I Temporary Manager qualificati: storie e professionisti “garantiti” Atema

Terzo e ultimo (per ora…) appuntamento con le interviste ai Temporary Manager qualificati Atema. Questa settimana parla a Infoiva Giacomo Stefanelli.

Che cosa significa per lei essere un TM qualificato Atema?
Per me è un titolo molto importante perché credo nel ruolo del TM e nel contributo che può dare alle imprese in funzione della propria esperienza. Essere TM non vuol dire essere impiegato a tempo, come oggi comunemente viene considerato un lavoro Temporary, ma assumersi delle responsabilità in proprio, come un lavoratore autonomo, per portare dei risultati tangibili o di cambiamento all’azienda committente. Il temporary è un Manager di transizione, ma deve portare risultati duraturi, e solo persone qualificate e che credono in questa missione possono farlo: da qui l’importanza della qualificazione che certifica l’attitudine e la competenza del TM a ricoprire l’incarico.

Qual è il percorso professionale che l’ha portata a diventare TM?
Da sempre sono stato interessato ad aziende in crisi o in fase di riorganizzazione, perché sono quelle realtà che richiedono un forte coinvolgimento del manager e dove si possono veramente misurare le capacità manageriali con i risultati raggiunti, senza contare che in queste realtà non basta essere buoni manager, ma bisogna anche essere un po’ psicologi, per capire e guidare il cambiamento con le persone coinvolte. Avendo ottenuto buoni risultati con queste esperienze, una volta superata la fase di crisi ero attratto da altre esperienze difficili e quindi cambiavo datore di lavoro. Il TM mi permette di accettare incarichi con responsabilità e obiettivi specifici ma anche di dare un contributo di formazione più ampio e mi da spazio per mettere in campo le mie competenze e attitudini personali, accettando il rischio dell’organizzazione e della gestione del progetto.

Qual è, a suo avviso, l’apporto che un TM può portare alla cultura aziendale in cui opera?
Il TM porta in azienda esperienza, cultura, formazione e ottimismo. Di solito un TM che accetta un incarico deve essere sicuro di portare il risultato atteso e quindi deve avere la capacità di guidare e coinvolgere il personale dell’azienda anche in presenza di difficoltà oggettive: l’ottimismo è una delle leve più importanti per raggiungere questo obiettivo.

Ci racconti la sua prima e la sua più recente esperienza come TM: in quali aziende, con quali mansioni e per quanto tempo, oltre a un bilancio dell’esperienza stessa.
Come figura di TM sono abbastanza giovane, ma ho sempre lavorato in azienda sposando progetti di riorganizzazione e una volta raggiunto il risultato ho cercato nuove esperienze. Posso dire di aver fatto il TM a libro paga e di essermi assunto responsabilità anche senza aver ricevuto tutte le deleghe necessarie, ma affiancare quotidianamente il Management di una società e cercare di supportare il processo decisionale verso il miglioramento e lo sviluppo dell’azienda è stata una buona palestra.
Ho lavorato in aziende multinazionali ma anche in PMI italiane a conduzione familiare, dal settore commerciale al settore industriale e di distribuzione di prodotti freschi giornalieri. La conoscenza delle basi organizzative e delle logiche di controllo delle grandi aziende mi ha permesso di dare un valido contributo alla riorganizzazione e allo sviluppo manageriale di realtà padronali in fase di cambiamento organizzativo e generazionale. La mia funzione aziendale è quella di Responsabile Amministrativo Finanziario e Controllo di gestione, coniugando insieme tutte le varie funzioni della qualifica per assicurare il corretto funzionamento del sistema di controllo. Le decisioni nascono dalle informazioni e le informazioni devono essere aggiornate e corrette. Solo se ben gestito e aggiornato, il sistema di controllo può soddisfare le esigenze informative dell’azienda e dare il suo valido contributo alla continuità aziendale.

Temporary Manager qualificati Atema: storie e testimonianze

Secondo appuntamento con le interviste ai Temporary Manager qualificati Atema. Questa settimana parlano a Infoiva Flavio Pogliani e Claudio Vettor.

