Assunzione a tempo indeterminato durante cassa integrazione: adempimenti ed agevolazioni

E’ possibile lavorare durante la Cassa integrazione? La riposta è “sì”. E’ pur vero, che ciò è limitato ad alcune tipologie di contratto, che ci sono degli obblighi da rispettare sia per il datore di lavoro che per il lavoratore, ma anche delle agevolazioni in alcuni casi.

La crisi economica e del mondo lavoro dovuta al persistere dell’emergenza Covid ha costretto il governo a fare ricorso a vari ammortizzatori sociali per sostenere le imprese e aiutare i lavoratori coinvolti. Inoltre è stata concessa la possibilità a quest’ultimi di poter svolgere contemporaneamente e in modo temporaneo altre attività senza perdere i benefici di cui usufruisce.

La predetta facoltà consente ai soggetti sospesi dal lavoro di essere utilizzati in attività produttive, agevolando la rioccupazione e permettendo di integrare il proprio reddito. Ma consente anche all’Inps di risparmiare risorse in quanto vengono sospese o ridotte le varie misure di sostegno.

Assunzione durante cassa integrazione: comunicazioni obbligatorie

Come già anticipato, la rioccupazione non sempre è compatibile con la fruizione della cassa integrazione, in quanto il cumulo tra reddito lavorativo e beneficio derivante dall’ammortizzatore sociale è previsto solo in alcuni casi.

La circolare n. 130/2010 dell’Inps stabilisce quando ricorre l’incompatibilità tra prestazione lavorativa e trattamento assistenziale e quando, invece, è consentito il cumulo totale o parziale tra reddito da lavoro e ammortizzatore.

Per prima cosa, il lavoratore è obbligato a comunicare preventivamente al datore di lavoro dello svolgimento della nuova attività, ma non all’Inps, nei casi in cui vige l’obbligo di comunicazione al Centro dell’Impiego (rapporti di lavoro subordinato, a progetto, associazione in partecipazione ecc.). Invece, l’obbligo di comunicazione all’Inps ricorre nel caso di prestazioni di lavoro autonomo non accessorio. Il datore di lavoro, invece, è obbligato ad effettuare la comunicazione alla sede Inps competente del territorio, relativamente all’assunzione, cessazione, trasformazione e proroga dei rapporti di lavoro autonomo, subordinato, associato, dei tirocini e di altre esperienze professionali.

Compatibilità e cumulabilità Cig con contratto a tempo indeterminato

Lo svolgimento di un’attività con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato alle dipendenze di un diverso datore di lavoro non è consentita ai percettori di Cig ordinaria, straordinaria e in deroga, in quanto non compatibile e non cumulabile (eccezion fatta per il personale, anche navigante dei vettori aerei e delle società da questi derivanti a seguito di processi di riorganizzazione o trasformazioni societarie). La conseguenza è la risoluzione del rapporto precedente e la perdita del diritto al trattamento di integrazione salariale.

Invece, è compatibile e cumulabile con Cig ordinaria, straordinaria e in deroga il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato part-time. La compatibilità sussiste per quanto concerne l’orario di lavoro, la cumulabilità sussiste in caso di reddito percepito da una nuova attività compatibile e non sovrapponibile in termini temporali a quello in essere. Fermo restando il rispetto del limite massimo di ore lavorate settimanali. Per esempio è perfettamente compatibile e cumulabile l’integrazione salariale per un rapporto di 40 ore settimanali dal lunedì al venerdì con un rapporto di lavoro a tempo parziale di 8 ore da svolgere nella giornata di sabato.

Quest’ipotesi ricorre anche nel caso in cui i due contratti lavorativi siano a tempo parziale, con l’orario quotidiano ridotto e con la prestazione a orario pieno in più occasioni in periodi prestabiliti. Ma anche quando il contratto di lavoro subordinato full e part-time, sempre che le due attività siano compatibili nel rispetto della soglia massima settimanale di lavoro.

