Stipendio in nero? Il lavoratore ci paga le tasse

I consulenti del lavoro intervengono in materia di lavoro nero e lo fanno con il parere n. 26 della loro Fondazione Studi. In base a questo parere, se la retribuzione è in nero, non è solo il datore a dover pagare le tasse ma anche il lavoratore. I consulenti del lavoro ricordano come, a una lettura superficiale della giurisprudenza della Cassazionesembrerebbe che il lavoratore resti del tutto estraneo alla tassazione della propria retribuzione, essendo compito esclusivo del datore di assoggettare a ritenuta il relativo importo“. “Tuttavia – sostengono i consulentila Corte di Cassazione in più occasioni ha stabilito che anche il lavoratore è correo, dovendo provvedere ad assoggettare a tassazione la retribuzione percepita pure in assenza di ritenuta da parte del datore, ovvero in caso di pagamenti in nero“. 

Inoltre, secondo la Cassazione, nel caso specifico in oggetto “è errata la conclusione, in punto di diritto, che la contribuente fosse esonerata dall’obbligo fiscale essendovi una norma primaria che impone al datore l’obbligo di effettuare le ritenute e versarle“. La Corte ritiene dunque che “in caso di mancato pagamento della ritenuta d’acconto da parte del lavoratore, il soggetto obbligato al pagamento del tributo sia anche il lavoratore contribuente”.

Secondo la Suprema Corte, l’intervento del sostituto lascia inalterata la posizione del sostituito, che è deve dichiarare i redditi assoggettati a ritenuta, poiché concorrono a formare l’imponibile sulla quale, secondo il criterio di progressività, sarà calcolata l’imposta dovuta, detraendosi da essa la ritenuta subita come anticipazione del prelievo.

Cartella esattoriale legittima se emessa da un controllo automatizzato

La Cassazione ha stabilito, con l’Ordinanza n. 16983 del 4 agosto 2011, la legittimità della cartella esattoriale, qualora anche non fosse motivata, se emessa a seguito di un controllo automatizzato. Se la pretesa impositiva nasce sulla base dei dati forniti dal contribuente stesso nella dichiarazione dei redditi non si rende dunque necessaria nessuna motivazione per la cartella esattoriale.

La motivazione non è necessaria qualora l’atto si fondi sui dati raccolti nella dichiarazione dei redditi, di cui il contribuente conosce già i presupposti della pretesa fiscale, in base all’articolo 36/bis del Dpr 600/1973 per le imposte dirette, e 54/bis del Dpr 633/1972 in materia di Iva.

Questa manovra è volta ad estendere l’efficacia dei controlli fiscali automatizzati sulle cartelle esattoriali.

L’articolo 7 della legge 212/2000 (statuto dei diritti del contribuente) che rende obbligatorie la chiarezza e la motivazione degli atti tributari secondo la disciplina normativa contenuta nella legge 241/1990, perde la sua applicabilità in caso si sia di fronte a una mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente, nella dichiarazione dei redditi. Il contribuente in tal caso non viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale, che quindi non deve essere motivata.

L’Ordinanza n. 16983 emessa dalla Cassazione stabilisce infatti i limiti di validità e applicabilità del principio di non motivazione, ovvero nel caso in cui ‘l’attività di liquidazione delle imposte ‘avvenga sulla base degli elementi fomiti dalla stessa dichiarazione della contribuente, provenienza che poneva evidentemente l’Ufficio nella condizione di formulare la propria richiesta in forza del semplice richiamo alla dichiarazione, senza necessità di indicare i fatti costitutivi dell’obbligazione fiscale‘.

In caso contrario, l’onere di motivazione per la cartella esattoriale sussiste nella sua integrità qualora tale attività ‘non si sovrapponga alla dichiarazione del contribuente, ma si risolva in una rettifica dei risultati della dichiarazione stessa, così da comportare una pretesa ulteriore da parte dell’amministrazione finanziaria, si è in presenza di un’attività impositiva vera e propria, con la conseguenza che la relativa cartella esattoriale va motivata come l’avviso di accertamento, ossia deve contenere tutte le indicazioni idonee a consentire al contribuente di apprestare un’efficace difesa‘.

Alessia Casiraghi

Emolumenti degli Amministratori: ecco i requisiti per la deducibilità.

Secondo l’art. 95 del Tuir i compensi agli amministratori delle società di capitali possono essere dedotti nell’esercizio in cui avviene il pagamento.

Il Pagamento dovrà risultare da apposita delibera dell’assemblea oppure per gli amministratori delegati, del consiglio di amministrazione.

Il testo normativo in vigore dal 2004 elimina i dubbi circa la deducibilità degli emolumenti, nonostante la tesi sostenuta dalla Cassazione nell’ordinanza 18702 del 13 agosto scorso, che aveva invece escluso la deduzione dei compensi agli amministratori sulla base del testo dell’art. 62 del Tuir in vigore fino al 2003.

Un dipendente rimane a casa per un incidente? Anche al datore di lavoro spetta un risarcimento.

Il datore di lavoro ha diritto al rimborso delle spese erogate al proprio dipendente, a titolo sia retributivo che contributivo, per l’intero periodo di inabilità temporanea durante il quale il lavoratore è rimasto assente dal posto di lavoro a causa delle lesioni riportate in seguito ad un incidente stradale cagionato da un terzo; quest’ultimo, infatti, avendo di fatto impedito al lavoratore di prestare la propria attività lavorativa, ha cagionato un danno anche al datore di lavoro tenuto a pagare comunque il lavoratore, ma pregiudicato nella possibilità di ricevere la prestazione corrispettiva. Il risarcimento sarà a carico del terzo responsabile del fatto illecito ed il relativo diritto si prescriverà in due anni dalla data del sinistro. Questo è quanto stabilito dalla Cassazione civile, sezione III, con la sentenza n. 2844/2010.

fonte: LEGALE-ONLINE.NET