Detrazione parcella avvocato? Solo a fine procedimento

Per come va il nostro Paese, a molti è capitato prima o poi di aver bisogno di un avvocato, con le conseguenti spese legali. E in molti hanno pensato di poter detrarre le spese dell’avvocato in dichiarazione dei redditi.

La cosa si può fare, ma a una condizione. La spesa per la parcella dell’avvocato diventa detraibile solo all’emissione della sentenza che rende il giudizio definitivo o all’esaurimento dell’incarico professionale. Lo ha stabilito la Cassazione.

Il pronunciamento della Suprema Corte sulle spese dell’avvocato riguarda il caso di una società che aveva detratto le spese legali durante un esercizio nel quale la causa era ancora in corso. A fronte di questo l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la competenza, ordinando il recupero dell’imposta.

Come da prassi, l’azienda si è opposta e ha vinto la causa sia in primo, sia in secondo grado, con i giudici che affermavano che l’ avvocato ha diritto al compenso indipendentemente dall’esito della causa.

Le Entrate non hanno mollato l’osso e hanno portato il contribuente in Cassazione, sostenendo la violazione del principio della competenza.

Gli ermellini hanno accolto il ricorso e dato ragione alle Entrate, sostenendo che se la controversia legale è ancora in corso, il pagamento della fattura all’ avvocato non può essere portato in detrazione.

È stato infatti stabilito il principio di diritto secondo cui la spesa dell’ avvocato va considerata sostenuta quando la prestazione professionale è condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico.

La Giornata Europea dell’Avvocato

Forse non tutti lo sanno, ma oggi, 10 dicembre, è la Giornata Europea dell’Avvocato, proclamata dal Ccbe, l’organo di rappresentanza degli Ordini forensi nazionali a Bruxelles, in concomitanza con la ricorrenza della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, stipulata il 10 dicembre 1948 a Parigi, e con la Giornata mondiale dei diritti umani, istituita dall’Onu il 10 dicembre 1950.

In occasione della Giornata Europea dell’Avvocato, le avvocature del continente discutono con i cittadini, le istituzioni nazionali e tra di loro di temi sensibili per la professione, dal punto di vista della sua funzione sociale di garanzia e tutela dei diritti dei cittadini.

Quest’anno la Giornata Europea dell’Avvocato è dedicata al diritto di espressione dei cittadini e degli avvocati. In tutte le capitali europee, avvocati, cittadini e istituzioni si confrontano sulle opportunità e gli ostacoli che in questa società sempre più interconnessa derivano al diritto di ciascun cittadini di esprimere in libertà le proprie idee e la propria identità.

In Italia, il Consiglio Nazionale Forense ha organizzato, in occasione della Giornata Europea dell’Avvocato, diverse iniziative fruibili anche tramite il sito istituzionale a partire dalla homepage.

Dalle 16.30 si svolgerà nella sede amministrativa del Cnf un evento durante il quale, alle 18, il Consiglio Nazionale Forense si collegherà in videoconferenza con il Conseil National des Barreaux francese, per sancire e testimoniare la vicinanza e la condivisione dei valori tra le avvocature europee.

Questo il programma dell’evento organizzato in occasione della Giornata Europea dell’Avvocato:

SALUTI INTRODUTTIVI

Pierre Olivier Sur, Presidente del Barreau di Parigi

INTERVENTI

Patrizianna Sparacino-Thiellay, Ambasciatrice di Francia per i Diritti dell’Uomo

Pascal Eydoux, Presidente del Conseil National des Barreaux

Andrea Mascherin, Presidente del Consiglio Nazionale Forense

 

Lancio dell’osservatorio internazionale degli avvocati in pericolo

 

INTERVENTO

Robert Badinter, Presidente onorario dell’Osservatorio (Avocat, ex Ministro della Giustizia francese)

 

Minuto di silenzio in memoria di Tahir Elçi, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Diyarbakir

 

Lettura di un testo inviato dall’Ordine turco di Dyarbakir

 

INTERVENTI

Donald Hernandez, Difensore dei Diritti dell’Uomo in Honduras

Fatimata Mbaye, Difensore dei Diritti dell’Uomo in Mauritania

Jacques Bouyssou, Segretario della Commissione internazionale del Barreau di Parigi

Dentista foggiano accusato di evasione fiscale

Anche se il dente duole, spesso si cerca di rimandare l’appuntamento dal dentista finchè proprio non è necessario. E non si tratta solo di paura del trapano e dell’anestesia, ma, soprattutto, del momento in cui bisogna passare alla cassa.