Se l’orario lavorativo si sovrappone si realizza una parziale cumulabilità, nel caso il reddito da lavoro part-time è inferiore all’integrazione complessiva del salario. In questo caso al beneficiario è dovuta una quota di integrazione a concorrenza del totale della stessa. Ricorrendo questa ipotesi il lavoratore dovrà comunicare all’Inps l’importo delle retribuzioni percepite con il contratto a tempo parziale per calcolare l’eventuale differenza di Cig da corrispondere.

Agevolazioni per assunzione lavoratori in Cig

La legge prevede agevolazioni per l’assunzione di lavoratori in cassa integrazione straordinaria, ma non per quella ordinaria o in deroga. Tuttavia, tali benefici contributivi sussistono solo in caso di assunzioni con contratti di lavoro a tempo indeterminato, per cui il lavoratore perde il diritto alla Cig nel momento in cui viene assunto. Per beneficiare delle agevolazioni sono necessarie determinate condizioni.

Lavoratori in Cigs da almeno 3 mesi

I datori di lavoro (cooperative di produzione e lavoro incluse) che assumono a tempo pieno e indeterminato (o associano) lavoratori che abbiano beneficiato del trattamento Cigs per almeno 3 mesi e che ne usufruiscano al momento dell’assunzione, dipendenti da imprese beneficiarie da almeno 6 mesi (stavolta continuativi) dall’intervento, hanno diritto ai seguenti benefici:

  • Per ciascuna mensilità di retribuzione riconosciuta al lavoratore, un contributo pari al 50% dell’indennità di mobilità che sarebbe spettata al lavoratore se fosse rimasto disoccupato. Il predetto contributo spetta per nove mesi (ventuno per il lavoratore over 50 ed ulteriormente a 33 se il lavoratore ultracinquantenne risiede nel Sud Italia o in circoscrizioni territoriali con un tasso di disoccupazione superiore alla media nazionale e l’azienda opera nei suddetti territori);
  • alla riduzione per 12 mesi della contribuzione nella misura prevista per gli apprendisti dipendenti da aziende con piu` di 9 dipendenti, ferma restando la contribuzione in misura normale a carico del lavoratore.

Lavoratori in Cigs da almeno 24 mesi

Le aziende che assumono a tempo indeterminato pieno o part-time lavoratori sospesi in Cigs da almeno due anni hanno diritto per un periodo di 36 mesi:

  • al versamento del 50% dei contributi a loro carico se operanti in aree del Centro-Nord
  • all’esonero totale dal pagamento contributivo, siano essi operanti nell’Italia Meridionale, sia che si tratti di artigiani.

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La crisi pesa sugli ammortizzatori sociali

Ogni crisi ha i suoi costi e quella che stiamo attraversando ne ha di altissimi sul fronte degli ammortizzatori sociali. Secondo un’elaborazione effettuata dall’Ufficio Studi della Cgia, tra il 2009 e il 2013 l’Italia ha pagato 59 miliardi di euro in ammortizzatori sociali, al netto dei contributi figurativi.

Secondo la Cgia, il 72,7% di questi costi per ammortizzatori sociali (pari a 42,8 miliardi) è stato coperto grazie ai contributi versati dai dipendenti e dalle imprese, mentre il restante 27,3% (circa 16 miliardi) è stato a carico della fiscalità generale.

Se analizziamo l’andamento registrato in questi ultimi anni – ha commentato il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – notiamo che c’è stato un boom della spesa delle misure di sostegno al reddito dei lavoratori che hanno perso il posto di lavoro. Dai circa 10 miliardi riferiti al 2009 si è saliti a quota 14,5 nel 2013. Importo, quest’ultimo, che dovrebbe essere raggiunto anche nel 2014. Per contro, invece, la copertura garantita dai contributi versati dalle imprese e dai lavoratori dipendenti è rimasta praticamente la stessa. Se nel 2009 era pari a 8,4 miliardi, nel 2013 è stata di poco superiore ai 9 miliardi di euro. Questo si traduce in un saldo sempre più negativo: ovvero il costo degli ammortizzatori sociali è sempre più a carico della collettività. Era pari poco più di 1,5 miliardi nel 2009, l’anno scorso ha sfiorato i 5,5 miliardi di euro”.

