La scorpacciata d’estate del fisco

Il 16 giugno scorso è stato l’ennesimo giorno di lacrime e sangue per i contribuenti italiani. Secondo alcune stime, quel giorno il fisco ha incassato quasi 52 miliardi da imprese e cittadini. Secondo i calcoli fatti dalla Cgia, si è trattato per la precisione di 51,6 miliardi, anche se resta da capire se, da questa cifra, è necessario togliere i circa 4 miliardi dovuti al fisco dai professionisti soggetti agli studi di settore, per i quali è stato fatto slittare al 6 luglio 2016 il termine per effettuare i versamenti relativi alla dichiarazione dei redditi, Irap e unificata. Peccato che molti di questi professionisti avessero già pagato…

Sia come sia, i calcoli della Cgia hanno rilevato che, tra ritenute Irpef, Tasi, Imu, Ires, Iva, Irpef, Irap, addizionali comunali/regionali Irpef e altre tasse e balzelli assortiti, il fisco ha fatto una scorpacciata. Dei 51,6 miliardi stimati, 34,8 sono finiti nelle casse dell’erario, 11 in quelle dei Comuni e 5,3 in quelle delle Regioni, senza contate i 500 milioni incassati dagli enti camerali dal diritto annuale a loro dovuto.

Spacchettando il dato tra i diversi tributi dovuti al fisco, risulta che il versamento più oneroso è stato quello delle ritenute Irpef dei dipendenti e dei collaboratori, che hanno permesso all’erario di incassare 11 miliardi.

Sul fronte delle tasse sulla casa, con l’abolizione della Tasi sulla prima abitazione, che per l’anno in corso consente agli italiani di risparmiare 3,5 miliardi di euro, l’impegno economico più importante del 2016 per le famiglie è venuto dal pagamento al fisco della prima rata dell’Imu-Tasi sulle seconde/terze case e sugli immobili ad uso strumentale. Dei 10,2 miliardi di euro di gettito previsti dal pagamento della prima rata da queste due imposte, quelli in capo alle famiglie sono circa 5.

Altrettanto oneroso è stato il pagamento del saldo 2015 e dell’acconto 2016 relativo all’Ires. Le imprese hanno versato al fisco poco più di 8,5 miliardi di euro, anche se le aziende con dipendenti hanno beneficiato di un minore peso fiscale Irap, grazie all’eliminazione dalla base imponibile del costo del lavoro introdotta con la legge di Stabilità 2015, pari a circa 5,6 miliardi di euro l’anno; 4,3 miliardi se si considerano gli effetti indiretti sulla base imponibile Ires/Irpef.

Invece, l’Irpef, in capo agli imprenditori individuali, soci di società di persone e percettori di redditi diversi da quelli da lavoro dipendente e pensione, ha assicurati al fisco 4 miliardi.

Da questo calcolo, la Cgia ha escluso i contributi previdenziali e ha ipotizzato che il fisco locale, in virtù delle scadenze del versamento della Tari abbia strutturato il pagamento in 4 rate, una delle quali con scadenza a giugno. Dall’analisi dei bilanci consolidati dei Comuni elaborati dall’Istat, si è stimato che il gettito complessivo della Tari per l’anno in corso sia di 8,2 miliardi di euro: dividendo l’importo per 4 rate, si arriva a stimare il gettito medio della Tari in circa 2 miliardi per ciascuna rata.

Amara la conclusione del segretario della Cgia, Renato Mason: “Con un fisco più semplice anche l’Amministrazione finanziaria potrebbe lavorare meglio ed essere più efficiente nel contrastare gli evasori/elusori fiscali. La selva di leggi, decreti e circolari esplicative presenti nel nostro ordinamento tributario, invece, complica la vita anche agli operatori del fisco che, comunque, continuano ad essere uno dei settori più virtuosi della nostra Pubblica amministrazione”.

Spese del pedagogista? Non detraibili

Detraibili sì, detraibili no? La domanda è sorta a molti al momento della compilazione della dichiarazione dei redditi, per quanto riguarda le spese sostenute per ricorrere alle prestazioni di un pedagogista.

Un dubbio che ha spinto l’Agenzia delle Entrate a emanare una circolare per fare chiarezza sulle spese per il pedagogista, circolare nella quale sottolinea una volta per tutte come queste spese non siano detraibili.

Il dubbio è venuto perché non era chiaro se le prestazioni erogate dal pedagogista potessero essere comparabili a quelle delle figure professionali elencate nel decreto del ministero della Salute del 29 marzo 2001 e soggette a detraibilità. Infatti, tra le professioni sanitarie riabilitative presenti nel decreto vi è anche quella di educatore professionale.

Il ministero si è così affrettato a sottolineare il duplice canale formativo del profilo di educatore, con questa distinzione:

  • nella facoltà di Scienze della formazione si consegue la laurea in scienze dell’educazione;
  • nella facoltà di Medicina e chirurgia in collegamento con le facoltà di Psicologia, Sociologia e Scienze dell’educazione, si consegue la laurea di educatore professionale.

