Iva killer. Prime vittime le famiglie, poi le imprese

Chi pagherà l’aumento dell’Iva al 22%? In prima battuta le famiglie e, conseguentemente, le imprese e l’intero sistema produttivo italiano. È quanto ipotizza la Cgia di Mestre, secondo la quale se il Governo non riuscirà a scongiurare l’aumento, gli aggravi di imposta sulle famiglie saranno pesantissimi: 2,1 miliardi di euro nel 2013, 4,2 miliardi nel 2014.

La Cgia stima che, ipotizzando che i comportamenti di consumo delle famiglie italiane misurati secondo le rilevazioni Istat rimangano immutati, per un nucleo costituito da 3 persone l’aggravio medio annuo sarà di 88 euro. Nel caso di un nucleo familiare di 4 persone, l’incremento medio sarà invece di 103 euro.

Visto che per il 2013 l’aumento dell’Iva interesserà solo il secondo semestre, per l’anno in corso gli aumenti di spesa saranno la metà: 44 euro per la famiglia da 3 persone e 51,5 euro per quella da 4.

Quali saranno i principali beni e servizi a rincarare dall’1 luglio? Ricordando che il passaggio dal 21% al 22% dell’Iva ordinaria non inciderà sulla spesa dei beni di prima necessità come alimentari, sanità, istruzione, casa (ai quali si applica l’Iva al 10% o al 4%, o non si applica affatto), la Cgia stima che saranno vino e birra tra le bevande; e poi carburanti, riparazioni dell’auto, abbigliamento, calzature, mobili, elettrodomestici, giocattoli e computer.

Ecco perché, secondo la Cgia, i rincari che peseranno di più sulle famiglie italiane si verificheranno quando si farà il pieno all’auto o la si farà riparare (33 euro all’anno per una famiglia di tre persone, 39 euro per 4 persone), si acquisteranno capi di abbigliamento e calzature (18 euro all’anno per una famiglia di 3 persone, 20 euro per 4) o si acquisteranno mobili, elettrodomestici o articoli per la casa (13 e 17 euro).

Secondo Giuseppe Bortolussi, segretario dell’organizzazione mestrina, “bisogna assolutamente scongiurare questo aumento. Se il Governo Letta non lo farà, corriamo il serio pericolo di far crollare definitivamente i consumi che ormai sono ridotti al lumicino con gravi ripercussioni economiche non solo sulle famiglie, ma anche su artigiani e commercianti che vivono quasi esclusivamente della domanda interna. Rispetto al 2011 la riduzione della spesa per consumi delle famiglie italiane è stata del 4,3%, una variazione negativa molto superiore a quella registrata nel biennio 2008-2009, quando, al culmine della recessione, i consumi avevano segnato una caduta tendenziale del 2,6%“.

Nelle mani degli strozzini

Non ci vuole certo un genio per capirlo. Se da una parte le banche chiudono i cordoni della borsa e dall’altra le aziende devono in qualche modo evitare il fallimento, da qualche parte il denaro è necessario che lo trovino. Trovarlo in uno scenario come quello certificato da Bankitalia, che ha messo nero su bianco come le piccole e medie imprese e le famiglie siano soffocate dalla mancanza di denaro, è ancora più difficile. Almeno per le vie legali…

Ecco allora ampliarsi il fenomeno strisciante e schifoso dell’usura. Secondo i dati diffusi da Sos Impresa e Contribuenti.it, l’usura è in preoccupante ascesa: siamo a una crescita del 155% in un anno, con il picco del 183, 2% della Campania. Secondo questi dati, nel 2013 rischieranno di finire nelle mani dei “cravattari” 3 milioni di famiglie e 2 milioni e mezzo di imprese. Ecco perché Sos Impresa ha messo a disposizione delle aziende un numero verde da chiamare per denunciare e chiedere aiuto: 800.900.767.

Nel rapporto di Sos Impresa, Roma risulta la capitale degli usurai, che si manifestano in un ventaglio di tipologie piuttosto completo: si va dagli insospettabili professionisti o pensionati ai racket criminali organizzati. Sos Impresa sottolinea come spesso la cifra iniziale richiesta agli strozzini sia piuttosto modesta (tra i 5 e i 20mila euro) con interessi che però lievitano fino al 20% mensile. Preoccupante anche il fenomeno dell’usura lampo, gente che chiede soldi alla mattina per restituirli entro la giornata: il ricarico arriva anche al 10%.