Lo studio della Cgia ha preso in esame il flusso di entrate e uscite relativo a diversi ammortizzatori sociali: Cig ordinaria, Cig straordinaria, Cig straordinaria in deroga, trattamenti di disoccupazione, AspI e mini-AspI, indennità di mobilità. Un’analisi che però non comprende le somme a copertura della contribuzione figurativa garantite dallo Stato, quelle, per capirsi ai fini della maturazione dei requisiti previsti per l’ottenimento della pensione.

In questo quadro diventa esemplare, tra gli ammortizzatori sociali la situazione della Cig in deroga, introdotta all’inizio della crisi per favorire gli occupati della piccola impresa e diventata, da misura straordinaria, una misura strutturale che costa all’Italia circa 1,5 miliardi di euro all’anno. Un costo che ricade su tutti i contribuenti in quanto è finanziata dalla fiscalità generale, diversamente dalla Cig ordinaria, quasi del tutto finanziata attraverso i contribuiti versati dalle imprese e dai lavoratori dipendenti.

Jobs Act e piano Renzi, il punto di vista dell’INT

Il Jobs Act del presidente del Consiglio Renzi divide. Ci mancherebbe altro, siamo in Italia… E quando mai un provvedimento governativo ha unito qualcuno? Ma divide anche i lavoratori. Perché se i diretti beneficiari delle misure di Renzi saranno i lavoratori dipendenti, che tra un paio di mesi dovrebbero vedere gli effetti delle misure del governo in busta paga, come spesso accade il popolo degli autonomi e dei professionisti resta alla finestra.

Sono oltre 5 milioni e mezzo, come rileva l’Istat relativamente all’ultimo trimestre del 2013. Aggiungiamo circa 6 milioni di partite Iva che comprendono anche le imprese. E abbiamo le dimensioni del fenomeno.

Tra i professionisti c’è chi accoglie positivamente le indicazioni del Presidente del Consiglio in attesa di vederne la concretizzazione. È il caso dell’Istituto Nazionale Tributaristi (INT) il cui presidente, Riccardo Alemanno, ha dichiarato:“Certo ognuno avrebbe voluto di più per la propria categoria o per le proprie necessità, in un momento di crisi tutti vivono momenti difficili, qualcuno però sta affrontando anche difficoltà maggiori e credo che i soggetti individuati dal Presidente Renzi, come destinatari del maggior beneficio annunciato nei giorni scorsi ovvero i lavoratori dipendenti, siano proprio coloro che più di altri risentono della crisi economica. Bisogna uscire dalla logica della difesa del  proprio orticello, cosa che ha prodotto sempre negatività per la collettività, soprattutto il mondo professionale dovrebbe comprendere tale necessità anteponendo linteresse generale al proprio, ricordando che solo se lintera collettività potrà avere maggiori risorse da immettere sul  mercato con implementazione dei consumi, solo così anche le varie categorie produttive, professionisti compresi potranno uscire dall attuale situazione di  stagnazione economico-finanziaria”. “Purtroppo – prosegue Alemannoproprio in questi giorni giungono segnali che vanno in tuttaltra direzione, aumentare ad esempio i compensi dei servizi professionali resi reintroducendo tariffe minime credo che in questo  momento sia, pur se legittimato dalla norma, qualcosa di incomprensibile e che avrà un effetto positivo per pochi e negativo per la collettività. Da parte nostra, lo abbiamo già comunicato al Presidente Renzi, siamo  pronti a fare la nostra parte, senza chiedere riconoscimenti, senza mettere sul piatto contropartite, ma solo ed esclusivamente nell’interesse generale del Paese. Sicuramente proseguiremo la nostra battaglia sulla semplificazione e sulla riforma fiscale, continueremo a criticare ciò che merita di essere criticato perché non va nel verso dellequità e della giustizia sociale,  ma questa è una battaglia di tutti e per tutti  e non di parte”.

