Buoni spesa e benzina, rimborsi spese scuola e altre spese welfare: dove si trovano nella CU?

Molti dipendenti delle imprese ricevono benefit rientranti nel welfare aziendale. Si tratta di un insieme di utilità come, ad esempio, i buoni benzina o i buoni spesa. Oppure i pacchetti di viaggi, i rimborsi per gli abbonamenti ai trasporti pubblici o quelli per le spese universitarie o scolastiche. E, proprio nel periodo di pandemia, i datori di lavoro hanno accelerato l’utilizzo di questi bonus per massimizzare le leve fiscali dei redditi dei propri dipendenti. Tutte queste voci si trovano nella Certificazione unica (Cu) emessa dal datore di lavoro a favore dei propri dipendenti.

Premi e benefit aziendali per i lavoratori dipendenti: quali sono?

Oltre ai buoni visti in precedenza, i datori di lavoro possono utilizzare modalità alternative ai fini della detassazione dei premi di risultato. Lo consentono i commi dal 182 al 189 dell’articolo 1, della legge numero 208 del 2016 (legge di Bilancio 2016). Secondo i commi richiamati, i datori di lavoro possono, anche mediante l’intermediazione dei sindacati e in virtù di specifici accordi, riconoscere ai lavoratori alle dipendenze dei premi di risultato che vanno collegati ai migliori risultati raggiunti dall’impresa in termini di redditività, di produttività, di efficienza e di qualità, sia in riferimento agli obiettivi aziendali che a quelli individuali. Gli accordi con le sigle sindacali, inoltre, possono disciplinare le modalità con le quali i premi di risultato in danaro possano essere convertiti in una serie di beni o di servizi.

Rimborso spese del datore di lavoro ai dipendenti: cosa fare in sede di dichiarazione dei redditi?

Questi premi beneficiano della detassazione ai fini fiscali. Infatti, viene applicata una imposta sostitutiva pari al 10% al posto della tassazione ordinaria. Inoltre, è possibile che i datori di lavoro possano riconoscere ai propri dipendenti per i risultati raggiunti il rimborso totale o parziale di spese sostenute anche per i propri familiari. In quest’ultimo caso, i familiari possono procedere alla deduzione o detrazione Irpef nel momento in cui presentino la dichiarazione dei redditi. E, pertanto, i dipendenti dell’azienda, per la propria dichiarazione dei redditi, possono inserire le sole spese effettivamente a proprio carico.

Dove si trovano i rimborsi delle spese nella Certificazione unica?

Le spese che il datore di lavoro rimborsa si ritrovano nella Certificazione unica. Ovvero, ad esempio, quelle rimborsate nel 2021 si possono ritrovare nella Certificazione unica del 2022. La sezione di questi beni e servizi è quella dei “Rimborsi di beni e servizi non soggetti a tassazione” come disciplina l’articolo 51 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) ai punti 701, 702, 703, 704, 705 e 706. In questa sezione, dunque, il contribuente trova i rimborsi relativi alle spese, al di là che sia stato compilata la sezione “Somme erogate per i premi di risultato”.

Modello 730 di dichiarazione dei redditi: cosa si trova al punto 701 della Certificazione unica?

In particolare, al punto 701 della Certificazione unica il contribuente può verificare di quali benefit o rimborsi ha beneficiato nell’anno di imposta ai fini dell’Irpef. Ad esempio, nella dichiarazione dei redditi del 2022 con spese rimborsate (mediante il principio di cassa) nel 2021, si possono ritrovare:

  • nel quadro E del modello 730 di dichiarazione dei redditi le spese rimborsate nel 2021;
  • per le spese degli anni prima, ad esempio del 2020, il contribuente ritrova quelle per le quali aveva già provveduto alla detrazione nella dichiarazione dei redditi dello scorso anno; l’importo rimborsato ai fini della tassazione separata va indicato nel quadro “D” del modello 730 del 2022.

Punto 702 della Certificazione unica: quali spese sono comprese?

Nel punto 702 della Certificazione unica, il contribuente può verificare le varie spese rimborsate. Il totale di queste spese è visualizzabile al punto 704. In particolare, il datore di lavoro indica mediante codici le varie tipologie di spesa. Nel dettaglio il codice:

  • 13, riguarda le spese universitarie;
  • 15 i costi sostenuti per l’assistenza personale di soggetti non autosufficienti. Si tratta di persone che non possono compiere i normali atti della vita quotidiana;
  • 30 per i servizi a favore dei soggetti sordi;
  • 33 per le spese inerenti gli asili nido;
  • 40 per i costi sostenuti per acquistare gli abbonamenti ai trasporti pubblici. Tali spese sono sostenute sia per i trasporti pubblici locali che per quelli regionali o interregionali.

Come verificare che la spesa sia stata rimborsata a favore del lavoratore dipendente?