Non sono mai spiccioli, quelli che si spendono dopo una seduta odontoiatrica, e purtroppo la stagione dei saldi, in questi casi, non arriva mai.
A meno che non si sia disposti a rinunciare alla fattura, valida anche al momento della dichiarazione dei redditi, e si paghi in nero il lavoro del medico.

Se, in un primo momento, sembra di aver fatto una buona cosa, perché, per una volta, il portafogli non si è svuotato del tutto, riflettendoci alla distanza ci si rende conto che chi ne ha maggiormente beneficiato è proprio lui, il dentista.

Grazie a chi accetta di non ritirare la dovuta fattura, infatti, il dottore potrà dichiarare un fatturato più basso e pagare meno tasse.

Si tratta di un’usanza piuttosto praticata dai medici che lavorano in studi privati, e in particolare tra gli odontoiatri.
L’ultimo, in ordine di tempo, ad essere stato smascherato, è un dentista di Manfredonia, in provincia di Foggia, per il quale la Guardia di Finanza di Foggia ha scoperto un’evasione fiscale di 1 milione di euro, frutto di dichiarazioni dei redditi falsificate relative agli ultimi cinque anni.

Nell’ambito della stessa indagine, che riguardava una serie di professionisti della regione, le Fiamme Gialle hanno individuato anche un avvocato ed un commercialista, rei di aver evaso al Fisco, rispettivamente, 3,5 milioni e 6,4 milioni di euro.

Vera MORETTI

Franchisee sì, ma preparati

di Davide PASSONI

Fare franchising non può essere un lavoro come un altro. Anche a livello di normativa è bene infatti conoscere alcune peculiarità proprie del mercato e delle dinamiche che regolano il rapporto tra franchisor e franchisee. Ecco perché Infoiva ha sentito un avvocato esperto in materia, l’avvocato Nicola Ferrante: per farsi raccontare l’abc legale del novello franchisee.

In un mercato del lavoro ingessato come quello italiano, l’apertura di un franchising è un’opportunità interessante?
L’apertura di una attività in franchising può essere sicuramente considerata una valida opportunità economica, a patto che il progetto d’impresa sia chiaro, che l’impegno economico sia ben ponderato, che l’offerta dell’affiliante sia ben definita e che il futuro affiliato abbia i mezzi per valutarla attentamente. In questi ultimi anni, oltre al franchising su mercati maturi, come l’alimentare, hanno preso piede moltissime opportunità relative a servizi internet o informatici, mercati che devono esprimere ancora le loro potenzialità.

Che cosa è utile che sappia, a livello di normativa, una persona che volesse diventare franchisee?
A livello di normativa, la legge cardine è la numero 129 del 2004 sulla disciplina dell’Affiliazione Commerciale. Questa legge mira a tutelare specialmente l’affiliato, regolando il rapporto contrattuale tra le parti e stabilendo una serie di garanzie e di obblighi a carico dell’affiliante. Inoltre, è preferibile possedere le nozioni di base sulla disciplina generale dei contratti, prevista dal nostro Codice Civile.

Un imprenditore franchisee ha obblighi legali differenti rispetto a un imprenditore che apre una propria impresa? Se sì, quali?
E’ molto importante che l’affiliato abbia conoscenza dei suoi diritti nell’ambito della sottoscrizione e dell’esecuzione del contratto di franchising. Dovrà essere dettagliata l’attività di sostegno e assistenza fornita dall’affiliante, in modo che risulti chiaro che il rischio d’impresa non sia solo a carico dell’affiliato.