Che cosa significa per lei essere un TM qualificato Atema?
FLAVIO POGLIANI: Ho scelto di associarmi ad Atema perché il focus dato alla professione di TM è sugli aspetti soft di chi opera in questa ottica.
Ho voluto cioè cogliere l’opportunità di valorizzare quella parte degli skills necessaria al TM non legata a dati ‘tecnici’, che emergono facilmente dal proprio profilo professionale, ma le capacità più manageriali e comunicative essenziali per una rapida integrazione con la realtà aziendale e tuttora trascurati da altre associazioni/network di TM.
Perciò ritengo la qualificazione Atema un ottimo veicolo per sottolineare presso le aziende quel plus che contraddistingue un TM, che vuole/può ‘far parte dell’azienda’ per il periodo necessario, rispetto al consulente ‘ho io la soluzione preconfezionata’ che, a causa di tale approccio, sta perdendo credibilità.
CLAUDIO VETTOR: Gli esperti affermano che i rischi maggiori si corrono quando si è molto fiduciosi nei propri mezzi e nella propria esperienza. Questo vale per chi opera in impianti complessi come le raffinerie, ma vale anche per chi, di mestiere, guida le aziende nel cambiamento. Qualificarsi in modo serio significa garantire, prima di tutto a se stessi, un confronto con la realtà e un momento di riflessione.
Non c’è miglioramento senza misura, vale nella scienza ma anche nel management. La qualificazione Atema è una “misura”, perfettibile certo ma già molto solida, senza la quale diventa impossibile migliorarsi.

Qual è il percorso professionale che l’ha portata a diventare TM?
FLAVIO POGLIANI: Dopo 25 anni di professione nel’ICT, dapprima per conto di società di consulenza poi per 18 anni in aziende internazionali, all’inizio del 2009 non è stato più possibile continuare la collaborazione con l’azienda in cui lavoravo quale dipendente.
Ho quindi valutato la situazione del mercato e ho constatato che anche in Italia si sta faticosamente facendo strada l’idea che la crescita aziendale richiede a volte passaggi culturali/organizzativi repentini, ove la  figura del TM, anche in specifiche aree funzionali, può giocare un ruolo fondamentale.
Per questo motivo ho iniziato un percorso professionale teso a offrire le mie competenze/esperienze ad aziende che necessitano di interventi ben mirati nel tempo e nel contenuto, aiutato in questo dall’aver potuto iniziare in un contesto estero dove la cultura del TM si va diffondendo già da tempo.
CLAUDIO VETTOR: Mi sento un caso particolare; mi sono avvicinato al TM quest’anno dopo aver passato 12 anni in azienda (gli ultimi come manager) e altri 12 da “consulente”: E’ vero che in qualche progetto di consulenza ho agito in realtà come TM, ma finora senza sentirmi tale. Come consulente in effetti mi sono portato dietro il modo di fare dell’uomo di azienda (mi sono sempre sporcato le mani, per così dire).
Negli ultimi anni, poi, mi sono accorto che le aziende che seguivo, più che di consulenza vera e propria avevano bisogno di management; ovvero di un manager che desse un’impronta precisa a una serie di processi e/o funzioni e allo stesso tempo educasse le persone interne a nuovi ruoli.