Il Jobs Act per punti

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ama molto i social network e adora esprimersi con termini e locuzioni inglesi. Una di quelle che più è risuonata prima e dopo la sua entrata a Palazzo Chigi è Jobs Act, ovvero un piano lavoro che prevede, tra l’altro un contratto unico, un assegno universale per chi perde il lavoro con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare nuove proposte di lavoro, tutele crescenti, rappresentanza sindacale nei cda. Ecco un decalogo per meglio conoscere il Jobs Act

Apprendistato
Sarà semplificato e avrà meno vincoli. Cade l’obbligo di confermare i precedenti apprendisti prima di assumerne di nuovi.

Retribuzione
La retribuzione dell’apprendista, relativamente alle ore di formazione, ammonterà al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento finale.

Contratti a termine
Viene innalzata da 12 a 36 mesi la durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato e non viene richiesto il requisito della causalità (il motivo dell’assunzione); fissato al 20% il limite massimo per l’utilizzo.

Proroghe più semplici
Sarà possibile prorogare i contratti a termine più volte.

Cassa integrazione
Vengono mantenute la cig ordinaria e straordinaria, con l’introduzione del cosiddetto “meccanismo premiante”: si abbassa il contributo di tutti ma si usa maggiormente la cassa.

Tutele crescenti
Punto tutto da chiarire. Secondo il testo, è possibile l’introduzione “eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti”.

Garanzia universale
Il sussidio è inserito nel ddl delega, per la cui applicazione ci vorranno almeno sei mesi. Questo sussidio ssorbirà Aspi e mini Aspi e sarà “graduato in ragione del tempo in cui la persona ha lavorato”.

Garanzia giovani
Partirà dalll’1 maggio e riguarderà almeno 900mila persone, con risorse per 1,5 miliardi.

Meno forme contrattuali
Riordino e snellimento delle attuali 40 forme contrattuali.

Smaterializzazione del Durc
Un intervento su cui Renzi punta molto: nel 2013 i Durc presentati sono stati circa 5 milioni.

Piani formativi per lavoratori a rischio

Per agevolare le aziende colpite dalla crisi economica, il Fondo paritetico interprofessionale Fondimpresa vuole incentivare all’interno delle stesse una serie di Piani formativi rivolti alla formazione dei lavoratori a rischio di perdita del posto di lavoro.
Il progetto è diretto particolarmente all’adeguamento delle competenze, nonché alla riqualificazione dei lavoratori che vedono interrompersi bruscamente il proprio contratto di lavoro e vanno a beneficiare degli ammortizzatori sociali.

Possono beneficiare dei contributi le imprese aderenti al Fondo che rispettano tutte le condizioni di seguito indicate:

  • Adesione a Fondimpresa già efficace;
  • Saldo attivo sul proprio Conto Formazione presso Fondimpresa;
  • Credenziali di accesso all’area riservata per la presentazione dei piani formativi del Conto Formazione, a seguito della registrazione sul portale web di Fondimpresa;
  • non avere presentato a partire dal 1° luglio 2012 alcun Piano formativo a valere su altri avvisi di Fondimpresa che prevedano un contributo aggiuntivo al Conto Formazione.

Qualunque tipologia di piano formativo prevede la partecipazione di almeno 4 lavoratori per un minimo di 12 ore di formazione procapite.