Come è tutelato un franchisee rispetto a un franchisor in caso quest’ultimo fallisca o abbia particolari “rivalse” nei suoi confronti?
Per le controversie relative all’esecuzione del contratto, la legge sul franchising prevede, all’articolo 7, un tentativo di conciliazione presso le Camere di Commercio.

Che lei sappia, in Italia, è alto o basso il numero di contenziosi che oppongono franchisee a franchisor?
Purtroppo in Italia il numero di contenziosi è molto alto e questo vale anche per quelli relativi al contratto d’affiliazione commerciale. Questo perché nel nostro paese manca una cultura giuridica di base e molto spesso vengono firmati contratti, anche impegnativi, senza avere la minima idea della loro regolamentazione giuridica. Consiglio quindi, per prevenire problematiche maggiori, di avvalersi sempre dell’assistenza di professionista del settore.

Italia vs. resto del mondo: com’è la nostra normativa in materia di franchising rispetto a quelle degli altri Paesi avanzati? Migliore, peggiore…?
La disciplina Italiana garantisce alle parti un’ottima tutela. Il vero problema sta nell’applicazione del contratto e nelle parti, che dovrebbero essere sempre coscienti dei loro diritti e doveri.

Reagire alla crisi: io faccio così

Reagire alla crisi si può e si deve. C’è chi sceglie di non lasciarsi andare e trasforma il problema in una opportunità. Imprenditori costretti a chiudere che si reinventano una nuova professionalità, lavoratori che si ritrovano nel mezzo di una strada e raccolgono le loro forze per diventare a propria volta imprenditori e aprire un’attività.

La crisi è dura, ma è anche piena di casi e di storie di persone che hanno scelto di non cedere allo sconforto e all’amarezza; persone che hanno deciso che il miglior modo di rispondere alle difficoltà è quello di prenderle di petto e dire “Non ci sto“. Oggi ne raccontiamo una emblematica, quella di Giulia, per dare a tutti il segnale che vogliamo che passi: reagire si può e si deve.

Leggi l’intervista a Giulia Buggea

Ricomincio da me e divento imprenditrice

 

Nella lingua giapponese esiste un termine, Kiki, che letteralmente significa ‘rottura di equilibrio statico‘, ma che volgarmente viene tradotto con ‘crisi’. Una parola che rieccheggia sempre più spesso nei giornali e nelle conversazioni di chi, imprenditori e non, si trova a fare i conti con il lavoro che non c’è più, il rischio del fallimento o del licenziamento. Ma se il primo Ki esprime il concetto di ‘rischio’, il secondo Ki traduce l’idea di rottura in nuova ‘opportunità‘. Si può ricominciare davvero dopo aver attraversato l’esperienza della perdita?

Infoiva ha intervistato Giulia Buggea, ex responsabile amministrativa che oggi vive la sua ‘seconda vita’ da imprenditrice, a capo dell’azienda Studio Blu di Desio. Perchè ricominciare da capo, magari scoprendo un talento inaspettato, è sempre possibile.

Qual era la sua professione prima di diventare imprenditrice?
Sono stata responsabile amministrativa in una Sgr per circa 8 anni, poi nel 2009 ho deciso di approdare in uno studio notarile milanese. Avevo avuto da poco il secondo figlio e la prospettiva di una riduzione di orario mi faceva comodo; quindi quando mi è stato offerto un contratto di 6 ore, pur mantenendo lo stesso stipendio del posto precedente, non ho avuto esitazioni. Sono stata assunta, pur maturando qualche perplessità circa la scelta della mia assunzione perchè la contabilità in uno studio notarile è molto semplice, non richiede competenze particolari come invece una Sgr. Dopo circa un anno, è arrivato il licenziamento, preceduto da un periodo di mobbing.