Per verificare che una spesa sia stata rimborsata al lavoratore alle dipendenze è necessario constatare che il datore di lavoro abbia compilato il punto 706 della Certificazione unica. Se invece il rimborso si riferisce a spese sostenute dai familiari, il campo popolato sarà quello al punto 705.

Rimborso dei contributi assistenziali e previdenziali nella Certificazione unica

Infine, il rimborso dei contributi assistenziali e previdenziali nella Certificazione unica si ritrovano al punto 703 della Certificazione unica con il codice “3” accompagnato dal codice fiscale del datore di lavoro al punto 705. Si tratta di spese sostenute a favore degli addetti all’assistenza personale di familiari non autosufficienti oppure anziani.

Benefit Metalmeccanici: entro il 28 febbraio le imprese devono provvedere

Il Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori del comparto metalmeccanici riconosce ai lavoratori benefit del valore di 200 euro. Le PMI dovranno provvedere entro il 28 febbraio 2022 a mettere effettivamente a disposizione questi strumenti. I benefit metalmeccanici dovranno essere sfruttati dai lavoratori entro il 31 dicembre 2022.

Cosa sono i benefit metalmeccanici

I benefit aziendali sono erogazioni in favore dei dipendenti da elargire attraverso denaro oppure con servizi o sconti, ad esempio bonus carburanti. L’azienda deve fornire al lavoratore diverse opzioni e tra queste il lavoratore sceglie. Rispetto ai contratti “retributivi” si tratta di misure di welfare aziendale ulteriore. I benefit non sono obbligatori, ma se il contratto collettivo nazionale del comparto lo prevede, lo diventano Nei limiti previsti dalla legge l’azienda può riconoscere ulteriori benefit ed erogarli anche solo ad alcuni collaboratori.

I lavoratori hanno un ulteriore vantaggio, infatti non sono tassabili, quindi si tratta di valori che non concorrono a determinare il reddito imponibile. Nel momento in cui sono inseriti all’interno del contratto collettivo nazionale del comparto e l’azienda aderisce a tale contratto, diventano obbligatori. Questo vuol dire che le PMI del comparto metalmeccanico dovranno obbligatoriamente provvedere entro il 28 febbraio 2022 a mettere a disposizione tali fringe benefit. Inoltre l’obbligo sarà vigente anche per gli anni 2022 e 2023. Si provvederà poi al rinnovo del contratto.

La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E/2016 sottolinea che il datore di lavoro è tenuto a predisporre dei piani di utilità che diano ai lavoratori la possibilità di scegliere tra varie opzioni. Tra le opzioni vi sono:

  • buoni spesa;
  • buoni carburante;
  • abbonamenti a trasporto pubblico;
  • abbonamenti per la frequenza di impianti sportivi;
  • mutui agevolati;
  • contributi per sanità integrativa;
  • servizi di asilo nido e per anziani.

Fringe benefit metalmeccanici: attenti alla scadenza del 28 febbraio

La prossima scadenza del 28 febbraio quindi è il termine entro il quale le singole aziende aderenti al contratto di comparto dovranno rendere noti ai lavoratori i benefit metalmeccanici tra i quali potranno scegliere.

Occorre però sottolineare che l’articolo 52 del contratto CCNL Unionmeccanica Confapi prevede che tra gli strumenti che il datore di lavoro deve predisporre c’è la destinazione del contributo alla previdenza integrativa del fondo Fondapi.

Per approfondimenti su trattamento fiscale e caratteristiche dei fringe benefit, consigliamo i seguenti articoli:

I vantaggi fiscali dei fringe benefit aziendali: panoramica

Fringe benefit aziendali 2022 dimezzati: le ultime notizie per imprese e lavoratori

Scopri i 10 benefit più richiesti nel 2021: il welfare aziendale di nuova generazione

Fringe benefit aziendali, quali sono

 

Veicoli aziendali a uso promiscuo: le tre discipline fiscali per immatricolazioni prima e dopo il 1° luglio 2020

Sono tre le discipline fiscali per i veicoli dati in uso promiscuo al personale aziendale. Per ognuna risulta indispensabile far riferimento all’immatricolazione della vettura. La data di spartiacque per rientrare nell’una o nell’altra disciplina è quella del 30 giugno 2020: per le auto o i motocicli e i ciclomotori immatricolati e assegnati entro il 30 giugno 2020, il calcolo del valore del benefit continua a essere del 30% dell’indennità dei chilometri Aci rispetto alla percorrenza media di 15 mila chilometri. A questo importo va sottratto quanto il dipendente ha dato di tasca propria per la concorrenza della spesa.

Auto aziendali immatricolate entro il 30 giugno 2020, la disciplina

Pertanto, le auto immatricolate non oltre il 30 giugno 2020 e utilizzate dai dipendenti per uso promiscuo, sia di prima assegnazione che di successiva, determinano un benefit che va calcolato in maniera analitica. In questo caso, l’azienda deve procedere con la rilevazione della percorrenza lavorativa rispetto all’utilizzo personale del veicolo.