Quello che, però, fa più male è che tanto più crescono le vittime, tanto più cala il numero delle denunce: nel 2009 erano stati 369, nel 2011 sono scese a 230. Un calo dovuto alla paura e all’omertà da parte delle vittime ma a anche a una legge antiusura, la 108 del 1996, assolutamente inadeguata. Il suo iter burocratico, secondo quanto dichiara Lino Busà, presidente di Sos Impresa, rende il risarcimento “una pura chimera“, con un percorso giudiziario che dura parecchi anni. Sempre che si abbia la fortuna di arrivare a un risarcimento.

No grande azienda, no credito

Si chiameranno anche piccole imprese, ma questo non significa che il fatto non essere grandi debba metterle nelle condizioni di beccarsi sempre e solo fregature. Prendiamo ancora una volta l’esempio dell’accesso al credito. Oltre a essere problematico per la maggior parte delle Pmi, questo fa rilevare anche una palese e sconcertante asimmetria. Secondo un’indagine della Cgia di Mestre, l’81% circa degli oltre 1.335 miliardi di prestiti che vengono erogati dalle banche agli italiani è concesso al primo 10% degli affidati, vale a dire alla clientela a loro avviso migliore. Il 19% che resta è distribuito alle famiglie, alle piccole imprese e ai lavoratori autonomi che, in realtà, costituiscono la quasi totalità (90%) dei clienti delle banche.

Secondo l’associazione mestrina questa anomalia grida vendetta soprattutto in questa fase di “credit crunch” e Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, non ha dubbi: “Al di là delle difficoltà legate alla crisi, il nostro sistema creditizio presenta dei nodi strutturali che vanno assolutamente affrontati. E’ chiaro a tutti che questo 10% di maggiori affidati non è costituito da piccoli imprenditori, da famiglie o da titolari di partite Iva, ma quasi esclusivamente da grandi gruppi o società industriali. In linea generale non ci sarebbe nulla da obbiettare se questo 10% fosse costituito da soggetti solvibili. Invece, dall’analisi della distribuzione del tasso di insolvenza emerge che il 78,3% è concentrato nelle mani del 10% dei migliori affidati. In buona sostanza, nei rapporti tra banche e imprese tutto è clamorosamente rovesciato: chi riceve la quasi totalità dei prestiti presenta livelli di affidabilità bassissimi, mentre chi dimostra di essere un buon pagatore ottiene il denaro con il contagocce“.

I dati sono corroborati da una elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia mestrina, dalla quale risulta che il primo 10% degli affidatari riceve l’80,9% del totale dei prestiti erogati dalle banche e tecnicamente definiti come finanziamenti per cassa. Una tipologia di finanziamento che copre quasi il 70% del totale dei finanziamenti erogati dal sistema bancario italiano e che, nel caso delle grandi imprese rappresentano una generosità non ricambiata: le sofferenze a carico di questi clienti è pari al 78,3% del totale. Pur non essendo dei buoni pagatori, continuano a essere premiati dalle banche.

Se è vero che le sofferenze totali sono in forte aumento e si attestano attorno ai 115 miliardi di euro, “tuttavia – secondo Bortolussiil comportamento delle nostre banche è quanto meno sorprendente. Ricevono più soldi dalla clientela, ne erogano sempre meno, ma privilegiano i grandi capitani di industria a scapito delle famiglie e delle piccole imprese. Oggettivamente c’è qualcosa che non va“.

Se la PA paga, il Pil sale

Sarà per il monito lanciato la scorsa settimana dal presidente della Repubblica Napolitano, sarà perché ormai imprese e cittadini sono stufi di un Paese a due velocità – dove il contribuente, persona fisica o azienda, deve pagare subito le tasse mentre lo Stato… hai voglia -, fatto sta che mai come in questi giorni si è sentito parlare di sblocco dei pagamenti della PA verso i suoi fornitori privati.