Come ha reagito alla notizia del licenziamento?
Mi era già capitato di cambiare lavoro, non sono mai stata una professionista particolarmente sedentaria, ho sempre cercato di arricchire il mio curriculum a 360 gradi. Quindi il primo impatto non è stato così preoccupante, certo non mi era mai capitato prima di allora di venire licenziata, però ho incassato il colpo. La fase problematica è arrivata dopo: non avevo ancora ‘toccato con mano’ il momento socio economico di crisi che stavamo e stiamo vivendo, e mi sono sentita come schiaffeggiata. Ho pensato più volte ‘oddio il mio curriculum non interessa più a nessuno’: non capivo per quale ragione, ma, al termine di molti colloqui, seppur il ruolo che mi si richiedeva di ricoprire rispecchiava a pieno la mia professionalità, non venivo scelta perchè ero ‘troppo’. Quindi ho cercato di alleggerire il curriculum, di modificarlo, nella speranza di poter trovare un nuovo impiego.

Quale è stato invece l’impatto psicologico?
Per natura non sono una persona che si abbatte, ho un carattere piuttosto reattivo. Quello che più mi lasciava perplessa erano le cause del licenziamento, la loro futilità. Benchè mi fosse stata offerta una liquidazione di un’annualità lavorativa, ho deciso di non accettare: perchè se non sussiste una ragione valida per venire licenziata, non vedo perchè io debba accettare.

Quanto tempo è trascorso dal licenziamento all’avvio della nuova impresa?
Circa un anno di inattività.

E dopo, come si ricomincia e si decide di ‘diventare imprenditori’?
Non avrei mai e poi mai pensato di mettermi in proprio: ho sempre vissuto l’attività lavorativa, da dipendente, in modo oserei dire ‘assillante’. Pensi che la mia secondo figlia è nata il 3 gennaio, e dopo aver preso congedo per la maternità il 23 dicembre (ma solo perchè c’erano di mezzo le Vacanze di Natale!), a una settimana dal parto sono tornata al lavoro. Il mio senso del dovere nei confronti del lavoro era ossessivo. Quindi mi sono detta: se l’azienda è mia rischio di non vivere più!

Come ha mosso i primi passi da imprenditrice?
Ho deciso di prendere parte allo Start, un’iniziativa della Camera di Commercio di Monza e Brianza, che ha lo scopo di formare i nuovi imprenditori, fornendo loro attraverso corsi ad hoc le conoscenze amministrative, di marketing, di comunicazione, che sono la base per chi vuole lanciare una nuova attività. Inoltre a chi presentava il business plan più completo e convincente veniva erogato un finanziamento a fondo perduto per l’apertura della nuova attività. E sono stata fortunata, perchè l’ho vinto.

Di che cosa si occupa la sua azienda?
La mia azienda si chiama Studio Blu e si occupa della gestione del risarcimento dei sinistri assicurativi. Il mio è un ruolo da mediatore, di filtro, tra la vittima del sinistro e la compagnia assicurativa, per quanto concerne qualunque evento che genera un danno e che può essere risarcito da un’assicurazione; quindi si va dagli incidenti stradali, alle responsabilità professionali, responsabilità civile, infortuni, malattie. Tecnicamente il mediatore viene definito ‘patrocinatore stragiudiziale’, perchè se l’avvocato opera in giudizio, il patrocinatore opera in via stragiudiziale, quindi avendo un contatto diretto con il liquidatore, con il vantaggio di poter dimostrare immediatamente e direttamente gli elementi in suo possesso. Diversamente, quando ci si reca davanti ad un giudice per mezzo di un avvocato, si consegnano delle pratiche su cui il giudice delibererà in seguito. Viene da sè che la prassi in via stragiudiziale risulta molto più snella, vanta tempi più rapidi e soprattutto dal punto di vista economico è molto meno dispendiosa che affidare il sinistro ad un avvocato.

Come ha scelto di cimentarsi in questo settore?
L’ho scoperto navigando in rete, e poi è un lavoro che mi si veste addosso. E’ una professione che mi piace definire ‘utile’ e che a mio avviso non conosce crisi. Si tratta di un’attività in franchising, non è una novità assoluta per l’Italia, però sono poche le persone che ad ora si sono cimentate.