I lavoratori considerati a rischio sono:

  • Lavoratori oggetto di richiesta di cassa integrazione, ordinaria, straordinaria, in deroga, interessati dal relativo provvedimento nel periodo di svolgimento della formazione;
  • Lavoratori con contratti di solidarietà.
  • Vengono inclusi nel progetto anche i lavoratori con contratti di inserimento o reinserimento e i lavoratori a tempo determinato con ricorrenza stagionale, anche nel periodo in cui non sono in servizio nell’azienda.

Il finanziamento di Fondimpresa sul Piano formativo non può superare l’importo complessivo massimo di 180 euro per ora di corso.

I Piani formativi e le richieste di contributo possono essere avanzate a partire dal 16 settembre 2013 e fino al 15 aprile 2014, tramite la funzionalità presente nell’area riservata del sito web di Fondimpresa.

Vera MORETTI

I Consulenti: sgravi fiscali per rilanciare l’occupazione

Dopo le proposte dei Consulenti del lavoro che abbiamo illustrato ieri per rilanciare il mercato dell’occupazione in Italia, ecco altri punti che, per l’associazione, sono imprescindibili.

Oltre a diversi interventi nell’ambito della responsabilità solidale, del documento unico di regolarità contributiva e del contributo di fine rapporto necessario a finanziare l’Aspi, secondo i Consulenti del lavoro sarebbe opportuno introdurre uno sgravio fiscale di cinque anni per i lavoratori under 30 o over 50 e dei contributi ridotti per 3 anni qualora un’azienda stabilizzi un dipendente a termine; gli sgravi fiscali dovrebbero essere totali per retribuzioni fino a 40mila euro e del 50% per retribuzioni fino a 80mila euro).

Secondo i Consulenti, poi, sarebbe necessario razionalizzare il Fondo di tesoreria, ridurre del 5% il costo del lavoro a tempo indeterminato (attraverso 12,2 miliardi di euro che verrebbero recuperati rivedendo le tariffe Inail), ridurre la spesa pubblica improduttiva  e utilizzare il 50% delle risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale.

Come si vede, si tratta di un mix di suggerimenti tecnici e di misure di buon senso che, se attuato, potrebbero con tutta probabilità ridare fiato a un mercato del lavoro ormai sull’orlo del collasso.

Occupazione, le proposte dei Consulenti del lavoro

Chi meglio dei Consulenti del lavoro può elaborare proposte utili al rilancio dell’occupazione in Italia.

È quello che hanno fatto con un documento nel quale analizzano cause della stagnazione attuale e propongono soluzioni per superare l’impasse.

Il documento parte con una bacchettata alla legge Fornero, la quale “non ha centrato gli obiettivi occupazionali che si prefiggeva, forse perché pensata per un modello di mercato del lavoro già in espansione”. Il suo effetto è stato invece quello di irrigidire la flessibilità in entrata. Ecco dunque le proposte dei Consulenti per incidere in maniera efficace sulla riduzione del costo del lavoro, per ammorbidire la rigidità in entrata e tornare a una situazione ante legge Fornero.

Cancellazione, per le partite Iva, dell’articolo 69 bis del Dlgs 276/2003, introdotto dalla riforma Fornero. Vale a dire togliere la possibilità di trasformare le prestazioni a partita Iva in collaborazione coordinata e continuativa purché siano soddisfatti due dei seguenti tre presupposti: rapporto superiore a otto mesi annui in due anni consecutivi; corrispettivo da partita Iva superiore all’80% dei corrispettivi annui complessivi del collaboratore in due anni consecutivi; postazione fissa in una sede del committente messa a disposizione del collaboratore a partita Iva.

I Consulenti auspicano anche un ritorno alla situazione precedente la riforma anche per il contratto di associazione in partecipazione, mentre per il contratto a tempo determinato chiedono la sospensione fino alla fine del 201, dell’obbligo di indicazione della causale e dei periodi di sospensione obbligatoria tra due contratti.

