Bortolussi: “Basta chiedere sforzi alle imprese”

Manca il gettito della prima rata dell’Imu? Da dove si pesca? Ma è ovvio dalle imprese! La Cgia ha calcolato che con l’ aumento degli acconti Ires e Irap dal 101 al 102,5 per cento, entro il prossimo 10 dicembre ogni societa’ di capitale dovra’ versare, rispetto al 2012, un maggiore acconto medio di poco superiore ai 1.200 euro, grazie alle disposizioni del Governo dei giorni scorsi per coprire il mancato gettito della prima rata dell’Imu, che si aggiunge all’incremento percentuale entrato in vigore meno di sei mesi fa.

“Salta la copertura della prima rata dell’Imu perché la Pubblica amministrazione non salda i suoi debiti nei confronti delle imprese? Allora a pagare il conto saranno queste ultime che, per gli anni di imposta 2013 e 2014, si vedranno aumentare di 1,5 punti percentuali gli acconti fiscali Ires e Irap. Insomma, oltre al danno la beffa“. Cornuti e mazziati, le dichiarazioni del presidente della Cgia di Mestra lasciano poco spazio all’immaginazione.

Se entro il 30 novembre l’Erario non fosse riuscito a incassare i tanto agognati 925 milioni di euro derivanti dall’Iva versata dalle imprese a seguito dell’impegno della Pubblica amministrazione di pagare 7,2 miliardi di euro di debiti scaduti (di cui sono stati pagati solo 2, come da previsione), sarebbe scattata la cosiddetta clausola di salvaguardia, che, puntualmente, non si è lasciata attendere nei giorni scorsi.

“Con una crisi di liquidità che si fa sempre più pesante – ha concluso un Bortolussi ai limiti della rassegnazione – come si può chiedere alle imprese questo ulteriore sforzo che per la parte eccedente al 100% altro non è che un prelievo forzoso? In uno Stato di diritto chi non onora i suoi debiti dovrebbe essere punito; in Italia, invece, chi non paga la fa franca e impone addirittura un appesantimento fiscale nei confronti dei propri creditori”.

Jacopo MARCHESANO

Imu, Cgia: la classifica dei tartassati nel 2102

Ancora Imu. In attesa delle decisioni che il Governo Letta prenderà in materia, la Cgia di Mestre ha fornito gli importi medi dei versamenti effettuati dalle varie categorie economiche e dalle famiglie italiane durante tutto il 2012.

Nella classifica a fare da apri-fila, chi ha sentito maggiormente la morsa della tassa sono gli albergatori con 11.429 euro seguiti dalla grande distribuzione (7.325 euro). Al terzo posto, si aggiudicano il podio anche gli industriali, ciascuno di loro in media ha versato 5.786 euro, mentre il piccolo imprenditore ha visto il portafoglio sgonfiarsi di ben 3.352 euro. Al quinto e sesto posto il libero professionista e il commerciante, che hanno dovuto versare rispettivamente  1.835 euro e 894.

Non se la passa molto bene nemmeno l’artigiano che nel 2012 ha corrisposto al comune di appartenenza circa 700, insieme alle famiglie che soffocate dall’imposta hanno mediamente versato 663 euro per la seconda casa e circa 330 per la prima. In materia di Imu si è espresso anche Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre, il quale ha delineato le conseguenze della stangata dell’imposta introdotta dal Governo Monti che, a suo dire, avrebbe colpito soprattutto le categorie economiche.

Lo stesso Bortolussi ha poi aggiunto: “L’eventuale abolizione dell’Imu sulla prima casa è, a nostro avviso, condivisibile; tuttavia, appare doveroso segnalare che l’approvazione di questa misura potrebbe provocare dei nuovi rincari in capo alle attività produttive. Infatti, dato che il gettito della prima casa finisce interamente nelle casse dei Comuni, c’è il pericolo che il mancato gettito venga compensato con misure che finiscono nelle casse comunali con notevole ritardo. Pertanto, c’è il pericolo che molti Sindaci si affrettino ad aumentare le aliquote sui beni strumentali per ovviare, almeno in parte, a questa mancanza di liquidità . Uno scenario che dobbiamo assolutamente scongiurare visto che, rispetto a quando si pagava l’Ici, le imprese hanno subito con l’Imu un aggravio medio fino al 154%”.

di Francesca RIGGIO

Debiti PA, ma lo Stato paga o dorme?

Fin da subito sono state molte le analisi critiche fatte al decreto sbloccacrediti. Nonostante l’iter complesso che ha portato alla sua nascita (o forse proprio per questa complessità…), in tanti hanno voluto vederci chiaro. Tra di loro la Cgia di Mestre, una delle prime, tramite il suo segretario, Giuseppe Bortolussi, a fare quattro conti e un po’ di stime sulla distribuzione delle risorse che lo Stato moroso dovrebbe versare alle imprese.

L’analisi di Bortolussi è tagliente: “Al netto dei 6,5 miliardi di rimborsi fiscali – tasse che i contribuenti italiani hanno ‘pagato in più’ – e dei 26 miliardi di euro che il Ministero dell’Economia e delle Finanze farà confluire in un apposito fondo a disposizione degli Enti locali e delle Regioni prive di liquidità, risorse che dovranno comunque essere recuperate tra le pieghe dei loro bilanci e restituite con gli interessi, pare di capire che l’Amministrazione centrale metterà a disposizione solo 500 milioni di euro all’interno del pacchetto relativo all’allentamento del Patto di stabilità interno“.