Ora che fa l’imprenditrice, teme che in futuro possa trovarsi nella situazione di dover licenziare un dipendente?
Assolutamente si. Al momento non ho dipendenti, siamo in 3 soci, ma mi piacerebbe in futuro poter offrire lavoro a qualcuno e allargare la mia attività, ma so anche che lo farò solo quando avrò la certezza di poter assumere un nuovo dipendente. Forse perché sono passata attraverso l’esperienza della perdita del lavoro, ma sono sempre più convinta che un dipendente sia la risorsa più importante di qualsiasi azienda. Un dipendente felice rende la tua azienda più florida. Dall’altra parte, le cronache dei giornali ci riportano situazioni gravi in cui gli imprenditori si trovano costretti a licenziare, e credo che in quei casi si tratti di una sofferenza da entrambe le parti, sia per chi perde il lavoro, sia per chi è obbligato a licenziare. Sono situazioni di disperazione.

Secondo lei, è corretto dire che in un momento di crisi ‘il miglior welfare è il lavoro’?
Sicuramente si. Il Governo dovrebbe incentivare le assunzioni. Da parte mia in questo momento, trattandosi di una start up, non mi trovo nella condizione di poter assumere; dall’altra parte esistono invece aziende più grandi che potrebbe assumere ma non lo fanno a causa della profonda incertezza del mercato. Se lo Stato intervenisse con sgravi sui contributi o agevolazioni sulle assunzioni, questo potrebbe essere senza dubbio un buon mordente.

Alessia CASIRAGHI

Voci dalla crisi – La burocrazia mi ha fatto fallire

La crisi morde e la burocrazia ci uccide? La soluzione, per tanti imprenditori che non vogliono darsi fuoco, è quella di chiudere baracca e burattini (o quello che ne resta, dopo le razzie del fisco) e andare all’estero.

Ecco un’altra lettera giunta in redazione. Signori professori del Governo: vogliamo dare una prospettiva a imprenditori come questi? Visto che il 95% delle nostre imprese è fatto da loro, che succede se scappano tutti dall’Italia? Sveglia!!

Questo è un brutto periodo, da diversi anni ormai le piccole imprese soffrono, nessun aiuto, tasse sempre più soffocanti, poco lavoro data la crisi e banche che voltano le spalle e una burocrazia che può uccidere. Certo è più facile, anche se difficoltoso, per chi ha una liquidità propria.

Questo è il mio spirito, sono una donna di 47 anni nata e cresciuta nell’imprenditoria; dai miei ricordi di crisi ne ho viste e come mi ha insegnato il mio babbo (imprenditore) ci si rialza e si va avanti, magari rimettendosi in gioco, avendo il coraggio di cambiare settore. L’azienda del mio babbo è passata da sas a snc poi srl e ora da diversi anni è una spa. Gli è andata bene, i tempi erano diversi e sicuramente era più facile allora per una azienda crescere. Ho sempre avuto davanti a me un bell’esempio di imprenditoria fatta di testa, mani e passione.

Per me non è andata così… Ho aperto anch’io una piccola azienda nel settore alimentare con le mie sole forze, mettendo in ipoteca la mia casa per ottenere un mutuo che prontamente ho saldato tutto nel giro di quattro anni per poter acquistare macchinari per l’azienda. Nonostante il lavoro massacrante per gli orari, la fatica a gestire contemporaneamente lavoro e contabilità, sono riuscita ad assumere personale. Contenta di come andava avanti e avendo ottenuto bilanci in attivo, decisi di trasferire l’azienda in un’altra regione, avevo bisogno di più spazio (lo spirito imprenditoriale è quello di crescere). Non l’avessi mai fatto!

Mi sono scontrata con una burocrazia che dire lenta è poco….E questa purtroppo mi ha sotterrato. Da ottobre a maggio dell’anno successivo non sono riuscita ad aprire attività grazie all’asl. Lenta a rilasciare permessi con un sacco di documentazioni e planimetrie fatte fare da un geometra. Ho scoperto lì un nuovo mondo… aprire un’impresa non è uguale in tutte le regioni. Ho chiesto nel frattempo nuovi finanziamenti alla banca: mi sono stati rifiutati. Ho cercato di informarmi per finanziamenti all’imprenditoria femminile e lì c’è stato da “ridere”.

