Da gennaio ASPI sosterrà i lavoratori disoccupati

Per favorire l’occupazione, dal 1 gennaio 2013 sarà operativa l’Assicurazione Sociale per l’Impiego, ASPI, che prevederà l’erogazione di una indennità mensile ai lavoratori dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti e i soci di cooperativa di lavoro, che si trovano in stato di disoccupazione.

Questa assicurazione va a sostituire l’indennità di disoccupazione e tutti i vari ammortizzatori sociali come, ad esempio, la mobilità.

Gli importi previsti consistono nel 75% di € 1.180,00 (€ 885,00) aumentati di una quota del 25% del differenziale tra retribuzione percepita ed il limite di € 1.180,00 nel caso in cui la retribuzione del lavoratore superi quest’ultimo limite.
Il massimale previsto è di € 1.119,00, mentre la durata è di un anno per coloro i quali hanno meno di 55 anni (alla data di assegnazione dell’ammortizzatore) e 18 mesi per coloro con più di 55 anni.
È prevista la riduzione del 15% di quanto percepito dopo i primi sei mesi di fruizione e di un ulteriore 15 % dopo un anno.

Al finanziamento del nuovo trattamento saranno oggetto i seguenti interventi (dal 1° gennaio 2013):

  • Contributo integrativo pari al 1,31% che sostituirà, a regime, l’attuale contributo DS;
  • Contributo addizionale pari al 1,4% (carico datore) per ogni rapporto di lavoro a tempo determinato
  • Contributo a carico del datore di lavoro in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per cause diverse dalle dimissioni intervenute dal 1 gennaio 2013.

Il contributo di licenziamento si applica anche nei casi di licenziamento per giusta causa o in caso di cessazione attività ed è pari al 50% del trattamento iniziale di ASPI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
Ciò significa che se viene licenziato un lavoratore con anzianità di almeno tre anni, il contributo di licenziamento è pari ad € 1.327,50 (885,00*1,5).

Vera MORETTI

La Riforma della Fornero? Non ce la siamo bevuta: la parola al Consulente

 

La Riforma del Lavoro è stata varata la scorsa settimana e subito ha riscosso un mare di dissensi, per non dire perplessità, da parte di imprenditori, professionisti, inoccupati e di chi, in prima battuta, risentirà delle modifiche a contratti di lavoroordini professionali e sovvenzioni che (non) arriveranno per implementare le risorse interne delle imprese.

Da subito, i dirigenti in capo all’Associazione dei Consulenti del Lavoro ha parlato di una NON riforma che non risolverà affatto il problema della disoccupazione giovanile.

Infoiva ha chiesto il parere del dott. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro

Perché siete così convinti che la riforma del lavoro non farà ripartire le assunzioni? Che cosa avreste proposto e che cosa manca?
In nostro grande timore che la riforma del lavoro, così come pensata ed approvata, non porterà nuova occupazione. Il rischio, invece, è che si verifichino perdite di occupazione e contenzioso a causa dell’aumento del costo del lavoro (contratto a termine e aspi), dell’eccessiva burocratizzazione (intermittente, part-time, convalida dimissioni), dei nuovi vincoli (apprendistato), delle nuove presunzioni (partite iva e associati in partecipazione), delle abrogazioni (contratto d’inserimento) e delle restrizioni (voucher).
L’irrigidimento complessivo nella gestione del rapporto di lavoro con la presunzione di subordinazione, unito all’introduzione della comunicazione obbligatoria della presenza per i lavoratori intermittenti con la previsione di una sanzione sproporzionata; le nuove procedure in materia di dimissioni e gli interventi in materia di flessibilità non faranno certamente bene ad un mercato del lavoro che ha bisogno di fluidità e non di freni e vincoli come quelli che le nuove norme stanno introducendo.

Ci sono dei lavori o delle soluzioni su cui puntare oggi giorno, occasioni o campi dalle maggiori possibilità occupazionali?
Anche se siamo in presenza di un mercato del lavoro in crisi, con una disoccupazione degli under 24 che supera il 30%, esistono profili di difficile reperibilità per le aziende. Ad esempio tecnici informatici o personale sanitario, dove assistiamo al reperimento delle risorse in paesi esteri. Ma anche lavori manuali come cuochi o conduttori di macchine da lavoro. Una buona formazione tecnica oggi mette al sicuro un lavoratore e non ha niente da invidiare a percorsi più incerti e dispendiosi.

