Debiti Pa, ecco la guida alla certificazione dei crediti

 

A seguito degli impegni assunti nel Protocollo sottoscritto dal ministro Padoan, dalla Cassa Depositi e Prestiti e dai rappresentanti di regioni, province, comuni, imprese, ordini professionali, banche e chi più ne ha più ne metta, il Mef ha reso disponibile sul proprio sito (http://www.mef.gov.it/) una guida alla certificazione dei crediti, dal titolo Vademecum Breve guida alla certificazione dei crediti, affinché le imprese possano beneficiare, attraverso proprio la certificazione, della garanzia dello Stato.

Il processo di certificazione è totalmente gratuito (e ci mancherebbe anche…) ed è gestito tramite la piattaforma elettronica per la certificazione dei crediti predisposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Generale dello Stato e può essere presentata da chiunque vanti un credito nei confronti della Pa.

Nella malaugurata ipotesi che la Pa non provveda a rilasciare la certificazione entro 30 giorni, il creditore potrà rivolgersi all’Ufficio Centrale di Bilancio o alla Ragioneria Territoriale dello Stato, sempre tutto tramite web, per richiedere la nomina di un commissario ad acta che provvederà a rilasciare la certificazione.

A certificazione avvenuta, e in realtà è più semplice di quel che si pensi, il creditore ha tre opzioni: aspettare di essere pagato entro il termine stabilito; recarsi presso una banca o un intermediario abilitato ed effettuare la cessione, anche parziale, per chiedere un’anticipazione del credito o chiedere ad un Agente della riscossione o all’Agenzia delle Entrate la compensazione di tutto o di parte del credito certificato.

Jacopo MARCHESANO

 

Debiti Pa, è il momento della Cassa depositi e prestiti

 

La Cassa depositi e prestiti – la società per azioni finanziaria italiana, partecipata per il 80,1% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il 18,4% da diverse fondazioni bancarie e il restante 1,5% in azioni proprie – ha ufficializzato il plafond da 10 miliardi di euro, finalizzato al saldo dei pagamenti dei debiti di parte corrente della pubblica amministrazione. Dopo la firma di una convenzione con l’Abi, l’Associazione bancaria italiana, la Cassa potrà acquisire i crediti dalle banche o dagli intermediari finanziari, ridefinendo in favore della Pubblica amministrazione termini e condizioni di pagamento dei debiti. Ed già un primo passo…

Inoltre, il plafond verrà inserito, insieme alle misure già varate in questi ultimi mesi nell’ambito del nuovo piano industriale varato dal Governo Letta, all’interno di una «Piattaforma Imprese» che racchiuderà i prodotti a sostegno dell’economia di Cdp dedicati a favorire l’accesso al credito delle pmi, mettendo a disposizione dell’economia italiana, attraverso il sistema bancario, ulteriori 5 miliardi.

Intanto, dopo il «pagheremo tutto entro fine settembre» di Renzi, anche Bruxelles sembrerebbe guardare con più ottimismo ai conti nostrani: «Con i rappresentanti europei stiamo registrando un dialogo costruttivo – hanno spiegato il sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi e il commissario Ue all’Industria Ferdinando Nelli Feroci – soprattutto su come il governo sta affrontando e cercando di risolvere questo problema: ancora più che per ragioni giuridiche, riteniamo immorale non pagare i propri debiti alle imprese. E con la Commissione si è instaurato un confronto proficuo che lascia ben sperare sugli sviluppi della procedura d’infrazione».

Jacopo MARCHESANO

Sblocco debiti della Pa, c’è il via libera del governo

“Confermo quello che ho detto nei giorni scorsi: i debiti pregressi della Pubblica amministrazione li paghiamo entro il 21 settembre”. Ogni promessa, giusto per rimanere in tema, è debito. Così il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a poche ore dalle elezioni europee che ridisegneranno il Parlamento dell’Unione, è tornato a fare chiarezza sulla questione irrisolta dei debiti della pubblica amministrazione.