Esiste un ufficio a Roma (ho telefonato lì) che si occupa proprio di questo e mi dicono che non ci sono finanziamenti. Eppure l’ufficio c’è. con dei dipendenti, pagati pure. Sono riuscita con un piccolissimo finanziamento dalla Confcommercio a tirare avanti ancora per un po’ e pagare le aziende che hanno lavorato per la messa in opera di tutta l’impiantistica dell’azienda. Ho dovuto litigare con l’asl perché aveva le mia richiesta con tutti i documenti allegati ferma in una scrivania insieme ad un faldone di domande e chissà quando l’avrebbero presa in mano. Ho aperto con tutta la mia forza e voglia di continuare il mio lavoro interrotto l’anno prima, ma non è bastato, è servito a poco e nulla. Dopo pochi mesi ho dovuto chiudere, avevo perso in quel periodo lungo di chiusura troppi soldi. Avevo perso tutto. Riaprirò, non più in Italia ma all’estero.  (Lettera firmata)

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Avvocatura italiana per la ripresa economica

“Sono tante le ragioni, economiche e giuridiche, che spingono l’avvocatura italiana a sostenere il progetto della Commissione europea di un regolamento che introduca una disciplina comune europea nei contratti di vendita (cosiddetto Cesl). Una disciplina uniforme nei 27 paesi Ue favorirà gli scambi transfrontalieri promuovendo le esportazioni delle piccole e medie imprese e la crescita economica. I professionisti italiani, e gli avvocati innanzitutto, potranno ampliare le opportunità di business anche all’estero; i consumatori, di solito i contraenti deboli, potranno avvantaggiarsi di una tutela rafforzata anche rispetto alle singole situazioni nazionali, circostanza a cui i legali italiani sono sensibili. Gli aspetti critici, pur esistenti, non devono distogliere l’attenzione dall’obiettivo di tagliare il traguardo di un codice civile europeo”.

Il vicepresidente del Consiglio nazionale forense Ubaldo Perfetti ha ribadito oggi, intervenendo al seminario “The proposed Common european sales law-the lawyers’ view” organizzato insieme con il CCbe (la rappresentanza degli Ordini forensi europei) l’adesione dei legali italiani al progetto Ue di regole uniformi per disciplinare i contratti di vendita. L’incontro si inserisce in una serie di attività promosse dal Cnf e dal suo presidente Guido Alpa, che ritiene opportuno il progetto di armonizzazione del diritto europeo per superare il monopolio giuridico della common law nel diritto commerciale, in vista di una maggiore concorrenza a favore delle imprese e dei professionisti italiani. E proprio da Alpa è venuto l’invito a superare gli ostacoli tecnici in vista di un obiettivo più prezioso.

Al seminario sono intervenuti la presidente del CCbe, Marcella Prunbauer-Glaser, il capo dell’unità Diritto dei contratti della Commissione europea, Dirk Staudenmayer, il vicepresidente della commissione giuridica del Parlamento europeo e co-relatore sul regolamento, Luigi Berlinguer, e avvocati e professori universitari italiani (Giuseppe Conte, Enrica Sesini), inglesi (Fergus Randolph e James Wolffe), tedeschi (Gerg Maier-Reimer), spagnoli (Pedro Portellano). Prunbauer ha sottolineato l’importante ruolo che l’avvocatura dovrà svolgere: “gli avvocati europei tradurranno i principi comuni in vantaggi per le imprese e i consumatori. Occorre svolgere un ruolo propositivo abbandonando il pregiudizio del valore assoluto delle legislazioni nazionali. D’altra parte, gli avvocati sono il primo porto di approdo per imprese e consumatori”.

