Ordini professionali e canone Rai

Non passa giorno senza che si scopra qualche bella novità sul tanto odiato canone Rai. Una delle ultime in ordine di tempo arriva nientemeno che dai commercialisti, il cui Consiglio Nazionale, attraverso il Pronto Ordini n. 182 del 24 giugno 2016, ha risposto a un quesito che era stato posto riguardo all’eventuale pagamento del canone Rai relativamente a un pc di proprietà dell’Ordine e privo di tv e di antenna.

A tal proposito, il pronunciamento del Cndcec sottolinea come aziende, esercizi, uffici e i titolari di apparecchi televisivi diversi dai privati continuano a pagare il canone speciale Rai in base a scadenze, tariffe e le norme in vigore per il 2015. In sostanza, il canone Rai deve essere pagato da chiunque abbia un apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle trasmissioni televisive, anche nel caso in cui l’apparecchio sia dedicato a uso diverso dalla ricezione dei programmi televisivi.

Quindi, i medesimi criteri per il pagamento o meno del canone Rai, si applicano a chi detiene un pc. In sostanza, l’Ordine dei commercialisti sottolinea di non essere tenuto a pagare il canone speciale Rai se detiene solo pc privi di sintonizzatore tv e nemmeno nel caso in cui questi pc consentano l’ascolto e la visione dei programmi radiotelevisivi attraverso il web. E i commercialisti dicono ciao al canone Rai per i pc.

730 precompilato, le Entrate in soccorso dei ritardatari

I ritardatari del 730 precompilato che lo vogliono inviare in autonomia, hanno ancora 4 giorni di tempo per presentare la propria dichiarazione dei redditi. Va loro in soccorso l’Agenzia delle Entrate che, per l’assistenza alla compilazione del 730 precompilato, mette a disposizione un nuovo servizio di dedicato.

Le Entrate hanno infatti attivato numerose postazioni web self service in molti uffici territoriali (clicca qui per conoscere uffici e orari) per offrire ai cittadini assistenza per l’invio del 730 precompilato.

Si tratta di un servizio destinato ai contribuenti che, pur non rivolgendosi a un Caf o a un intermediario fiscale, si sono trovati in difficoltà con la preparazione del 730 precompilato perché non possiedono la necessaria confidenza con gli strumenti informatici.

Per utilizzare le postazioni self service, i contribuenti si dovranno collegare utilizzando il proprio codice Pin o Spid o le credenziali Inps; in questo modo, potranno accedere al 730, visualizzare i dati in esso contenuti, modificarli o accettarli e inviare la dichiarazione.

Inoltre, utilizzando la postazione self service, il contribuente potrà avere accesso anche al proprio cassetto fiscale, controllando i dati della propria dichiarazione e verificando direttamente eventuali anomalie segnalate dalle Entrate.

Infine, l’Agenzia delle Entrate ricorda che sul proprio sito è sempre attiva la sezione dedicata all’assistenza sul 730 precompilato, che contiene informazioni su come visualizzare, compilare, modificare, eventualmente integrare e spedire la propria dichiarazione dei redditi.

Spese mediche all’estero detraibili in Unico

Buone notizie per gli italiani che, per caso o per necessità, hanno dovuto sostenere spese mediche all’estero. Tali spese mediche – non quelle relative al trasferimento e al soggiorno all’estero per motivi di salute – sono infatti soggette allo stesso regime di quelle analoghe sostenute in Italia e sono quindi detraibili in Unico. Con alcune accortezze.

Per poter detrarre le spese mediche sostenute all’estero è necessario conservare:

  • Spese mediche per acquisto di protesi. Per le protesi che non fanno parte dei dispositivi medici è necessario conservare le relative fatture, quietanze o ricevute, oltre alla prescrizione del medico curante. Qualora invece siano attività svolte da professionisti che esercitano arti ausiliarie della professione sanitaria abilitati ad rapporti diretti con il paziente, se la fattura, la quietanza o la ricevuta non sono rilasciate direttamente da questo professionista, costui avrà l’onere di attestare sul documento di spesa di aver eseguito la prestazione. Qualora si verificasse questa circostanza, in alternativa alla prescrizione medica, il paziente può presentare un’autocertificazione anche non autenticata (se accompagnata da fotocopia del documento di identità del sottoscrittore) che attesti la necessità e la causale d’acquisto della protesi per il contribuente o per i familiari a carico;
  • Spese mediche per acquisto di medicinali. Conservare gli scontrini fiscali con la natura e la quantità dei medicinali acquistati, il codice alfanumerico presente sulla confezione di ogni medicinale, il codice fiscale del destinatario dei medicinali;
  • Spese mediche per l’acquisto di sussidi tecnici e informatici. Conservare le fatture, quietanze o ricevute, oltre a una certificazione del medico curante che attesti che quel sussidio tecnico e informatico serve a facilitare l’autosufficienza e la possibilità di integrazione del soggetto disabile, ai sensi dell’art. 3 della L. 104/1992.