Tanti, per ovviare alla mancanza di occupazione, stanno puntando sull’apertura della partita IVA a rischio super tassazione: secondo lei, tanti singoli fanno un mercato del lavoro o dovrebbe pensarci lo Stato?
Il mondo del lavoro ha tante sfaccettature. Ma dobbiamo superare lo storico luogo comune che lavoro significa solo lavoro dipendente. Bisogna anche saper rischiare nel fare impresa o intraprendere un lavoro autonomo. Lo Stato deve evitare di disegnare un sistema giuridico che penalizzi il lavoro autonomo in favore di quello dipendente. Non bisogna dimenticare mai che dal lavoro dipendente non nasce lavoro dipendente. L’occupazione la crea il lavoro autonomo; per questo auspichiamo che i Governi rendano attuali i tanti principi enunciati per favorire l’imprenditoria giovanile. Le professioni regolamentate sono di sicuro uno sbocco importante per le nuove generazioni; le iscrizioni agli albi professionali hanno avuto un incremento importante negli ultimi 10 anni e, da una recente ricerca, l’età media dei professionisti è di 45 anni.

Che cosa è stato fatto per i piani di mobilità sociale e come si equilibrano piani di mobilità con l’effettiva ondata di licenziamenti cui stiamo assistendo, non ultimo il discorso sulla spending review del Premier Monti?
Non c’è alcuna mobilità sociale senza ricambio generazionale. Purtroppo il Paese sta affrontando una crisi profonda sia dal punto di vista economico che dal punto di vista occupazionale. Ma ora siamo in attesa delle misure per lo sviluppo. Credo che per poter rilanciare un Paese non c’è bisogno solo di politiche di contenimento delle spese ma anche di riforme strutturali del sistema produttivo. Per quanto riguarda le misure per lo spending review presentate dal Professor Monti, ciò che grava molto non è il numero dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, visto che non sono così poi tanto maggiori (in proporzione) rispetto agli altri paesi, bensì i relativi stipendi, soprattutto di alcuni alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil.

Secondo lei, le imprese saranno agevolate nell’assunzione di nuove risorse sfruttando il contratto di apprendistato o è solo un bel nome per aggirare l’ostacolo?
La riforma dell’apprendistato, cioè ridisegnare i percorsi di apprendistato, credo sia importante e imprescindibile in un momento in cui i nostri giovani, ce lo dicono tutte le statistiche, hanno difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro.
Siamo a percentuali preoccupanti dei tassi di disoccupazione giovanile ma va posto l’accento su un aspetto altrettanto preoccupante: il fatto che sta aumentando il numero dei giovani che non cerca lavoro, che è scoraggiato e quindi esce da quelli che sono i circuiti in cui invece potrebbe trovare un’occupazione.
L’apprendistato è l’unico contratto a finalità formativa, ma ha anche la funzione importante di accompagnare i giovani e farli transitare dal mondo dell’istruzione al mondo del lavoro.
Il problema resta a livello operativo considerato che la gestione da parte delle Regioni spesso è contraddistinta da procedure molto burocratizzate ed una legislazione non chiara e , a colte, contraddittoria. Situazioni che penalizzano l’espansione dell’apprendistato.

Qual è il vostro punto di vista sulla Riforma degli ordini professionali e lo stato dei liberi professionisti? Si preannuncia meno burocrazia ma i soggetti, come la categoria dei giornalisti pubblicisti, si è sentita defraudata dei suoi diritti?
Di riforma delle professioni si parla ormai da decenni. Il comparto professionale continua, però, a dimostrarsi tra i più dinamici garantendo al Paese il 15% del PIL. Gli Ordini professionali non si sono mai dichiarati contrari all’ammodernamento delle regole, anche per adeguare le leggi ordinamentali al nuovo contesto europeo. Ma quello che abbiamo sempre chiesto è quello di avere un dialogo continuo con le Istituzioni per arrivare ad una riforma condivisa e strutturale. Purtroppo, non si vuole avere la consapevolezza che il sistema ordinistico italiano è una risorsa del Paese e che negli altri stati europei esistono gli ordini caratterizzati esattamente come in Italia. A volte in questa materia si parla più per frasi fatte che per effettiva conoscenza del settore.

Ma secondo voi, questa riforma, si farà per davvero?
Gli Ordini professionali hanno già fatto la loro parte e sono sempre disponibili al confronto.

