Il governo amico delle imprese? Ma va’ là!

E per fortuna che questo avrebbe dovuto essere il governo che avrebbe favorito la ripresa… Chiedetelo alla Cgia di Mestre e vedete che cosa vi risponderanno.

Vi risponderanno con uno studio, che hanno effettuato mettendo a confronto gli effetti economici che aggraveranno il carico fiscale e contributivo delle imprese con quelle, invece, che ne alleggeriranno il peso: risultato, il saldo, nel triennio 2012-2014, sarà positivo. Il che significa che le imprese italiane si troveranno a pagare quasi 5,5 miliardi di euro in più. Un risultato che si ottiene sottraendo dai 19 miliardi di tasse e contributi introdotti dal Governo Monti, i circa 13,6 miliardi di euro di alleggerimento fiscale che l’Esecutivo praticherà nel triennio considerato.

Analizzando dapprima gli aumenti di imposta, la Cgia ha sottolineato come il 2012 è l’anno dell’IMU: rispetto all’ICI, il prelievo medio per i negozi e i laboratori risulta mediamente raddoppiato, mentre per i capannoni (categoria catastale D1) si registrano incrementi di imposta che superano il 60%. Oltre all’IMU, nel 2012 sono aumentate dell’1,3% anche le aliquote contributive INPS a carico degli artigiani e dei commercianti.

Nel 2013, poi, entrambi i prelievi subiranno ulteriori aumenti. Rispetto all’ICI, con l’IMU il prelievo sui capannoni aumenterà di circa l’80% a causa dell’aumento del coefficiente per la determinazione della base imponibile, che passa da 60 a 65. Le aliquote previdenziali, invece, subiranno un ulteriore aumento dello 0,45% sino a portare nel giro di qualche anno l’aliquota di questi lavoratori autonomi al 24%.

Sempre nel 2013 le imprese faranno i conti con la riduzione della deducibilità dei costi per le auto aziendali che il fisco non riconoscerà più nella misura del 40%, ma del 27,5%. Una misura che interessa circa 7 milioni di automezzi.

Infine, per quanto riguarda la tassa sui rifiuti, che si chiamerà TARES, bisognerà versare al Comune una maggiorazione pari a 0,3 euro al mq che i Sindaci potranno aumentare sino a 0,4 euro. Gli imprenditori dovranno quindi pagare questa maggiorazione anche sulla superficie degli immobili destinati all’attività commerciale/produttiva. Secondo la Cgia, che queste misure varranno circa 5 miliardi di euro nel 2012, che diventeranno quasi 6,7 nel 2013 per salire a 7,3 nel 2014. Pertanto, nel triennio 2012-2014 le maggiori tasse e contributi a carico delle imprese saranno pari a poco più di 19 miliardi di euro.

Le più penalizzate dal pacchetto di misure introdotte dal governo Monti – sostiene il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussisaranno le micro imprese: in particolar modo quelle senza dipendenti che non potranno avvalersi degli sgravi Irap previsti per i dipendenti e dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica), visto che per le aziende in contabilità semplificata non potranno applicare quest’ultima misura. Se si considera che il 75% degli imprenditori individuali lavora da solo, si può affermare che gli artigiani e i commercianti che non hanno dipendenti subiranno dei forti aumenti di tassazione non ammortizzati dagli sgravi previsti dal Salva-Italia“.

La Cgia ha poi analizzato misure a vantaggio delle imprese. Sempre nel triennio preso in esame, sono stati introdotti dei provvedimenti a favore delle imprese: l’ACE (Aiuto alla Crescita Economica); la deducibilità dell’IRAP (relativa al costo del lavoro) dalla base imponibile IRPEF e IRES; l’aumento delle deduzioni forfettarie (dalla base imponibile) IRAP se tra il personale dipendente vi sono donne o giovani di età inferiore a 35 anni.

Un pacchetto di misure che vale poco più di 2,5 miliardi nel 2012, 5 miliardi nel 2013 e quasi 6 miliardi nel 2014. Nel triennio 2012-2014, l’alleggerimento fiscale sull’intero mondo imprenditoriale sarà pari a quasi 13,6 miliardi di euro.

Il saldo tra aggravi e sgravi penalizzerà il mondo imprenditoriale per oltre 2,4 miliardi nel 2012, 1,6 miliardi nel 2013 e quasi 1,4 miliardi nel 2014. Nel triennio, quindi, il peso fiscale sulle imprese crescerà di quasi 5,5 miliardi di euro.