Spesso accade che le spese mediche sostenute all’estero siano corredate da documentazione redatta nella lingua del Paese in cui sono state sostenute. In questo caso è necessario procedere alla loro traduzione secondo precise norme:

  • documentazione per spese mediche in inglese, francese, tedesco o spagnolo: il contribuente può eseguire e sottoscrivere la traduzione. I contribuenti con domicilio fiscale in Valle d’Aosta e nella provincia di Bolzano possono non accludere la traduzione se la documentazione è scritta in francese o in tedesco; i contribuenti residenti in Friuli Venezia Giulia e appartenenti alla minoranza slovena, devono corredare con una traduzione italiana non giurata la documentazione per le spese mediche redatta in sloveno.
  • documentazione per spese mediche in una lingua diversa dalle precedenti: il contribuente deve allegare traduzione giurata.

Canone Rai con F24, ecco i codici tributi

Per chi non lo sapesse, c’è chi l’odiato canone Rai non lo pagherà in bolletta. Ma, naturalmente, lo pagherà, perché l’insopportabile e anacronistico balzello ti insegue ovunque e pur di toglierti i soldi dalle tasche utilizza anche il buon vecchio F24.

Ecco come pagheranno il canone Rai gli utenti dell’elettricità che, per motivi tecnici, non potranno essere depredati con la bolletta elettrica. E chi sono?

  • gli abitanti delle isole servite da reti elettriche non interconnesse con la rete di trasmissione nazionale: Alicudi, Capraia, Capri, Favignana, Filicudi, Giglio, Lampedusa, Levanzo, Linosa, Lipari, Marettimo, Panarea, Pantelleria, Ponza, Salina, Stromboli, Ustica, Ventotene, Vulcano;
  • i contribuenti che hanno un televisore e risiedono in una casa in affitto, ma non hanno intestata la bolletta elettrica;
  • i portinai che risiedono nella casa messa a disposizione dal condominio titolare dell’utenza elettrica dove possiede un televisore.

Per questi contribuenti sono stati predisposti dei codici tributo ad hoc per pagare il canone Rai:

  • “TVRI” o “canone per rinnovo abbonamento TV uso privato – articolo 3, comma 7, decreto 13 maggio 2016, n. 94”;
  • “TVNA” o “canone per nuovo abbonamento TV uso privato – articolo 3, comma 7, decreto 13 maggio 2016, n. 94”.

Questi codici tributo saranno operativi a decorrere dall’1 settembre 2016 e il versamento del canone Rai tramite F24 dovrà essere effettuato entro il 31 ottobre.

Sostituzione vasca da bagno? Niente detrazione Irpef

Non è una buona notizia, specialmente per gli anziani, quella che l’Agenzia delle Entrate ha dato riguardo alla sostituzione della vasca da bagno con un’altra vasca con sportello apribile o con un box doccia: le Entrate hanno chiarito che questo intervento non gode della detrazione Irpef al 50%.

Il motivo è presto detto. Secondo le Entrate, che riprendono quanto già chiarito dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la sostituzione della vasca da bagno è un intervento di manutenzione ordinaria finalizzato all’eliminazione delle barriere architettoniche su singole unità e riguarda i lavori di riparazione, rinnovamento, e sostituzione delle finiture degli edifici. Per questo motivo non è fiscalmente agevolabile.

Diversamente dalla sostituzione della vasca da bagno, la detrazione Irpef al 50% e dovuta per le spese per interventi di:

  • restauro e risanamento conservativo su singole unità immobiliari residenziali
  • manutenzione straordinaria su singole unità immobiliari residenziali;
  • ristrutturazione edilizia su singole unità immobiliari residenziali;
  • eliminazione delle barriere architettoniche; eseguite anche su parti comuni.