 

Paola PERFETTI

Riforma del lavoro? Una guerra tra poveri

La riforma del lavoro è realtà. Approvata lo scorso 27 giugno, entrerà ufficialmente in vigore il prossimo 18 luglio. E dopo 40 anni le regole di assunzione e licenziamento in Italia cambiano. Tutti lo sapevano ma solo ora si alza definitivamente il polverone.

La parola d’ordine del nuovo ordinamento è flessibilità. Flessibilità in ingresso e in uscita nel mercato del lavoro, stando alla nuova disciplina sostanziale che regolerà i licenziamenti.

I margini? Resta ancora da vedere quali siano i margini di suddetta flessibilità e che reale vantaggio avranno piccole e medie imprese, oltre che i lavoratori.

Flessibili nel licenziare, flessibili nel reintegrare o assumere.

Il processo sui licenziamenti sarà più veloce e saranno introdotte nuove forme di tutela della disoccupazione, ovvero, stando all’articolo 3 della Riforma di legge il deus ex machina del licenziamento per giusta causa sarà lo sfruttamento degli ammortizzatori sociali: la novità principale riguarderà l’introduzione dell’ASPI (Assicurazione Sociale per l’impiego), che sarà in vigore nel 2013 e sostituirà a regime, nel 2017, l’indennità di mobilità e di disoccupazione. A usufruire, oltre i lavoratori dipendenti, potranno essere gli apprendisti e gli artisti. Sarà possibile trasformare l’indennità Aspi in liquidazione per disporre in tal modo di un capitale per avviare un’impresa.

Già, un’impresa, stando all’Associazione Nazionale dei Consulenti del Lavoro sarà un’impresa trovare un posto di lavoro e mantenerlo.

Addio quindi al reintegro automatico in caso di licenziamento per motivi economici, anche se per alcuni casi specifici sarà prevista un’indennità risarcitoria. Nel caso di licenziamento disciplinare, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il giudice avrà una minor discrezionalità nella decisione del reintegro, che sarà previsto solo sulla base dei contratti collettivi.

E i piccoli medi imprenditori? Dovranno puntare sul contratto di apprendistato che diventerà la forma contrattuale dominante attraverso un sistema di incentivi e di benefici contributivi e che dovrà avere una durata minima non inferiore ai 6 mesi, unica vera novità sotto questo fronte.

E i titolari di Partita Iva? Nodo ancora irrisolto e che si appresta a diventare focolaio di discussioni e polemiche. Per i liberi professionisti la durata di collaborazione non dovrà superare gli 8 mesi e il corrispettivo pagato non dovrà superare l’80% di quello di dipendenti e co.co.co. In caso di collaborazione continuata che superi gli 8 mesi, il rapporto di lavoro si dovrà tramutare in altra forma contrattuale.

Mettiamo insieme le due cose: la guerra ai partitivisti porterà sempre meno titolari a mettersi in proprio e a fare, come accade oggi, di necessità virtù. Dall’altra parte, i piccoli medi imprenditori, ai quali mancheranno agevolazioni e aiuti nell’ acquisizione di nuove risorse, saranno costretti a trovare un mutuo accordo con chi sarà in cerca di un impiego. Che per uscire da un circolo vizioso come quello proposto dall’attuale Riforma si proceda alla mala parata e si fomenti il lavoro nero?

Mutua solidarietà tra piccolo imprenditore e lavoratore, l’uno alla ricerca di nuove commesse e l’altro alla ricerca di un nuovo lavoro?

Ma non sarebbe meglio incentivare le assunzioni a tempo indeterminato liberando le pmi dalle tassazioni e dalla pressione fiscale cui sono soggette, almeno nei primi tre anni di vita dell’attività?

Una riforma apprezzabile, dunque, o solo fumo negli occhi? A dire il vero molti sono ancora i tasti dolenti e quelli poco chiari. Come essere tutelati e scegliere la più opportuna tipologia di contratto di lavoro da proporre o da accettare? Che fine faranno gli ordini professionali ancora in bilico con relative casse previdenziali al seguito? E le partite IVA finte e i lavoratori parasubordinati che esistono da sempre?

Dopo tante chiacchiere e pagine di Riforma, un punto proprio ci manca: dov’è finita la forza di trascinamento e incoraggiamento verso le piccole e medie imprese?