Conclude Bortolussi:Pur riconoscendo che questo Governo ha dimostrato in più di una occasione di avere una certa sensibilità nei confronti delle piccole imprese – grazie all’approvazione del decreto per il pagamento dell’Iva per cassa, i 6,7 miliardi messi a disposizione alla Pubblica amministrazione per pagare i fornitori o la riduzione del versamento dell’acconto Irpef relativo al 2011 – la situazione generale è tale che difficilmente le imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, potranno superare questo triennio con un carico fiscale aggiuntivo di questa portata. Non possiamo sperare di rilanciare l’occupazione e in generale l’economia se penalizziamo soprattutto le piccole imprese che costituiscono il tessuto connettivo della nostra economia“.

Giro di vite sulle auto aziendali

La riforma del lavoro ha colpito duro sulle auto aziendali, che dal 2013 saranno deducibili solo al 27,5, contro il 40% attuale.

Il giro di vite, dunque, continua, anche se non colpirà i contribuenti minimi, che continueranno a dedurre il 50%. Non è, questa, una novità, considerando che già nel Testo unico sulle imposte dei redditi del 2008 era stato stabilito di non far applicare ai soggetti minimi alcuna regola, prevista invece per gli altri contribuenti.

A questo proposito, il testo unico è chiaro: a prescindere dalle disposizioni del TUIR, le spese di acquisto e di gestione dei beni a uso promiscuo possono essere dedotte nella misura del 50% del relativo corrispettivo comprensivo dell’IVA per la quale non può essere esercitato il diritto alla detrazione.

In particolare per le auto non è applicabile neppure il limite del costo di acquisto pari a 18.075,99 euro per gli altri regimi fiscali.

Vera MORETTI

Incentivi alle auto ibride dal Decreto Sviluppo

Il 25 luglio scorso è stato approvato, alla Camera, un emendamento al Decreto Sviluppo, e in attesa dell’approvazione definitiva al Senato, che prevede uno stanziamento 210 milioni in tre anni di cui 150 come bonus fino a 5000 euro per l’acquisto di auto elettriche o ibride a basse e bassissime emissioni di c02.

Il 70% di questo importo è rivolto alle sole auto aziendali o destinate al servizio pubblico, previa la rottamazione della vecchia auto.
Ci saranno poi altri 20 milioni che annualmente saranno destinati ad un Piano Nazionale complessivo con l’obiettivo di diffondere i nuovi veicoli coinvolgendo le istituzioni locali per favorire la realizzazione delle infrastrutture necessarie, in primo luogo le colonnine per la ricarica, e la regolamentazione dei piani territoriali e di norme edilizie, oltre all’incarico all’ autorità per l’energia di prevedere tariffe agevolate dell’energia elettrica.

Questo emendamento, che vuole favorire la diffusione e lo sviluppo di auto ibride, tende alla “realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica e la sperimentazione e la diffusione di flotte pubbliche e private di veicoli a basse emissioni complessive, con particolare riguardo al contesto urbano, nonché l’acquisto di veicoli a trazione elettrica o ibrida.

Per arrivare a ciò, occorre muoversi in direzioni diverse:

  • previsione di disposizioni legislative regionali entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, in regola con le disposizioni europee ed internazionali, ed adeguamento delle normative locali di pianificazione territoriale. Si affida inoltre l’incarico all’Autorità per l’energia per la definizione di criteri e tariffazione specifica per l’uso dell’energia elettrica nel settore della mobilità urbana.
  • istituzione del Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica contenente “ le linee guida per garantire lo sviluppo unitario del servizio di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica sul territorio nazionale,” finanziato da un fondo di 70 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013,2014,2015 istituito con questo emendamento presso il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti .
  • Stanziamenti per la ricerca, finalizzati alla progettazione dei dati e dei sistemi interconnessi necessari per supportare le reti locali delle stazioni di ricarica; alla valutazione delle problematiche esistenti e dei probabili sviluppi futuri relativi agli aspetti normativi e commerciali delle reti infrastrutturali; allo sviluppo di soluzioni per l’integrazione e l’interscambio tra dati e sistemi delle stazioni di ricarica e delle unità di bordo con piattaforme di infomobilità per la gestione del traffico in ambito urbano; alla ricerca sulle batterie ricaricabili.

Il fondo incentivi di 50 milioni per il 2013 è composto da 15 milioni di euro per acquisto di auto con emissioni fino a 95g/km suddivisi in: 9 milioni (70 % del fondo) destinati allo svecchiamento del parco auto per uso di terzi o auto aziendali e richiede la contestuale rottamazione di un veicolo di almeno 10 anni di vita; 6 milioni (30 %) per tutte le categorie senza necessità di rottamazione di un vecchia auto; 35 milioni esclusivamente per veicoli aziendali o destinati all’uso di terzi con emissioni di CO2 non superiori ai 120g/km ,con contestuale rottamazione di auto immatricolate da almeno 10 anni.