Qual è, a suo avviso, l’apporto che un TM può portare alla cultura aziendale in cui opera?
FLAVIO POGLIANI: Ritengo che sempre più spesso le aziende necessitino di momenti di crescita ‘per rottura’, ovvero di momenti in cui si debba acquisire rapidamente esperienza di elevata qualità, ma senza che ci sia la necessità/possibilità di inserire in azienda tali figure in modo permanente (vuoi x dimensioni aziendali, vuoi perché un processo di riorganizzazione ha come obiettivo finale anche un struttura organizzativa dai costi contenuti). In questo contesto l’approccio di un consulente ‘classico’ è in genere molto standard, del tipo: ‘so già come va a finire; fate così e otterrete il risultato ottimale’.
Il TM, viceversa, si pone come parte dell’azienda, ha sì l’esperienza del ‘già visto’, ma la usa assieme al resto dell’azienda per cercare la soluzione ottimale per quella specifica realtà. Inoltre, è propenso a far crescere professionalmente il personale interno, anzi spesso è uno degli obiettivi concordati, anche perché non è interessato a rimanervi oltre il tempo richiesto dal progetto.
Va aggiunto che spesso il TM dispone di skills sovradimensionati rispetto alle esigenze specifiche dell’azienda e per scelta tende a trasferire all’organizzazione non solo tecniche, ma soprattutto una reale nuova filosofia di approccio alla gestione quotidiana.
CLAUDIO VETTOR: Credo che il ruolo fondamentale, ancora prima dell’esperienza, sia di far fare dei grandi cambiamenti all’azienda il più velocemente possibile e il meno dolorosamente possibile. A differenza del consulente, il TM ha il vantaggio di essere parte integrante, anche se per un periodo limitato di tempo, dell’azienda; in questo senso ha più “titoli” per introdurre cambiamenti drastici nelle politiche e nelle prassi.

Ci racconti la sua prima e la sua più recente esperienza come TM: in quali aziende, con quali mansioni e per quanto tempo, oltre a un bilancio dell’esperienza stessa.
FLAVIO POGLIANI: La prima esperienza è legata al gruppo internazionale da cui sono uscito e all’approccio che la casa madre tedesca ha avuto nei confronti della mia professionalità.
In pratica, dopo che era stato definito l’agreement per la mia uscita dal gruppo, sono stato invitato a proseguire comunque nella gestione del progetto di riorganizzazione del processo di verifica/acquisizione e pagamento fatturazione passiva.
Essendo in tale azienda il TM una figura già utilizzata è stato possibile definire un mandato di 5 mesi con specifica delega sul budget del progetto e formazione di un più giovane collega, portandolo a buon fine nei tempi previsti e con soddisfazione del business.
L’ultima esperienza è stata un breve progetto di riorganizzazione in area amministrativa di una piccola realtà no profit, assai interessante sia sul piano dei rapporti personali che quale occasione di trasferire all’azienda non solo le proprie esperienze ICT, ma anche quelle contabili/finanziare maturate in anni di supporto all’area amministrativa.
CLAUDIO VETTOR: Come vero e proprio TM finora ho avuto una sola esperienza come direttore generale di una media azienda padronale e quotata in Borsa; un progetto di consulenza dopo qualche mese si è trasformato, per richiesta della proprietà, in un incarico a tempo pieno. Sono stati 18 mesi esaltanti, ho imparato molto in particolare sul rapporto tra proprietà e TM; ritornare a essere “uomo di azienda” mi ha dato molte soddisfazioni e, a distanza di alcuni anni, c’è ancora un ottimo rapporto con gli altri manager.

Silenzio, parla il Temporary Manager…

Il 28 settembre scorso, nella sede di Atema a Milano, si è tenuta la consegna dei diplomi ai primi dieci Temporary Manager certificati Atema. Un’occasione per riflettere sulla figura e sulla professionalità del Temporary Manager, che Infoiva ha voluto valorizzare ponendo a ciascuno dei dieci insigniti 4 domande, le cui risposte potessero dare il senso di che cosa significa essere Temporary Manager oggi e, soprattutto, che valore porta in più la certificazione della propria professionalità. Ecco i primi due contributi dei professionisti che ci hanno voluto rispondere, Paola Pastorino e Marco Grassi.