Prendendo come buona la stima di 91 miliardi di euro quale debito della Pubblica Amministrazione nei riguardi delle imprese, la Cgia è comunque convinta che siano molti di più: nell’indagine campionaria della Banca d’Italia non si tiene infatti conto delle imprese al di sotto dei 20 addetti, che costituiscono il 98% di tutte le aziende presenti in Italia e di quelle operanti nei servizi sociali e sanitari. Inoltre, l’indagine è limitata al 31-12-2011. Quindi, dei 91 miliardi di debito complessivo, ben 44 miliardi sono in capo a Regioni ed Asl mentre gli altri 47 miliardi si distribuiscono tra Comuni, Province e Stato centrale.

“Purtroppo – conclude Bortolussi –, dalle stime della Banca d’Italia non è possibile misurare quant’è il debito da attribuire all’Amministrazione centrale. Tuttavia, non c’è sicuramente proporzione tra lo sforzo richiesto alle Regioni, alle Asl ed agli Enti locali e quello che dovrà fare lo Stato centrale, visto che di suo sborserà, in questa prima fase, solo 500 milioni di euro“. Alla faccia dei proclami a effetto…

Burocrazia: ma quanto mi costi?


Piccole e medie imprese costrette a fare i conti con una burocrazia sempre più cara e severa. Secondo le stime della Cgia di Mestre il peso degli obblighi contributivi in materia di lavoro, ambiente, privacy, sicurezza sul lavoro e prevenzione incendi peserebbe sulle azienda per una cifra che raggiunge quota 23 miliardi di euro l’anno. Il settore che incide maggiormente sui bilanci delle pmi resta comunque quello del lavoro e della previdenza sociale.

Qualche dato? Fra tenuta dei libri paga, comunicazioni legate alle assunzioni o alle cessazioni di lavoro, denunce mensili dei dati retributivi e contributivi, retribuzioni e autoliquidazioni le piccole e medie imprese italiane si vedono sfilare dalle tasche 9,9 miliardi di euro l’anno.

“Se con un colpo di bacchetta magica fossimo in grado di ridurne il costo della metà – ha sottolineato il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi – libereremo 11,5 miliardi di euro all’anno che potrebbero dar luogo, almeno teoricamente, a 300.000 nuovi posti di lavoro”. Il macigno della burocrazia costringe le imprese a diffidare dalle nuove assunzioni, paralizzando e ostacolando la crescita del nostro sistema economico.

A gravare sul bilancio delle pmi per un valore di 3,4 miliardi di euro l’anno, sono inoltre le spese inerenti alla salvaguardia dell’ambiente: autorizzazioni per lo scarico delle acque reflue, impatto acustico, la tenuta dei registri dei rifiuti e le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera sono voci con cui bisogna confrontarsi a fine anno.

Il conto della burocrazia si fa sempre più salato se si guarda alle altre voci in bilancio:

2,8 miliardi di euro per gli adempimenti amministrativi (dichiarazioni dei sostituti di imposta, comunicazioni periodiche ed annuali Iva)
2,2 miliardi di euro per la privacy
1,5 miliardi di euro per la sicurezza sul lavoro 1,4 miliardi di euro per la prevenzione incendi
1,2 miliardi di euro per gli appalti
600 mila euro per la tutela del paesaggio e dei beni culturali

La stretta creditizia soffoca le imprese italiane

Diminuiscono i prestiti concessi alle aziende, crescono i tassi di interesse e si moltiplicano le imprese insolventi. E’ la Cgia di Mestre a denunciare la stretta creditizia che è in atto sulle aziende delle penisola: negli ultimi 3 mesi del 2011 i prestiti erogati dal sistema bancario italiano alle imprese sono diminuiti dell’1,5%, toccando quota – 2,2% a dicembre. Sul fronte dei tassi di interesse le cose non vanno meglio: l’aumento del tasso è costato alle aziende italiane nel solo 2011 3,7 miliardi di euro.

Il risultato? Aumento delle insolvenze in capo alle aziende che hanno raggiunto quota 80 miliardi di euro, ovvero il +36% rispetto al 2010.

“Ci troviamo di fronte a una vera e propria stretta creditizia – afferma la Cgia di Mestre. – Le banche hanno chiuso i rubinetti del credito ed in una fase recessiva, come quella che stiamo vivendo in questo momento, corriamo il rischio che il nostro sistema produttivo, costituito prevalentemente da piccole e piccolissime imprese, collassi.”

Anche se i dati confermano che nel 2011 l’ammontare complessivo dei prestiti erogati alle imprese è stato di 995 miliardi di euro, con un +3% rispetto al 2010, tale dato va messo in rapporto con la crescita dell’inflazione, che l’anno scorso è stata del +3,3%, ovvero superiore all’aumento dei prestiti erogati alle imprese. A dicembre poi il collasso: aumento vertiginoso dell’inflazione e contrazione dei prestiti pari a – 2,2%.

Nel 2011 le insolvenze in capo alle imprese italiane hanno toccato gli 80,6 miliardi di euro, con un incremento rispetto l’anno precedente pari al + 36%. “Questa situazione ha sicuramente indotto molti istituti di credito a ridurre i prestiti – conclude Bortolussi – soprattutto a quelle realtà produttive che non erano più in grado di dimostrare e garantire una certa affidabilità”.