuole scioperano e chiudono durante le feste, e questo non deve pesare sull’azienda. Ma, invece di affidare certe cariche solo agli uomini, sarebbe meglio trovare soluzioni che permettano davvero questa conciliazione famiglia-ufficio.

A questo proposito, Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, sottolinea che le donne imprenditrici non sono sole e affidate al proprio destino ma “il sistema camerale sostiene l’universo dell’imprenditoria in rosa attraverso la rete dei comitati per l’imprenditoria femminile, presenti in tutte le province italiane. Oggi più che mai a queste imprenditrici occorre guardare con grande attenzione, sostenendole nel loro percorso di rafforzamento. Il loro impegno è una grande risorsa sulla quale il Paese può scommettere per riprendere, dopo la bufera di questi mesi, la via dello sviluppo“.

Come fare per metterci alla pari con gli altri Paesi d’Europa? Soprattutto nel Nord, esiste una politica fiscale in grado di supportare i periodi di “assenza” della titolare e anche un sistema infrastrutturale per la puericultura molto più consolidato e rodato di quello italiano.
Questi devono essere gli obiettivi da perseguire anche in Italia, come stabilito anche dalla Conferenza di Lisbona in merito all’occupazione femminile e ai servizi per l’infanzia.

Questi provvedimenti, qualora venissero messi in atto, potrebbero diventare un valido sostegno per tutte le aziende “in rosa” che in questi anni stanno sorgendo. Solo l’anno scorso, l’imprenditoria femminile ha registrato 9mila aziende in più rispetto al 2010, ma, benché questa sia una buona notizia, occorre che le donne imprenditrici siano supportate a dovere, per non far sì che questo incoraggiante “start-up” non sia seguito da una repentina cessazione di attività. Poiché, infatti, questo infelice trend è stato osservato in regioni come la Sicilia e la Calabria, la necessità di una politica di conciliazione risulta di importanza primaria.

A dimostrazione di ciò, arriva uno studio condotto da Confartigianato, dal quale emerge che l’Italia è tra i paesi che investono meno sui servizi di welfare correlati alla conciliazione.
Spendere l’1,3% del PIL, in questo caso non basta. La famiglia, e le donne, meritano una considerazione maggiore.

Riforma fiscale: le novità per le donne

Più spazio alle donne e ai giovani per superare l’attuale crisi. Sono queste le priorità espresse dal neopremier Mario Monti durante il suo discorso alle Camere, prima del voto di fiducia. L’obiettivo è trovare soluzioni che garantiscano un più facile accesso alle donne nel mondo del lavoro, in particolare per le mamme e le neomamme. Anche se è di oggi la notizia di un’infermiera che in 9 anni ha lavorato solo 6 giorni grazie a finte maternità, l’impegno di Monti è volto a trovare soluzioni alle “difficoltà di inserimento o di permanenza in condizione di occupazione delle donne”.

Ma quali sono le proposte?

Abbassare l’imposta pagata dalle lavoratrici, con corrispondente innalzamento per gli uomini, in modo da ridurre il costo del lavoro per le aziende che assumono donne. Questa iniziativa dovrebbe favorire l’accesso al mondo del lavoro da parte delle donne. Alzando di un punto percentuale l’Irpef degli uomini e abbassando corrispettivamente quella femminile si avrebbe un gettito fiscale invariato, ma di stimolo per l’assunzione “in rosa”. L’idea alla base d questo progetto nasce da un lavoro di due economisti, Alberto Alesina e Andrea Ichino.

Numerosi i riscontri favorevoli a questa iniziativa: l’aumento dell’imponibile sul lavoro maschile incrementa il gettito fiscale, ma non intacca la forza lavoro degli uomini, non causando cioè licenziamenti. Dall’altro lato, se si aumenta il numero delle donne impiegate a un’aliquota inferiore, si assiste ad una riduzione del costo del lavoro per le aziende, laddove il gettito fiscale rimarrebbe invariato.

Esistono però dei limiti a tale proposta. La disoccupazione femminile in Italia, la più alta in Europa, non è legata al costo del lavoro, ma è quanto più un deficit di tipo culturale. Il rischio per un’azienda che decida di assumere una donna al posto di un uomo è che la donna potrebbe lasciare temporaneamente il posto di lavoro per maternità. Inoltre, i maggiori problemi legati alla disoccupazione femminile sono riscontrabili nel Mezzogiorno, dove le famiglie in cui lavoro solo l’uomo sono più numerose. Un aumento dell’imponibile sul lavoro maschile colpirebbe dunque la capacità di spesa delle famiglie.

Una medaglia dalla doppia faccia, dunque la proposta avanzata dal nuovo governo Monti. Più facilmente attuabili appaiono invece le iniziative legate al sostegno alla famiglia per favorire il rapporto tra donne e lavoro. Qualche esempio? Garantire un accesso più facile agli asili nido e allungare il tempo scolastico. Ma siamo appena all’inizio, e la sfida si preannuncia difficile.

Alessia Casiraghi