“Il presidente Renzi ha fatto molto bene a programmare il pagamento dei debiti arretrati della Pa – ha commentato Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione nazionale dei costruttori edili (Ance), recentemente incaricato dal vicepresdente della Commissione Europea Antonio Tajani di riferire a Bruxelles lo stato di attuazione della direttiva sui pagamenti – , dimostrando chiaramente la volontà di intervenire per sanare il problema. È altrettanto vero, però, che finora è mancata la spinta decisiva per rimuovere le cause strutturali dei ritardi di pagamento, a partire dall’allentamento del Patto di stabilità interno. Ci preoccupa, inoltre, che nella prossima tranche di pagamenti prevista dal governo non siano incluse le spese per investimenti che riguardano in gran parte le infrastrutture. Per questo continuiamo e continueremo a far sentire la nostra voce, perché per risolvere il problema dei pagamenti l’unica strada è pagare tutti, nessuno escluso”.

Intanto il NCD ha presentato una proposta di legge in soccorso delle imprese creditrici della Pa e che prevede la compensazioni tra debiti e crediti. “Intendiamo correggere gli automatismi previsti nel pagamento dei debiti da parte dalla PA a fronte di pendenze con Equitalia. Il testo prevede l’erogazione all’imprenditore del 50% di quanto dovuto dall’amministrazione pubblica a fronte dell’impegno di chiedere la rateizzazione del debito fiscale. Superata questa procedura viene liquidata l’altro 50% del credito vantato nei confronti della Pubblica amministrazione” ha spiegato in una nota il capogruppo alla Camera Nunzia De Girolamo.

Jacopo MARCHESANO

Galassi: “Debiti Pa? Siamo ai limiti dell’emergenza sociale”

Il ministero dell’Economia nei giorni scorsi ha reso noto che per le imprese fornitrici è stata avviata “la terza tranche delle risorse finanziarie aggiuntive che lo Stato mette a disposizione degli enti locali per il pagamento di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati al 31/12/2012″. La dotazione finanziaria di questa terza tranche ammonterebbe a circa 1,8 miliardi di euro, assegnata agli enti locali in sede di ripartizione delle risorse stanziate per il 2014 dal decreto legge n. 102/2013, ma le ombre rimangono. Dopo l’intervista di ieri con Edoardo Boccalini, segretario nazionale INT, oggi abbiamo incontrato Paolo Galassi, presidente di Confapi Industria, l’associazione delle piccole e medie imprese manifatturiere e di servizio alla produzione.

Presidente Galassi, a proposito di debiti della Pa: sblocco o spot da campagna elettorale?
Le Pmi rappresentano a livello territoriale le prime fornitrici di servizi per Comuni, Province, Regioni, Asl e tutto ciò che costituisce la pubblica amministrazione. I ritardi nei pagamenti, che possono arrivare anche dopo due anni, creano disagi enormi. In tempi di crisi, e non solo, i ritardi possono costare la vita di un’impresa. Da un nostro sondaggio risulta che sei pmi su dieci hanno riscontrato un allungamento dei tempi medi per i pagamenti negli ultimi quattro anni e una su due denuncia ritardi superiori ai 12 mesi. Confapi Industria è molto attenta a questo problema e sta sensibilizzando il mondo politico sulla gravità della questione. La politica deve agire e in tempi brevi, non servono spot elettorali, imprenditori e lavoratori chiedono scelte rapide ed efficaci; infatti da una parte le imprese rischiano il fallimento, dall’altro i prezzi praticati potrebbero risentire del carico degli oneri finanziari che le imprese devono sopportare. In questo senso accelerare i pagamenti potrebbe anche far scendere i prezzi dei servizi, attivando un circolo virtuoso. La vera svolta sarebbe comunque sempre quella di accelerare i pagamenti, solo così le aziende potrebbero avere la liquidità per investire e davvero uscire dalla morsa del credito bancario.

Quali sarebbero i provvedimenti più urgenti per il bene delle piccole e medie imprese?
Difficile scegliere, dato il momento che stiamo attraversando, sono diversi i provvedimenti significativi e improcrastinabili. Agire sull’eccessiva fiscalità, ridurre il costo del lavoro per poter creare occupazione e rilanciare i consumi, ridurre e semplificare la burocrazia,aprire i rubinetti del credito bancario che restano chiusi, ampliare i margini di contribuzione ridotti di un mercato che è diventato quasi insostenibile, la difficoltà di competere a pari condizioni con le imprese estere, i continui aumenti nei costi delle materie prime sono macigni che gravano sulle pmi. Le aziende auspicano inoltre la riduzione della spesa pubblica, oltre al già citato sbocco dei debiti della Pubblica amministrazione e il rispetto della normativa Europea.