Come si calcola il benefit dei veicoli aziendali immatricolati entro il 30 giugno 2020?

Su auto, motocicli e ciclomotori immatricolati entro la fine di giugno 2020, come specifica anche la legge di Bilancio 2020, il calcolo del benefit deve far riferimento al 30% dell’indennità dei chilometri riportati nelle tabelle Aci. Il calcolo continua a essere fatto sulla percorrenza media dei 15 mila chilometri all’anno. Dal calcolo devono essere sottratte le spese anticipate dal dipendente. La vecchiaia disciplina, confermata dalla legge di Bilancio 2020, deve essere applicata per tutta la durata del contratto di assegnazione del veicolo.

Benefit auto aziendali immatricolate dal 1° luglio 2020

Le novità sulle auto aziendali assegnate ai dipendenti per uso promiscuo riguardano le immatricolazioni dopo il 30 giugno 2020. Infatti, per vetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli la cui immatricolazione e assegnazione sia avvenuta a partire dal 1° luglio 2020, è necessario far riferimento alle emissioni di CO2 per il calcolo del benefit.

Come si calcola il benefit auto aziendale per immatricolazioni dopo il 1° luglio 2020?

Tutti i calcoli sui benefit delle auto aziendali immatricolati dal 1° luglio 2020 vanno effettuati su una percorrenza media di 15 mila chilometri annui e al netto di eventuali trattenute al dipendente. Nel considerare le emissioni, le percentuali da applicare sono le seguenti:

  • del 25% dell’importo per valori di CO2  fino a 60 g/km;
  • il 30% per valori tra 60 g/km e 160 g/km;
  • del 40% per il 2020 e del 50% per il 2021 per le auto le cui emissioni di CO2 superano i 160 g/km;
  • percentuale del 50% per il 2020 e del 60% per il 2021 per emissioni oltre i 190 g/km.

Veicoli aziendali immatricolati al 30 giugno e assegnati al 1° luglio 2020

Per i tempi a cavallo delle due scadenze, ovvero per veicoli immatricolati entro il 30 giugno 2020 e assegnati a partire dal 1° luglio 2020 è intervenuta l’Agenzia delle entrate con la risoluzione numero 46/E del 14 agosto 2020. Nel chiarimento fornito, l’Agenzia invita ad applicare i principi generali che riguardano il calcolo del reddito del lavoratore dipendente.

Calcolo del benefit per auto immatricolate nel periodo a cavallo

Pertanto, laddove il legislatore abbia stabilito un parametro forfettario per valorizzare il benefit, devono essere considerati i costi sostenuti dal dipendente. Individuando questi ultimi e sottraendoli si evita che il valore prodotto dall’auto possa concorrere a formare il reddito da lavoro del dipendente. In altre parole, è necessario che il benefit venga scorporato per la sola quota attribuibile all’utilizzo privato dell’auto da parte del dipendente.

Documentazione per spostamenti e trasferte

Il benefit per un’autovettura, immatricolata prima delle fine di giugno 2020 e data in uso promiscuo dopo questa data al lavoratore si ottiene dunque sottraendo dal valore normale l’uso lavorativo. A tal fine si devono conservare tutti i documenti inerenti agli spostamenti. Possono andar bene anche le note spese per gli spostamenti extraurbani e il registro per quelli più brevi. Nel caso in cui non fosse possibile produrre documenti su tragitti e spostamenti, potrebbe essere necessaria la valutazione dell’utilizzo esclusivo privato del veicolo.

Auto aziendale come benefit, quello che c’è da sapere

La modalità dell’assegnazione dell’auto aziendale ai dipendenti o collaboratori da parte del datore di lavoro per uso promiscuo ha importanti implicazione sulla sfera reddituale del dipendente, soprattutto di natura fiscale. Infatti, la legge di Bilancio 2020 ha modificato l’utilizzo promiscuo delle vetture aziendali, prevedendo, peraltro, anche incentivi fiscali per l’utilizzo delle auto meno inquinanti.

Auto aziendale assegnata al collaboratore per uso promiscuo

Nell’uso promiscuo il dipendente può utilizzare l’auto aziendale sia per esigenze lavorative che personali. L’assegnazione dell’auto aziendale al collaboratore per un utilizzo promiscuo genera pertanto un compenso in natura che necessità di essere valorizzato utilizzando un criterio di tipo forfettario. Tale criterio si basa sul costo a chilometro desumibile dalle tabelle nazionali dell’Aut0mobile Club Italia (Aci). Il calcolo del vantaggio per l’utilizzatore dell’auto, conosciuto come fringe benefit, si può applicare, oltre alle vetture, anche agli autocaravan, ai motocicli e ai ciclomotori.