Vero, siamo ancora alla fase del parlare, fatti pochi, però è evidente che l’attenzione sul fenomeno si sta alzando. Ultimo in ordine di tempo è arrivato ieri colui che i creditori della PA ce li ha in casa: tanti, stufi e incazzati con la schiuma alla bocca. Parliamo del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che, dati alla mano, ha suonato la sveglia al Governo (quale??); secondo Squinzi, se si liquidassero i crediti delle imprese da parte della Pubblica Amministrazione, l’effetto domino potrebbe portare a un aumento in 5 anni di 250mila occupati e a una crescita del Pil dell’1% per i primi 3 anni, dell’1,5% nel 2018.

Secondo Squinzi,questi dati dimostrano che l’immissione di liquidità nel sistema delle imprese innescherebbe un circolo virtuoso portatore di posti di lavoro e, quindi, maggiori consumi. Confindustria auspica che il governo in carica provveda tempestivamente ad adottare, già dal prossimo Consiglio dei ministri, tutti i provvedimenti necessari per la liquidazione di quanto spetta alle imprese, così come indicato dalla Commissione europea e chiaramente emerso dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio“.

Il gol di Squinzi è nato da un assist d’oro fornitogli dal ministro dell’Economia Vittorio Grilli proprio sul giornale di casa, Il Sole 24Ore. In una intervista al quotidiano, Grilli ha infatti dichiarato che “dopo il via libera della Commissione europea non vedo ragioni per non procedere con un provvedimento d’urgenza per sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione e il ministero è pronto al decreto. Penso sia giusto partire prima possibile. Ci stiamo lavorando con la massima urgenza, poi toccherà a Monti decidere quando spingere il bottone“.

Se poi Grilli mette le mani avanti ricordando come “servirà anche un consenso ampio del Parlamento, perché un eventuale decreto dovrà comunque essere convertito in legge dal Parlamento. Qui si tratta di cambiare, anche se solo una tantum, i saldi di bilancio. Non è un’operazione banale“, lascia comunque aperta una porta per i comuni, la parte della PA che si trova stretta tra l’incudine del patto di stabilità e il martello dei creditori privati: insomma, la situazione più scomoda e antipatica. Secondo il ministro, sarà possibile “l’allentamento una-tantum del patto di stabilità interno perché i Comuni che hanno fondi in cassa possano usarli“.

Staremo a vedere. In questo caso, il “purché se ne parli” non va bene: bisogna passare dalle parole ai fatti.

Campioni d’Europa! Nel ritardo…

L’allarme è uno di quelli da non prendere assolutamente sotto gamba: nelle transazioni commerciali tra Pubblica Amministrazione e imprese private, i tempi di pagamento medi presenti in Italia arrivano a 180 giorni mentre nella sanità, secondo quanto ricorda la Cgia di Mestre, si arriva a saldare i debiti anche dopo 4 se non 5 anni, soprattutto al Sud. Un dato ancora più sconfortante se si pensa che la media dei Paesi Ue è pari a 65 giorni.

Meglio, si fa per dire, la situazione dei pagamenti tra le imprese private, dove il saldo fattura avviene dopo 96 giorni, a fronte di una media europea di 52 giorni. Solo in Spagna stanno peggio di noi, mentre i tedeschi se la cavano con una media inferiore a quella europea e quasi un terzo di quella italiana: 35 giorni. I dati forniti dalla Cgia di Mestre, dunque, parlano chiaro: che tra i grandi d’Europa nessuno può vantare una simile zavorra.

Se a questa situazione aggiungiamo la stretta creditizia in atto e gli effetti della crisi economica che continuano a farsi sentire in misura sempre maggiore – commenta il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi –, la tenuta finanziaria delle imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, è a rischio con ricadute occupazionali negative facilmente prevedibili“.

Nemmeno l’entrata in vigore del decreto di recepimento della Direttiva Europea contro il ritardo dei pagamenti, avvenuto a l’1° gennaio scorso, sembra aver sortito effetto. Lo conferma sempre Bortolussi: “Stando alle segnalazioni che ci sono giunte da molti piccoli imprenditori, la nostra Pubblica amministrazione non starebbe rispettando i tempi di pagamento previsti dalla legge. Per questo chiediamo un intervento dell’Unione europea teso a richiamare il nostro Paese affinché il saldo fattura non superi i 30/60 giorni“.