Proprio la precisazione sulle parti comuni esclude la sostituzione della vasca da bagno dagli interventi agevolabili. Le Entrate, infatti, sottolineano che:

  • la sostituzione della vasca da bagno con un’altra vasca con sportello apribile o con un box doccia o la sostituzione di un box doccia non sono singolarmente agevolabili;
  • possono godere della detrazione Irpef al 50% qualora rientrino in interventi di restauro maggiori per cui è prevista la detrazione d’imposta prevista all’art.16-bis Tuir. Casi in cui una categoria di intervento superiore ingloba la categoria inferiore. Un esempio è il rifacimento completo degli impianti idraulici del bagno, con innovazione dei materiali che necessiti anche della sostituzione dei sanitari.

Nuovi chiarimenti sul canone Rai in bolletta

La follia del canone Rai in bolletta sembra non avere mai fine. Approvata la furbata pur tra mille distinguo e ricorsi, ora l’Agenzia delle Entrate ha dovuto emanare l’ennesima circolare per chiarire diversi punti collegati all’assurda misura.

Ricordiamo che la Legge di Stabilità 2016 ha stabilito in 100 euro annuali l’importo del canone Rai, da addebitare in dieci rate mensili sulle fatture per la fornitura di energia elettrica (con scadenza di pagamento successiva a quella della rata) degli utenti che non hanno dichiarato di possedere i requisiti per non pagare il balzello. Infatti, la norma totalmente presuntiva associa a un’utenza per la fornitura di energia elettrica il possesso di un televisore.

A fronte dei continui distinguo sollevati nei confronti dell’iniqua misura, le Entrate, relativamente al canone Rai in bolletta, hanno chiarito che:

  • le utenze elettriche su cui addebitare il canone Rai sono quelle indicate con le sigle D1, D2 e D3. L’utente può verificare se la propria utenza ha queste caratteristiche controllando se ricade nella categoria “clienti residenti”, ossia clienti domestici ai quali sono applicate le tipologie tariffarie D1, D2 o D3 relativamente ai contratti conclusi dal 2016, per i quali l’utente ha dichiarato all’impresa elettrica la propria residenza nel luogo di fornitura; oppure se ricade nella categoria “altri clienti domestici”, ossia clienti ai quali è applicata la tipologia D3 per contratti conclusi fino al 2015, la cui coincidenza tra luogo di fornitura dell’energia e residenza non è stata dichiarata dai clienti stessi ma è stata individuata dall’Anagrafe tributaria sulla base delle informazioni disponibili nel proprio sistema informativo;
  • la composizione dell’importo di 100 euro annui è la seguente: 92,18 euro di canone, 3,69 euro di Iva, 4,13 euro di tassa di concessione governativa. Gli importi dei versamenti semestrali e trimestrali, al netto di tasse e imposte, sono rispettivamente di 47,03 euro e 24,46 euro.

Questi i chiarimenti più significativi offerti dalle Entrate sul canone Rai in bolletta. Nella circolare sono affrontati anche i punti relativi al possesso di più utenze residenziali da parte dello stesso soggetto e dalle procedure da utilizzare per il calcolo del canone in caso di disattivazione e successiva riattivazione della fornitura elettrica durante l’anno.

Clicca qui per scaricare il testo della circolare delle Entrate sul canone Rai in bolletta.

Pressione fiscale sempre più su

Ci risiamo. Ogni volta che escono i dati sulla pressione fiscale in Italia, è un pianto greco per tutti. Questa volta i numeri sono quelli elaborati dal Centro studi di Unimpresa nel rapporto “Pressione fiscale e conti pubblici nel confronto internazionale”, che certificano ancora una volta come il nostro Paese abbia in record europeo di tasse e una pressione fiscale tra le più elevate dei Paesi industrializzati.

Unimpresa rileva infatti che la pressione fiscale è salita dal 39% del 2005 al 43,5% del Pil nel 2015. Questo il dato assoluto, ancora più impietoso se comparato a quello degli altri Paesi avanzati. La pressione fiscale media nell’area Euro, nello stesso periodo è passata dal 39,4% al 41% del Pil, in Germania dal 38,4% al 39,6%, nel Regno Unito dal 35,7% al 34,8%, negli Usa dal 26,3% al 26,4%.