“La proposta di regolamento, che introduce un diritto dei contratti di natura opzionale (cioé a scelta dei contraenti che diventa uno strumento in più rispetto alle normative nazionali), si inserisce in modo innovativo nel percorso della Conferenza di Lisbona, che ha fissato importanti obiettivi di crescita e competitività della Unione europea”, ha riferito Perfetti. “Ed è condivisibile l’obiettivo di favorire il mercato per le pmi e la tutela dei consumatori. Dal diritto comune delle vendite ci si aspetta una maggiore scelta di beni e più bassi costi, di acquisto per i consumatori, e di transazione per gli operatori economici. Il dibattito di oggi, certo, ha fatto emergere la pluralità di vedute e ben venga la disponibilità della Commissione europea a verificare i margini di miglioramento della proposta sulla base delle obiezioni tecniche” ha detto Perfetti. “L’avvocatura europea, con il CCbe, ha accolto positivamente l’iniziativa, nonostante siano state avanzate alcune riserve. Il rappresentante del Parlamento Ue, Luigi Berlinguer, ha sottolineato che la grave crisi economica potrà essere superata invece potenziando il mercato interno e questa proposta va nella giusta direzione. Occorre lavorare e collaborare insieme per individuare le soluzioni migliori per raggiungere il risultato. Il Parlamento Ue lavorerà ad alcuni emendamenti”.

Tra le questioni problematiche emerse si segnalano i dubbi sul fondamento giuridico del regolamento, su cui occorre fare chiarezza per evitare contenziosi; la previsione di condizioni generali di contratto molto estese che garantiscono elasticità ma, al contempo, espongono i contratti a diverse interpretazioni da parte dei vari giudici nazionali; l’opportuno dosaggio del livello di tutela dei consumatori, allo scopo di non diminuire i livelli di tutela nazional,i quando più elevati.
Per Staudenmayer è certo che i 3 milioni di consumatori non avranno nulla da perdere ma molto da acquistare, anche potenziando i servizi on –line. Secondo i dati della Commissione Ue, il 75% delle imprese italiane vorrebbe applicare un unico diritto europeo delle vendite nelle transazioni con consumatori di altri paesi Ue; e il 72% nei rapporti B2B.
“Perché avere paura del regolamento? I dubbi sollevati sono nella maggior parte relativi alla competenza della Ue o al metodo seguito. E dunque appaiono più di natura ideologico-strumentale che destinati ad incidere sul merito del testo. Cooperiamo tutti insieme per migliorare la situazione prendendo atto che la proposta Cesl è la soluzione più facilmente praticabile”, ha sottolineato Alpa.

Fonte: consiglionazionaleforense.it

Voci dalla crisi – Basta Italia, vado all’estero

di Davide PASSONI

Un’altra lettera, un’altra storia, un’altra voce dalla crisi arrivata alla nostra redazione. La scorsa settimana era la storia di una farmacista, partitivista per forza e, a un anno dalla pensione, obbligata a pensare di dover continuare a lavorare in nero per poter vivere.

Oggi la testimonianza di un avvocato, una professionista che per poter vivere dignitosamente e sfuggire a un Fisco carogna e ai pessimi pagatori è stata costretta a fuggire all’estero. Fuga di cervelli, fuga di professionisti, fuga per la vita… Giudicate voi. Una lettera che, nel suo essere sintetico, trasuda indignazione verso un sistema che spesso, invece di valorizzare l’intrapresa, la castiga e la obbliga a rinnegare la propria missione.

La mia storia è semplice:
– conclusa giurisprudenza a Padova nei tempi più duri, “tiro su uno studio letteralmente dal nulla”, nel senso che ho scarse conoscenze e quindi scarse segnalazioni: i clienti e la loro fiducia me le devo proprio conquistare palmo a palmo;
– il tutto dal 1998 – anno in cui mi iscrivo all’Albo Avvocati, fino a fine 2008: senza fare parcelle stellari o evocare nei clienti l’immagine dell’avidità, riesco a mantenere una famiglia, costruire una casa in campagna, comprare una barchetta e un terreno;
– poi cambia tutto: parcelle di 5000 e più euro impagate, pochissimi nuovi incarichi;
– non ce la faccio a tenere in piedi un’attività professionale, mi metto alla ricerca di un lavoro dipendente;
– mi offrono un posto di lavoro oltralpe: vado. Fortuna che inglese, tedesco e spagnolo li ho imparati e sempre un po’ parlicchiati in varie occasioni;
– duemilatrecento euro per 14 mensilità: era un po’ che non entravano questi soldi netti e aiutano decisamente a farmi sentire un po’ tranquilla;
– ho 43 anni compiuti.
Cordialità.