Benefit auto aziendale prima e dopo la legge di Bilancio 2020

Prima della legge di Bilancio 2020, il benefit era calcolato nella misura fissa del 30% dell’importo corrispondente a una percorrenza convenzionale annua di 15mila chilometri. Il calcolo si basava sui costi chilometri fissati dalle tabelle annuali dell’Aci, al netto degli eventuali importi trattenuti al dipendente come contributo per l’auto stessa. L’eventuale contributo deve essere pattuito tra il datore di lavoro e il collaboratore nel contratto di assegnazione della vettura. In ogni modo, la formula per il calcolo del benefit auto prima della legge di Bilancio 2020 era costituita dal 30% sul costo Aci per 15mila chilometri meno l’eventuale contributo del dipendente.

Le novità della legge di bilancio 2020 sulle auto aziendali

La novità più importante introdotta dalla legge di Bilancio 2020 sulle auto aziendali riguarda la diminuzione della percentuale del 30% per le auto meno inquinanti. Più nel dettaglio, la percentuale è ridotta dal 30 al 25%, con decorrenza dal 1° luglio 2020, per le auto che abbiano una quantità di anidride carbonica (CO2) inferiore o uguale a 60 grammi per chilometro. Si tratta di un vantaggio nel calcolo del benefit che determina anche la revisione dei criteri di scelta dei datori sul parco auto aziendale. Di seguito, la formula per il calcolo del benefit per le auto meno inquinanti diventa: 25% per costo Aci per 15mila chilometri meno l’eventuale contributo del dipendente.

Calcolo benefit a seconda delle emissioni CO2 delle auto aziendali

La percentuale di calcolo del benefit legato alle auto aziendale rimane del 30% per le auto con emissioni da 60 a 160 CO2. Più alte, invece le percentuali per le auto maggiormente inquinanti:

  • percentuale del 40% per emissioni CO2 da 160 g/km a 190 g/km (50% dal 1° gennaio 2021);
  • aumento al 50% per emissioni CO2 maggiori di 190 g/km (60% dal 1° gennaio 2021).

Tabelle Aci per il calcolo dei benefit auto

Tra gli elementi chiave per il calcolo del benefit derivante dall’auto aziendale rientrano le tabelle Aci, pubblicate entro il 31 dicembre di ogni anno nella Gazzetta Ufficiale. Quelle in vigore nel 2021 sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale numero 317 del 22 dicembre 2020. Sul sito Aci, le tabelle sono consultabili nella sezione “Servizi”, “Servizi online”, “Fringe benefit”. Le tariffe stabilite dall’Aci comprendono:

  • il carburante;
  • riparazioni, manutenzioni e pneumatici;
  • la quota di ammortamento del capitale;
  • la tassa automobilistica;
  • la quota interessi sul capitale investito;
  • l’assicurazione Rca.

Auto aziendale: il contributo del dipendente riduce il benefit

Un ulteriore fattore di calcolo del benefit legato all’uso dell’auto aziendale è rappresentato dal contributo del dipendente. Il datore di lavoro può addebitare al dipendente un corrispettivo, mediante metodo di pagamento o trattenuta, proprio correlato alla possibilità di utilizzare l’auto anche per le motivazioni personali. Il contributo, da considerarsi al lordo dell’Iva, abbassa il valore forfettario del benefit imponibile.

Caratteristiche del fringe benefit auto

Il fringe benefit sulle auto aziendali ha le caratteristiche riportate di seguito:

  • è forfettario. Cioè si prescinde dai chilometri realmente percorsi, dalle spese effettivamente sostenute e da quelle riaddebitate al collaboratore, come ad esempio quelle della benzina;
  • si calcola su base annua;
  • deve essere riportato sul cedolino della busta paga e assoggettato a tassazione ordinaria ogni mese;
  • rientra nella franchigia dei 258,23 euro prevista dal comma 3 dell’articolo 51,  ultimo periodo, del Tuir.

Esempio di calcolo del fringe benefit auto assegnate prima e dopo il 1° luglio 2020

Utilizzando le relative tabelle Aci per il calcolo del fringe benefit delle auto aziendali, si può considerare un’Audi Q7 4.0 V8 TDI con 435 cavalli ed emissione di CO2 pari a 190 g/km, assegnata prima del 1° luglio 2020. Dalle tabelle emerge un costo di 0,974 euro a chilometro (poco meno di un euro) da moltiplicare per 15mila chilometri annui. Dalla formula di calcolo, applicando la percentuale fissa del 30% valida per fino al 30 giugno 2020,  il benefit imponibile complessivo per il 2021 sarà pari a 4.385 euro circa. Se al dipendente viene addebitato un corrispettivo mensile di 100 euro, pari a 1.200 euro annui, il valore imponibile sarà di 4.385 euro – 1.200 = 3.185 euro. Se la stessa auto venisse assegnata dal 1° luglio 2020, la percentuale sarebbe pari al 40% per classe di emissioni CO2 da 160 g/km a 190 g/km e al 50% dal 1° gennaio 2021.