Che cosa significa per lei essere un TM qualificato Atema?
PAOLA PASTORINO: Un valore che deriva dall’essere valutata, nelle mie competenze trasversali, da un comitato composto da persone con competenze specifiche nel dominio in esame. Competenze trasversali che riconosco essere indispensabili per ricoprire, in qualità di TM, un ruolo di rilievo e di sintesi in un moderno contesto aziendale. Un punto di partenza, una baseline che mi sia di supporto nel processo di miglioramento individuale.  Per affrontare al meglio le trasformazioni del contesto socio economico nazionale e internazionale nel quale opero. Condivido pienamente che la qualificazione abbia validità con durata definita e non illimitata nel tempo.
MARCO GRASSI: La qualificazione rappresenta anche un fattore importante di differenziazione, richiedendo la professione di Temporary Mangement una formazione della personalità più ampia rispetto alla mera competenza ed esperienza professionale di settore. Richiede quindi lo sviluppo di attitudini e peculiarità particolari, inclusa la capacità di gestire un contesto differente.

Qual è il percorso professionale che l’ha portata a diventare TM?
PAOLA PASTORINO: Sono stata segnalata in una realtà tecnologicamente evoluta, alla ricerca di un TM di comprovata esperienza/competenza. Il mio obiettivo è rilanciare l’azienda dal punto di vista commerciale sul mercato nazionale e internazionale.
MARCO GRASSI: Lo sviluppo di esperienze in diversi settori, l’attitudine al problem solving ed il desiderio di confrontarsi con sfide sempre nuove.

Qual è, a suo avviso, l’apporto che un TM può portare alla cultura aziendale in cui opera?
PAOLA PASTORINO: Sistematicità, cultura dei Processi, essere parte della soluzione, non del problema. Inoltre, best practices derivanti dall’esperienza, nuova linfa ed energia, determinazione ed entusiasmo e un buon network di conoscenze.
MARCO GRASSI: Direi anzitutto un apporto di innovazione, intesa anche come capacità di introdurre esperienze e cultura provenienti da settori e contesti differenti. Aggiungerei la capacità di effettuare valutazioni più oggettive, meno influenzate dal contesto e dalle abitudini locali.

Ci racconti la sua prima e la sua più recente esperienza come TM: in quali aziende, con quali mansioni e per quanto tempo, oltre a un bilancio dell’esperienza stessa.
PAOLA PASTORINO: Direttore Marketing e Comunicazione per due anni, in un’azienda che opera nel mondo ICT. Grazie alle attività di assessment e alla successiva focalizzazione tecnico/commerciale questa azienda ha conquistato la prima posizione sul mercato italiano per le soluzioni di Service Assurance. L’esperienza è stata molto gratificante. Ora sono VP Sales & Marketing da marzo 2010 e, oltre alle attività legate al ruolo, ho un rapporto molto stretto con l’imprenditore, sono coinvolta sistematicamente nel CdA e in attività con la comunità Finanziaria. E’ una esperienza molto arricchente.
MARCO GRASSI: Nella prima esperienza, per un fondo di private equity, si è trattato di rivedere le strategie di un gruppo industriale allineandole a un contesto competitivo in cambiamento. Successivamente ho diretto per 2 anni un comitato guida, cui partecipavano l’AD e il primo livello di management, appositamente costituito per allineare decisioni e azioni operative, inclusa la revisione dei processi di controllo di gestione per eliminare inefficienze e sprechi. In tre anni il gruppo ha recuperato redditività ed è entrato con successo in un nuovo mercato strategico.
L’ultima esperienza è stata la ristrutturazione della filiale italiana di un gruppo multinazionale del credito. L’azienda era reduce da un processo di acquisizione di aziende competitor e aveva necessità di allineare rapidamente cultura e gestione dei clienti ai nuovi processi, minimizzando le resistenze interne al cambiamento. L’incarico, per conto del board internazionale, è stato quello di affiancare il General Manager, occupato nella gestione ordinaria, gestendo il nuovo progetto in tutte le fasi, inclusa la riqualificazione del personale e l’assunzione di competenze esterne. Il progetto si è concluso con successo in meno di un anno, riorganizzando la filiale con la creazione di una nuova divisione, che ha accorpato funzioni precedentemente affidate a gruppi diversi, affidata successivamente a un manager interno.