E il dato italiano rilevato da Unimpresa non tiene conto dell’incidenza del sommerso, che nel nostro Paese è fortissima e fa lievitare la pressione fiscale reale di alcuni punti percentuali.

Ciò che più rammarica, però, è il fatto che alla crescita delle entrate, nel decennio preso in esame non ha fatto seguito un miglioramento del debito pubblico. Se, infatti, la pressione fiscale era al 39,1% del Pil nel 2005 ed è salita fino 43,5% nel 2015, sono cresciute contemporaneamente le entrate per l’erario (dal 42,5% del Pil al 47,6%) ma lo stesso ha fatto il debito pubblico, anzi, peggio: dal 101,9% del 2005 al 132,7% del 2015.

Anche in questo caso, sul fronte del rapporto debito-Pil, siamo messi peggio degli altri. Nella media dell’area euro, Italia esclusa, nel 2015 questo rapporto si è attestato all’83,3%, a fronte di una pressione fiscale del 41% e di entrate pubbliche al 46,3%; nel Regno Unito le tasse erano al 34,8%, le entrate al 38,8% e il debito pubblico all’89,2%; negli Usa, 26,4% di tasse (dato però riferito al 2014), 33,1% di entrate (sempre 2014) e 111,7% di debito (nel 2015); in Germania tasse al 39,6% del Pil, entrate al 44,6% e debito al 71,2%; in Francia tasse al 47,8%, entrate al 53,2%, debito al 95,8%.

Inoltre, secondo lo studio di Unimpresa, la pressione fiscale in Italia colpisce a tutti i livelli: abbiamo la percentuale più alta per le imposte sui consumi (Iva, aliquota massima al 22%), per le imposte personali sul reddito (Irpef, aliquota massima al 48,9%), per le imposte sul reddito delle società (Ires, aliquota massima al 31,4%).

Amaro il commento di Claudio Pucci, vicepresidente di Unimpresa con delega al fisco e ai bilanci: “La pressione fiscale è il principale ostacolo alla crescita economica del nostro Paese. Un primo passo è stato attuato con le modifiche introdotte dal governo attualmente in carica, che ha abolito l’Irap sul costo del lavoro. Tuttavia, continua a permanere l’incidenza di una imposta che non ha nessuna ragione di esistere, se non quella di fare cassa”.

Brexit e imprese. Parola d’ordine: prudenza

Il Regno Unito è uscito dall’Ue, evviva la Brexit! Dopo che i mass media e gli esperti di tutta Italia ed Europa ci hanno massacrato per settimane cercando di spiegare gli effetti della Brexit sull’economia e sulla vita di tutti i giorni qualora in Gran Bretagna avesse vinto il leave, ci siamo presi qualche giorno per disintossicarci e per provare a guardare al risultato di giovedì scorso a mente più fredda e, soprattutto, da un punto di vista delle imprese.

Intanto ricordiamo che, con la vittoria della Brexit, il governo britannico dovrà rinegoziare i trattati per uscire dalla Ue. Non è una cosa che avviene in pochi giorni, ci vorranno almeno due anni, periodo durante il quale nell’economia reale non si avvertirebbero grandi scossoni (a parte sotto il profilo della valuta) ma nel quale finanza, speculazione e mercati impazziti potrebbero fare danni pesanti.

Possiamo cominciare con il dire che le imprese che avevano in essere ipotesi di accordo per scambi commerciali con altre imprese che pagano in sterline, saranno state avvantaggiate qualora avessero deciso di chiudere o meno questi accordi dopo l’esito del referendum sulla Brexit. Visto il crollo della sterlina successivo al leave, chiudere o meno gli accordi a determinate condizioni potrebbe essere vincente.

A proposito di sterlina, questo potrà essere il problema più serio per le imprese. All’indomani del sì alla Brexit la divisa britannica ha perso oltre il 10% rispetto al dollaro, toccando i minimi da 30 anni a questa parte. Se, come prospettano alcuni analisti, la sterlina potrà deprezzarsi fino al 20% sull’euro, le imprese che hanno transazioni commerciali con i clienti i che pagano in sterline potranno trovarsi in difficoltà.

Intelligente chi, per cautelarsi, ha deciso di rimandare a dopo il referendum la definizione dei prezzi di listino in sterline. Non sempre, però, si tratta di una mossa possibile: bene ha fatto chi ha previsto e inserito negli accordi commerciali delle clausole specifiche per rinegoziare gli stessi qualora avesse vinto la Brexit.