Auto aziendale, cosa paga il dipendente?

L’utilizzo dell’auto aziendale da parte dei collaboratori dell’impresa (intesi come dipendenti o collaboratori) è un fenomeno diffuso nelle realtà aziendali e, pertanto, deve essere gestito per le varie ricadute fiscali e contabili che può determinare.

Auto aziendale per il solo uso lavorativo e per utilizzo promiscuo

È di fondamentale importanza chiarire che l’uso dell’auto aziendale può essere:

  • per utilizzo esclusivamente aziendale. In tal caso l’auto deve essere utilizzata solo per finalità di lavoro e non private. La vettura dove essere lasciata in azienda al termine della giornata lavorativa e non può essere utilizzata per il tragitto casa-lavoro;
  • per utilizzo promiscuo. In tal caso si concede l’utilizzo della vettura aziendale anche per le finalità private, oltre alle missioni lavorative. È permesso, pertanto, percorrere il tragitto casa-lavoro, ma anche l’uscita domenicale e le vacanze estive.

Auto aziendale: chi paga il carburante?

Normalmente i costi di acquisto e di manutenzione dell’auto aziendale sono a carico dell’azienda. Per l’acquisto del carburante, invece, bisogna far riferimento agli accordi stipulati tra il datore di lavoro e l’utilizzatore della vettura. La prassi più comune vuole che per il pagamento del carburante si faccia riferimento alle tabelle Aci, annualmente determinate, e alle percentuali indicate dall’Agenzia delle entrate per il rimborso chilometrico.

Rimborso chilometrico per auto intestata ad azienda o utilizzatore

È differente il rimborso chilometrico in base al fatto che l’auto sia intestata all’azienda o all’utilizzatore. In quest’ultimo caso, il collaboratore mette a disposizione la propria auto personale per le trasferte di lavoro, sostenendo i costi in anticipo e chiedendo un rimborso chilometrico. A tal proposito, la legge di Bilancio 2018 (legge numero 205/2017) ha previsto che, a partire dal 1° luglio 2018, per il pagamento delle spese del carburante per esigenze aziendale siano utilizzati mezzi di pagamento tracciabili. La norma è riferita sia ai fini della deduzione del costo che della detrazione dell’Iva. Di conseguenza, dal 1° gennaio 2019 sono state abrogate le schede carburanti, in ottemperanza all’obbligo generalizzato di utilizzo della fattura elettronica.

Metodi di pagamento idonei per il pagamento del carburante

In conseguenza delle disposizioni della legge di Bilancio 2018, l’Agenzia delle entrate è intervenuta con il provvedimento numero 73203 del 2018, per individuare i mezzi di pagamento ritenuti idonei per l’acquisto del carburante. Vi rientrano:

  • le carte di credito;
  • le carte di debito;
  • il bonifico bancario o postale;
  • l’addebito diretto;
  • le carte prepagate;
  • il bollettino postale;
  • altri metodi di pagamento elettronico che consentano l’addebito in conto corrente;
  • le carte carburante e i buoni carburante con pagamento elettronico;
  • le carte utilizzate nei contratti di netting con pagamento elettronico.

I benefit legati all’utilizzo dell’auto aziendale

L’auto aziendale a uso promiscuo è la tipologia di utilizzo più tipica per il fringe benefit del collaboratore. L’assegnazione dell’auto e il relativo utilizzo segue delle regole ben precise, contenute nel contratto individuale che l’azienda stipula con l’utilizzatore. Le aziende che offrono l’utilizzo della vettura aziendale come benefit ai propri collaboratori stipulano, di norma, un contratto di noleggio o di leasing con un concessionario per ottenere l’auto da fornire al dipendente.

Auto aziendale a uso promiscuo: chi può usarla e per cosa

L’assegnazione dell’auto al collaboratore avviene mediante un contratto individuale tra datore di lavoro e dipendente. Nel contratto di assegnazione si possono trovare tutte o solo alcune delle seguenti possibilità:

  • l’indicazione che l’auto è assegnata al collaboratore per lo svolgimento del suo lavoro e per l’uso personale;
  • le altre persone, oltre al dipendente, che possono utilizzare la vettura;
  • quali sono gli obblighi che il conduttore deve rispettare;
  • se il collaboratore debba o meno versare una quota al datore di lavoro per l’utilizzo dell’auto.