Da troppo tempo l’industria denuncia, infatti, la mancanza di una visione di insieme e la capacità della politica di dare vita a progetti a medio e lungo termine. Va attuato concretamente il rilancio della manifattura italiana.
Riforme sociali, rilancio dell’economia, consolidamento delle scelte a favore della libertà d’impresa devono essere le parole d’ordine. Nonostante le imprese mettano in campo nuove strategie, come l’ampliamento e il miglioramento della gamma dei prodotti, la razionalizzazione dei costi di produzione, la ricerca di nuovi canali, forme distributive e mercati di sbocco, una considerevole fascia di imprenditori (oltre il 43%) afferma che produzione, ordini, fatturato hanno registrato un calo negli ultimi mesi e che le prospettive non sono favorevoli. Altri dichiarano stabilità (36%). Pochi gli ottimisti. Ho voluto con qualche dato, tratto dall’indagine congiunturale di CONFAPI INDUSTRIA, dare il polso della situazione e il perché delle nostre richieste. Quello che più mi impressiona è la situazione delle pmi lombarde che, rispetto alla scorsa rilevazione congiunturale, è rimasta pressoché invariata. Questo ci dimostra che l’industria manifatturiera, pur continuando duramente a “tenere” e in qualche caso a “sopravvivere” stenta ancora ad uscire dalla crisi. Però, gli imprenditori continuano caparbiamente a sostenere e a sviluppare il proprio business, l’ottimismo innato lo aiuta nelle scelte quotidiane e nella pianificazione strategica.

Intanto nel primo trimestre dell’anno il Pil italiano è tornato a scendere, facendo indietreggiare l’economia di 14 anni, vanificando in un istante le aspettative su una ripresa ormai imminente…
Anche se tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, il Governo dovrebbe stare in prima linea perché si tratta di una vera e propria emergenza sociale. Il mondo istituzionale dovrebbe darci delle risposte, perché questa condizione di disagio è terribilmente diffusa. Troppi parlano di ripresa, o di ripresina, ma ci vorranno anni prima che la nostra economia ritorni ad essere florida.

La capacità di resistenza delle imprese lombarde, provata da anni di andamenti negativi, è ai limiti.
Dobbiamo lavorare per la vera ripresa, per ottenere risultati concreti – creazione di posti di lavoro, riduzione della pressione fiscale, strategie chiare per le aziende – e vanno messe in campo politiche precise e condivisibili tese a sostenere le imprese, soprattutto quelle piccole e medie, che rappresentano il 97% del tessuto produttivo italiano e sono il vero motore di una crescita per l’intero Paese ancor prima che per la Lombardia. Lavorare per riattivare un circolo virtuoso nel mercato interno è la base per il rilancio del sistema: la ricchezza generata dalle imprese deve restare in Italia.

Jacopo MARCHESANO

Debiti della Pa, scontro al vertice

Come abbondantemente specificato ieri nel nostro punto sulla situazione dei cosiddetti debiti della Pa, lo Stato in questi giorni metterà a disposizione 1,8 miliardi per “il pagamento di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati al 31/12/2012″, ma la decisione del Governo Renzi ha smosso critiche pesanti soprattutto da parte del Vicepresidente della Commissione europea e capolista per FI per la circoscrizione dell’Italia centrale, Tajani: “Renzi predica bene ma razzola male – ha dichiarato il Commissario europeo per l’Industria e l’Imprenditoria nella Commissione Barroso II – aveva promesso di pagare tutti i debiti della pubblica amministrazione, poi invece del decreto legge ha fatto un disegno di legge. Quindi ha detto che avrebbe pagato il giorno di San Matteo, e invece è slittato tutto alla prima parte del 2015. È chiaro che non vogliono pagare, e non pagheranno, almeno non tutto” Infine è bene chiarire che non è vero che pagare i debiti della Pubblica Amministrazione “significa sforare il Patto di stabilità europeo”. 

Immediata la risposta di Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, sulla sua pagina Facebook: “Sono sempre stato molto chiaro: i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione saranno nel 2014. Il governo ha garantito a più voci, compresa la mia, che il pagamento avverrà entro quest’anno e che i nuovi meccanismi permetteranno di evitare nuovi accumuli di debiti.È quindi senza fondamento quello che il commissario Antonio Tajani va dicendo in questi giorni”.