Quello che è certo è che, come vedremo nei prossimi giorni, sono molte le imprese italiane che ora hanno paura. Paura giustificata o solo suggestione? Lo vedremo.

Marina resort, ecco il nuovo decreto attuativo

La Conferenza Stato-Regioni ha approvato il nuovo decreto attuativo dei Marina resort, che rende nuovamente operativa l’applicazione dell’Iva turistica al 10% agli ormeggi a breve, quelli inferiori all’annualità.

Il decreto attuativo stabilisce i requisiti minimi che i Marina resort devono possedere ai fini dell’equiparazione alle strutture ricettive all’aria aperta, ossia i servizi di accoglienza e messa a disposizione dello specchio acqueo per il pernottamento dei turisti.

L’emanazione del decreto sui Marina resort si è resa necessaria dopo che la Corte Costituzionale aveva parzialmente accolto il ricorso della Regione Campania contro il decreto attuativo della legge che riconosce l’applicazione dell’Iva al 10%, nella parte in cui non prevedeva la previa intesa nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

Il nuovo decreto attuativo identifica i servizi da offrire, senza indicare le quantità erogate, che potranno quindi essere oggetto di un’ulteriore, autonoma, disciplina regionale.

Il commento di Carla Demaria, presidente di UCINA Confindustria Nautica, sul decreto attuativo dei Marina resort: “Siamo molto soddisfatti di questo importante risultato ottenuto alle porte della stagione estiva. UCINA aveva richiesto con forza che il decreto attuativo fosse approvato al più presto possibile per non rischiare di perdere il vantaggio e la spinta economica che tale norma è già stata in grado di garantire al turismo nautico nel 2015. Lo scorso anno, al suo primo anno di applicazione, la norma ha prodotto un aumento del 4% dei contratti di ormeggi stagionali Rendendo nuovamente più appetibile la sosta presso gli ormeggi in transito nei porti turistici italiani verrà attirato nelle nostre acque un numero maggiore di imbarcazioni che potranno così godere della bellezza delle coste italiane a prezzi concorrenziali nel Mediterraneo”.

Fisco e giustizia, i numeri

Nel 2015 sono calati i contenziosi con il fisco. Non che l’amministrazione tributaria avida e rapace sia diventata improvvisamente buona: semplicemente, si tratta di una tendenza già avviata negli scorsi anni che, anche per il 2015 ha visto un -7,2% di liti tributarie pendenti con il fisco. Il numero rimane ancora mostruoso, oltre mezzo milione (530.844, per l’esattezza), ma i dati diffusi dal ministero dell’Economia hanno comunque un certo peso.

Il calo del 2015 è stato generato anche dalla crescita dei ricorsi pervenuti alle Commissioni tributarie (14.233) e dalla definizione di quasi 300mila controversie (298.313). In sostanza, il numero dei ricorsi definiti nel 2015 con il fisco è stato superiore a quelli complessivamente pervenuti.

Entrando nel dettaglio delle cifre del ministero, i ricorsi contro il fisco sono cresciuti del 5,8%, con un +3,3% nel primo grado di giudizio e un +13,7% di appelli, mentre sono calate le controversie definite (-1,2%) rispetto al 2014. Il 62% delle controversie pendenti (329.110 unità) è in giacenza da meno di 2 anni, il 28,8% (152.799) da 2 a 5 anni, poco meno del 10% (9,2%, pari a 48.935 controversie) da più di 5 anni.

Impressionante il valore complessivo delle controversie presentate al fisco nel 2015: circa 33,5 miliardi di euro, con un valore medio della singola controversia pari a circa 130mila euro. Il totale delle controversie definite nel 2015 ammonta a circa 35 miliardi, con un valore medio della singola controversia definita di circa 117mila euro.

Infine, uno sguardo ai tempi della giustizia tributaria che, come per quella civile o penale, non brillano per dinamismo. Nel 2015, la durata media di un processo con il fisco, nel primo grado di giudizio, è stata di 857 giorni, comunque in miglioramento rispetto al 2014 (-104 giorni); nel secondo grado di giudizio la media cala a 750 giorni, comunque in crescita rispetto al 2014 (+20 giorni).