Tassazione dell’auto aziendale per uso promiscuo

L’utilizzo dell’auto in modo promiscuo, configurandosi come benefit concesso al dipendente in aggiunta alla normale retribuzione, è soggetto a parziale tassazione. Per il calcolo della quota di benefit che andrà a comporre il reddito imponibile assoggettabile a Irpef del collaboratore, si utilizzano le tabelle dell’Aci che vengono aggiornate ogni anno con la legge di Bilancio. La tassazione normale è pari al 30% dell’importo corrispondente a una percorrenza di 15.000 chilometri. L’importo è variabile a seconda del modello dell’auto e di altri fattori riportati nelle tabelle Aci. In queste tabelle, dunque, vengono riportati i costi medi a chilometro a seconda del modello di auto. Per un calcolo corretto, il datore di lavoro deve ripartire l’importo previsto dalle tabelle Aci per il numero di giorni in cui il collaboratore ha utilizzato effettivamente l’auto.

Tassazione fringe benefit auto aziendale: un caso concreto

Facendo un esempio pratico sulla tassazione del fringe benefit legata all’utilizzo promiscuo di un’auto aziendale, si può prendere in considerazione l’uso di una Jeep Renegade 1300 da 150 cavalli. Per ogni modello esatto, le tabelle Aci riportano il costo chilometrico convenzionale, pari a poco più di 50 centesimi per questo modello di vettura.  I 50 centesimi vanno moltiplicati per 15.000, per un totale di circa 8.000 euro. Di questi, il 30%, cioè 2.400 euro, finiscono nella busta paga del lavoratore. Se il lavoratore dovesse utilizzare l’auto solo per 25 giorni al mese, occorre quantificare l’uso effettivo, pari a circa 200 euro al mese di benefit. Mensilmente, dunque, il collaboratore vedrà questo l’importo nel suo cedolino.

Auto aziendale a uso promiscuo: chi paga la benzina?

I costi sostenuti per il carburante dell’auto aziendale per uso promiscuo spettano in parte al collaboratore e in parte al datore di lavoro. Nell’utilizzo della vettura aziendale durante il lavoro, il collaboratore ha diritto a ottenere il rimborso delle spese sostenute per la benzina. Tale rimborso non viene riconosciuto in base alle ricevute che certificano la spesa del collaboratore, ma da calcoli su ulteriori tabelle Aci, stavolta riguardanti i costi chilometrici. Grazie a queste tabelle, i datori di lavoro calcolano la quota convenzionale che costituisce il rimborso spettante al collaboratore.

Incentivi aziendali ai dipendenti: I Riconoscimenti Formali

Il Riconoscimento Formale è un sistema semplice quanto efficace per riconoscere la bravura dimostrata nel raggiungimento di un obiettivo prefissato. Congratularsene pubblicamente è un ottimo canale per accrescere l’autostima del proprio dipendente, il senso di appagamento ed autocompiacimento. Innescando, di conseguenza, una dinamica costruttiva che esalta le qualità del lavoratore ed accende una sana competizione.

I Riconoscimenti Formali 

Il raggiungimento di un risultato dopo aver dedicato tempo e impegno, suscita, inevitabilmente, un senso di fierezza, soddisfazione personale, ed anche  autocompiacimento ed autostima.

Gli incentivi aziendali sono entrati a far parte, da tempo, del modus operandi e della strategia delle aziende. 

Sono uno strumento interno, un metodo, ormai, consolidato, ed utilizzato, che le imprese hanno deciso di adottare per raggiungere gli obiettivi prefissati, per migliorarne la produzione interna. Poiché incentivano il dipendente ad elevare i propri standard, a fare sempre di più, dando il massimo di se stessi.

In questo modo accresce l’autostima e si innalza il livello di rendimento della  azienda stessa. 

È importante sapere che la valorizzazione delle risorse umane, per il singolo dipendente, significa, riconoscimento individuale, meritocrazia, senso di appagamento e compiacimento. 

Riconoscimenti formali dal punto di vista psicologico

Il riconoscimento per un obiettivo raggiunto, viene tradotto, nella maggior parte dei casi, come riscossione di un premio.

Possiamo, in questo caso, vederlo sotto una forma materialistica, di un bene tangibile e, di conseguenza, usufruibile. Ma esiste anche la possibilità di percepirlo nella sua espressione psicologica.

È assolutamente necessario, quindi, integrare iniziative finalizzate alla diffusione del  benessere aziendale, utili a migliorarne le performance, a spronare l’incentivazione e di conseguenza a migliorarsi e a fare sempre di più. Così facendo si innesca una dinamica costruttiva, un loop virtuoso tra compiacimento e sana competizione. 

Da non sottovalutare

Un elemento da non sottovalutare, come accennato in precedenza, è l’aspetto psicologico all’interno di una competizione aziendale.

La proclamazione di un successo, la gratificazione personale, confermano la bravura del lavoro svolto per aver centrato l’obiettivo. 

Ma tutte queste sensazioni possono svanire velocemente se nessuno è pronto a congratularsene. Se il successo raggiunto non viene proclamato e condiviso da qualcuno. Poiché è come se il raggiungimento dell’obiettivo prefissato non fosse reale, dal momento che nessuno lo riconosce pubblicamente. Ed è, quindi, come sentirsi sminuiti e non apprezzati.