A coloro che approfitteranno di questi incentivi, verranno riconosciuti sconti del 20%, fino ad un massimo di 5.000 euro, per i veicoli a basse emissioni complessive che producono emissioni di CO2 non superiori a 50 g/km; 20% del prezzo di acquisto, fino ad un massimo di 4.000 euro, per i veicoli a basse emissioni complessive che producono emissioni di CO2 non superiori a 95 g/km; 20% del prezzo di acquisto, fino ad un massimo di 2.000 euro, per i veicoli a basse emissioni complessive che producono emissioni di CO2 non superiori a 120 g/km.

Il bonus è valido anche per gli anni 2014 e 2015, anche se la percentuale dovrebbe scendere al 15%.
Per quanto riguarda l’acquisto da parte delle imprese, le regole per la rottamazione sono piuttosto ferree.
A questo proposito, infatti, la macchina vecchia deve essere della medesima categoria del veicolo nuovo, essere intestate da almeno 12 mesi allo stesso soggetto o ad uno dei suoi famigliari .

Vera MORETTI

Iva detraibile sulle auto aziendali a uso promiscuo solo se inerenti all’attività

L’Iva sulle auto aziendali a uso promiscuo è detraibile solo se è dimostrata l’inerenza con l’attività d’impresa. Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza 11943 del 13 luglio. La Corte ha così accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società che aveva chiesto il rimborso per l’Iva versata in occasione dell’acquisto di automezzi utilizzati dai dipendenti.

Il fatto
La vicenda concerne il silenzio–rifiuto opposto dall’ufficio finanziario sull’istanza di rimborso dell’Iva versata da una Spa per l’acquisto di alcuni automezzi dati in uso ai propri dipendenti.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, con esito confermato anche in secondo grado. La Commissione regionale riteneva, in particolare, la fondatezza del diritto al rimborso sulla base della dichiarata illegittimità della norma relativa all’articolo 19-bis, lettere c) e d), Dpr 633/1972 (trattasi dell’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di veicoli stradali a motore nonché all’acquisto o all’importazione di carburanti e lubrificanti destinati ad aeromobili, natanti da diporto e veicoli stradali a motore), per contrasto con l’ordinamento comunitario e con l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia Ce (sentenza causa C-228/05 del 14 settembre 2006). Sempre ad avviso della Commissione del riesame, nella richiesta del rimborso si appalesava corretto l’operato della società, che aveva provveduto alla fatturazione con applicazione del tributo Iva con percentuale del 100% per le autovetture concesse in uso promiscuo ai dipendenti, e con la percentuale forfettaria del 30% per quelle concesse ai dirigenti. L’ente impositore produceva ricorso per cassazione contestando – per violazione degli articoli 19 e 19-bis, comma 1, del Dpr 633/1972 – il fatto che era stata riconosciuta la spettanza del diritto al rimborso prescindendo dalla dimostrazione dell’inerenza dei beni con l’attività d’impresa esercitata dalla società.

La decisione
La Corte suprema, decidendo la vertenza, ha ritenuto fondate le censure dell’Amministrazione finanziaria, affermando che, in tema di Iva, ai sensi degli articoli 4, secondo comma, n. 1, e 19 del Dpr 633/1972 (e anche alla luce della VI direttiva, la 77/388/Cee), in ordine agli acquisti di beni e in generale alle operazioni passive, occorre sempre accertare ai fini della detraibilità “che ricorra l’effettiva inerenza all’esercizio dell’impresa” (cfr Cassazione 11765/2008 e 7344/2011), cioè il loro compimento in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, senza, tuttavia, che sia richiesto il concreto esercizio dell’impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche nel caso di assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività meramente preparatorie, quali la ristrutturazione di un immobile, purché finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (cfr Cassazione 8583/2006 e 1863/2004). Per tutte le operazioni passive, infatti, occorre accertare di volta in volta che ricorra l’effettiva connessione con le finalità imprenditoriali.

Tali principi rimangono validi – sottolinea la Cassazione – anche successivamente alla riferita sentenza della Corte di giustizia del 2006, con la quale si è, tra l’altro, affermato che il diritto alla detrazione costituisce parte integrante del meccanismo dell’Iva e, in linea di principio, si è attribuito al contribuente un diritto che può essere soggetto alle sole limitazioni stabilite dalla VI direttiva. Ne consegue, che l’adozione di misure derogatorie in violazione del diritto comunitario non è opponibile da parte dell’Amministrazione finanziaria dello Stato membro nei confronti del soggetto passivo, al quale è riconosciuto il diritto di computare il proprio debito Iva verso l’Erario conformemente al disposto dell’articolo 17 della VI direttiva.