Infine, veemente come al principio, la replica del Vicepresidente uscente della Commissione europea: “Sul ritardo dei pagamenti delle imprese da parte della Pubblica Amministrazione il sottosegretario Delrio contraddice se stesso. Oggi dice che pagherà entro il 2014, invece il 14 maggio, in un’ intervista al Corriere della sera, aveva annunciato che la gran mole del debito sarebbe stata pagata entro i primi 3 mesi del 2015. Cambiando idea ogni giorno, è lui a diffondere notizie che generano confusione fra le imprese, sempre più a rischio fallimento. E’ Delrio che dovrà assumersi le responsabilità dei suoi ondeggiamenti di fronte al Paese. L’unica cosa che deve fare è pagare al più presto tutto ciò che la Pubblica Amministrazione deve ai privati”

Intanto, le imprese aspettano i loro soldi…

Jacopo MARCHESANO

Debiti PA, la revisione del decreto in 9 punti

Abbiamo visto ieri le prime osservazioni dell’Ance sul decreto sbloccacrediti. Oggi proseguiamo nell’analisi dei rilievi posti dall’Associazione nazionale dei costruttori edili.

Per evitare la formazione di nuovi debiti degli enti locali e garantire, anche nei confronti dell’Unione Europea, che l’operazione di pagamenti dei debiti pregressi sia “una tantum”, è necessario modificare le regole del patto di stabilità interno, introducendo il principio dell’equilibrio di parte corrente e un limite all’indebitamento, in modo da evitare l’accumulo di debiti di parte capitale della PA in presenza di risorse di cassa disponibili. La necessità di evitare la formazione di nuovi debiti è sottolineata anche dalla Commissione Europea e non può essere risolta solo con l’applicazione della nuova direttiva sui pagamenti.

Rispetto al contenuto del decreto-legge, secondo l’Ance appare opportuno:
1- Incrementare l’importo dell’allentamento del Patto di stabilità interno da 5 a 11 miliardi di euro nel 2013 per consentire l’utilizzo dei fondi già disponibili;
2- Per il 2014, prevedere l’esclusione dal Patto di stabilità interno dei pagamenti in conto capitale per almeno 10 miliardi di euro (il deficit 2014 aumenterebbe di 0,7% e salirebbe al 2,5% del Pil, invece dell’1,8%);
3- Spostare la data di riferimento per il pagamento dei debiti pregressi dal 31 dicembre 2012 al 31 marzo 2013;
4- Escludere dal Patto di stabilità interno delle Regioni anche gli importi dei trasferimenti in favore degli enti locali a valere sui residui passivi di parte capitale;
5- Accelerare il pagamento di risorse già disponibili degli enti locali, ampliando il ricorso a meccanismi automatici;
6- Evitare di rimettere in discussione il meccanismo previsto per gli enti locali, che risulta quello più semplice. Semplificare i meccanismi per l’accesso al fondo per la liquidità da parte delle Regioni. Il problema, però, è soprattutto quello della mancanza di risorse per pagare tutti i debiti;
7- Prevedere specifiche misure per le società partecipate dagli enti locali che risultano escluse dall’ambito di applicazione del decreto-legge;
8- Obbligare le Pubbliche Amministrazioni a registrare tutte le fatture inevase, anche quelle successive alla data del 31 dicembre 2012, sulla piattaforma telematica di certificazione dei crediti PA;
9- Introdurre con urgenza una norma che, senza ulteriori adempimenti attuativi, preveda il rilascio del Durc regolare in presenza di una certificazione attestante la sussistenza di crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati nei confronti della PA, di importo almeno pari agli oneri contributivi previdenziali ed assistenziali accertati e non ancora versati da parte di un medesimo soggetto.

Per chiudere, secondo l’Ance va risolto il problema delle centrali di committenza differendo l’obbligo della centrale di committenza al 31 dicembre 2013 (invece del 31 aprile 2013), in allineamento con la definizione delle gestioni associate obbligatorie delle funzioni fondamentali degli enti interessati.

Debiti PA, Ance: allentare il patto di stabilità

Dopo aver visto le proposte di modifiche al decreto sbloccacrediti varato dal governo da parte di Confprofessioni, oggi vediamo quali sono i rilievi avanzati dall’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, in un’audizione dinanzi alle commissioni speciali di Camera e Senato.