Poiché, secondo il ministero, il pedagogista ha conseguito il primo profilo, in quanto ha una laurea quadriennale in Pedagogia o in Scienze dell’Educazione o una laurea specialistica/magistrale, opera in ambito sociale e svolge la sua attività nei settori formativo, educativo, sociale e socio-sanitario, esclusivamente per quanto riguarda le prestazioni sociali e non sanitarie, la sua non può essere considerata una professione sanitaria. Come tale, le spese sostenute per assicurarsi le sue prestazioni non sono detraibili.

Proroga pagamenti Unico, INT soddisfatto

Bene proroga pagamenti Unico, almeno per i contribuenti soggetti agli studi di settore, anche se poteva arrivare prima e fare penare meno gli intermediari fiscali impegnati nelle varie scadenze tributarie”.

Questo il primo commento del presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi (INT) Riccardo Alemanno dopo avere letto il comunicato stampa del MEF, con il quale il ministero ha prorogato al 6 luglio il termine di Unico per i contribuenti soggetti agli studi di settore.

Alemanno, che già dal mese di maggio aveva indicato come necessaria la proroga dei versamenti di Unico, ha ribadito anche nei giorni scorsi tale richiesta, sino a scrivere in una sorta di sfogo “che la proroga si richiede perché necessaria e non per una sorta di passione compulsiva per essa”.

Il problema – evidenzia Alemanno tornando sul tormentone Unico – è che le difficoltà degli studi professionali le conosce solo chi opera sul serio sul campo. Tralascio comunque ogni polemica che non serve a nulla, mi auguro che il decreto di proroga preveda lo slittamento per tutti i pagamenti collegati ad Unico, perché se indicherà solo le imposte avremo poi problemi con l’esazione annuale delle CCIAA, i contributi Inps, ecc…: è già capitato e basta poco per evitarlo, basta conoscere la realtà operativa”.

Canone Rai in bolletta, iter concluso

Alla fine, il colpo di mano sul canone Rai in bolletta è stato compiuto del tutto con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto del ministero dello Sviluppo economico con il quale è stato completato l’iter normativo avviato con la legge di Stabilità 2016.

Tutto confermato, quindi. La prima rata del canone Rai in bolletta scatterà con le fatture successive all’1 luglio, relativamente alle 7 rate scadute nel 2016, per un totale di 70 euro. Dal 2017, il pagamento del canone Rai sarà ripartito in dieci rate mensili ciascuna da 10 euro, da gennaio a ottobre.

Qualora il canone fosse addebitato a nuclei familiari che hanno già presentato la dichiarazione di non possesso dell’apparecchio tv o della sussistenza di un’altra utenza elettrica, queste potranno presentare una richiesta di rimborso.

Naturalmente, su questo rimborso del canone Rai ancora non vi è chiarezza, poiché le modalità per presentare l’istanza saranno rese note tramite un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che sarà emanato entro il 3 agosto prossimo, ossia entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto attuativo del ministero.

Acconto Imu, ecco chi non lo paga

Si avvicina la scadenza dell’acconto Imu. Anche quest’anno, il termine ultimo per pagare è il 16 giugno, data entro la quale i proprietari o titolari di un diritto reale di godimento sui beni immobili dovranno versare l’acconto Imu.

In quali casi, invece, l’acconto Imu non è dovuto? Lo ricordiamo per comodità:

  • abitazioni principali ed equiparate che non rientrano nella categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (case non di lusso);
  • immobili di proprietà delle cooperative edilizie e immobili Iacp;
  • fabbricati rurali strumentali;
  • immobili destinati dall’impresa costruttrice alla vendita;
  • fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9 (per esempio ponti o stazioni);
  • immobili di proprietà di enti non commerciali destinati allo svolgimento, con modalità non commerciali, delle attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive; delle attività dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, alla catechesi e all’educazione cristiana;
  • fabbricati distrutti o dichiarati inagibili a seguito di eventi sismici, fino alla loro ricostruzione e agibilità;
  • terreni agricoli ubicati in un comune montano o di collina, sulla base dei criteri individuati dalla CM 9/1993, indipendentemente dalla qualifica del soggetto possessore;
  • terreni agricoli ubicati nei comuni delle isole minori indipendentemente dalla qualifica del soggetto possessore;
  • terreni agricoli a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale, a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile, indipendentemente dalla loro ubicazione e possesso;
  • Terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali.

Per tutte le categorie di immobili di cui sopra, non è previsto il versamento dell’acconto Imu.

Bonus quarto figlio senza DSU

Importanti chiarimenti per le famiglie numerose da parte dell’INPS. L’istituto, attraverso un comunicato, ha infatti reso nota la possibilità di fruire del cosiddetto bonus quarto figlio. Il bonus quarto figlio è un contributo di 500 euro, valido solo per l’anno 2015, destinato ai nuclei familiari con quattro o più figli minori, che abbiano un valore ISEE non superiore a 8.500 euro l’anno.