In questo senso è una buona notizia l’apertura giunta lunedì dai vicepresidenti della Commissione Ue, Olli Rehn e Antonio Tajani, per sbloccare il pagamento dei debiti della PA. I due, in una nota congiunta, hanno affermato che il saldo dei debiti commerciali da parte dello Stato a favore delle imprese “potrebbe rientrare tra i fattori attenuanti” quando sarà valutata la conformità del bilancio pubblico italiano con i criteri di deficit e debito del patto di stabilità europeo.

La Commissione europea si attende ora che l’Italia prepari un piano di smaltimento dei debiti a carico della Pubblica amministrazione verso le imprese su un arco temporale di due anni: “Sollecitiamo un piano in tempi brevi – ha detto Tajani, la forma poi è prerogativa del Paese. Ma ricordiamoci che parliamo della terza economia dell’area euro e intervenire rapidamente sarebbe importante per ridare fiato alle imprese, evitare fallimenti e far ripartire l’economia“.

Immediato il plauso di Rete Imprese Italia, che ha poi spronato, in una nota, la politica italiana: “Il Governo si affretti a preparare il piano di liquidazione che definisca chiaramente la dimensione del fenomeno sanzionando quelle amministrazioni che non collaboreranno fattivamente nella fornitura dei dati. Il pagamento dei debiti pregressi della pubblica amministrazione verso le imprese costituisce il tassello determinante per il ripristino di condizioni economiche normali per l’uscita dalla crisi“.

Bene, tutti contenti e tutti felici. Adesso vediamo se alle parole seguiranno i fatti. In tutti questi anni di chiacchiere, abbiamo un po’ perso la fiducia.

Lo stipendio? Difficile pagarlo…

Non è certo una novità il fatto che questa crisi feroce sta mettendo in ginocchio soprattutto la piccola impresa italiana. Una difficoltà crescente, che non ha solo il volto dell’imprenditore che non riesce più a fatturare ma, anche e soprattutto, quella dell’imprenditore che non riesce a onorare gli impegni con i propri dipendenti. Impegni che significano, in primo luogo, pagare gli stipendi.

Secondo un’analisi effettuata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, le imprese fanno sempre più fatica a onorare assegni bancari o postali, cambiali, vaglia o tratte e così i protesti hanno subito un aumento molto consistente. Dall’inizio della crisi i titoli di credito che alla scadenza non hanno trovato copertura sono cresciuti del 12,8%, mentre le sofferenze bancarie in capo alle aziende hanno fatto registrare un’impennata a tre cifre: + 165%. Alla fine del 2012 l’ammontare complessivo delle insolvenze ha superato i 95 miliardi di euro.

Queste tendenze, secondo l‘Ufficio studi della Cgia di Mestre, dimostrano che l’aumento dei protesti bancari ha concorso – assieme al calo del fatturato e al blocco dei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione – a mandare in rosso i conti correnti di numerosi imprenditori, non consentendo a molti di questi la possibilità di restituire nei tempi concordati i prestiti ottenuti dalle banche.

Amaro il commento del segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi: “Il disagio economico in cui versano le piccole imprese è noto a tutti, con risvolti molto preoccupanti soprattutto per i dipendenti di queste realtà aziendali che faticano, quando va bene, a ricevere lo stipendio con regolarità. Purtroppo, sono aumentate a vista d’occhio le aziende che da qualche mese stanno dilazionando il pagamento degli stipendi a causa della poca liquidità. Stimiamo che almeno una piccola impresa su due sia costretta a rateizzare le retribuzioni ai propri collaboratori“.

Moriremo di Irpef

Può una tassa uccidere famiglie e consumi? Sì, se questa si chiama Iva. Sì, se questa si chiama Irpef. Un’imposta, quest’ultima, che con l’aumentare delle addizionali regionali e comunali ha fatto crescere negli ultimi anni in modo schiacciante il peso delle tasse locali. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre che ha analizzato prima l’andamento medio delle addizionali Irpef applicate in questi ultimi anni sulle persone fisiche dai Comuni capoluogo di Provincia e dalle Regioni, poi ha “pesato” l’aggravio fiscale di queste due imposte sui redditi di quattro diverse tipologie di lavoratori dipendenti. I risultati sono sconsolanti: le buste paga degli italiani sono sempre più leggere.

Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, un operaio con un reddito annuo pari a 20mila euro, che corrisponde a una busta paga netta di 1.240 euro al mese, l’anno prossimo si troverà una trattenuta annua di 420 euro. 14 euro aggiuntivi rispetto al 2012 e 95 euro in più se il confronto è realizzato con l’anno di imposta 2010.

Non va meglio nemmeno a un impiegato con un reddito annuo di 32mila euro, pari ad uno stipendio mensile di 1.840 euro circa. L’anno prossimo il peso delle addizionali comunali e regionali Irpef decurterà il suo reddito annuo di 700 euro. Rispetto al 2012 l’incremento è di 24 euro. Se, invece, la comparazione viene eseguita sul 2010, l’aggravio aggiuntivo è di 133 euro.

Per un quadro, con un reddito annuo di 60mila euro pari a uno stipendio mensile di poco superiore ai 3mila euro, l’anno venturo “lascerà” al Comune e alla Regione di residenza 1.346 euro. 52 euro in più rispetto al 2012 e 265 euro se la comparazione è tra il 2013 e il 2010.

Un dirigente, con un reddito annuo di 150mila euro che gli consente di portare a casa quasi 7mila euro netti al mese, nel 2013 dovrà versare 3.447 euro di addizionali Irpef. Rispetto al 2012 l’aumento è di 169 euro. Se il confronto è fatto con il 2010, l’aggravio fiscale aggiuntivo è di 714 euro.

Amaro il commento del segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi: “L’aumento della tassazione locale è diventato ormai una costante che caratterizza la politica fiscale degli Enti locali. Lo Stato risparmia tagliando i trasferimenti, le Regioni e i Comuni si difendono alzando il livello delle imposte per mantenere in equilibrio i propri bilanci. Speriamo che con la nuova Legislatura si riprenda in mano il tema del federalismo fiscale, altrimenti tra Imu, Irap, Tares, e addizionali Irpef i cittadini e le imprese si troveranno a pagare sempre di più senza avere un corrispondente aumento della qualità e della quantità dei servizi offerti”.

Meglio giovani o precari?

 

IERI

No alle intercettazioni su Napolitano: la Corte Costituzionale ha accolto il ricorso di Giorgio Napolitano contro la Procura di Palermo sul caso delle intercettazioni tra il Quirinale e l’ex ministro Nicola Mancino, le cui utenze erano sotto controllo su mandato dei giudici di Palermo per le indagini sulla trattativa Stato-mafia. “Non spettava alla Procura valutare la rilevanza” ha dichiarato la Corte Costituzionale: le intercettazioni dovranno essere immediatamente distrutte.

Decreto spiagge: il decreto legge Sviluppo approvato ieri dalla commissione Industria del Senato, che approderà oggi in Senato per il voto di fiducia, dopo il rinvio della discussione sulla Legge Elettorale, prevede una proroga di 5 anni per le gare in programma a partire dal primo gennaio del 2016. I relatori Simona Vicari (Pdl) e Filippo Bubbico (Pd) avevano chiesto al Governo una proroga di 30 anni delle concessioni balneari.

Tredicesime a rischio: tredicesime a rischio per le piccole e medie imprese, messe sotto torchio da calo delle vendite, stretta creditizia e pressione fiscale in aumento. A lanciare l’allarme è la Cgia di Mestre ”la stretta creditizia ha lasciato senza soldi le Pmi e, tra il fitto numero di impegni finanziari e di scadenze fiscali previste per il mese di dicembre, sono a rischio i pagamenti delle tredicesime”.

Ashton Kutcher come Steve Jobs: è attesissimo al Sundance Film Festival, che si svolgerà a Toronto dal 17 al 27 gennaio, il film ‘jOBS’, il biopic sulla vita dell’ingegnere dei sogni con protagonista l’ex di Demi Moore. La pellicola sarà presentata in anteprima (fuori concorso) a chiusura del festival, mentre c’è grande attesa sulla seconda trasposizione cinematografica (e un po’ agiografica) della vita del creatore della Apple: si tratta del film tratto dalla monumentale biografia di Walter Isaacson, e che porterà la firma dello sceneggiatore premio Oscar Aaron Sorkin, che aveva già lavorato a The Social Network, la pellicola che racconta la nascita di Facebook.