Intanto, secondo l’Ance, il decreto rappresenta un primo segnale importante e positivo, ma non è sufficiente e presenta alcune importanti criticità che rischiano di compromettere i risultati che si attendono dall’operazione di immissione di liquidità nel sistema economico e produttivo nazionale. L’associazione sottolinea che “il problema dei ritardati pagamenti in Italia – 19 miliardi di euro nel settore delle costruzioni – sta letteralmente stritolando il tessuto produttivo, mettendo a rischio la sopravvivenza delle imprese ed estendendo i suoi effetti devastanti su tutta la filiera. Le soluzioni adottate fino ad oggi non sono state in nessun modo adeguate alla drammaticità della situazione perché hanno continuato ad alimentare una finzione contabile che occulta il debito pur in presenza di crediti vantati dalle imprese“.

Secondo l’Associazione dei costruttori, l’impostazione del Piano di pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione non è accettabile poiché sussiste un problema di suddivisione degli importi delle somme da sbloccare tra spese in conto capitale e spese correnti. Secondo il decreto, solo 7,7 miliardi di euro sui 40 totali riguarderanno il pagamento di spesa in conto capitale e, inoltre, non è previsto alcun pagamento in conto capitale nel 2014: il Governo ha infatti stimato un deficit pari all’1,8% del Pil. Una dinamica che, nel settore delle costruzioni, porterà ad avere almeno 11 miliardi di euro non pagati.

Secondo l’Ance, appare necessario ribadire che circa 11 miliardi di euro sono già disponibili nelle casse di enti locali virtuosi; si tratta di risorse che vanno pagate subito e, sotto questo profilo, un allentamento del Patto di stabilità interno degli enti locali per soli 5 miliardi di euro, a fronte di 11 miliardi di euro già disponibili, non è accettabile. Sarebbe invece opportuno garantire che queste risorse si traducano in misure a favore degli investimenti produttivi, capaci di rilanciare crescita e occupazione. Sarebbe bene fare in modo che la flessibilità concessa da Bruxelles, rispetto alla disciplina di bilancio applicata finora, si traduca nel pagamento del massimo importo possibile di spese in conto capitale.

Allentare il rigore a favore soprattutto delle spese correnti rischierebbe invece di alimentare nuove spinte rigoriste da parte dell’Europa, compromettendo anche future aperture di credito all’Italia. Per questi motivi, il pagamento delle spese in conto capitale deve assumere carattere prioritario e rappresentare l’elemento centrale del piano di pagamenti dei debiti pregressi in corso di predisposizione.

L’Ance ricorda anche che il Patto di stabilità interno, così come disciplinato oggi in Italia, impedisce la trasformazione degli impegni di parte capitale in pagamenti alle imprese e provoca l’accumulo di debiti anche in presenza di risorse di cassa disponibili. Una dinamica che fa crescere l’importo dei debiti non conteggiati, consentendo solo il rispetto formale dei parametri fissati dai trattati europei.

“Debiti PA, snellire pratiche e procedure”

Abbiamo visto ieri come Confprofessioni abbia mosso importanti e sensate critiche al decreto sbloccacrediti. Oggi vediamo in che modo la Confederazione italiana delle libere professioni ha proseguito nella sua critica costruttiva al testo ministeriale.

Secondo Confprofessioni è necessario semplificare le procedure finalizzate al pagamento, alla certificazione e alla compensazione dei crediti. Per quanto riguarda la procedura relativa alla registrazione sulla piattaforma elettronica delle Amministrazioni, il timore della confederazione è che si continuino a verificare le carenze nella programmazione e gestione di tale adempimento da parte delle Amministrazioni coinvolte, in particolar modo quelle di modeste dimensioni strutturali ed organizzative. Queste carenze sono state riscontrate negli ultimi mesi, da quando a fine 2012 la piattaforma è stata attivata.

Quanto alle compensazioni tra certificazioni e crediti tributari, il decreto stabilisce che i crediti possano essere compensati con le somme dovute a seguito di accertamento con adesione, acquiescenza, definizione agevolata delle sanzioni, conciliazione giudiziale, mediazione.

Questa disposizione normativa, secondo Confprofessioni, suscita non poche perplessità in ordine al corretto rapporto tra fisco e privato. Così come scritta, la norma non consentirebbe al contribuente che non ha alcuna pendenza con il fisco la possibilità di compensare i propri debiti con la pubblica amministrazione con i crediti tributari, mentre il contribuente che ha ricevuto un accertamento e definisce con il fisco le richieste può compensare. È necessario perciò includere nella compensazione tutti gli importi dovuti al fisco, rendendo compensabili non solo le somme accertate e definite a seguito di adesione o definizione agevolata ma bensì anche i debiti che emergono dalle dichiarazioni periodiche o liquidazioni periodiche e annuali di imposte.