Il primo versamento del bonus quarto figlio da parte dell’Inps verrà è previsto a luglio 2016. La cosa importante da sapere è che per ricevere il bonus non è necessario presentare alcuna domanda: per l’erogazione, l’Inps utilizzerà la domanda già presentata dai beneficiari dell’assegno per i tre figli minori, relativa al 2015.

Ciò che è necessario per ricevere il bonus quarto figlio è che nell’anno 2015 o 2016, la famiglia abbia già presentato una Dichiarazione Sostitutiva Unica (la cosiddetta DSU) dalla quale risultino almeno quattro figli minori nel nucleo familiare; il quarto figlio deve essere nato o adottato nel 2015.

Qualora l’Inps non abbia una DSU con queste caratteristiche, la famiglia dovrà presentare una nuova DSU entro il 31 maggio 2016. Nel caso in cui le domande di assegno per i tre minori presentate per il 2015 non siano inserite dai Comuni entro il 31 maggio 2016, i pagamenti del bonus quarto figlio saranno soggetti a un ritardo tecnico che ne comporterà l’erogazione a dicembre 2016.

Alemanno (INT): “Proroga dei versamenti da Unico 2016 ai primi di luglio”

Con una nota al Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze Enrico Zanetti e ai Presidenti delle Commissioni Finanze di Camera e Senato Maurizio Bernardo e Mauro Maria Marino, il Presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi (INT), Riccardo Alemanno, ha inoltrato la richiesta di proroga dei versamenti collegati al modello Unico/2016.

Scrive Alemanno: “Anche quest’anno, pur apprezzando la tempestività di una prima pubblicazione degli studi di settore, peraltro già soggetti ad alcune correzioni, sono a sollecitare, unendomi alle richieste già presentate, la proroga, ai primi di luglio, dei versamenti di imposte, contributi e di ogni altro pagamento collegato al modello Unico 2016”.

Comprendo che la mia richiesta possa sembrare una sorta di automatismo che ogni anno si ripete – prosegue Alemanno -, ma vi assicuro che è ben lontana da ciò. Uno slittamento di appena tre settimane non creerebbe danno alcuno all’erario, ma garantirebbe agli studi degli intermediari fiscali un maggior lasso di tempo per predisporre modelli e conteggi. Studi professionali sottoposti, senza soluzione di continuità, ad un confronto con una normativa fiscale in continua evoluzione e con adempimenti burocratici che, come riconosciuto da tutti, necessitano di una concreta semplificazione e riduzione”.

Non si tratta quindi solo di un’esigenza collegata alle difficoltà di redazione della dichiarazione dei redditi – conclude Alemanno -, ma al sovrapporsi di scadenze ordinarie e straordinarie che si sommano agli obblighi dichiarativi e al pagamento in autotassazione di imposte e contributi, sarebbe un apprezzatissimo segno di rispetto per il lavoro svolto dagli intermediari fiscali il cui ruolo è determinante per il buon funzionamento della macchina fiscale”.

Esenzione Imu terreni agricoli, nuove determinazioni

Ancora un capitolo nella storia infinita dell’ Imu terreni agricoli. Questa volta viene dalla Legge di Stabilità 2016 che, in un articolo, riporta in vigore, ai fini dell’esenzione Imu terreni agricoli, il criterio contenuto già contenuto nella circolare ministeriale 9/1993.

In sostanza, con questo articolo si sancisce che da quest’anno, per determinare i criteri dell’esenzione Imu terreni agricoli che non sono coltivati da coltivatori diretti del fondo o da imprenditori agricoli professionali (Iap), si torna a fare riferimento al dettato della suddetta circolare ministeriale, che stabilisce questa distinzione tra i Comuni:

  • qualora accanto all’indicazione del Comune non vi sia alcuna annotazione, l’esenzione vale sull’intero territorio comunale;
  • qualora accanto all’indicazione del Comune vi sia l’annotazione “parzialmente delimitato”, l’esenzione è limitata a una parte del territorio comunale.

Con il ripristino della vecchia normativa, sono quindi esenti dal 2016 i terreni agricoli che:

  • sono posseduti da coltivatori diretti e Imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola, a prescindere da dove si trovano i terreni;
  • sono destinati all’agricoltura, alla silvicoltura e all’allevamento di animali in modo immutabile, con proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile, indipendentemente dalla qualifica professionale del proprietario e dal fatto che i terreni siano o meno coltivati per usi agricoli o destinati a pascolo per il bestiame;
  • si trovano nelle isole minori.

In sostanza viene accantonata la normativa precedente per l’esenzione Imu terreni agricoli, che utilizzava come criteri quello altimetrico in primis e poi la classificazione territoriale Istat.