Importante levare vincoli anche all’apprendistato, con l’eliminazione dei nuovi obblighi di stabilizzazione da parte delle aziende e il mantenimento di quelli previsti dai contratti nazionali. Vi è poi una richiesta di omogeneizzazione dei percorsi di formazione, specialmente tra regione e regione.

Utile sarebbe, secondo i Consulenti, innalzare il tetto economico per lavoratore e per anno dagli attuali 5mila euro a 8mila per le imprese e gli studi professionali, così come accorpare giuridicamente questo tipo di contratto con quello dell’impiego intermittente.

Vedremo domani le altre proposte dei Consulenti del lavoro.

Occupazione? Su gli investimenti, giù il costo del lavoro

Come se non bastassero le mazzate che continuamente arrivano sul mercato del lavoro italiano dall’interno delle mura di casa nostra, adesso anche il resto del mondo ci ricorda come, nel nostro Paese, la situazione occupazionale sia preoccupante.

Arriva infatti dall’Ilo, l’International Labour Organization, l’organismo dell’Onu specializzato nelle tematiche del lavoro, l’ennesimo allarme: “All’Italia servono circa 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro per riportare il tasso di occupazione ai livelli pre-crisi”. È quanto si legge nel “Rapporto sul mondo del lavoro 2013”, il documento stilato dall’organizzazione che fa il punto sull’andamento occupazionale nel mondo. E questa è la triste figura dell’Italia, che deriva dalla somma dei posti persi negli ultimi anni con l’aumento della popolazione in età attiva rispetto al periodo ante-crisi.

L’Italia figura nella categoria di quei Paesi nei quali la disoccupazione continua ad aumentare (per citare un dato, era al 6,1% nel 2007) e dove sono cresciute le disparità di reddito a causa della recessione. Nel capitolo del rapporto dedicato al nostro Paese, si sottolinea come “la sfida della ricerca di un posto di lavoro è particolarmente difficile per i giovani tra 15 e 24 anni: il tasso di disoccupazione di questa fascia di età è salito di 15 punti percentuali e ha raggiunto il 35,2% nel quarto semestre 2012”.

Il rapporto punta anche l’attenzione sulla diffusione dell’occupazione precaria: infatti, a partire dal 2007 il numero dei precari è cresciuto del 5,7% e ha raggiunto il 32% degli occupati nel 2012. Secondo l’Ilo, la percentuale dei contratti a tempo determinato sul totale dei contratti precari è aumentata con tutta probabilità a causa della riforma Fornero. Ecco dunque che, per risollevare il mercato italiano dell’occupazione, il rapporto Ilo suggerisce di puntare sugli investimenti e sull’innovazione anziché sull’austerità e sulla riduzione del costo unitario del lavoro e, soprattutto, dice la sua su una delle “grandi trovate” che da qualche tempo gira in bocca ai soloni della politica e dell’occupazione, la cosiddetta “staffetta generazionale”. L’Ilo la approva con riserva, sottolineando come esistono modi più efficaci per rilanciare l’occupazione giovanile: dagli incentivi all’assunzione al miglioramento del sistema di formazione.

Confcommercio: occupazione ai livelli del 2005

Si chiama Misery Index ed è un indice mensile che unisce dati sul mercato del lavoro, disoccupazione, cassa integrazione, scoraggiati e il tasso di variazione dei prezzi di beni e servizi acquistati con alta frequenza dagli italiani. Se lo è inventato Confcommercio, per la verità senza escogitare nulla di nuovo, visto che, almeno nel nome, riprende l’economico, creato dall’economista Arthur Okun.

Sicuramente, però, l’indice di Confcommercio è d’impatto, almeno quando esce con le proprie statistiche ufficiali sul mercato del lavoro. E i dati di aprile lo dimostrano. Secondo l’indice, ad aprile il mercato del lavoro ha registrato un nuovo peggioramento in termini congiunturali. Rispetto a marzo gli occupati sono diminuiti di 18mila unità a cui si è associato un aumento di 22mila persone in cerca di occupazione, combinazione che ha fatto passare il tasso di disoccupazione ufficiale dall’11,9% al 12,0%.