OGGI

Meglio giovani o precari?: sono in tutto 260mila, così divisi: 130mila nella scuola, 115mila nella sanità e enti locali e 15mila nelle amministrazioni centrali. Sono i precari della pubblica amministrazione, “un problema che si è accumulato nel corso degli anni ed è legato anche al blocco del turn over” a detta del Ministro Patroni Griffi. In un’audizione alla Camera il Ministro della Funzione Pubblica ha dichiarato che “non si può pensare alla stabilizzazione di massa di questo personale” perchè “altrimenti si avrebbe un blocco delle assunzioni di giovani per molti anni”. Meglio giovani o precari? Perchè c’è ancora davvero la possibilità di scegliere?

Decreto Sviluppo in Senato: slitta ancora la discussione sulla nuova Legge Elettorale. Il Senato prenderà in esame quest’oggi il Decreto Sviluppo, sul quale il Governo potrebbe chiedere già oggi il voto di fiducia. Tra le novità l’introduzione di un credito di imposta su Ires e Irap ai soggetti privati che partecipano alla costruzione di reti di nuova generazione (Ngn), per quanto concerne il settore delle telecomunicazioni, mentre è ancora da discutere l’emendamento che conferisce al Tesoro la definizione delle disposizioni per la vendita di immobili appartenenti ad enti previdenziali pubblici e casse private.

Michele Misseri ritratta: “ho ucciso io Sarah, questo rimorso non lo posso più portare dentro di me” ritratta ancora una volta lo zio di Avetrana, Michele Misseri, nel corso di una deposizione in Corte d’Assise. Il suo difensore, l’avvocato Armando Amendolito, di fronte all’ennesimo coup de théatre di Zio Michele, ha deciso di rimettere il mandato. Sul contadino attualmente pende solo l’accusa di concorso in soppressione del cadavere, mentre per l’omicidio di Sarah Scazzi risulta imputata Sabrina Misseri, in carcere insieme alla madre Concetta Serrano.

Berlusconi e il ‘sogno’ Balotelli: niente vittoria per il suo Milan ieri sera a San Siro, battuto 0-1 dallo Zenit San Pietroburgo, ma che passa comunque il girone di Champions League, accedendo agli ottavi di finale. Ma il match, risultato a parte, ha rappresentato una ghiotta occasione per una conferenza stampa improvvisata dell’ex Premier Silvio Berlusconi: il Cavaliere prima avrebbe sciolto la riserva sulla sua candidatura, tanto chiaccherata – “Ho deciso, torno in campo e mi candido premier. Solo io posso farlo” – e in un secondo momento avrebbe sussurrato ai cronisti di aver messo gli occhi su Balotelli. Il giocatore del Manchester City pronto a volare tra le fila dei rossoneri? Il commento laconico di Berlusconi ha lasciato spazio a diverse teorie e scuole di pensiero: “Balotelli non è un sogno. Io non sogno mai” ha sentenziato il Cavaliere all’uscita da San Siro.

DOMANI

Europa League: quattro squadre italiane ancora in gara e grandi speranze per la Lazio di Petkovic di arrivare prima nel suo Girone. Domani a scendere in campo nell’ultimo turno prima dei sedicesimi di finale di Europa League Inter, Napoli, Lazio ed Udinese. Se per le prime tre la qualificazione è già sicura, l’Udinese purtroppo è già fuori dai giochi.  Seconde nel girone Inter e Napoli, mentre per la Lazio destino ancora da scrivere nel match di domani contro il Maribor, alle ore 21.05. Gli allievi di Petkovic hanno un solo punto di vantaggio sul Tottenham: in caso di pareggio contro il Maribor o di sconfitta del Tottenham i biancocelesti sarebbero primi in classifica.