Pertanto, il giudice di legittimità ha ritenuto che, nel caso in esame, la sentenza impugnata non abbia fatto applicazione dei detti canoni ermeneutici, laddove ha rigettato l’appello dell’Amministrazione finanziaria senza alcuna approfondita valutazione circa l’inerenza dei beni rispetto all’attività d’impresa. In tale contesto il giudice del riesame ha, peraltro, erroneamente determinato, ai fini della detrazione Iva, la quota di utilizzo personale forfettaria nella misura del 30% ai dirigenti, in violazione, oltre che della surrichiamata norma Iva, anche dell’articolo 48, comma 4, del Dpr 917/1986.

Infatti, gli automezzi diffusamente impiegati nell’attività d’impresa e di lavoro autonomo possono essere utilizzati anche per fini privati. Per questi motivi la normativa sull’Iva, al fine di evitare facili e possibili abusi, prevede oggettive e soggettive limitazioni al diritto di detrazione del tributo assolto in rivalsa per l’acquisto, manutenzione e gestione degli automezzi. Tali limitazioni, di conseguenza, producono effetti in sede di cessione, concessione in uso a terzi o personale dell’automezzo.

Federauto contro il finanziamento delle auto aziendali

Federauto entra a gamba tesa contro l’ipotesi di finanziare la riforma del mercato del lavoro attraverso l’inasprimento fiscale sulle auto aziendali. E’ incomprensibile che si vogliano ancora attaccare gli autoveicoli, gli automobilisti e ora anche i parchi auto aziendali. Il tutto in uno scenario di forte recessione del mercato auto italiano.

Federauto fa presente che circa un mese fa, per la seconda volta in due anni, ha presentato ad esponenti del Governo un piano organico e triennale per il sostegno della domanda. Questo alla luce del fatto che l’automotive, nel nostro Paese, è un asset fondamentale e imprescindibile fatturando l’11,4% del PIL, contribuendo al gettito fiscale nazionale per il 16,6% e impiegando, con l’indotto allargato, 1.200.000 addetti.

In particolare, proprio sulle auto aziendali, Federauto ha richiesto di parificarne la fiscalità ai principali mercati europei. L’attuale situazione italiana prevede una quota ammortizzabile e detraibile del 40%, contro il 100% dei maggiori Paesi UE . Oltre a ciò Federauto proponeva un ammortamento anticipato da 4 a 2 anni, per le vetture, e da 5 a 3 anni, per i veicoli commerciali.

“E’ assurdo, inconcepibile, che in un mercato auto in una recessione eccezionale si pensi di inasprire la fiscalità delle auto aziendali per finanziare la riforma del lavoro. Il Governo deve reperire fondi per finanziarla? Suonate a un altro indirizzo, noi abbiamo già dato”. Questo il primo commento di Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che raggruppa i concessionari ufficiali di tutti i marchi commercializzati in Italia di auto, veicoli commerciali, veicoli industriali e autobus, che aggiunge: “Il nostro settore è sotto il livello di sopravvivenza sia per la componentistica sia per la distribuzione. Così verranno bruciati centinaia di migliaia di posti di lavoro. L’aumento dell’IVA, dell’imposta provinciale di trascrizione, delle accise sui carburanti, dei pedaggi autostradali e dell’RCA ci sta distruggendo. Stiamo ammazzando la domanda e, di conseguenza, l’intera filiera dell’automobile. Ad ogni modo non possiamo accettare questa impostazione e tutte le Associazioni del settore sono pronte a far sentire la propria voce in Parlamento. Questo provvedimento sarebbe ingiusto e profondamente iniquo.”

Aggiunge Enzo Zarattini, presidente dell’Associazione Concessionari Italiani Bmw: “Se anche le auto acquistate dalle aziende, già svantaggiate rispetto all’Europa, pagheranno un ulteriore dazio, il mercato si contrarrà ulteriormente provocando danni incalcolabili.”

Completa Adolfo De Stefani Cosentino, presidente dei concessionari Mercedes: “La minore deducibilità allontanerà ancora di più l’Italia dal panorama europeo cui spesso ci si riferisce per indicare comportamenti o legislazioni virtuose. Rammento che in Germania la quota ammortizzabile è pari al 100%, a fronte del 40% fino ad ora previsto in Italia. La detraibilità dell’IVA è pari al 100%, con una riduzione al 50% per i professionisti. Sono dati di riferimento indicativi di un approccio totalmente diverso dal nostro e che porta le immatricolazioni annuali di auto intestate a società a pesare per quasi il 40% su un mercato di circa 3,8 milioni.”

Federauto lancia quindi un appello al Governo: se non volete equipararci all’Europa, almeno lasciate tutto come sta.

Fonte: agenparl.it