Un’ulteriore criticità evidenziata riguarda la possibilità data agli Enti locali “di non indicare una data di pagamento nei certificati di credito” ai fini del rispetto del patto di stabilità interno, facoltà che limita il ricorso agli strumenti utilizzabili dalle imprese quali la compensazione con somme iscritte a ruolo e la cessione pro soluto. Il comma 9 dell’art. 6 del Decreto in esame dispone, invece, che “entro il 30 giugno 2013 le Pubbliche Amministrazioni comunicano ai creditori l’importo e la data entro la quale provvederanno ai pagamenti”. Ci si chiede, dunque, se gli Enti locali, al pari delle Amministrazioni statali, dovranno anch’essi indicare necessariamente la data del pagamento, e in caso affermativo, se lo dovranno fare nei limiti ovviamente dell’importo complessivo di 5 milioni di euro, previsto nel primo comma dell’art. 1 per l’esclusione dei pagamenti dal vincolo di stabilità interno.

Confprofessioni rileva poi una contraddizione tra il nono comma dell’art. 6 in cui viene fatto riferimento al termine del 30 giugno 2013 per la comunicazione da parte delle Amministrazioni dell’importo e della data entro la quale provvederanno ai pagamenti dei debiti, ed il quarto comma dell’art. 7 in cui viene fatto riferimento al lasso di tempo tra il 1 giugno e il 15 settembre 2013 come termine per la comunicazione dell’elenco completo dei debiti con l’indicazione dei dati identificativi del creditore, senza però alcuna indicazione della data del pagamento, a differenza del citato comma nono dell’art. 6.

L’ultima osservazione di Confprofessioni è relativa alla mancata previsione della possibilità di rilascio automatico del Documento unico di regolarità contributiva (Durc) pur in presenza di crediti certificati ai sensi del comma 3-bis dell’art. 9 del DL 185/2008, di importo pari almeno agli oneri contributivi non pagati. Ai sensi del comma 5 dell’art. 13-bis della Legge 94/2012, che ha convertito il DL 52/2012, si è in attesa del Decreto attuativo del Ministro dell’Economia e delle Finanze che fissi le modalità attuative di tale disposizione. Senza attendere tale ultimo provvedimento, si potrebbe nell’ambito del presente decreto-legge già prevedere un meccanismo automatico di rilascio del Durc che tenga conto del credito certificato dall’Amministrazione per un importo almeno pari agli oneri contributivi non pagati. Il contribuente, quindi, dovrebbe ricevere il Durc regolare nei casi in cui i debiti contributivi siano inferiori alle proprie posizioni creditorie.

Proprio i ritardati pagamenti da parte della PA hanno contribuito ad aggravare le difficoltà delle imprese nella regolarizzazione degli adempimenti contributivi: il meccanismo compensativo proposto da Confprofessioni rappresenterebbe quindi un doveroso riequilibrio.

Debiti PA, le proposte di Confprofessioni

Una delle voci critiche nei confronti del decreto sbolccacrediti è quella di Confprofessioni, la Confederazione italiana delle libere professioni. La confederazione, però, ha anche avanzato ha presentato delle proposte di buon senso per modificare in senso migliorativo il testo del decreto; lo ha fatto davanti alle Commissioni parlamentari speciali, istituite per l’esame degli atti urgenti del Governo.

Confprofessioni accoglie con favore l’emanazione del provvedimento, “il segnale di un doveroso rispetto degli impegni sottoscritti dallo Stato con i suoi cittadini, nonché, nell’attuale fase recessiva dell’economia italiana, un utile strumento di sviluppo e ripresa“. Tuttavia, come anticipato, ritiene che il decreto “debba essere perfezionato, affinché rappresenti effettivamente una misura economica di sviluppo e crescita in grado di incrementare la produzione e l’occupazione“. Confprofessioni richiama poi l’attenzione su alcune criticità presenti nel testo che potrebbero essere superate in sede di conversione parlamentare.

Intanto, nel parere depositato in commissione, Confprofessioni spiega di aver apprezzato la tecnica normativa scelta dal Governo, che ha considerato le “obbligazioni giuridicamente perfezionate relative a prestazioni professionali” nell’ambito dei debiti immediatamente solvibili da parte delle Amministrazioni dello Stato, evitando la distinzione tra imprese e professionisti nel momento in cui si esaminano i soggetti che hanno diritto al pagamento da parte degli Enti locali.