#CINEMA1 Diana Vreeland: l’imperatrice della moda: “Non conta tanto il vestito che indossi, quanto la vita che conduci mentre lo indossi” amava dire la regina della moda, l’icona di stile e la penna più temuta e amata da stilisti e creativi del ‘900. A Diana Vreeland, la giornalista di moda che – se fosse ancora in vita – sarebbe in grado di far tremare dee dell’Olimpo dell’haute couture come Anna Wintour, è dedicato il documentario diretto da Lisa Immordino, nipote della Vreeland, che ha selezionato e ricomposto migliaia di foto, scatti, filmati di famiglia e interviste (a grandi dive come Lauren Bacall, Twiggy e Brigitte Bardot) per confezionare un racconto lungo quasi come una passerella, in cui sfilano, uno dopo l’altro, i successi e i ricordi di una regina del gusto e dello stile. La Vreeland aveva cominciato giovanissima come editor della rivista femminile Harper’s Bazaar negli anni ’30, prima di diventare redattrice capo di Vogue America all’inizio degli anni ’60. Dopo aver lasciato il comando di Vogue, Diane si era dedicata all’arte, ma sempre a modo suo, trasformando il Met di New York in un paradiso di stelle e icone di stile.

#CINEMA2 Grandi Speranze: torna al cinema il capolavoro di Charles Dickens nella versione di Mike Newell, il regista di Quattro matrimoni e un funerale: siamo in Inghilterra all’inizio dell’800, dove il giovane orfano Pip, che vive nelle campagne viene convocato nella residenza di una ricca dama, che vive al buio, affinchè giochi assieme a un’altra bambina: Estella. Divenuto adulto Pip viene inviato a Londra per istruirsi grazie alla donazione di un ignoto benefattore. Ed è qui che comincia la vera storia, tra vecchi amori e nuovi passioni.

#CINEMA3 Scusa mi piace tuo padre: un cast che sembra soffiato a una serie tv della Fox e una trama che racconta una piccola favola tutta americana. Nel New Jersey, nel sobborgo di Orange Drive, una passione improvvisa tra la giovane primogenita della famiglia Ostroff,  Nina, fuggita nella grande metropoli ma tornata in provincia dopo una delusione amorosa Ostroff, la primogenita poco più che ventenne, che però dopo molto tempo torna a casa per il Ringraziamento a causa di una cocente delusione amorosa, e il più che maturo capofamiglia dei Walling, David, getta scompiglio nella piccola comunità bigotta di provincia. Eccezionale il cast: dal Hugh Laurie alla gossip girl Leighton Master (alias Blair), che in assenza del suo Chuck Bass mette gli occhi sul più maturo Doc House, all’eterno adolescente Adam Brody (vi ricordate il timido Seth Coen di OC?). L’equazione è presto fatta se si considera che la pellicola è anche l’esordio cinematografico del regista televisivo Julian Farino, autore di serie tv come Entourage, Big Love e Rome.

 

Alessia CASIRAGHI

E la chiamano tredicesima…

Ci vuole un bel coraggio a chiamarla ancora tredicesima. L’iniezione di liquidi nei conti correnti che da sempre le famiglie attendono con trepidazione per la metà di dicembre, quest’anno sarà a dir poco asfittica. Più che una tredicesima, pare una decima, come quella dell’antichità.

A rilevare la contrazione delle tredicesime è stato, come spesso fa, l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, il quale sottolinea come le retribuzioni del 2012 siano state riviste al rialzo applicando l’indice di rivalutazione contrattuale Istat, che è aumentato del 1,4%. Successivamente, il valore delle tredicesime riferite al 2012 è stato deflazionato utilizzando l’indice generale dei prezzi al consumo delle famiglie di impiegati e operai che, secondo l’Istat, è cresciuto del 3,1%. Dal momento che ancora non è disponibile la variazione annua riferita all’intero 2012, i due indici sono stati calcolati sulla base del confronto ottenuto tra i primi 9 mesi del 2012 e lo stesso periodo del 2011. E il gioco al ribasso è fatto.

Secondo l’Ufficio Studi, un operaio specializzato, con un reddito lordo annuo di circa 20.600 euro, si troverà la tredicesima tagliata di 21 euro. Un impiegato, con un imponibile Irpef annuo leggermente superiore ai 25.100 euro perderà 24 euro. Un capo ufficio, con un reddito lordo annuo di quasi 49.500 euro, avrà una tredicesima più leggera di 46 euro.