Un avvocato

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Donne Avvocato: per avere successo serve una formazione adeguata.

“Poiché, come tutti concordano, l’acquisizione delle pari opportunità delle donne nell’ambito delle professioni legali è, innanzitutto, un fatto culturale, il Consiglio nazionale forense ha istituito in questa ultima consiliatura, una commissione ad hoc per studiare il problema e per assumere le iniziative più adeguate”.  Così il presidente del Consiglio nazionale forense, Prof. Guido Alpa è intervenuto al convegno organizzato dal Consiglio superiore della magistratura dal titolo “Le donne nelle professioni legali di domani”, tenutosi a Roma nella scorsa settimana. Sono intervenute al convegno anche Carla Guidi, coordinatrice esterna della commissione Pari opportunità del Cnf e Ilaria Li Vigni, una delle componenti.
“La promozione culturale però costituisce solo l’avvio delle iniziative necessarie” che potranno partire dai risultati della recente ricerca promossa dal Cnf (tramite la Commissione pari opportunità) e Aiga e affidata al Censis. La ricerca ha evidenziato come le iscritte alle facoltà di Giurisprudenza e le laureate battono per numero i loro colleghi maschi. Ma una volta intrapresa la carriera di avvocato, sono gli uomini a farsi strada prima e con maggior facilità. Secondo il 67,7% delle professioniste, infatti, nell’ambito dell’avvocatura non esistono pari opportunità. Le 401 professioniste intervistate sono convinte che nell’avvocatura siano impiegate poche donne (91,1%)e che per loro esistano forme di discriminazioni (88,8%). Ammettono anche che i figli e la famiglia possono essere un ostacolo alla carriera (58,9%) ma per avere successo serve una formazione adeguata (46,3%, contro il 28,8% degli uomini) piuttosto che tanto tempo a disposizione (necessario solo per il 18,4%, contro il 30% degli uomini). Le donne avvocato vengono contattate dalla clientela per questioni che hanno a che fare con la famiglia e i minori (68,5%), con la proprietà/locazioni e condomini (55,2%), con la contrattualistica (52,1%), l’infortunistica (50,25%) o le esecuzioni (46,5%). Al contrario, un numero esiguo risulta coinvolto per quanto riguarda i reati societari (2,6%), i reati contro o i conflitti con la pubblica amministrazione. (rispettivamente il 3,8% e l’8,2%), le questioni bancarie (8%) e le società in generale (12%). Più consistente, ma sempre piuttosto ridotta, la percentuale delle donne avvocato che si occupano di fallimenti (17,1%), di reati contro la persona (18,1%) o di lavoro (27,9%). “Si vede che la materia praticate sono ancora in un certo senso viziate dal pregiudizio della minore preparazione tecnica o dalla maggiore sensibilità per temi considerati di natura femminile”, spiega Alpa.
La disparità di trattamento rispetto ai colleghi maschi passa anche attraverso una marcata asimmetria nelle retribuzioni. Sono infatti addirittura l’85,7% (ma si arriva a una percentuale dell’87% nel caso delle sposate, dell’88,5% nel caso delle associate e del 90,6% nel caso delle professioniste che esercitano nell’Italia centrale) le donne avvocato intervistate che denunciano una capacità di guadagno nettamente differente (e in generale inferiore) rispetto agli uomini. Il fattore che più contribuisce a rendere critica la condizione professionale dell’avvocatura viene individuato dalla maggioranza delle intervistate (56,7%) nel «numero crescente dei colleghi». L’insufficienza o la mancanza di risorse materiali può essere poi di impedimento per una professionista, sia pure preparata e motivata, a svolgere, se non addirittura ad avviare, la sua attività. Così al secondo posto della graduatoria dei fattori che rendono critica la condizione professionale dell’avvocatura si trova «la difficoltà a far crescere lo studio» (lo afferma il 32,7% delle intervistate) o, al quinto, «la difficoltà di aprire uno studio» (15,5%). “La parità nel mondo forense non è ancora raggiunta”, commenta Alpa.

fonte: Ufficio Stampa del Consiglio nazionale forense