Quindi sarebbe bene considerare un invio collettivo di una mail che metta in copia conoscenza tutti i colleghi che hanno collaborato alla stessa action, o magari potrebbe essere opportuno ed efficace pensare ad una proclamazione durante un meeting, una riunione di lavoro, oppure un pranzo od una cena aziendale, in cui si ritagli un momento che catalizzi l’attenzione sul dipendente, collega o sull’intero team che ha raggiunto l’obiettivo finale e che dunque merita di essere pubblicamente valorizzato ed apprezzato.

Perché il valore riconosciuto per il buon risultato raggiunto non fa che accrescere la soddisfazione personale, aumentando la motivazione per affrontare le sfide future.

Tutto questo, funge, infatti, da incentivo per continuare a tenere un livello di prestazione alto ed essere, al contempo, un buon esempio per gli altri dipendenti e colleghi. 

Complimentarsi davanti agli altri è, dunque, un ottimo sistema per riconoscere formalmente il valore dimostrato sul campo.

Imprese benefit in continuo e costante aumento

Ad oggi, si contano ben 145 imprese benefit, nate a ritmo di 7 al mese da quando sono state introdotte nell’ordinamento italiano grazie alla Legge di Stabilità 2016.
Di cosa si tratta? Queste imprese sono la nuova forma di attività economica che integra, nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente.

Per questo tipo di società sono state introdotte alcune semplificazioni da parte del Mise.
Questo provvedimento ha introdotto a partire dal 15 ottobre, e in forma obbligatoria dall’1 dicembre, aggiornamenti della modulistica del Registro Imprese che consentono di superare alcuni elementi di discrezionalità nella iscrizione che potevano portare ad una non chiara identificazione dell’impresa nell’ambito del Registro.

Queste innovazioni hanno un duplice scopo: da un lato, offrire alle imprese che intendono costituirsi con questa modalità e che regolarmente depositano gli atti un percorso più semplice che garantisca loro la giusta visibilità; dall’altro, consentire agli Organi preposti al controllo delle società benefit di poterne efficacemente monitorare la numerosità ed il possesso dei requisiti.

Le modifiche introdotte dal provvedimento del Mise sono fra le prime proposte del Gruppo di lavoro nazionale del Sistema camerale italiano costituito nel maggio 2017 proprio con la finalità di semplificare il rapporto fra Registro delle imprese e società benefit.

Mauro Del Barba, promotore della norma sulle Società Benefit, ha dichiarato: “E’ un risultato che risponde pienamente all’intendimento del legislatore, la cui prima finalità è proprio quella di promuovere e facilitare la nascita di imprese di questo tipo. Promozione che, per risultare effettiva, necessita di un rapporto trasparente e sempre più semplice con il Registro delle imprese e del presidio e monitoraggio delle Camere di commercio”.

Vera MORETTI

Smartphone aziendale? Ecco che uso se ne fa…

Lo smartphone aziendale è un benefit sempre più diffuso, offerto dalle imprese ai dipendenti con diverse formule: da opzioni flat all inclusive, a soluzioni che scorporano l’utilizzo del device per scopi personali da quelli strettamente aziendali.

Proprio sulle tipologie di uso personale dello smartphone aziendale si è soffermata un’indagine del London City Airport – l’aeroporto che ha la più alta percentuale di viaggiatori business di tutto il Regno Unito -, la quale ha cercato di analizzare l’utilizzo che di questi device fanno gli utenti di vari Paesi quando non lo impiegano per lavoro.

Ebbene, dai risultati dello studio è emerso che, con buona pace delle app, l’utilizzo principale dello smartphone aziendale avviene per telefonare e consultare la posta elettronica. Le chiamate personali (66%) vengono effettuate principalmente da utenti italiani, spagnoli e irlandesi, così come accade per l’invio di mail personali (78%).

Gli utilizzi privati più diffusi tra gli utenti europei degli smartphone aziendali sono download di libri e musica (tedeschi e spagnoli), visione di programmi e siti sportivi (italiani), shopping online (svizzeri, irlandesi e olandesi).

Più morigerati gli utenti inglesi, che utilizzano lo smartphone aziendale per telefonate personali nel 4% dei casi e nel 16% per inviare mail private. Peccato, però, che poi si rifacciano con le app, poiché nel 47% dei casi utilizzano il device per guardare programmi tv e film in streaming.

Infine, un dato interessante alla faccia di tutti i luoghi comuni. Lo smartphone aziendale risulta compagno inseparabile anche in vacanza per gli utenti spagnoli e italiani, che lo usano per consultare la propria posta elettronica in ferie nel 48% e nel 37% dei casi. Più rilassati inglesi e tedeschi; per loro l’e-mail di lavoro è meglio lasciarla stare quando si è in vacanza: la consulta il 22% dei britannici e un misero 14% di tedeschi.