Qualificazione dei Temporary Manager, professionisti e imprese con un valore in più

A Roma, il prossimo 22 ottobre 2010, ATEMA organizza una tavola rotonda intitolata “Qualificazione dei TEMPORARY MANAGER, professionisti e imprese con un valore in più“. Questa la presentazione del dibattito: “le libere professioni sono da sempre uno dei pilastri della vita sociale ed economica. La loro rilevanza va crescendo con l’estendersi di quella che, sinteticamente, è definita “l’economia della conoscenza”, dove il valore aggiunto è creato dalle elevate competenze specialistiche e dalla capacità di aggregarle in sistemi a rete. Questa crescita determina opportunità crescenti, ma introduce anche nuovi elementi di complessità nel rapporto fra professionisti e le altre componenti dell’economia (imprese, individui, istituzioni), aumentando nel contempo le loro responsabilità di natura generale: in particolare, con il crescere e con l’articolarsi dell’offerta e della domanda di professionalità, aumenta il bisogno della committenza di avere certezze circa la consistenza e la qualità di quanto è offerto sul mercato.
Un modo per rispondere a tale bisogno è quello di istituire, nell’ambito delle libere associazioni professionali, dei processi strutturati di attestazione delle competenze con cui i professionisti soci possano, volontariamente, documentare la propria professionalità: in questa logica ATEMA dopo oltre un anno di lavoro preparatorio, ha recentemente proposto un suo “Percorso di Attestazione delle Competenze dei Temporary Manager”e lo sta diffondendo sul mercato, sia verso i professionisti T.M. che verso i potenziali utilizzatori del Temporary Management.
Questa Tavola Rotonda è una occasione significativa per valutare, con l’ausilio dei differenti mondi che, a vario titolo, sono toccati da questo tema (i professionisti – i T.M. e gli “altri”-, le imprese, i selezionatori, e le istituzioni) se ed in che misura questo approccio sia davvero ciò di cui il mercato ha bisogno, come accrescerne l’efficacia ed il valore, ed infine per individuare i limiti del sistema normativo e le comuni proposte da avanzare a tutela della professione del Temporary Manager.

Per partecipare all’evento visita la pagina dedicata

Il Temporary Management in Italia.

È difficile stimare un fenomeno di questa tipologia e forma professionale e contrattuale, soprattutto in Italia dove spesso viene confusa o volutamente assimilata ai classici contratti di consulenza o a progetto (anche per pigrizia intellettuale). È certo, però, che sempre più manager e profili di middle-low management ricorrono alla soluzione di temporary management come stimolo alla domanda consulenziale da parte delle aziende. Il temporary manager trova i propri natali nei paesi anglosassoni e migra nei Paesi Europei sotto forme ed interpretazioni diverse.

In Italia il temporary management si è affermato nel tessuto economico in modo estremamente lento e silenzioso, rimanendo relegato ad una nicchia di servizio paragonabile ad una consulenza atipica ed artigianale.

Pur essendo presente in Italia, il temporary management non ha mai raggiunto i medesimi tassi di sviluppo ottenuti negli altri paesi europei, anche a causa delle nostre peculiarità storiche, economiche, normative e culturali/imprenditoriali. Infatti, malgrado sia un termine sulla bocca di tutti, sono ancora eccessivi gli elementi di confusione che circondano questa figura: non ultima la scarsa attenzione da parte di istituti ed organizzazioni di ricerche e di analisi economiche, che non aiutano a fare chiarezza sulle dimensioni reali del fenomeno. Inoltre, l’assenza di informazioni e di comunicazioni su questa nuova forma di operatore professionale rende incerte le stime tendenziali e previsionali.

Non a caso il temporary management si configura come un’esperienza “sommersa” che vede, secondo alcune indagini, il coinvolgimento di circa 500 temporary manager (sia free lance che affiliati) a fronte di un bacino potenziale di 10.000 operatori (fonte Federmanager).

Volendo ricorrere alle poche organizzazioni italiane di categoria (tra le quali l’ATEMA), è possibile delineare e dare un più concreto contorno alle figure di temporary manager presenti nel nostro Paese: essi sono per lo più dirigenti o gestori (manager) qualificati o con competenze specialistiche di funzione in grado di svolgere progetti di carattere imprenditoriale anche di natura interfunzionale e internazionale.