Secondo Confprofessioni, però, non è chiaro per quale ragione l’articolo 7 (certificazione dei debiti ai fini della ricognizione degli stessi), l’articolo 8 (cessione dei crediti), e l’articolo 9 (compensazione dei crediti con somme dovute in base agli istituti definitori della pretesa tributaria), non menzionino in maniera esplicita le obbligazioni relative alle prestazioni professionali ma solo richiamino le obbligazioni relative a somministrazioni, forniture e appalti. Strano, dice la confederazione, dal momento che l’articolo 5 ha ritenuto indica in modo esplicito le “obbligazioni giuridicamente perfezionate relative a prestazioni professionali“, che sono assimilate alle “obbligazioni relative a somministrazioni, forniture e appalti“.

Svista o malafede? Svista, secondo Confprofessioni,in quanto non avrebbe senso, dopo aver incluso tali obbligazioni nell’ambito di quelle oggetto di pagamento da parte della PA, escludere le stesse dalla disciplina della certificazione, cessione e compensazione, anche alla luce dell’orientamento europeo“. Ecco dunque la proposta di annullare l’ambiguità e indicando in modo esplicito quelle obbligazioni negli articoli 7, 8 e 9, evitando così interpretazioni arbitrarie del testo.

Confprofessioni ha poi una proposta concreta per superare la complessità delle procedure burocratiche necessarie ad attivare i pagamenti: coinvolgere direttamente il mondo dei professionisti, che potrebbe giocare un ruolo chiave specialmente nella gestione delle procedure di certificazione e interlocuzione tra pubbliche amministrazioni. Un coinvolgimento che troverebbe senso nel principio di sussidiarietà che informa l’ordinamento costituzionale.

A domani per le altre proposte di Confprofessioni

Debiti della PA, continua il viaggio tra le contraddizioni del decreto

di Davide PASSONI

Abbiamo passato una settimana a raccogliere notizie e testimonianze sulle mille contraddizioni che accompagnano il decreto che dovrebbe dare il via al pagamento di una prima parte dei debiti che la pubblica amministrazione vanta nei confronti delle imprese. Nel frattempo è stato persino eletto il nuovo presidente della Repubblica ma le cose, sul fronte del decreto, non sembrano migliorate. Ecco perché abbiamo deciso di dedicare un’altra settimana all’approfondimento di questo argomento, tanto vitale per la sopravvivenza delle nostre imprese quanto superficialmente affrontato da chi ha approntato il decreto.

Del resto, basti pensare che tra passaggi formali centrali e locali, sono ben 36 i provvedimenti attuativi necessari a far partire la macchina che erogherà i pagamenti. Inoltre, la soglia per la compensazione tra crediti e debiti fiscali prevista dal decreto, che è passata da 516mila a 700mila euro risulta nei fatti discriminatoria per molte delle aziende che vantano crediti nei confronti dello Stato.

E vogliamo mettere i molti casi di comuni virtuosi che, paradossalmente, sono penalizzati anziché favoriti da questo decreto? Infatti, con il decreto in oggetto, lo Stato anticipa di liquidità a enti che hanno assunto impegni senza accantonare le somme necessarie a coprirli e che, ora che non hanno soldi, vengono finanziati dallo Stato tramite la Cassa Depositi e Prestiti con prestiti trentennali; intanto, però,e i comuni virtuosi che hanno già saldato i loro debiti con le imprese e vorrebbero un allentamento del patto di stabilità per mettere in cantiere nuove opere pubbliche, non lo fare e nemmeno possono accendere mutui per farlo perché i limiti imposte dalle finanziarie dell’ultimo periodo sono pressoché proibitivi per tutti”.

Come si vede, quindi, sono molti gli aspetti di criticità che ancora persistono nella attuazione del decreto che dovrebbe ridare un po’ di ossigeno alle imprese soffocate dalla crisi. Perché proprio questo è il punto: le imprese hanno bisogno di soluzioni rapide ed efficaci, non burocratiche; hanno bisogno di liquidità immediata e non di fare la fila agli sportelli, perché il tessuto produttivo italiano è ormai una tela lisa e qualunque peso le si metta sopra ha l’unica conseguenza di stracciarla. Ecco perché Infoiva si concentrerà ancora su questo argomento; per capire come dare a non stracciarla perché di tempo per ricucirla non ce n’è davvero più.