Secondo l’indice, continua il processo di distruzione dei posti di lavoro creati tra il 2005 ed il 2008. Il numero di occupati è infatti ora ai livelli di settembre 2005, mentre il numero di giovani (15-24 anni) in cerca di occupazione ha raggiunto le 656mila unità e il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 40,5%. Ad aggravare il quadro è il numero dei cosiddetti Neet (Not in Education, Employment or Training), coloro che non studiano e non sono coinvolti in programmi di formazione: sono oltre 2,2.

Nel mese di aprile sono state autorizzate circa 100 milioni di ore di cassa integrazione, in aumento rispetto ai 97 milioni di marzo ed ai 79 milioni di febbraio. Dai dati dell’Osservatorio INPS, poi, emerge che, dopo la forte flessione dell’inizio dell’anno, la percentuale di tiraggio (ossia le ore effettivamente utilizzate) è aumentata sia per la cassa integrazione ordinaria sia per quella straordinaria e in deroga, passata dal 24,8% al 55,4%.

Il numero di scoraggiati è invece previsto in lieve diminuzione da 739mila persone di marzo a 726mila. Secondo Confcommercio se si aggiunge ai disoccupati ufficiali la stima delle persone in cassa integrazione e degli scoraggiati il tasso di disoccupazione di aprile è al 15,7%, in aumento rispetto al 15,6% del mese precedente.

Il dato non lascia tranquilli, soprattutto perché arriva da un associazione come Confcommercio, che ha il polso della situazione reale della nostra economia.

Disoccupazione e piccola impresa dobbiamo rassegnarci? Meglio di no

di Davide PASSONI

Ha fatto scalpore la presentazione nei giorni scorsi da parte della Cgil del rapporto ‘La ripresa dell’anno dopo – Serve un Piano del Lavoro per la crescita e l’occupazione’. Secondo i dati contenuti in questo studio, effettuato da Riccardo Sanna dell’Ufficio economico del sindacato, se l’Italia intercettasse la ripresa accreditata per il 2014 dai maggiori istituti statistici, ci vorrebbero tredici anni per ritornare al livello del Pil del 2007, 63 per recuperare il terreno perso sul lato dell’occupazione e non si riuscirebbe mai a recuperare il livello dei salari reali.

Dati che fanno riflettere soprattutto chi fa impresa tutti i giorni, che in Italia vuol dire la piccola e media imprenditoria. Sono queste infatti le realtà nelle quali l’emorragia di occupati è forse meno evidente alla maggior parte delle persone ma è più mortale. Se nella grande impresa – quella che occupa le prime pagine dei mass media – la disoccupazione fa notizia ma è controbilanciata da una dimensione aziendale e da una mole di aiuti, statali e non, che impediscono chiusure definitive (“too big to fail”, troppo grandi per fallire dicono gli inglesi), nella piccola, spesso, la disoccupazione significa la morte dell’impresa stessa.

Quante volte abbiamo sentito di imprenditori che si tolgono il pane di bocca per non chiudere i battenti e lasciare in mezzo alla strada dipendenti e famiglie? Oppure che, non riuscendosi, si tolgono la vita?

Ecco, di fronte a questi dati, di fronte a queste cifre sull’occupazione che non c’è che vengono dalle fonti più diverse, Infoiva proverà questa settimana a estrarre una visione d’insieme. Andando al di là del corporativismo delle associazioni, della miopia di quei sindacati ancorati a una visione del lavoro e dell’economia che è ormai di due secoli fa, della diffidenza della piccola impresa a confrontarsi con un fenomeno che, se fino a 5 anni fa era un problema degli altri, ora è per essa stessa questione di vita o di morte.