Gli ambiti di applicazioni in cui i temporary manager sono strutturalmente chiamati a operare sono principalmente aree di intervento risolutivo in crisi aziendali e/o sostitutive (ad interim) di vuoti manageriali in azienda, oppure in fasi iniziali di sviluppo del mercato o di business.

Desidero citare una recente ed esaustiva indagine conoscitiva sul tema, una delle poche in Italia, condotta nel 2007 dal Gruppo Intersettoriale dei Direttori del Personale (GIDP/HRDA) che analizza il grado di conoscenza e utilizzo che le imprese fanno del temporary management. L’indagine è stata condotta su un campione di circa 114 direttori del personale ai quali sono state rivolte domande sul grado di conoscenza e utilizzo del temporary management, sul loro riscontro di soddisfazione nelle performance ottenute, sulle criticità e difficoltà affrontate.

L’esito dell’intervista ha indicato come l’86% del campione affermi di conoscere già il temporary management ma solo un 14% sostiene di averlo utilizzato almeno una volta. Questa dicotomia lascia ahimè pensare che gli intervistati affermino di conoscere il fenomeno per pura “arroganza” intellettuale e che non sappiano proporre all’interno, prima, e utilizzare al meglio, dopo, lo strumento del manager temporaneo.

L’indagine ha dimostrato che le figure di temporary manager sono impiegate in due momenti ben scanditi della vita aziendale: quelli di crisi e di sviluppo/incertezza:

 

In riferimento agli interventi per funzione, il temporary management è impiegato, in ordine di importanza, su progetti inerenti casi di riorganizzazione di funzioni del personale, amministrazione finanza e controllo, funzioni di produzione, sostituzione di vuoti manageriali. A questi si vanno ad aggiungere aggiunti ulteriori progetti che impattano sulla sfera strategica dell’azienda e sul potenziamento del fatturato e/o riposizionamenti di mercato (business development e blu ocean strategy). L’inserimento temporaneo in organico di tali figure ha una vita media non superiore all’anno, anche se in alcuni casi il loro ruolo può essere esteso ai due anni.
L’indagine ha anche illustrato come il 30% degli intervistati abbia valutato da discrete a molto buone le prestazioni dei temporary manager in ordine al risultato dei progetti. L’ultima parte dell’indagine ha analizzato le possibili cause della bassa diffusione dei temporary manager in Italia adducendole alle seguenti indicazioni: “non conoscevo il servizio”, “tempi di reazione troppo lunghi”, “non ho trovato una società di temporary management adeguata”, “prezzo del servizio troppo alto”, “non ho trovato il temporary manager adatto”.

In arrivo il “pedigree” per il Manager in affitto.

Il temporary management è un fenomeno che un po’ alla volta si sta diffondendo in tutta Europa, forse anche a causa di una crisi economica che talvolta spinge le piccole e medie imprese a fare a meno di manager a tempo indeterminato.

Chi esercita questa professione è solitamente un esperto del business management, dello start-up d’azienda. Un professionista che mette la propria esperienza e capacità di analisi e gestione strategica al servizio delle aziende per brevi periodi di tempo per gestire l’accelerazione del cambiamento e dell’innovazione. In Italia è stata fondata anche un’associazione per questa nuova categoria professionale: Atema, presieduta dalla Dott.ssa Paola Palmerini.

Proprio l’associazione Atema, nei giorni scorsi ha promosso una certificazione di qualità per i Temporary Manager, creando una sorta di bollino blu per garantire le competenze e le capacità dei professionisti ed aiutare in questo modo le aziende nella scelta, vista l’abbondanza di manager che si propongono di gestire o risolvere problemi aziendali.

Nella valutazione promossa dall’Associazione verranno tenuti in considerazione tolleranza allo stress, autoefficacia, autonomia, leadership, adattabilità. Inoltre la certificazione indicherà la “specialità” del professionista, destinandolo al ruolo che più gli si addice, si tratti di start-up o rilancio e sviluppo d’impresa.