Commenta amaro il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi: “Purtroppo quest’anno l’inflazione è cresciuta più del doppio rispetto agli aumenti retributivi medi maturati con i rinnovi contrattuali. Se nei primi 9 mesi di quest’anno il costo della vita è cresciuto del 3,1%, l’indice di rivalutazione contrattuale Istat è salito solo dell’ 1,4%. Pertanto, nei primi 9 mesi di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2011, il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti è diminuito“.

Soluzioni? La Cgia propone un taglio del 30% dell’Irpef che grava sulle tredicesime: una soluzione che lascerebbe nelle tasche di un operaio 115 euro in più, 130 euro in quelle di un impiegato e oltre 315 euro in quelle di un capo ufficio, stando alle categorie prese in esame più sopra.

Conclude Bortolussi:Visto l’avvicinarsi del Natale, mai come in questo momento abbiamo la necessità di lasciare qualche soldo in più nei portafogli delle famiglie italiane. Ricordo che a dicembre bisognerà pagare il saldo dell’Imu e una serie di bollette molto pesanti. Pertanto, se non ci sarà qualche provvedimento a sostegno delle famiglie, prevedo che i consumi natalizi saranno molto modesti, con effetti economici molto negativi per i bilanci degli artigiani e dei commercianti“.

Imu? C’è chi non l’aumenta

Da quando è stata introdotta dal governo Monti, l’Imu è stata sempre accompagnata da polemiche e pessime notizie. Per fortuna, oggi, di notizia ne arriva una buona. Secondo un’indagine effettuata dalla Cgia di Mestre, nelle grandi città un sindaco su due (il 49,4%) non aumenterà l’aliquota base dell’Imu sulla prima casa, pari oggi al 4‰. Altri 35 colleghi, invece (il 43,2% del campione), l’alzeranno l’aliquota, mentre in soli 6 comuni (il 7,4% del totale) sarà diminuita: i comuni “marziani” sono, nel dettaglio Biella, Lecce, Mantova, Nuoro, Trieste e Vercelli.

L’indagine dell’associazione mestrina è stata effettuata su un campione di 81 capoluoghi di provincia (prima del recente riassetto del governo), esaminando le delibere relative ai comuni pubblicate sul sito del Dipartimento delle Finanze, con dati aggiornati al 26 ottobre 2012: cinque giorni prima della scadenza entro la quale tutti i Comuni hanno deliberato l’aliquota per calcolare la seconda o la terza rata dell’imposta, in pagamento entro metà dicembre.

La Cgia è anche entrata nel dettaglio dei tartassati. Secondo i calcoli, per un’abitazione di tipo civile A2 i più tartassati dall’Imu sulla prima casa saranno i torinesi, con un importo medio della seconda rata pari a 718 euro (totale annuo 1.055 euro). Poi Genova, con una seconda rata pari a 561 euro (totale annuo 902 euro). Medaglia di bronzo (bella soddisfazione…) per Bologna: seconda rata da 440 euro e totale annuo a 879.

Commenta così Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia mestrina: “Visto che il 76,3% delle famiglie italiane sono proprietarie dell’abitazione in cui risiedono, l’Imu è vissuta con ansia, vuoi per le ristrettezze economiche in cui vive gran parte dei contribuenti italiani, vuoi per il fatto che negli ultimi 4 anni l’imposta sulla prima abitazione non era dovuta. Ora, che tutti i Comuni hanno deliberato l’aliquota da applicare sulla prima casa, 18 milioni di famiglie italiane stanno ricominciando a fare i conti per capire quanto dovranno pagare di saldo entro il prossimo 16 di dicembre. […] La situazione non è ancora definitiva. Il Governo si è riservato la facoltà di variare l’aliquota base addirittura entro il 10 dicembre 2012: solo 6 giorni prima del termine del pagamento del saldo. E’ da augurarci che a ridosso della scadenza non ci venga richiesto un ulteriore ritocco che metterebbe ancor più in difficoltà i magri bilanci delle famiglie italiane“.