Professionisti, fate i buoni (pasto)

di Davide PASSONI

Il buono pasto, per noi di Infoiva, è da sempre un pallino. Non perché ci piaccia mangiar bene anche in pausa pranzo (oddio, in realtà un po’ sì…), ma perché sono uno strumento tanto utilizzato quanto poco conosciuto per i vantaggi che comporta a livello fiscale. Prova ne è il fatto che, in Italia, la maggior parte dei suoi utilizzatori è costituita da lavoratori dipendenti di aziende medio-grandi e da lavoratori del pubblico impiego.

In realtà, il buono pasto è una valida soluzione anche e soprattutto per i professionisti, grazie alla favorevole normativa fiscale che ne norma l’utilizzo e il rilascio. Purtroppo, però, tra di essi la cultura del ticket è ancora poco diffusa: vuoi perché le aziende emettitrici preferiscono concentrarsi dove possono contare su valori maggiori, vuoi per la pigrizia di chi potrebbe sfruttarli e invece non lo fa.

Proprio per questo abbiamo dedicato al buono pasto il focus della settimana appena trascorsa: per cercare di diffondere un po’ di “cultura” tra chi ancora non ne conosce gli aspetti e per cercare di capire quali sono le dinamiche che governano i rapporti tra società emettitrici, utenti, pubblici esercizi, società e aziende appaltatrici. Dinamiche che, purtroppo, spesso sono ancora all’insegna dello scontro – o della diffidenza – più che della collaborazione e che, proprio per questo, non favoriscono la diffusione di questa cultura. Noi, nel nostro piccolo, ci abbiamo provato: speriamo di avervi reso un buon servizio.

Leggi l’intervista a Franco Tumino, presidente Anseb

Leggi l’intervista a Lino Stoppani, presidente Fipe

Leggi l’intervista a Marc Buisson, Direttore generale di Day Ristoservice

Buoni pasto: la normativa

Buoni pasto: le principali aziende che li emettono

Buoni pasto, una normativa che premia

La normativa sui buoni pasto non è particolarmente complessa e, nello stesso tempo, è piuttosto vantaggiosa tanto per le aziende quanto per i professionisti che si servono o erogano ticket ai loro dipendenti.

Intanto, il buono pasto può essere offerto da un’azienda a tutti i prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o part time, anche se l’orario di lavoro non prevede una pausa pranzo. Il buono può essere erogato anche a tutti i soggetti che hanno instaurato con l’azienda un rapporto di collaborazione anche non subordinato, come può essere un contratto a progetto.

Poi, non vi è differenza di trattamento tra buono pasto cartaceo ed elettronico: la Risoluzione n° 63/E del 17 marzo 2005 dell’Agenzia delle Entrate assimila infatti la somministrazione di alimenti e bevande tramite card elettronica al servizio di “mensa diffusa”, con le medesime agevolazioni dal punto di vista fiscale e contributivo.

Dal punto di vista tanto di una piccola azienda quanto di un professionista, l’Iva sui buoni pasto è integralmente detraibile e cambia a seconda dell’acquirente: per un’azienda è pari al 4%, per un libero professionista – sia esso titolare d’azienda, soci di un’azienda o azienda individuale – è pari al 10%. Sia per l’azienda che per il professionista l’Iva è detraibile al 100%, come indicato dalla Legge n.133/2008, che modifica l’art.19 bis 1 del DPR n.633/72 a decorrere dal 1° settembre 2008.

I buoni pasto per le aziende sono esenti da oneri fiscali perché, secondo l’art. 51 Comma 2 del T.U.I.R, non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente fino all’importo complessivo giornaliero di 5,29 euro. L’eccedenza rispetto alla cifra, al netto della quota a carico del dipendente, rientra nella base imponibile. Discorso differente per i liberi professionisti, per i quali i buoni pasto non prevedono un tetto massimo di esenzione fiscale.

I buoni pasto per le aziende sono deducibili al 100% perché, secondo la Circolare Ministeriale n° 6/E del 3 marzo 2009, tale deducibilità si applica al “servizio sostitutivo di mensa” effettuato con i buoni pasto, siano essi cartacei che elettronici, e al servizio di “mensa aziendale diffusa”, che viene erogato dalle società emettitrici di buoni pasto attraverso le card elettroniche. Il discorso cambia per i liberi professionisti: le fatture dei ristoranti che vengono normalmente messe in nota spese sono infatti deducibili solo al 75%, secondo gli articoli 54 e 109 del DPR n. 917/86.

Buone notizie, infine, sul fronte contributivo. I buoni pasto sono infatti esenti da contributi, poiché il decreto legislativo n° 314/97 il “servizio sostitutivo di mensa” è escluso da contributi previdenziali e assistenziali fino all’importo complessivo giornaliero di 5,29 euro, in quanto non costituisce reddito da lavoro dipendente (Art. 51 T.U.I.R.).